Dipinti cubisti – Non assomigliavano a niente, ma con la guerra assomigliarono a tutto

Alighiero Boetti, 1966, tela mimetica, cm 170 X 270

Tutti noi abbiamo sotto gli occhi le scene filmiche di schiere di fucilieri che si muovono sui campi di battaglia compatti ed allineati, quasi in parata. Attendiamo solo che i colpi dei mortai portino scompiglio nella compagine e, subito dopo, ecco l’assalto della cavalleria. Gli eserciti dell’una o dell’altra parte hanno divise dai colori sgargianti, ben distinguibili dal terreno verdeggiante delle colline. Armi lucenti al sole, copricapi audaci in quanto ad evidenza: pelo d’orso, piume d’aquila o di gallo cedrone, crini di cavallo. A differenza degli eserciti popolari raccogliticci e disomogenei, l’uniforme (lo dice la parola stessa) serve ad impressionare il nemico, serve a manifestare potenza bellica, ordine e disciplina tipica di chi è stato addestrato a scontrarsi, chi nel corpo a corpo non risparmierà di assestate colpi cruenti. L’uniforme moderna nasce nel secolo diciassettesimo, sotto la spinta necessaria di rendere immediatamente riconoscibili i nemici (pericolosi se avvistati all’ultimo minuto) dagli amici, e fra questi ultimi distinguere gli appartenenti al proprio corpo di truppa, dai quali nella mischia del combattimento all’arma bianca ci si potrebbe ritrovare isolati. Occorre sicuramente riconoscere i superiori, investiti dei vari gradi militari, da cui si attendono gli ordini opportuni che possono rendere salva la vita. Tutto questo nella confusione del combattimento e nella nebbia prodotta dalle schioppettate dei fucili. È un modo di pensare che arriverà fino alla prima guerra mondiale.

Le belle divise colorate attraggono le folle esultanti durante le sfilate, richiamano le nuove reclute all’arruolamento, e quando si avvicina la paura della battaglia riducono i tentativi di diserzione, poiché i renitenti si distinguono ad occhio nudo tra la gente. Ma la guerra di trincea cambia tutto e sotto i colpi di cannone della linea nemica occorre mascherarsi piuttosto che evidenziarsi. Le divise assomigliano sempre più alla terra fangosa e al verde umido della boscaglia. Ma non basta ancora, perché per sfuggire ai cecchini abituati a percepire il minimo sussulto necessita mimetizzarsi con l’ambiente circostante, camuffarsi nella natura, assumere il colore macchiato dei fogliami con le tonalità del paesaggio nel quale si combatte. Ecco dunque che l’uniforme “si uniforma” alle differenti gradazioni di nero, verde, kaki, marrone. Meglio se tutto questi colori si mischiano insieme, così alla tinta unita si preferiscono le chiazze della mimetica. Perché ora il rischio non proviene soltanto dal fuoco d’artiglieria nelle retrovie della trincea avversaria o dai colpi a ripetizione della mitragliatrice dal bunker posto su di una collinetta. Ora la morte, per la prima volta, viene anche dal cielo e le probabilità di essere colpiti da un biplano non sono remote.

La storia racconta che sono stati i francesi a svolgere il ruolo delle “avanguardie del camuffamento” militare durante la Grande Guerra e che si sono avvalsi degli impasti coloristici delle “avanguardie artistiche”. Nel 1915 personalità delle arti figurative sono, infatti, chiamate a fare parte della sezione speciale dei “camoufleurs”, sotto il comando di Lucien-Victor Guirand de Scevola. L’artigliere di seconda classe Lucien-Victor Guirand de Scévola aveva visto ridotte in polvere fior di postazioni a Metz. Così dal momento che da civile era uno dei pittori noti per avere esposto al “Salon des artistes français”, pensa di camuffare una postazione di cannone con una tela dipinta. In guerra i tempi sono strettissimi: Il 12 febbraio 1915 il generale Joffre fonda la “Section de Camouflage” di stanza ad Amiens. A maggio si piantano “alberi”, con periscopi all’interno, camuffati con vere cortecce, per l’osservazione dei movimenti di trincea durante la Battaglia di Artois. Alla fine dell’anno De Scévola riceve i gradi di comandante del Corpo di Camuffamento e comincia ad arruolare artisti, tanto che nel corso del 1917 la Francia ne assomma più di 3mila. Qualche nome? Jacques Villon, André Dunoyer de Segonzac, Charles Camoin e Charles Dufresne. Spennellano tutto quello che possono: veicoli e strutture. La tecnica si diffonde anche a navi e aerei. Il cubista André Mare è mandato a collaborare su vari fronti (anche quelli alleati inglesi e italiani), tanto da essere ferito da uno shrapnel in Piccardia, mentre monta uno dei suoi pali di osservazione considerati «invisibili».

Nella sua Autobiography of Alice B. Toklas, Gertrude Stein scrive che quando Picasso, dopo avere dato una soluzione per nascondere le ariglierie riconoscibili nelle perlustrazioni aeree, vede per la  prima  volta un cannone in camouflage mimetico, esclama: «C’est nous qui avons fait ça!», siamo stati noi a fare questo! E intendeva “noi cubisti”. Commentava il capitano-pittore De Scévola: «Allo scopo di deformare totalmente l’aspetto di un oggetto io dovevo utilizzare i mezzi che i cubisti invece usavano per rappresentarlo» e sottolineava quasi cinquant’anni dopo il critico d’arte Jean Paulhan, direttore della “Nouvelle Revue Française”: «Quei dipinti accusati di non assomigliare a niente, nel momento del pericolo furono i soli a essere capaci di assomigliare a tutto».

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IL CUBISMO è un’espressione con la quale si è soliti rappresentare una corrente artistica e culturale ben riconoscibile, distinta e fondante rispetto a molte altre correnti e movimenti che si sarebbero successivamente sviluppate. Tuttavia, il cubismo non è un movimento capeggiato da un fondatore e non ha una direzione unitaria. Il termine “cubismo” è occasionale: nel 1908 Henri Matisse osservando alcune opere di Braque, composte da “piccoli cubi” le giudicò negativamente, e Louis Vauxcelles l’anno dopo le chiamò “bizzarrie cubiste”. Da allora le opere di Picasso, Braque e altri pittori vennero denominate cubiste. Si può tuttavia individuare in Paul Cézanne, un pittore che nelle sue solitarie sperimentazioni è stato in grado di prefigurare quelli che saranno lo stile, la visione e le tematiche cubiste. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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IL CAMUFFAMENTO MILITARE si riferisce a qualsiasi metodo utilizzato per rendere meno rilevabili le forze militari alle forze nemiche. In pratica, è l’applicazione di colori e materiali utili a nascondere all’osservazione visiva (criptismo) o a far sembrare qualcos’altro (mimetismo) uniformi, mezzi e attrezzature militari. Il camuffamento militare venne utilizzato per la prima volta nei primi anni del 1800 dalle unità di cacciatori e fucilieri, che indossavano uniformi verdi o grigiastre per nascondersi al nemico. Prima di allora, gli eserciti tendevano a portare colori vivaci e audaci, per impressionare l’unità nemica, ma anche per agevolare l’identificazione delle unità militari nella nebbia prodotta dalla polvere da sparo dei fucili, per attrarre le nuove reclute, e per ridurre la diserzione. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera).

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Il camouflage, l’arte della guerra secondo i cubisti

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