Ho in mano una lettera affrancata e non spedita, che accompagna un articolo. Questo episodio ve lo racconto così: «Abbiamo notizie sempre peggiori – disse il padre di Émile, entrando in biblioteca – Gli eserciti tedeschi si stanno spargendo ovunque; dobbiamo aspettarci di vedere il nemico qui. Povera Francia!… Scusami, cosa stavi facendo?».

«Niente che possa avere qualche interesse in presenza dei nostri disastri – rispose Émile – Stavo cercando di buttare giù due parole per una lettera rivolta a un amico del Petit Journal. Ho scritto un articolo, proponendo una rubrica orientata al “Mestiere del costruire”. In questo momento così disastroso, vorrei fare capire che, nella vita come nell’architettura, non dovremmo mascherare più niente. In una parola, dovremmo essere sinceri. Vorrei mettete il dito sulla piaga della nostra nazione e proporre di confidare solo in noi stessi.

Sono persuaso che dovremmo renderci conto d’ogni cosa e d’ogni fatto, attraverso lo studio e il lavoro. Non abbandonare nulla al caso, esaminare tutto e non nascondere niente, né a sé né agli altri. Non prendere le parole per fatti… non credersi al sicuro all’ombra della tradizione o dalla routine. Sì, questo è ciò che avremmo dovuto fare prima d’ora. Forse è troppo tardi. Ma chi può dire se, dopo le disgrazie che prevedo, nell’interesse della ricostruzione, il nostro paese non possa avvalersi di tutti i mezzi possibili: ritrovare la leggerezza dell’Esprit francese, la saggezza di suoi Philosophes, finirla col sentimento e dedicarsi alla concretezza.

Attraverso la mia rubrica mi piacerebbe educare alla ragione, abituare al metodo, ad acquisire l’amore per il lavoro intellettuale. Non ci servono a niente i mezzi sapienti, i mezzi artisti o mezzi praticanti, persone cioè che sanno scrivere o parlare di tutto, ma a conti fatti incapaci di fare alcunché da sole. Quanto più tristi sono le notizie che riceviamo, tanto più gravano sui nostri cuori. Ecco perché tanto più energicamente dovremmo dedicarci a un lavoro utile e pratico. I lamenti mettiamoli da parte, non servono a nulla!».

Rubrica di critica architettonica –
Titolo: “Gli scheletri nell’armadio”

«C’è un vizio antico che affligge l’architettura francese, ed è quello di mascherare le strutture. Soffitti e pavimenti si costruiscono con travi, travetti, staffe di ferro e sostegni lignei, ma il tutto finisce nascosto in un controsoffitto livellato da uno strato di intonaco. L’effetto può sembrare elegante, ma il risultato tecnico è disastroso. A Parigi, dove le case sono molto asciutte, questo metodo è ancora consentito, ma in campagna è difficile ovviare all’umidità, e i soffitti chiusi corrono il rischio di marcire presto.

La questione, tuttavia, non riguarda solo la durata dei materiali. È un problema di linguaggio architettonico. Perché celare ciò che sorregge un edificio? Perché non ammettere che la vera bellezza nasce dalla necessità? Da sempre, le architetture più oneste hanno fatto di travi, archi e pilastri, non scheletri da occultare in un armadio, ma un motivo di decoro. Le navate romaniche, le capriate gotiche, i soffitti rinascimentali a cassettoni: tutti enunciano che la struttura, quando è mostrata, diventa espressione.

In Francia, invece, si è diffusa una pratica opposta: decidere con il “sentimento”, rinunciando a ogni ragionamento. Si è lasciato spazio ai dilettanti che scrivono di arte senza mai aver praticato un mestiere, e gli stessi architetti hanno finito per assuefarsi al gusto del pubblico. La struttura dell’edificio è stata relegata a fastidio da nascondere; l’apparenza, invece, è diventata un travestimento che non ha più nulla a che fare con la logica costruttiva.

È la malattia di un’architettura che si affida all’immagine, e che rinuncia a dichiarare i propri organi vitali. Oggi vediamo armature affidate ai costruttori edili, quale forma ridotta a scenografia, senza nessuna armonia fra l’interno e l’esterno. È come se il corpo dell’edificio e l’abito che indossa non avessero più nulla in comune.

Contro questa deriva, bisognerebbe tornare a un principio elementare: non costruire nulla che non risponda a una necessità. Un edificio, anche modesto, può essere più moderno di tanti monumenti se lascia intravedere la logica che lo governa, se rende visibile il sistema che lo fa stare in piedi. Non costerebbe di più, ma garantirebbe chiarezza, solidità e soprattutto onestà estetica.

Il punto è allora un altro: perché tanti architetti continuano a mascherare? Paura del giudizio? Cattiva abitudine? O semplice sottomissione alle mode? Sono domande che vale la pena porsi, perché dalla maniera in cui risponderemo dipenderà l’architettura che lasceremo ai posteri. La risposta alla prossima puntata».

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Sergio Bertolami
MAISON DE CAMPAGNE
Experiences 2025 – Pubblicazione online in fieri