Mon Dieu! L’ambiente del Geoges è così infinitamente differente da quello che domani troveremo nella casa di Creil. In comune hanno soltanto una cosa: l’aspirazione a eliminare il superfluo. Di Creil parleremo domani, dopo che avrò verificato lo stato dei luoghi dopo così tanto tempo. Al momento siamo qui, all’interno del restaurant Georges, rooftop del Centre Pompidou, con le sue spettacolari vetrate panoramiche.

Devo confessare che Marcel, in ogni sua manifestazione è sempre sorprendente. Saprebbe tessere un Gobelins, solo ad alludere a uno stormo di aironi in un cielo azzurro. È bastato da parte mia l’accenno al ristorante Geoges con la sua straordinaria vista su Parigi e sulla Torre Eiffel. Lilli ed io ci eravamo stati a pranzo. Mentre ora, a cena, potevamo godere della Ville Lumière immersa nella notte, dove le luci della città si confondono con quelle delle stelle. Solo pochi possono farlo, se non qui. Anche se stasera dire pochi è un eufemismo. Quando ci siamo venuti la prima volta, piena come un uovo era la terrazza. La sala da pranzo interna, al contrario, era completamente deserta, se non fosse stato per la coppia qualche tavolo più in là. Ora a guardarsi intorno non c’è più un tavolo libero.

Qul giorno stavamo passando al setaccio ogni metro quadro del Musée National d’Art Moderne. In mattinata avevamo visitato il quarto piano e contavamo di fare altrettanto nel pomeriggio al quinto. Per la pausa pranzo siamo saliti in terrazza con l’idea di mangiare un boccone. L’interno, certo, non è un ritrovo per turisti mordi e fuggi. Un cameriere, rigido come un picchetto per via del tovagliolo che teneva incollato al fianco col gomito, ci ha consigliato un assaggio goloso dei piatti fusion del locale. Perciò, immagino che questa serata organizzata da Marcel si apra a un ventaglio di sapori internazionali alquanto imprevedibili.

Ad aspettarci ci sono tutti. Marcel ha tenuto a presentarci, per prima, sua moglie Anaïs. Mi ha ricordato l’affascinante direttrice della società francese Savoir di Emily in Paris. Una galanteria senz’altro apprezzata, che mi è servita a rompere il ghiaccio e a rendere ancor più informale la serata. D’altra parte, il riferimento alla fortunata serie televisiva è testimoniato dall’eleganza di Eulalie e Alizée, i cui look eccentrici e super cool mettono in evidenza la fantasia creativa delle due progettiste che mi sosterranno nel lavoro. Ad accompagnarle ci sono i rispettivi fidanzati: Claude, primogenito di Marcel e Anaïs, nonché Stéphane, titolare di una Galleria d’Arte, che ha subito coinvolto i presenti nel vernissage di domani pomeriggio.

È stato allora che ogni perplessità mi si è chiarita. Come se un raggio di sole si fosse infiltrato fra i rami della foresta in primo piano rappresentata nel Gobelins ipoteticamente tessuto da Marcel. Mi ero domandato cosa avesse indotto Marcel a farmi mettere mano una seconda volta alla casa di Creil. Dopo vent’anni. Nel corso della cena, tra una battuta di spirito e l’altra, ne ho avuto indiretta conferma. Questo perché, nel sederci a tavola, la parola d’ordine è stata che parlare di lavoro era tassativamente vietato.

Architettura e arte non erano affatto argomenti esclusi, la cucina fusion meno che mai. Per niente inattesa, la prima domanda è stata rivolta a me. Chi ha realizzato questo raffinato locale notturno alla moda, dal design contemporaneo e minimalista? La sala da pranzo ha mobili immancabilmente bianchi. I piani dei tavoli in vetro opaco hanno tutti una singola rosa posizionata al centro. La chiamano “La rose éternelle”. È l’elemento più iconico del Georges, simbolo di bellezza naturale e durevole.

Al centro dell’ampia sala, ci sono le alcove e le stanze, che sembrano apparire dal nulla, fantastiche per appartarsi, come noi questa sera per un’esperienza confidenziale e amichevole. A me queste alcove e stanze appaiono come delle nuvole metalliche poggiate in terra, pronte a risollevarsi di nuovo all’improvviso nell’aria, con i loro volumi irregolari ed evanescenti, perfettamente in linea con le idee visionarie percepite per il Centro Pompidou da Renzo Piano e Richard Rogers. Il restaurant Georges – ho risposto – è stato progettato dagli architetti Dominique Jakob e Brendan MacFarlane dello studio Jakob + MacFarlane.

Ho riassunto con un’immagine la magia del luogo in cui ci troviamo, perché a Parigi, come oggi appare, tutto è “fusion”. Una contaminazione tra diverse culture di cui la capitale è il crocevia. Dalla cucina che combina e propone le tradizioni culinarie delle più lontane e differenti aree del mondo. Ai vestiti fantasiosi e colorati delle nostre amiche Eulalie e Alizée.

Sono fusion persino i luoghi di origine e di formazione dei progettisti in questione: da Piano, italiano, e Rogers, britannico, che hanno realizzato questo manufatto architettonico capace di rivitalizzare a suo tempo un Marais originariamente depresso. Agli architetti che hanno trasformato il sesto piano di copertura in uno dei luoghi panoramici più frequentati della capitale: Jakob, francese, e MacFarlane, neozelandese.

Come meravigliarsi, dunque, che Marcel, potesse tralasciare in questo clima di koinè culturale? Ecco perché ha richiamato alla memoria il lavoro svolto da me, un italiano? Un lavoro condotto con passione e amore per suo nonno. Come meravigliarsi che mi abbia proposto di condividere l’esperienza con due giovani ed emergenti progettiste, francesi? Qui a Parigi tutto è “fusion”. E, a detta di Marcel, non poteva che essere il Geoges il ristorante ideale dove fare incontrare i tre architetti che insieme lavoreranno alla sua casa. >>> Segue >>>

Maison de campagne – 8