
Organizzare il lavoro
di Gio Bonaventura
Come Émile cominciò a organizzare il suo lavoro, io in queste settimane ho dovuto organizzare il mio. A me non sono bastati un tavolo da disegno, una riga a T, squadre, compassi e lapis. Al contrario, Émile trepidante nel delineare le prime linee essenziali del suo nido matrimoniale, procedette in modo metodico, con la conoscenza del terreno sul quale elevare la nuova costruzione.
Distava, più o meno, tre chilometri dalla casa in cui da ragazza abitava Éléonore. Al di là del bosco, in prossimità del ruscello che faceva girare il mulino di Meunier. Questo lo deduco da una vecchia planimetria del fondo agricolo… eccolo qui il mulino. Sul poggio, dal lato meridionale, ci sono le terre arate, poi il terreno scende un po’ a settentrione verso il ruscello. C’è una bella fonte d’acqua viva che esce dal bosco situato a ponente. Sul declivio del poggio e sul fondovalle ci sono dei pascoli con qualche albero sparuto.
Come ogni buon architetto, formatosi sui trattati di Vitruvio o di Alberti, Émile si accertò su quale versante la vista fosse più gradevole. Sicuramente verso il fondovalle, a sud-est. Per andare ai pascoli si percorreva un vecchio tratturo; poi si discendeva a valle da un sentiero, che attraversava un piccolo ponte. Si deduce distintamente dalla carta. Infine si sale il pendio. Émile decise che sarebbe stato opportuno collocare la casa proprio sulla sommità del poggio, per difenderla dai venti di nord-ovest approfittando del bosco limitrofo. L’accesso al giardino, su cui avrebbe prospettato la casa, sarebbe stato di fronte alla strada in salita, per fortuna non troppo ripida.
Di comune accordo con Vivienne, che lo ascoltava annuendo, Émile decise di disporre le stanze principali dell’abitazione sul lato esposto, più favorevole, che è quello sud-est. Inoltre, avrebbero usufruito della vista aperta da questa stessa parte, senza dimenticare la fonte d’acqua viva discendente sulla destra, verso il fondovalle. Una fonte da avvicinare alla casa il più possibile. Sembrava che ogni angolo confinante con la spianata fosse stato sistemato là dalla natura unicamente per loro. A pochi metri dalle pendici del poggio. Sarebbero stati ben riparati dai venti a sud-ovest e non avrebbero avuto di fronte alla casa la triste pianura, che si distendeva a perdita d’occhio.
Ho descritto per sommi capi la situazione al contorno, come la chiamiamo noi architetti, quella che si scorge sulle carte catastali e che si legge su una schematica planimetria di progetto accompagnata da qualche parola nella relazione. Il fatto è che oggi di quel contesto rimane poco e niente. C’è la casa collocata sul poggio da cui godere di una bella vista soleggiata. C’è un piccolo bosco, preservato all’interno di una recinzione che occlude alla vista la costruzione. Persino il cancello interamente metallico, collocato a inizio Novecento, ha poco o niente di artistico. Personalmente mi ricorda più un ponte levatoio, solo che questo scorre su rotaie, anziché essere calato o abbassato da argani.
Ecco perché a Creil, pochi hanno oltrepassato questa specie di muro di cinta. Lo hanno fatto indubbiamente i vecchi amici di Marcel. Chi, invece, è diretto in centro, tira diritto lungo la statale, senza farci caso. D’altra parte, a suonare il citofono d’ingresso nessuno risponderebbe. Per entrare, quando la villa è abitata nella buona stagione, occorre farsi precedere da una telefonata. Si comprenderà, senza spendere altre parole, che per arrivare alla casa di Marcel ci sono solo due possibilità: o usi un’automobile oppure qualcuno ti ci deve portare.
Pertanto, nella seconda metà di gennaio di quest’anno, mi sono deciso al grande passo, perché prima di iniziare a disegnare dovevo rendermi conto della situazione dei luoghi a distanza di tempo. E in questo Marcel non mi ha fatto mancare nulla. Anzi, avrebbe fatto anche di più, se non avesse incontrato da parte mia l’ostinazione a seguire le solite, vecchie abitudini. Per cui, con tutta calma, dall’aeroporto Charles de Gaulle, in taxi, Lilli ed io abbiamo raggiunto Courbevoie. Dopo una bella doccia, mi sono riposato in poltrona, zippando tra un canale televisivo e l’altro. Poi ci siamo preparati per la cena.
A sera abbiamo raggiunto uno dei più esclusivi ristoranti di Parigi, dove Marcel aveva prenotato per tempo. Con Marcel e sua moglie Anaïs, ci aspettavano anche Eulalie e Alizée – che nomi strani, nevvero? – due dinamiche collaboratrici già conosciute attraverso Face Time. A tavola, tra una prelibatezza e l’altra, Marcel mi avrebbe chiarito ogni sua idea per il mio soggiorno a Parigi. In particolare quella dell’appartamento che avrebbe messo a mia disposizione. Lo avevano abitato fino a quando si erano trasferiti nell’appartamento lasciato vuoto per la scomparsa dei suoi genitori. Non conoscevo n’è il primo, né il secondo appartamento, giacché nel corso del progetto e dei lavori avevo sempre incontrato formalmente Gaspard, il nonno di Marcel, nel suo studio. >>> Segue >>>
Maison de campagne – 7
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