La musica come strumento di inclusione e solidarietà

“La musica consente di superare diffidenze e pregiudizi anche in momenti difficili come gli attuali. Lo dimostra la composizione multietnica del coro polifonico misto dell’Accademia Lirica Internazionale Santa Croce, una trentina di persone non professioniste  provenienti da diverse zone del nostro territorio, ma anche da varie nazioni europee e oltreoceano, unite dalla passione per la musica vissuta come momento non solo di personale crescita culturale, tecnica e di svago bensì anche di condivisione di valori di inclusione e solidarietà, capaci di mettere assieme le diversità di vita, lavoro, competenze musicali, carattere, cultura, età”.
Lo afferma il maestro Alessandro Svab, fondatore dell’Accademia e direttore del coro, che assieme al maestro Fabio Zanin al pianoforte, ha saputo valorizzare questo gruppo portandolo a un livello di tecnica musicale e a una dedizione paragonabili alle compagini professionali, nonostante le evidenti difficoltà di tempi e risorse che una attività amatoriale comporta.

IL CORO DELL’ACCADEMIA LIRICA INTERNAZIONALE SANTA CROCE

La musica come strumento di inclusione e solidarietà

Proprio la sua multiculturalità ha caratterizzato il ciclo di concerti di fine anno, con esibizioni a Trieste al teatro Bobbio e alla sala Luttazzi e con eventi al Santuario di Monte Grisa, nella chiesa di S. Andrea a Gorizia, in Slovenia a Canal d’Isonzo e nella sua sede originale di Santa Croce.
“Importante sottolineare che, accanto ai brani più conosciuti,” – spiega Alessandro Svab, con un noto passato di interprete lirico nei più importanti teatri italiani ed esteri, dedicatosi da tempo all’attività di insegnamento e di promozione della lirica a livello internazionale – “il coro ha eseguito canti della cultura popolare di vari paesi, da quella anglosassone, all’ispanica, alla slovena, alla latino-americana fino alla russa e ucraina, tutti interpretati in lingua originale”.

Il coro, nato una decina di anni fa nell’ambito dei progetti di educazione musicale e di divulgazione delle opere italiane, consente alle persone di comprendere e apprendere la tecnica del canto, attraverso l’interpretazione dei brani più noti di autori classici – come Puccini, Verdi, Donizetti, Rossini, Mozart, Beethoven – e ampliando lo sguardo anche a composizioni ormai parte della nostra cultura musicale, come le operette, i musical o i temi da film, come quelli di Ennio Morricone.  
Altri aspetti, oltre alle crescenti capacità interpretative, caratterizzano l’attività del coro. Importante è la collaborazione con artisti solisti e altre realtà musicali, come l’orchestra di fiati Arcobaleno con cui sono stati realizzati vari concerti nella stagione 2024. Non meno rilevante è l’impronta di accoglienza e solidarietà che pervade l’intera attività del coro, non solo per le ripetute presenze in comunità di assistenza, come le case di riposo o alla Comunità di San Martino al Campo, ma anche per la lunga collaborazione con associazioni dedite al sostegno alla disabilità e il coinvolgimento e l’aiuto a gruppi corali sorti in queste difficili realtà.

Rinnovando come di consueto parte del proprio repertorio, la preparazione alla stagione 2025 nasce da nuovi stimoli per offrire al pubblico quelle emozioni che solo un complesso di interpreti con tonalità, altezze sonore e melodie simultanee così diverse, di voci femminili e maschili, di solisti e di musicalità d’insieme, riesce a dare in uno spettacolo.   Il programma 2025 in fase di elaborazione includerà senz’altro iniziative per GO2025 e più eventi in altre località regionali. Come sempre, fin dalla fondazione, le porte del coro e dell’Accademia saranno aperte a nuove esperienze e a chi vorrà integrarsi con i valori di amicizia e accoglienza del gruppo.


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di Aldo Poduie e Federica Zar
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Piattaforma TAEX: Un Punto di Incontro per l’Arte Digitale

TAEX.com ridefinisce i confini dell’arte digitale nel 2025 attraverso mostre visionarie, progetti innovativi e artisti di fama internazionale. Dal successo di “Scoletta dell’Arte: DIGITAL REFORM” a Venezia alle prestigiose fiere internazionali come Untitled Art Miami Beach e la prossima Singapore Art Fair, TAEX unisce creatività, tecnologia e mindfulness in un dialogo rivoluzionario.

Il Futuro dell’Arte: TAEX e le Nuove Frontiere del 2025

Il 2025 si prospetta come un anno di grande fermento per l’arte, caratterizzato da trasformazioni guidate dall’innovazione digitale, dalla sostenibilità e da un rinnovato impegno sociale. Tra i nuovi trend emergenti, spicca l’uso dell’intelligenza artificiale per creare opere generative e interattive che ridefiniscono il concetto di creatività e coinvolgono il pubblico in modo dinamico, parallelamente, l’attenzione ambientale e la salute mentale diventano temi centrali, con artisti che esplorano pratiche sostenibili e progetti mirati al benessere interiore. Realtà virtuale e aumentata, infine, rendono l’arte sempre più accessibile e immersiva, aprendo scenari inediti per musei e collezionisti.

In questo contesto di trasformazione, piattaforme come Taex.com offrono un punto d’incontro per artisti, curatori, pubblico e nuove tecnologie, promuovendo l’arte digitale e creando una comunità interdisciplinare con l’obiettivo di riformare il panorama artistico attraverso mostre, fiere e contenuti critici che combinano tradizione e tecnologia.

Da aprile 2024 fino a settembre durante la Biennale Arte di Venezia, TAEX ha presentato Scoletta dell’Arte: DIGITAL REFORM, mostra interattiva presso la storica Scoletta dei Battioro a Venezia, trasformando l’antica scuola artigiana in un laboratorio di arte digitale. Curata dal critico, specializzato in new media art, Antonio Geusa, la mostra ha intrecciato passato e futuro, in un percorso di apprendimento con codici e opere audiovisive innovative e coinvolgenti. 

In linea con uno degli obiettivi di Taex di informare sui nuovi media applicati all’arte, durante la mostra è stato presentato il testo, quasi un manuale scritto dal Curatore Geusa What Crypto Can Do For Art, What Art Can Do For Crypto, che esplora le connessioni tra blockchain e arte contemporanea.

La mostra a Venezia, ha visto protagonisti due artisti che hanno esplorato i confini tra arte, tecnologia e intelligenza artificiale: Francesco D’Isa e Andrea Meregalli.

Filosofo e artista di fama internazionale, Francesco D’Isa ha presentato Error#0, il primo NFT della sua serie Errors. Quest’opera trasforma errori generati intenzionalmente dall’intelligenza artificiale in espressioni visive affascinanti, esplorando lo “spazio latente” della macchina, un concetto che l’artista paragona alle visioni che gli esseri umani possono sperimentare nella fase pre-sonno o durante la meditazione. Error#0 rappresenta una riflessione sull’errore come scelta consapevole e creativa, resa unica e permanente dalla tecnologia blockchain.

Autore del bestseller La rivoluzione algoritmica delle immagini, D’Isa indaga l’impatto dell’IA nelle arti e, nel 2024, è stato riconosciuto dal quotidiano La Repubblica tra le figure più influenti nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Le sue opere, esposte in gallerie e centri d’arte internazionali, consolidano la sua posizione pionieristica nell’integrazione tra arte, filosofia e tecnologia.

Architetto, designer e artista italiano, Andrea Meregalli ha presentato l’installazione interattiva YOU ARE MAKING ART, un’opera che dialoga con la storia dell’arte interattiva e l’idea di immagine come inconscio tecnologico. Tramite una piattaforma di intelligenza artificiale generativa, combinata con una fotocamera e un pedale, l’opera produce in tempo reale ritratti artistici degli spettatori, trasformandoli sia in osservatori che in creatori del processo artistico. L’opera è stata scelta per essere esposta  al MEET di Milano a settembre 2024, in occasione della mostra “AI Yoga per Intelligenze Artistiche” a cura di Valerio Borgonuovo che ha coinvolto dieci artisti italiani, tra cui anche D’Isa, incentrata sul dialogo tra creatività umana e intelligenza artificiale. 

Meregalli, che vive e lavora a Monza, ha integrato la tecnologia digitale nella sua ricerca fin dall’inizio della sua carriera. Le sue opere sono state esposte in prestigiose sedi italiane, tra cui Villa Reale di Monza, ADI Design Museum a Milano e Palazzo Carignano a Torino, confermandolo come uno sperimentatore innovativo nel panorama contemporaneo.

Entrambi gli artisti dimostrano come l’intelligenza artificiale possa diventare un potente strumento per l’arte contemporanea, trasformando errori e interazioni in nuove forme di espressione e aprendo orizzonti inesplorati.

Dopo la mostra veneziana, sempre  con l’obiettivo di divulgare e potenziare l’attività degli artisti rappresentati e contribuire a definire il futuro dell’arte digitale, Taex si è dedicata a presenziare nelle maggiori fiere internazionali. 

Ad Untitled Art Miami Beach 2024, ha proposto tre nuove collezioni che esplorano il rapporto tra arte e tecnologia, 

  • Three Excerpts from Every Poem Starts with a Seed di Sasha Stiles, un trittico che unisce poesia, voce e dati per riflettere sulla trasmissione della conoscenza umana nel tempo.
  • Resonance Meditation di Krista Kim, un’opera meditativa che invita gli spettatori a rallentare e connettersi con sé stessi attraverso immagini ipnotiche e colori rilassanti.
  • Implied Narrative di Kevin Abosch, un’esplorazione concettuale della morfologia della mano umana e delle sue implicazioni narrative ed esistenziali.

TAEX si prepara ora per la sua prossima partecipazione alla Singapore Art Fair a gennaio 2025, con il progetto iconico  Continuum  dell’artista canadese-coreana Krista Kim, nelle prestigiose sezioni FOCUS e DIGITAL SPOTLIGHT. Riconosciuta a livello internazionale, e con stretti legami con Singapore dove ha già esposto al Singapore Art Museum ed è Metaverse editor per Vogue Singapore Kim esplora il potenziale della tecnologia come strumento di consapevolezza, trasformando gli schermi digitali in paesaggi Zen in evoluzione.

Ispirato alla calma del Ryoanji Temple Garden di Kyoto, Continuum propone gradienti sottili e transizioni fluide che invitano lo spettatore a rallentare e connettersi con uno stato di quiete interiore. creato in risposta alla disconnessione e alla distrazione che pervadono la società odierna a causa dell’uso eccessivo della tecnologia. La collezione su TAEX include 10 segmenti unici da 2 minuti tratti dall’intera opera d’arte Continuum. un tributo alla visione innovativa di Kim sul potenziale delle interfacce digitali come portali per la pace.  

L’opera che si inserisce perfettamente nei nuovi trend dell’arte focalizzati sulla mindfulness e il benessere interiore.ha già conquistato il pubblico internazionale: nel 2022 ha trasformato Times Square in uno spazio meditativo, e uno dei suoi pezzi è ora nella collezione permanente del LACMA. Un altro è stato acquisito da un importante collezionista privato, mentre il terzo sarà protagonista allo stand TAEX.

Krista Kim è un’artista contemporanea e fondatrice del movimento Techism, che esplora la relazione tra il digitale e il fisico.. Le sue opere sono presenti nelle collezioni permanenti della Louis Vuitton Foundation e del LACMA, e sono state esposte in eventi di rilevanza internazionale. Riconosciuta da UNESCO e Forbes come una delle voci più influenti del panorama contemporaneo, Kim ha ricevuto il premio Excellence in Digital Art ai Createurs Design Awards (2024).

TAEX.com in sintesi continua a ridefinire i confini dell’arte, creando spazi in cui tecnologia e creatività si incontrano per ispirare il futuro.


SITO WEB e SOCIAL MEDIA 
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Editoria: arriva il nuovo libro di Martina Galletta in libreria

L’autrice de “La Dimora degli Dèi” torna con un romanzo ambientato nel Ventennio, con una storia che parla di un’amicizia che supera ingiustizie e dolore, senza perdere mai la speranza.

Dal 24 gennaio sarà disponibile in libreria “Giuditta – il ghetto di Roma, la dittatura fascista, la Resistenza”, il nuovo libro di Martina Galletta, pubblicato con Infinito Edizioni.

Arriva “Giuditta – il ghetto di Roma, la dittatura fascista, la Resistenza”, il nuovo libro di Martina Galletta, dal 24 gennaio disponibile in libreria

Dopo il successo del suo romanzo d’esordio “La Dimora degli Dèi”, l’autrice torna con una storia forte, ambientata a Roma durante il Ventennio, che racconta le ingiustizie di quegli anni viste dagli occhi dei protagonisti, ma sempre con una nota di speranza.
I protagonisti sono Giuditta, una ragazzina ebrea, e Libero, un operaio comunista, legati da una forte amicizia nata nel 1917. La passione per la politica li unisce in modo così profondo che il loro legame sopravviverà a due conflitti mondiali, alla vergogna delle leggi razziali del 1938, alle deportazioni. Un universo di personaggi accompagna i protagonisti in questo viaggio denso di ingiustizie e di dolore, nel quale, però, i due non smettono mai di sperare in un mondo migliore, finalmente libero da odio e guerre.

Giuditta è un tributo a Roma e alla Resistenza, alle vittime delle leggi razziali e alle decine di migliaia di donne e uomini che hanno dato la loro vita per la nostra libertà. Il racconto di un passato che continua ad avere legami con un presente dove l’odio e la guerra sono ancora all’ordine del giorno, un disperato e lucido appello alla Memoria e all’umanità.

Un tema molto sentito dall’autrice, che aveva ambientato anche il suo primo lavoro “La Dimora degli Dèi” nella Germania del 1938, raccontando il periodo storico attraverso gli occhi di Britta, giovane austriaca di buona famiglia, in viaggio con il padre e il fidanzato, astro nascente del Partito nazionalsocialista, per raggiungere il luogo del loro imminente matrimonio.

Credo che sia importante parlare di questi argomenti, affinché non venga mai dimenticato il dolore di chi ha subito quelle ingiustizie o la vita di chi è morto per darci oggi la possibilità di vivere liberi e in pace. – Commenta l’autrice Martina Galletta – La letteratura è uno straordinario strumento per raccontare storie, valori e sentimenti. L’espediente narrativo ci consente di raccontare molto del mondo di oggi, anche ambientandolo nel passato, per parlare ai giovani, ma anche a chiunque abbia voglia di aprire il cuore ad una storia”.

Attrice, musicista e scrittrice milanese. Dopo l’Accademia di recitazione Paolo Grassi lavora al cinema, in televisione e nei più prestigiosi teatri italiani. Da sempre interessata alla storia, alla politica e alla complessità dei rapporti umani, nel febbraio del 2022 pubblica con Infinito Edizioni la sua prima opera, La Dimora degli Dèi, ambientata nel 1938. Questo è il suo secondo romanzo.


Informazioni di contatto
Alessia Piccioni
press@alessandromaola.it

Opportunità internazionale per artisti: Bando con premi in palio

Pubblicato il bando della terza edizione del Premio Internazionale dedicato all’arte contemporanea e alla lotta contro lo stigma delle malattie mentali. A-HEAD Project, iniziativa promossa da Angelo Azzurro ONLUS, annuncia ufficialmente l’apertura del bando per la terza edizione del Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”, un’importante occasione per sostenere giovani artistə emergentə e promuovere l’arte contemporanea come strumento di sensibilizzazione sul tema delle malattie mentali.

A-HEAD PROJECT INDICE LA III EDIZIONE DEL PREMIO INTERNAZIONALE ALLA RICERCA ARTISTICA “GIOVAN BATTISTA CALAPAI E THEODORA VAN MIERLO BENEDETTI”

Il Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti” vuole, in particolar modo, sostenere giovani artistə emergentə e prenderà in considerazione non una singola opera, ma tutta la produzione artistica degli ultimi cinque anni.
Dedicato alla memoria di Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti, il Premio nasce per celebrare due figure importanti per la Onlus Angelo Azzurro che con il progetto A-HEAD, ideato dal suo curatore Piero Gagliardi favorisce la diffusione del linguaggio artistico in tutte le sue declinazioni e supporta la ricerca artistica.

La partecipazione è gratuita e aperta a cittadinə residentə in Italia o all’estero, a partire dal 18° anno di età fino al compimento del 35° anno di età (alla data di pubblicazione del presente bando), senza limiti di nazionalità, sesso, etnia o religione. 

Il bando prevede l’assegnazione del “Premio Giovan Battista Calapai”avente valore netto di € 1.200,00 e una pubblicazione a cura di A-HEAD Edizioni, la “Menzione Speciale Theodora van Mierlo Benedetti” di € 800,00 netti e una pubblicazione a cura di A-HEAD Edizioni. Anche quest’anno accanto al riconoscimento principale ci sarà il “Premio Piero Gagliardi” di € 500,00 netti e l’inserimento di un’opera inedita, del vincitore, nella Collezione Permanente del MUSMA (Museo della Scultura Contemporanea di Matera) che sarà donata da A-HEAD Project titolata a Piero Gagliardi per rendergli omaggio come curatore del progetto e ringraziarlo per l’encomiabile lavoro di questi anni.

I vincitori saranno inoltre protagonisti del progetto “3500 cm²”, curato da Lorenzo Benedetti, che promuove la diffusione del linguaggio dell’arte contemporanea attraverso manifesti di grande formato, pensati per raggiungere un pubblico ampio ed eterogeneo.

Le candidature potranno essere inviate entro il 15 aprile 2025, seguendo le modalità indicate nel bando ufficiale, mentre la pubblicazione dei vincitori sarà il 30 giugno 2025 sui canali della Onlus Angelo Azzurro. Data e luogo della Premiazione saranno comunicati successivamente.

La selezione delle opere sarà affidata a una giuria composta da personalità di spicco del mondo dell’arte contemporanea, tra cui curatori, critici, artisti e galleristi.

Lorenzo Benedetti – Curatore e Storico dell’arte, Mario Pieroni -RAM radioartemobile, Gianfranco Grosso – Artista, Francesco Nucci – Presidente Fondazione VOLUME!,
Davide Sebastian – Artista, Simona Spinella  – Curatrice e Storica dell’arte, Teresa Macrì – Critica d’arte e scrittrice, Paolo Grassino – Artista, Raffaella De Chirico – Gallerista.
Coordinano la Giuria:  la Dottoressa Stefania Calapai e la Curatrice Roberta Melasecca. 

Le candidature dovranno essere inviate via e-mail all’indirizzo premiocalapai@gmail.com, seguendo le modalità indicate. Gli/Le artistə interessatə potranno consultare il bando completo e scaricare la documentazione necessaria al seguente link:

Con questa iniziativa, Angelo Azzurro ONLUS rinnova il suo impegno a sostenere i giovani talenti e a sensibilizzare il pubblico verso una maggiore comprensione delle tematiche legate alla salute mentale attraverso l’arte.

Il progetto A-HEAD nasce nel 2017 per volere della famiglia Calapai per la lotta allo stigma dei disturbi mentali e dalla collaborazione tra l’Associazione Angelo Azzurro ONLUS ed artisti e dj di respiro internazionale: infatti con il progetto A-HEAD Angelo Azzurro, curato da Piero Gagliardi dal 2017, mira a sviluppare un percorso ermeneutico e conoscitivo delle malattie mentali attraverso l’arte, sostenendo in maniera attiva l’arte contemporanea e gli artisti che collaborano ai vari laboratori che da anni l’associazione svolge accanto alle attività di psicoterapia più tradizionali.

Data la natura benefica del progetto, con A-HEAD la cultura, nell’accezione più ampia del termine, diviene un motore generatore di sanità, nella misura in cui i ricavati sono devoluti a favore di progetti riabilitativi della Onlus Angelo Azzurro, legati alla creatività, intesa come caratteristica prettamente umana, fondamentale per lo sviluppo di una sana interiorità. Lo scopo globale del progetto è quello di aiutare i giovani che hanno attraversato un periodo di difficoltà a reintegrarsi a pieno nella società, attraverso lo sviluppo di nuove capacità lavorative e creative.


Call for Artists – Premio alla ricerca artistica – Under 35
Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti” Terza edizione

Scadenza candidature 15 aprile 2025

Segreteria organizzativa Roberta Melasecca
premiocalapai@gmail.com

Angelo Azzurro ONLUS – infoangeloazzurro@gmail.com
https://associazioneangeloazzurro.org

Ufficio Stampa A-HEAD Project – Angelo Azzurro ONLUS:
Alessio Morganti
Giornalista – Ufficio Stampa +39 3401472901 Alessio.mrg@hotmail.it

Marco Frattini, il cantautore non udente che sfida la sua disabilità

A Due Passi Dal Cielo è il titolo del tour 2025 che vede il ritorno di Marco Frattini con spettacoli-concerto in tutta Italia. Appuntamenti in diverse location e in occasioni degli eventi podisti più partecipati di tutto lo stivale: Milano, Roma, Ravenna, Cuneo, Rimini, Verbania, Verona, Torino e non solo.

Un tour che si annuncia ricco di intense emozioni in cui l’atleta e artista audioleso profondo presenterà i suoi brani inediti con l’inconfondibile autoironia che da sempre lo contraddistingue.

MARCO FRATTINI, TORNA LIVE CON IL TOUR ‘A DUE PASSI DAL CIELO’

IL CANTAUTORE NON UDENTE CHE SFIDA LA SUA DISABILITÀ

Marco Frattini è un personaggio sicuramente eclettico e trasversale, che ha fatto, senza troppi giri di parole, di ogni necessità virtù. Forte di un’esperienza aspra e unica, propone uno spettacolo, una storia e un repertorio ricco di brani che emozionano e rievocano sonorità e ritmi travolgenti.
Ad accompagnarlo un duo d’eccezione, con Cristian Daniel e Daniele Sala a creare un grande impatto sonoro in supporto a Frattini che – nonostante la grave menomazione –  riesce a cantare e suonare lasciando increduli gli ascoltatori, offrendo una kermesse di musica tutta suonata dal vivo, ricca di energia e una prova empirica di vera forza di volontà.

Dopo il lungo girovagare per presentare i suoi libri, ‘Vedere di corsa e sentirci ancora meno’ e ‘Il mio comandamento’ che a partire dal 2010 l’hanno portato in oltre 800 piazze in tutta Italia con sporadici appuntamenti oltre confine, Marco Frattini torna live. A ormai vent’anni di distanza, Marco è pronto per riabbracciare le sue chitarre e regalare, ancora una volta, momenti di straordinaria sensibilità, forza e resilienza.

Queste le date del tour ‘A due passi dal cielo’ al momento in programma:
20 gennaio – Massaua, Milano
21 gennaio – Massaua, Milano
8 febbraio – Music Center, Meda (MB)
14 febbraio – Vimercate (MB)
14 marzo – Roma
15 marzo – Expo Run Rome The Marathon, Roma
30 marzo – Matilda, Nova Milanese (MB)
12 aprile – Monte San Giorgio Trail, Piossasco (To)
26 luglio – Expo La Via dei Lupi, Limone Piemonte (CN)

Altre date si stanno aggiungendo e per tutti gli appuntamenti sono previsti ospiti a sorpresa.

In occasione della prima data a Milano, lunedì 20 gennaio, presso Massaua, in via Alessandro Tadino 17, alle ore 18.30 è prevista la conferenza stampa, serata ad invito, con posti limitati.

Saranno presenti:

  • Giorgio Rondelli (confermato) CT atletica leggera
  • Lorenzo Benfenati (manager INFRONT, responsabile Run Rome The Marathon)
  • Massimiliano Fava (Responsabile ParkRun Milano)
  • Barbara Selis Grafica (Piparula)

Prevista la prevendita biglietti per tutte le date del Tour, direttamente dal portale iovedodicorsa, a questo link:

Ad affiancare Marco Frattini in questo viaggio, Cristian Daniel, musicista e batterista, con il ruolo di direttore artistico, il bassista Daniele Sala e Mauro Teti, nelle vesti di Tour Manager.

Gli uffici stampa incaricati sono Runtoday e AZ Press.

Marco Frattini è nato a Milano nel luglio 1976 e dal 2006 audioleso profondo.

Laureato in odontoiatria e protesi dentaria, chef diplomato, autore SIAE, si è occupato di odontoiatria speciale, ma ha lavorato anche come musicista e fonico. Maratoneta e 6 volte campione Italiano per la federazione F.S.S.I, è esperto di sistemi per l’inclusione culturale nella disabilità.

Nel 2013 è sottoposto a due nuovi interventi chirurgici, che determineranno un deficit visivo all’occhio sinistro. Abbandonata la professione odontoiatrica, crea il brand IOVEDODICORSA, specializzato nella produzione, vendita di abbigliamento vario per il running e nella promozione di eventi podistici in Italia e nel mondo: www.iovedodicorsa.com.

Già ideatore del progetto “Il teatro oltre il silenzio”, ha lanciato nella primavera 2015 CiaoRunner, www.ciaorunner.com, il primo social-network al mondo dedicato all’ambito della corsa presentato in occasione della Milano City Marathon.

Nel 2019 acquisisce la piattaforma www.runtheworld.it.


CONTATTI
MOBILE: +39 347 5757103 solo WhatsApp
MAIL: info@iovedodicorsa.com
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Ufficio Stampa A-Z Press
info@a-zpress.com

Federica Manzon è un’autrice italiana. “Alma” è il suo ultimo romanzo

In dialogo con Martina Fullone Canarutto
Letture a cura di Lara Komar
Improvvisazioni musicali Stefano Sacher

La scrittrice Federica Manzon presenterà il suo ultimo libro “Alma”, vincitore nel 2024 del Premio Campiello e del Premio Stresa, sabato 25 gennaio, alle ore 17.00, al Circolo Culturale Sloveno SKD Igo Gruden (Aurisina 89) a Duino Aurisina (TS), dialogando con Martina Fullone Canarutto (ingresso libero).L’evento dal titolo “Federica Manzon: Alma, polifonia di una terra di confine – è organizzato nell’ambito de “L’Energia dei Luoghi-Festival del vento e della Pietra” in collaborazione con ZaTroCaRaMa, Libri in Salotto a Duino e l’Agriturismo Juna.

FEDERICA MANZON PRESENTA “ALMA”
Libro vincitore nel 2024 del Premio Campiello e del Premio Stresa

Sabato 25 gennaioal Circolo Culturale Sloveno SKD Igo Gruden (Aurisina – Trieste)

Il di là ha da sempre affascinato Federica Manzon, scrittrice di Pordenone, che ha fatto di Trieste la sua città del cuore. Alma, il suo ultimo romanzo, sarà l’occasione per raccontare la meravigliosa complessità polifonica di questa terra di confine. Le letture di brani del romanzo, a cura dell’attrice Lara Komar, saranno in dialogo con le improvvisazioni musicali di Stefano Sacher.

Federica Manzon è un’autrice italiana. Collabora con l’organizzazione del festival letterario Pordenonelegge ed è redattrice di «Nuovi Argomenti». È stata editor della Narrativa Straniera a Mondadori e successivamente docente e responsabile della didattica presso la Scuola Holden di Torino.
Tra i suoi titoli, Come si dice addio (Mondadori, 2008), Di fama e di sventura (Mondadori, 2011), libro finalista al premio Campiello, La nostalgia degli altri (Feltrinelli, 2017), Il bosco del confine (Aboca, 2020), Alma (Feltrinelli, 2024), vincitore nel 2024 del Premio Campiello e del Premio Stresa.


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L’ultimo partigiano messinese, Fortunato Gennaro

Avrebbe compiuto 100 anni a ottobre: ieri ci ha lasciato Fortunato Gennaro, partigiano messinese. Una delegazione dell’Anpi di Messina è andata immediatamente a rendergli l’ultimo saluto e tornerà, stavolta al cimitero di Spadafora, al momento della tumulazione. “È il minimo che possiamo fare – ha detto il presidente dell’Associazione partigiani, Giuseppe Martino – per esprimere la nostra gratitudine a chi ha contribuito a lasciarci libertà e democrazia”.

Gli anni giovanili Fortunato Gennaro li ha spesi nella lotta di Liberazione dal nazi-fascismo; una Resistenza “semplice”, la sua, quella di un ragazzo nato al “Ponte Americano” di Messina e cresciuto a Bisconte, poi passato in Umbria con tutta la sua famiglia. E proprio in Umbria è stato componente della “Brigata Gramsci” fra il 1943 e il 1944, portandosi dietro la sua idea di giustizia sociale maturata in riva allo Stretto.

Con la stessa naturalezza ha proseguito la sua militanza democratica, come dimostra la tessera dell’Anpi di Messina sottoscritta nel 1948. Lascia il segno di un impegno che tocca alle generazioni successive proseguire contro qualsiasi forma di tirannia.

Avrebbe compiuto 100 anni a ottobre. Dall’estate del 2022 era ospite di una pregevole casa di riposo posta sulle colline del messinese. 

Di seguito la biografia di Fortunato Gennaro, scritta dalla figlia Giuseppina: “Terzogenito e unico maschio dei cinque figli avuti da Vincenzo Gennaro e Giuseppa Celi, Fortunato nasce a Messina l’8 ottobre del 1925. Cresce nel quartiere di insediamento post terremoto denominato ‘Ponte americano’, nei pressi di Viale Europa.

Il padre Vincenzo, già in tenera età orfano di padre, crebbe e si formò professionalmente nel convitto Cappellini di Messina (edificio che dopo successivi passaggi di destinazione attualmente ospita il liceo scientifico Archimede) dove acquisì, tra l’altro, le nozioni musicali che coltivò facendosi apprezzare da adulto come suonatore di clarino nella banda musicale di Messina, nell’ambito della quale rimase attivo per diversi anni fornendo il suo prezioso contributo. 

Da padre di famiglia si era affermato nella professione artigianale di falegname ebanista, coltivando parallelamente la passione per la musica che riuscì in parte a trasmettere a Fortunato il quale, in gioventù, imparò da autodidatta a suonare la fisarmonica. Spesso interpellato per fornire l’apporto strumentale al fine di rallegrare le giornate di convivialità, di volta in volta promossa da alcune famiglie di rione Bisconte in occasione di festeggiamenti privati, grazie ai quali conobbe e si innamorò della bella Antonia, divenuta sua moglie dopo due anni di fidanzamento e rimasta sua compagna di vita per 63 anni.

Fin da bambino e nel rispetto delle oggettive possibilità, Fortunato venne coinvolto nella modesta ma attiva impresa familiare. Inoltre, nel suo piccolo, contribuì economicamente svolgendo l’attività di garzone presso una bottega di tessuti esercente in città. 

Sul finire degli anni ’30, quindi in pieno regime fascista, la famiglia Gennaro con l’ancora piccolo Fortunato si trasferì dall’iniziale abitazione precaria della baracca di legno (nel cui sopralzo, costruito dallo stesso padre Vincenzo, si svolgeva la piccola attività imprenditoriale) in una delle casette popolari appena allestite nel rione Bisconte di Camaro Inferiore dove, a seguito delle sue manifeste idee libertarie, apertamente comuniste, papà Vincenzo venne ostacolato nel suo mestiere dal gerarca locale, risultando presto inviso al punto da fare autorizzare anche un’azione di pestaggio ai suoi danni. 

Si può comprendere come le ritorsioni e l’osteggiamento professionale a cui venne assoggettato il padre andarono a ricadere sull’intera famiglia. Episodi che segnarono la sensibilità di Fortunato, che amava ed ammirava profondamente il padre, a seguito dei quali iniziò a maturare quel senso di rivalsa della giustizia civile e di rispetto per il prossimo che lo accompagnerà per il resto della vita.

Brillante studente di ragioneria, tanto da terminare il ciclo scolastico presentandosi all’esame di stato dopo avere unito in unica soluzione l’ultimo biennio, al termine del conflitto mondiale Fortunato avrà l’opportunità di impiegarsi da civile nella vicina caserma dell’Esercito Italiano “Gasparro”, definita Direzione Artiglieria, inizialmente in veste di tornitore meccanico nel ripristino delle armi utilizzate in guerra e destinate alle altre caserme militari di addestramento, ma presto verrà destinato alla gestione contabile della stessa caserma Gasparro.    

Le due sorelle maggiori di Fortunato, Carmela e Anna, furono le prime a formare una loro famiglia. La prima rimanendo ad abitare al Bisconte con il consorte Angelo Accardi, l’altra seguirà in Umbria il marito Giocondo Magrelli subito dopo il loro matrimonio celebrato in Sicilia, poiché originario del piccolo Comune di Sant’Anatolia di Narco vicino a Cascia. 

Nel 1941 per tutti, non meno per la famiglia Gennaro, i timori derivanti dall’avvento della Seconda guerra mondiale andavano inevitabilmente ad alimentare il disagio di sopravvivere agli avvenimenti, tanto più quando gli eserciti alleati entrarono in Italia iniziando l’offensiva aerea contro le truppe a terra dell’invasore tedesco. 

Sin dall’inizio della guerra (la prima incursione avvenne nel luglio 1940) Messina fu un obiettivo primario, in quanto importante Piazza marittima, punto strategico circa i trasporti nel Mediterraneo quindi anche di approvvigionamento bellico e successivamente obiettivo finale dell’Operazione Husky, ovvero lo sbarco alleato in Sicilia.

Infatti dal 1940 al 1942 si ebbero le prime incursioni aeree programmate dall’aviazione inglese e che coinvolsero anche la città di Messina. 

Si ricorderà, in particolare, che nell’estate del 1943 Messina fu interessata dal massiccio bombardamento, poi considerato il più consistente del conflitto mondiale in Italia.

Ma già le prerogative di attuazione delle strategie militari opposte indurranno i componenti della famiglia Gennaro ad allontanarsi dalla città natale, facendo decidere il capostipite Vincenzo ad accogliere la proposta del genero Giocondo e della figlia Anna di chiedere asilo al Comune di Cascia.

Richiesta che fu accolta così che gli otto componenti Gennaro, con Angelo marito di Carmela e la loro primogenita Agata di soli pochi mesi, furono accettati come sfollati dal Comune di Cascia, trovando riparo e conforto inizialmente in un umile ma prezioso alloggio temporaneamente messo a loro disposizione, distante pochi metri dal Municipio.  

Tuttavia, appena fu possibile la famiglia si sposterà a Sant’Anatolia, lo stesso luogo dove già abitavano Anna ed il bonario marito antifascista appartenente alla diffusa radice dei Magrelli originari di quei luoghi, all’epoca già genitori del primo dei loro sei figli, Giuseppe. 

I Gennaro rimarranno in Umbria da marzo 1942 a settembre del 1944. I maschi di famiglia con il capostipite Vincenzo, il figlio Fortunato ed il genero Angelo si occupavano dei modesti lavori che la singolarità del periodo storico poteva consentire, ma ben presto vollero aderire ai movimenti di resistenza locali partecipando alle iniziative della Brigata Gramsci in azione a Cascia.

Mossi dalla loro fede comunista, i tre si spostarono dalla casa di Sant’Anatolia verso i boschi della Valnerina, dove per diverso tempo parteciparono alle operazioni partigiane organizzate dai due jugoslavi che erano a capo della Brigata, di cui Fortunato ricorderà solo il nome di battaglia di uno di loro, detto Ivan.

La Brigata Garibaldi “Antonio Gramsci” fu particolarmente attiva durante la resistenza al nazifascismo nell’Italia centrale, tra Lazio, Umbria e Marche. I sette battaglioni della Brigata riuscirono a liberare, controllare territori e costituire ufficialmente una delle prime Repubbliche partigiane, tra le prime zone libere d’Italia. 

Nasce ufficialmente nel febbraio del 1944 in seguito al radicamento e alla crescita del Battaglione Spartaco Lavagnini, dietro indicazioni di Celso Ghini (nome di battaglia “Naso“) inviato del CLN per il PCI come ispettore delle Brigate Garibaldi nel Lazio, in Umbria e nelle Marche. In quest’ultima regione è stato anche membro del comitato insurrezionale. 

Il propulsore, prima commissario politico e poi comandante militare, fu Alfredo Filipponi nome di battaglia “Pasquale”, dirigente comunista di Terni, che guidò il gruppo fin dal primo nucleo costituitosi immediatamente dopo l’armistizio dell’8 settembre. 

La Brigata era prevalentemente costituita da operai, contadini, militari sbandati, renitenti alla leva, ex prigionieri di guerra alleati e sovietici, nonché – di fondamentale importanza – da un nutrito nucleo di prigionieri jugoslavi evasi nel settembre 1943 dal carcere di Spoleto: Svetozar Lakovic detto “Toso“, il quale fu a lungo comandante militare nella Brigata, che arrivò a essere composta da un migliaio di partigiani divisi nei battaglioni Spartaco LavagniniGiovanni ManniGuglielmo MorbidoniPaolo CalcagnettiTito 1 Tito 2. 

Il Battaglione Spartaco Lavagnini è stato operativo tra la Valnerina e la zona di Cascia in Umbria. 

Fortunato era ancora minorenne e forse il più giovane del gruppo, considerato che all’epoca la maggiore età era fissata ai 21 anni, per questo i responsabili della cellula Gramsci gli assegnarono fondamentalmente il ruolo di staffetta. Passando inosservato grazie alla sua giovane età, portava a destinazione ordini o informazioni, oltre ad osservare e riportare i movimenti delle formazioni nazifasciste eventualmente rilevate.

Tra i ricordi più drammatici e controversi della sua militanza, Fortunato ricorderà un episodio che riguardò due giovani esponenti della brigata poco più grandi di lui. 

Alla ricerca di cibo, i due non ebbero scrupoli a fare razzia ai danni di una cascina che al momento era vuota, suscitando lo sdegno dei responsabili della brigata partigiana che, non appena se ne accorsero, dopo un breve consulto li condannarono alla fucilazione.

Tra gli altri anche Fortunato assistette all’esecuzione e ne rimase profondamente turbato. 

Si sarà poi sempre chiesto se fosse stato davvero necessario arrivare ad un’azione così drastica di fronte ad un impulso dettato dalla necessità di sfamarsi.

Ma era pur consapevole che l’aspetto militaresco delle formazioni di liberazione rispondeva a rigide esigenze di sopravvivenza e credibilità, alle quali non ci si doveva sottrarre poiché si ritenevano implicite sia la protezione sia il rispetto dovuto ai contadini del posto, unite all’obbligo di non tradire la fiducia di coloro che spontaneamente consentivano ai partigiani di agire con sicurezza e collaborazione.

Successivamente ai grandi rastrellamenti nazifascisti della primavera del 1944, nell’Appennino centrale avvenne la difficile riorganizzazione della Brigata che richiese la divisione operativa dei reparti: i due battaglioni prevalentemente jugoslavi Tito 1 e Tito 2, che tra l’altro erano quelli che meglio avevano retto l’urto del rastrellamento grazie a una ritirata verso Norcia e Visso, continuarono ad agire autonomamente sul confine marchigiano, al comando di Svetozar Lakovic “Toso“; i battaglioni sotto il diretto comando di Alfredo Filipponi, andarono riorganizzandosi faticosamente sui monti più vicino a Terni, nei dintorni di Polino. 

Tra il 1° e il 12 aprile del 1944 la zona libera e l’area operativa della Brigata Gramsci fu sottoposta a sistematici rastrellamenti ad opera dei reparti italo-tedeschi in ritirata. 

Il nucleo di resistenza subì un duro colpo, rischiando il completo sbandamento.

I tedeschi in fuga dal sud, a seguito dello sbarco alleato, stavano risalendo lungo la dorsale italiana e in quella primavera del 1944, entrati nel territorio umbro presero a muoversi nelle zone meno visibili per evitare di essere avvistati dalle eventuali incursioni aeree.  

In tale contesto il comandante della formazione in cui militavano Vincenzo, Fortunato e Angelo ordinò all’intero gruppo di abbandonare la macchia per tornare dalle loro famiglie nei centri urbani di provenienza, dove si pensava sarebbero stati al sicuro dalle rappresaglie nemiche che venivano perpetrate ai danni e alla vita dei partigiani.  

Pertanto i tre familiari fecero ritorno a Sant’Anatolia con l’idea di essere stati risparmiati da una sicura cattura. Ma per loro il destino fu beffardo: nella fredda notte del 4 aprile 1944, un ridotto battaglione di tedeschi fece irruzione nel paese entrando nelle case per raccogliere il maggior numero possibile dei maschi ancora abili, adulti o ragazzi che fossero. 

Li radunarono tutti nella piazza di Sant’Anatolia, requisirono i loro documenti di identità peraltro mai restituiti nell’intento di rendere più difficoltosa la circolazione sul territorio assediato, nel caso avessero tentato la fuga, e li caricarono su alcune camionette militari per poi utilizzarli da prigionieri ai lavori forzati, inizialmente per l’allestimento delle loro trincee di difesa man mano che si avvicinavano a Roma.

Anche Fortunato fu trascinato in piazza, per metà scalzo perché nella furia di requisire la manovalanza forzata non gli lasciarono il tempo di infilare entrambe le scarpe. 

Tenuti sotto mira dal manipolo di soldati tedeschi ce ne fu uno piccolo di statura, in particolare, che per sua misera soddisfazione improvvisamente si prese la briga di puntare contro di loro un fucile mitragliatore, mimando il gesto di sparare e simulando contemporaneamente con la voce il fragore dell’arma. 

A causa del suo innato temperamento sanguigno, Fortunato stava per scagliarsi con impeto contro il militare artefice dell’infelice iniziativa, ma provvidenzialmente una mano amica lo trattenne evitandogli così un epilogo di sicura morte. 

Fu poi durante il trasferimento a Rieti che un gruppo di fascisti, comandati da un gerarca catanese, esaminò i prigionieri per riconoscere e segnalare eventuali partigiani tra di loro. 

Ma per fortuna non erano in possesso di informazioni riguardanti quel gruppetto di prigionieri.

Trascorso qualche mese Fortunato e gli altri prigionieri furono destinati ad un primo programma di lavori forzati a Pratica di Mare, nella zona a sud di Roma dove i tedeschi preparavano l’offensiva in previsione degli sbarchi alleati. 

Tra gli aneddoti di quel periodo Fortunato ricorderà un episodio di toccante umanità.

Una sera, al rientro dai lavori forzati, Vincenzo e Fortunato si trovavano nella camerata dove venivano stipati assieme ad altri prigionieri. Stavano terminando di consumare lo scarso cibo destinato per cena, seduti per terra l’uno vicino all’altro, quando il soldato tedesco di vedetta si avvicinò loro guardingo per chiedere a gesti se fossero padre e figlio. Avuta la risposta affermativa si allontanò per poi ritornare porgendogli un pezzo di pane nero, mimando il gesto di spartirselo tra loro senza farsene accorgere.  

Da lì a poco fu predisposto il distacco dei prigionieri nella zona cruciale della Capitale, con destinazione Cinecittà, nei quali stabilimenti era stato approntato un campo di lavoro per prigionieri di guerra P.G. N. 122 che inizialmente ospitava sudafricani, inglesi e gollisti. In quell’ambito fu operativo un distaccamento di lavoro composto da civili, dipendente dal PG. 122 per conto dell’Ispettorato Telecomunicazioni e Assistenza Volo del Ministero dell’Aereonautica (in altri luoghi sappiamo che i prigionieri di guerra sono stati utilizzati come lavoratori coatti per lavori di riparazione delle piste bombardate degli aeroporti). 

I nostri tre lavorarono infatti nell’aeroporto di Pratica di Mare istituito nel 1937 nella tenuta di Campo Ascolano e qualificato come campo di allenamento aereo. Negli anni che seguirono, l’aeroporto subì continue espansioni e nel dicembre 1942 diventò Scuola strumentale di volo. 

Pochi mesi a seguire si rese necessaria una dislocazione parziale dei prigionieri relegati a Cinecittà, per poter fare fronte alle operazioni di ripristino delle strutture di comunicazione, come ponti o strade danneggiati dalle bombe, che rappresentavano percorsi di importanza strategica per i tedeschi che stavano battendo in ritirata. 

Nella lista dei designati al trasferimento fu inserito, tra gli altri, solo Vincenzo Gennaro ma il figlio Fortunato si fece avanti al suo posto perché, d’istinto, ritenne che il padre avrebbe ancora potuto tornare a casa sano e salvo nella sua veste di capo famiglia, mentre lui non aveva responsabilità di quel genere. Tuttavia, conoscendo l’indole del padre, Fortunato si fece promettere che per garantire maggiormente il ritorno in famiglia avrebbe evitato di mettere in atto uno dei suoi soliti colpi di testa.

Ma così non fu, perché solo in seguito Fortunato seppe dal cognato Angelo della rocambolesca fuga che aveva dato l’opportunità al genitore di rientrare a Sant’Anatolia prima di loro due.

Assieme ad altri prigionieri, suocero e genero erano stati caricati su due distinti mezzi militari alla volta del campo di lavoro in programma per quel giorno quando Vincenzo, che era posizionato sui sedili posteriori, tentò la sorte approfittando di un rallentamento di marcia della camionetta sullo sterrato e, d’impulso, con un colpo di reni si gettò all’indietro cadendo dal mezzo. 

Agì tanto rapidamente da cogliere di sorpresa tutti, compagni di sventura e aguzzini, dileguandosi in mezzo al campo di grano che cresceva alto fino a lambire i bordi della strada e dove si inoltrò facendo perdere le sue tracce, riuscendo ad evitare gli spari che i tedeschi gli scaricarono inutilmente addosso.

I prigionieri distaccati da Cinecittà, tra cui Fortunato, furono impiegati negli interventi di riparazione del ponte sul Tevere, nella zona della Magliana, nel quale fu approntata la ripavimentazione di fortuna applicata sul segmento crollato della struttura e poggiante su un basamento galleggiante di barconi affiancati uno dopo l’altro fino alla riva.

L’epilogo della prigionia per Fortunato si presentò qualche sera dopo, quando il gruppo di prigionieri fu trasferito per i lavori nei pressi di un altro ponte sul Tevere, all’altezza del colle Celio, dove si richiedevano interventi di minore portata.  

I prigionieri erano stati disposti da poco sul sito di lavoroquando assieme agli aguzzini furono individuati dall’illuminazione dei bengala lanciati dall’esercito amico, che una volta evidenziato l’obiettivo favorirono l’incursione bellica degli aerei mossi contro l’insediamento tedesco.  

Una delle bombe sganciate esplose toccando il terreno poco distante da Fortunato, creando lo smottamento di terreno che lo aveva investito, ricoprendolo e seppellendolo sotto i detriti di terra e asfalto sollevati dalla detonazione. Rimase stordito e assordato dall’onda d’urto dell’esplosione, i cui postumi gli avrebbero causato i successivi problemi di udito, fino a quando fu tratto in salvo da un altro prigioniero poco più grande di lui, forse sui vent’anni, che lo tirò fuori dalle macerie a mani nude. Fortunato non conosceva il suo nome, ricorderà solo che era poco più alto di lui e biondo ed era lievemente ferito ad un braccio. Da lui fu guidato a risalire una spalletta di terreno in prossimità del ponte che il bombardamento aveva distrutto e raggiunsero la Via Ostiense, percorrendola per allontanarsi velocemente dal pericolo di quel luogo, nella speranza di guadagnare la libertà.  Appena furono al sicuro Fortunato aiutò l’amico di sventura a bendare alla meglio il braccio ferito, ma poiché il ragazzo non volle esporsi al rischio di essere nuovamente intercettato dai pattugliamenti nazifascisti nei pressi degli ospedali, decise di fermarsi da alcuni parenti di Roma che lo avrebbero assistito e medicato.  

I due si accomiatarono a Roma, con la promessa che Fortunato avrebbe fatto una piccola deviazione del suo percorso di ritorno alla famiglia, che si augurava di ritrovare a Sant’Anatolia.  

Per onorare la promessa fatta, Fortunato avrebbe raggiunto il paese aretino di Apoleggia dove abitavano i genitori di quell’angelo biondo venutogli in soccorso, per tranquillizzarli sulla sorte del figlio e riferendo loro che sarebbe stato pronto a tornare a casa appena si fosse rimesso dalla ferita.  Fortunato ricorda la commovente gratitudine di quella coppia di contadini alle confortanti notizie riportate sul figlio al punto che, dopo averlo fatto rifocillare, se avesse loro consentito di sdebitarsi gli avrebbero anche fornito il loro asinello come mezzo di trasporto per coprire l’ultima giornata di percorso rimasta tra Apoleggia e Sant’Anatolia, seguendo la Via Salaria. 

Di certo il mezzo di fortuna a quattro zampe gli avrebbe risparmiato di proseguire il cammino a piedi intrapreso due giorni prima, una volta lasciata Roma, ma l’asinello non dimostrava di essere molto più in forma di Fortunato che, per compassione e sicurezza, preferì lasciarlo ai proprietari.  

Emaciato e malandato a causa delle vicissitudini sopportate in prigionia, prima di iniziare la strada di rientro alla casa umbra Fortunato usufruì di alcune indicazioni avute dalla rete informativa partigiana. Tra le altre aveva memorizzato l’indirizzo di un esercente romano, un certo Ciani, titolare di un laboratorio di calzature. Si presentò al negozio e fu accolto con umanità da quell’anima gentile che lo fece pulire e riposare, lo rifornì dell’abbigliamento di cui necessitava e, nel retro del negozio lontano da occhi indiscreti, lo fece sedere al tavolo per cibarsi di un piatto di cibo caldo.  

Fortunato non aveva ancora lasciato Roma per iniziare il ritorno a Sant’Anatolia che era stato intercettato, assieme ad altri civili in transito lungo la Via Salaria, da un gruppo di militari tedeschi in difficoltà con un loro carro carico di munizioni.  

Il manipolo di soldati esigeva dai passanti il necessario aiuto a sospingere quel convoglio, mentre altri commilitoni pattugliavano armati sui bordi della strada.  

Suo malgrado era stato costretto ad unirsi alla manciata degli occasionali arruolati a favore di quel carico militare ma considerando, in cuor suo, che rischiava di essere riconosciuto tra i fuggitivi di quel giorno e che avrebbe potuto essere nuovamente catturato o, peggio ancora, temeva di perdere la vita nel caso fosse rimasto coinvolto in qualche scontro tra le parti.  

Uscito indenne anche da quell’ultimo imprevisto, Fortunato aveva preso ad agire con maggiore precauzione e in questo stato d’animo evitava di attraversare i grossi centri abitati seguendo, invece, le strade periferiche. Tuttavia, quando la stanchezza prendeva il sopravvento, si azzardava a chiedere passaggi fortuiti che di solito gli venivano offerti facendolo salire a bordo dei mezzi agricoli in movimento nella zona.  

Si era dimostrato un buon sistema, infatti non solo gli aveva concesso di non incorrere in brutti incontri, anzi, spesso era stato accolto nelle case dei contadini che incontrava lungo il suo cammino, probabilmente impietositi dalla sua giovane età e nel vederlo già palesemente segnato dagli eventi, considerato inoltre che stava affrontando da solo e a piedi un viaggio su territori a lui sconosciuti.  

Si era ormai ai primi di giugno quando finalmente, a tre giorni dalla fuga da Roma, Fortunato si trovò in vista della meta nella provincia perugina, dove aveva potuto riabbracciare tutti i familiari rimasti in ansia per la mancanza di notizie che lo riguardassero, tra loro il padre ed il cognato Angelo che, ciascuno per proprio conto, erano riusciti a guadagnare la libertà.

Dopo la dichiarazione di Armistizio dell’8 settembre 1944 il padre Vincenzo convinse Fortunato a seguirlo a Roma, dove sperava che nella grande città avrebbe trovato lavoro.

Ma arrivati a poca distanza dal cuore della Capitale, in zona Cecchignola, assieme ad altre persone dovettero rifugiarsi all’interno di un cinema in disuso, poiché intorno a Roma continuavano gli scontri armati delle forze alleate e della popolazione in rivolta contro i nazifascisti.

Papà Vincenzo desistette dall’idea che lo aveva indotto a muoversi da Sant’Anatolia avendo considerato erroneamente che la città fosse ormai sicura, di conseguenza non restò loro che fare ritorno dai familiari rimasti in Umbria.      

La permanenza dei Gennaro, famiglia di messinesi che durante il secondo conflitto mondiale aveva scelto di andare a Cascia per fuggire dai bombardamenti a cui era sottoposta la loro città di origine, sarebbe durata circa due anni prima che il nutrito nucleo di sfollati nella provincia di Perugia facesse ritorno a Messina.  

In cerca di migliori opportunità di lavoro che invece scarseggiavano nella ferita Valnerina, nel percorso a ritroso si unì a loro anche il biondo e bonario Giocondo Magrelli, il ventiseienne marito umbro di Anna che era una delle sorelle maggiori di Fortunato, grazie al quale la famiglia al completo di quegli anni ebbe l’opportunità di fruire della prima accoglienza fornita dal Comune di Cascia.   Fortunato ricorderà che il cognato Giocondo, pur essendo antifascista, non aveva potuto prendere parte alle azioni partigiane poiché sfortunatamente era rimasto parzialmente invalido, a causa di un incidente occorsogli durante il lavoro nei campi. Inoltre aveva la responsabilità genitoriale della imminente nascita di Giuseppe, il primo dei sei figli avuti con Anna.

Nell’immediato dopo guerra le prospettive di riprendere oppure ottenere possibilità di lavoro scarseggiavano ovunque nel territorio nazionale, ancora assoggettato alla grave destabilizzazione apportata dal conflitto mondiale. 

Il padre Vincenzo dovette abbandonare il suo lavoro di artigiano del legno riuscendo a farsi assumere dall’Azienda Siciliana di Trasporti come bigliettaio in servizio nei mezzi circolanti a Messina, mentre Fortunato trovò impiego in veste civile presso la Direzione Artiglieria della Caserma ‘Gasparro’, nello stesso rione Bisconte in cui era tornato assieme ai familiari.

Nel dicembre del 1949, a ventiquattro anni d’età sposò la diciannovenne Antonia Capilli e nell’arco di sei anni ebbero i quattro figli maschi. 

Ma trascorsi otto anni l’indole ribelle alle prevaricazioni ed ai soprusi costò a Fortunato l’allontanamento punitivo, mascherato da esigenze di servizio, verso un’altra caserma della cittadina di Alba, in Piemonte.

Il provvedimento fu il frutto dell’arroganza di un alto graduato in servizio presso la caserma Gasparro che, nonostante Fortunato fosse un dipendente amministrativo civile, quindi non un militare suo diretto sottoposto, non aveva tollerato l’orgogliosa refrattarietà a mostrargli la riverenza che pretendeva da chiunque lo incontrasse mentre, tronfio dell’autorità rivestita, il milite non usava il benché minimo riguardo nei confronti del prossimo, nemmeno per rivolgere il comune saluto.

Fortunato venne a sapere che il graduato autoritario, a conoscenza dei suoi trascorsi di militanza partigiana e della sua fede comunista, inizialmente aveva cercato invano di convincere i responsabili della caserma a farlo licenziare come individuo non accetto.

Ma non fu assecondato, perché Fortunato si era dimostrato un lavoratore serio e affidabile, inoltre era un padre di famiglia.

Allora il graduato passò al contrattacco, mandando alcuni dipendenti della caserma a chiedere informazioni nel rione dove risiedeva con i congiunti, a quanto pare nell’intento di indagare e rilevare tangibili difetti in merito al suo comportamento morale nei riguardi della moglie e dei figli.

Ma il militare non poté fare affidamento neppure su questo stratagemma, poiché Fortunato era benvoluto e stimato da tutti gli interpellati.

Per ultimo, volendolo danneggiare a tutti i costi in segno punitivo, ottenne di fare trasferire Fortunato il più lontano possibile, facendolo distaccare al Deposito Misto dell’unica caserma militare di Alba, nell’esercizio di un’attività omologa a quella di partenza.

La buona stella di Fortunato fece sì che si trovasse a proprio agio nel comune piemontese e dopo pochi mesi fu raggiunto dalla moglie e dai figli, il più grande dei quali aveva solo sette anni.

Tuttavia, l’esigenza di garantire alla famiglia una vita il più possibile dignitosa gli suggerì di prepararsi presentandosi ad un concorso indetto per i dipendenti pubblici, vincendolo con destinazione all’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette di Alba, del quale era però in programma la soppressione locale.

Con rammarico la famiglia dovette lasciare la cittadina nel marzo del 1959, facendo ritorno a Messina dove Fortunato fu ripreso a lavorare presso la caserma Gasparro.  

Vale la pena ricordare un ultimo aneddoto che ha sempre a che vedere con i controsensi con i quali ha avuto a che fare Fortunato, chiaramente riconducibili ad una certa ingerenza rivolta all’impronta ideologica che meglio l’aveva formato durante il suo impegno di partigiano, incoerenze emerse nel dopo guerra con l’episodio del trasferimento ad Alba e poi con due successivi spunti verificatisi negli anni ’60.

Legato nostalgicamente alla sua terra di origine, nel 1967 per Fortunato si era aperta la possibilità di fare domanda e richiedere il trasferimento di lavoro da Genova a Messina.

Pensando fosse opportuno sollecitare il disbrigo della sua pratica, decise di recarsi direttamente a Roma presso l’Ufficio Ministeriale preposto dove espose le proprie ragioni ad un cortese operatore e questi, espletate le ricerche di rito, riferì che in breve tempo avrebbe ricevuto l’auspicato accoglimento di trasferimento. Tuttavia ritenne giusto avvisarlo che nell’esaminare il fascicolo personale dove aveva rinvenuto il dispositivo di mobilitazione in attesa di essere spedito, aveva notato un documento dove Fortunato Gennaro era elencato tra i soggetti pericolosi per motivi ideologici. 

Purtroppo l’esperienza di lavoro presso l’Ufficio Doganale di Messina, dove ottenne di lavorare, risultò deprimente: sempre a seguito della sua intransigenza a tutti i generi di sotterfugio attuati per tornaconto personale e restio a farsi coinvolgere in azioni scorrette, che in quel settore non mancavano, fu presto emarginato dal ‘branco organizzato’ che assieme al responsabile accondiscendente lo relegò ad un’attività lavorativa marginale, costringendolo nell’impossibilità di esprimere le sue buone capacità operative. Oggi si parlerebbe di mobbing.

Deluso e mortificato, nemmeno un anno dopo Fortunato decise che non poteva più seguire quel sogno divenuto quasi un incubo e avendone la possibilità tornò sui suoi passi, chiedendo ufficialmente di farsi reintegrare negli uffici di Genova.

Alla fine del 1968 tornò in Liguria con tutta la famiglia e fu accolto con calore dai colleghi che lo conoscevano e lo apprezzavano, compreso il dirigente che però, dopo avergli dato il bentornato, si sentì in dovere di consigliargli di esimersi dal fare eventuali considerazioni politiche sul luogo di lavoro. Discussioni che comunque Fortunato non era avvezzo fare, tantomeno in quegli ambienti.  

Attualmente Fortunato ha compiuto 99 anni e dall’estate del 2022 è ospite di una pregevole casa di riposo posta sulle colline del messinese.  

Se fosse stato possibile non avrebbe mai voluto lasciare il territorio delle sue origini, ma per esigenze di attività lavorativa più consona alle sue attitudini ed al mantenimento della famiglia, in pratica dal 1962 si era stabilito nella città portuale di Genova con la moglie Antonia ed i loro cinque figli Vincenzo, Pasquale, Antonino, Nicolò e Giuseppina. 

È rimasto nel capoluogo ligure fino a quando ha accolto di buon grado la proposta fatta dalla ultimogenita, con la quale abitava dopo essere rimasto vedovo nel 2012, di tornare nella loro terra di origine. Così è andata che, favorito dalla buona salute di cui godeva compatibilmente con l’età avanzata, nel dicembre del 2019 Fortunato ha affrontato assieme alla figlia la realizzazione del comune progetto di recupero del tempo trascorso, per necessità, lontano dalla Sicilia.

Dell’impegno profuso nelle linee della resistenza civile in Umbria a Fortunato ne rimane tutt’ora indelebile memoria, sia pur ormai frammentata ma mai rievocata senza il dolore risvegliato dagli avvenimenti vissuti in prima persona nel corso di un periodo storico condiviso in tutto territorio nazionale, appartenente ai comuni ricordi che dovrebbero essere trasmessi generazionalmente, a monito futuro.

Oltre agli attestati di riconoscimento ufficiale della militanza partigiana, assegnati a lui ed ai suoi due familiari Vincenzo e Angelo ormai defunti, per ciascuno la medaglia d’argento al valore militare è stata consegnata nel periodo post-bellico grazie alla segnalazione meritoria fatta dalla città di Cascia alle autorità ministeriali della Capitale.

Infine Fortunato Gennaro ha avuto il piacere e l’onore di essere stato oggetto della visita richiesta dalla rappresentanza della sezione A.N.P.I. di Messina che, venuta a conoscenza del suo ritorno nella città natale, ha avuto il piacere di conoscerlo per partecipargli la gratitudine verso il contributo apportato nella lotta contro il nazifascismo in Italia,  ne ha raccolto la testimonianza diretta e lo ha omaggiato di una targa a lui dedicata e consegnata di persona in occasione del suo 99° compleanno”.


Anpi – Associazione nazionale partigiani d’Italia
Comitato provinciale di Messina
comunicato stampa – 16 gennaio 2025

Messina: DAVIDE BRAMANTE Belli, bellissimi, imperfetti (proprio come me)

Venerdì 24 gennaio, a partire dalle ore 18,00, presso lo showroom del Mobilificio Marchese di via Santa Cecilia 104/106 a Messina, avrà luogo il vernissage della mostra “Belli, bellissimi, imperfetti (proprio come me)” di Davide Bramante a cura di Mariateresa Zagone.

L’artista aretuseo, classe 1970, avido di conoscenza, curioso del mondo più che un bambino, girovago per esigenza dell’anima, è noto soprattutto per le sue fotografie ad esposizione multipla di città ideali con le quali vanta esposizioni sia nazionali che internazionali e che sono presenti in collezioni pubbliche e private di tre continenti.

Curioso, e non solo del mondo, ha sperimentato tutti i media possibili dell’arte dalla pittura alla grafica, dall’acquerello alla fotografia e al video. Ne manca certo qualcuno all’appello (un vulcano erutta a più riprese) ma questa sua prima esposizione messinese si concentra sull’ultima gioiosa fatica: la ceramica.

Da un po’ più di un anno, in una sorta Theia mania, Davide ha realizzato decine di vasi/nonvasi che sono scultura e colore impastati con l’humus della sua terra e che schiaffeggiano con veemenza e parimenti con garbo la tradizione afferrando per mano l’oggi, masticandolo, dialogandoci, sopravanzandolo.

Quello che avviene sulle superfici ceramiche di “Belli, bellissimi, imperfetti” è un mondo altro e possibile, è un viaggio nel kaos, negli archetipi collettivi che esso sottende, nel sentimento panico che ci fa figli tutti dell’unica madre φυσις. Si tratta di un’arte primitiva fatta di incanto, quello stesso che avvinghia allo stomaco l’artista in attesa del risultato davanti ad uno dei forni in prestito a Siracusa, Palazzolo, a Caltagirone. I vasi sono un omaggio alla fattualità nell’arte, alla Sicilia, al Mediterraneo e alla seduzione primitiva di guardare il mondo, sono il candore arcaico della felicità.

La mostra sarà visitabile fino a sabato 22 marzo nei giorni e negli orari di apertura dello showroom.


Da Mariateresa Zagone <mtzagone@gmail.com> 

Museo Morandi, Bologna: “before” mostra di Silvia Bächli

Dal 22 gennaio al 30 marzo 2025 il Museo Morandi delSettore Musei Civici Bologna, in collaborazione con Galleria Raffaella Cortese (Milano  – Albisola),ospitail progetto espositivo before di Silvia Bächli (Baden, 1956), artista svizzera di fama internazionale nota per il suo lavoro con il disegno e le sue esplorazioni della linea. La mostra rientra in ART CITY Bologna 2025, il programma di mostre, eventi e iniziative promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera.

Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi


before
Di Silvia Bächli
A cura di Lorenzo Balbi

22 gennaio – 30 marzo 2025
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14, Bologna 
www.museibologna.it/morandi

Mostra promossa da Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi   
In collaborazione con Galleria Raffaella Cortese (Milano – Albisola)

Nell’ambito di ART CITY Bologna 2025

Opening
Martedì 21 gennaio 2025 h 17.00 – 19.00

L’esposizione si configura come un’interessante convergenza tra il linguaggio astratto e poetico di Bächli e le opere di Giorgio Morandi. Per l’occasione l’artista ha selezionato un nucleo di lavori dalla collezione permanente del museo che dialogano con una serie di sue opere inedite, create appositamente per l’esposizione. Questo approccio, che intreccia passato e presente, pone in risalto i punti di contatto tra i due artisti, soprattutto nella comune ricerca dell’essenziale e nella capacità di evocare profondità emotive attraverso la semplicità delle forme e dei gesti.

Il lavoro di Bächli, caratterizzato dall’uso di atmosfere minimaliste e dall’attenzione per il vuoto e il pieno, trova un’affinità naturale con la pratica di Morandi, noto per le sue nature morte sospese e meditative. La mostra promette di creare un confronto silenzioso ma intenso tra due poetiche artistiche distanti nel tempo, ma vicine nell’intento di indagare la realtà.

Il titolo before rimanda a una dimensione temporale e processuale condivisa da entrambi gli artisti. Morandi, con i suoi pigmenti grezzi e le tracce a matita sul tavolo, preparava meticolosamente i suoi “attori” – bottiglie e oggetti quotidiani – prima di fissare una composizione definitiva. Allo stesso modo, Bächli dedica un lungo periodo al “prima” del suo lavoro: sposta, osserva e ricompone i suoi elementi nello spazio, cercando il giusto equilibrio prima di finalizzare un’opera. Questa fase preliminare, apparentemente invisibile, è fondamentale per il processo creativo di entrambi.

Durante una visita a Casa Morandi Silvia Bächli ebbe l’impressione che il mondo di pigmenti sgargianti e colorati nello studio di Morandi fosse molto lontano da quanto aveva visto e ammirato nelle opere del pittore sui libri e nei musei di tutto il mondo. Tuttavia, uno sguardo più attento ai suoi dipinti le ha rivelato una tavolozza sorprendentemente ricca. Tra i toni pallidi vicini al bianco e al grigio, emergono dettagli vividi: un verde su un bordo, un ocra luminoso, persino un blu nascosto in un’ombra marrone. Questa scoperta ha influenzato la selezione dei campi di colore per la sua mostra e per le opere prodotte per questa occasione, in cui queste ultime riflettono il sottile equilibrio tra tonalità vibranti e neutre, evocando la stessa delicatezza cromatica che caratterizza le nature morte di Morandi.

Un ulteriore punto di connessione personale tra Bächli e Morandi è il confronto con l’età: quest’anno, nel 2025, Bächli avrà la stessa età che Morandi aveva nel 1959 quando dipinse molte delle sue nature morte, un parallelo che sottolinea l’intensità temporale e umana del loro incontro artistico.


Mostra
before

Di Silvia Bächli
A cura di
Lorenzo Balbi

Promossa da
Museo Morandi | Settore Musei Civici Bologna

Sede
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14, Bologna

Periodo di apertura
22 gennaio – 30 marzo 2025

Inaugurazione

Martedì 21 gennaio 2025 h 17.00 – 19.00
Orari di apertura
Martedì e mercoledì h 14.00 -19.00
Giovedì h 14.00 – 20.00
Venerdì, sabato, domenica e festivi h 10.00 – 19.00
Chiuso lunedì non festivi
Orari di apertura durante ART CITY Bologna 2025
Giovedì 6 febbraio 2025 h 10.00 – 20.00
Venerdì 7 febbraio 2025 h 10.00 – 20.00
Sabato 8 febbraio 2025 h 10.00 – 23.00
Domenica 9 febbraio 2025 h 10.00 – 20.00
Ingresso
Intero 
€ 
6 | ridotto 
€ 4 | 
possessori Card Cultura € 4
Ingresso durante ART CITY Bologna (dal 6 al 9 febbraio 2025)
Gratuito

Informazioni
Museo Morandi
Via Don Giovanni Minzoni 14 | 40121 Bologna
Tel. +39 051 6496611

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Ti racconto il mio paese: Capizzi

“Ti racconto il mio paese” è una serie di diciotto incontri promossi dall’Università della terza età di Milazzo. Giovedì 23 (ore 16) tocca a Capizzi. A parlarne nell’Aula magna dell’Istituto “Majorana” sarà Giuseppe Restifo, che non è capitino, ma che sulla storia di Capizzi ha pubblicato un volume e diversi interventi su riviste e a convegni.

La conversazione su Capizzi ha un sottotitolo: “La montagna messinese in mezzo al Mediterraneo”. Quindi dal mare di Milazzo si alzerà lo sguardo ai 1132 metri d’altezza, per andare a cogliere la storia di quello che non è un borgo fra i tanti, ma un paese di montagna appunto, sui Nebrodi, con una vicenda avvincente e plurisecolare. A partire dal tempo di Federico II, imperatore e re di Sicilia, Capizzi è riottosa al dominio feudale: vuole essere – e ci riesce – città demaniale, in modo da autogovernarsi e da governare le risorse della montagna. Il panorama che si apre fra il medioevo e l’età moderna è sorprendente agli occhi di chi oggi guarda dalle grandi città alla montagna, considerandola luogo povero, arretrato e spopolato.

La capacità dei capitini – o “capizzuoti” in lingua siciliana – di “comprendere” le risorse delle “terre alte” è inattesa così come è eccezionale l’attitudine alla “co-evoluzione” con l’ambiente. Persino la neve, che tanto fastidio dà all’attuale circolazione automobilistica, è una grande risorsa per il territorio nebroideo: la si conserva in inverno per averla in estate pronta per i sorbetti e le granite.

Il libro di Restifo sulla storia capitina ha ricevuto una entusiastica recensione in Spagna e si capisce bene il perché: Capizzi è la Santiago siciliana. Ha un Santuario di San Giacomo famoso, conserva una reliquia del Santo Apostolo, lo celebra con una festa che è stata iscritta nel grande libro delle “Eredità immateriali” della Civiltà siciliana.

San Giacomo e Capizzi hanno una storia intrecciata di pellegrinaggi (come Santiago de Compostela), di devozioni e di narrazioni miracolose. Si va quindi alla radice dell’identità di questi messinesi – un po’ anche ennesi, per la verità – che per secoli, e ancora oggi, abitano una delle montagne del Mediterraneo, un mare in mezzo alle terre, spesso “terre alte”.


Cantiere sociale – Associazione culturale – Messina
comunicato stampa – 21 gennaio 2025