Una recensione che è anche un mini viaggio nel mondo di Bob Dylan
Mr. Tambourine è passato a Roma
di Anthony Spaggiari
‘I was in another lifetime, one of toil an’ blood
When blackness was a virtue and the road was full of mud
I came in from the wilderness, a creature void of form
“Come in”, she said, “I’ll give you shelter from the storm”
“Shelter from the storm” di Bob Dylan.
Iniziava cosi’ il 28 luglio scorso lo spettacolo a Roma dedicato a Robert Allen Zimmerman (il cantautore e musicista statunitense Bob Dylan), suonato e cantato da un quartetto di bravi musicisti, scritto e interpretato da Ezio Guaitamacchi, con Davide Van De Sfroos, Andrea Mirò e Brunella Boschetti, per la drammaturgia dello stesso Guaitamacchi.
Alla Casa del Jazz, un luogo incantevole, immerso in un parco fatto di pini alti, ancora immuni alla cocciniglia che sta massacrando la gran parte dei loro simili. Uno dei tanti gioielli di Roma bella. Un sito confiscato a un certo Nicoletti, boss della Banda della Magliana, che entrando mostra un lungo elenco di gente uccisa dalla mafia e dalle organizzazioni criminali. Guardare quell’elenco mette i brividi, sono tanti, troppi.
Tra le sedie un caldo fatto di buio e di piccoli chiacchiericci. Escono ventagli di ogni forma, Roma è rovente, anche di notte.
L’età media è quella dei vecchi sessantottini, il luogo fatto di pace e di una pacata accoglienza. Il parco è curato e gli alberi troneggiano con le loro chiome arroganti.
I quattro sul palco emozionano, fanno tornare indietro negli anni. Quegli anni nei quali la musica e i suoi testimoni erano i nostri compagni di viaggio.
E allora dai ad ascoltare le vicende di questo menestrello strambo, figlio artistico di Woody Guthrie e innamorato di Buddy Holly, che racconta la sua vita sulle note di ballate ormai fissate nel tempo.
“Mr Tambourine man” cantata dai Birds che diventa la numero uno per la prima volta per Dylan, nelle vendite.
“Just like a woman” una bellissima canzone d’amore scritta per farsi perdonare da una modella che lavorava con Andy Wharhol, tale Edie Sedgwick.
“All long the Watchtower” scritta contro il meccanismo perverso cavalcato dai suoi manager per fare solo quattrini.
“Hurricane” dedicata alla vicenda di Rubin Carter pugile nero accusato di un triplice omicidio, dal quale fu scagionato dopo diciannove anni di galera.
“Like a rolling stone” dedicata ad una sua amica che morirà giovanissima di droga, forse la stessa di “Just like a woman”.
“My back pages” una delle tante canzoni di protesta nel quale un ragazzo di ventitré anni dice quello che pensa.
“The times they are a changing” che rivendica le lotte contro il razzismo, la povertà e l’ingiustizia.
“Masters of war”, scritta nel 1963, sembra il testo di una canzone di oggi. Dove nulla sembra essere cambiato, dove l’Umanità continua pedissequamente a ripetere gli orrori che la storia ci ha inutilmente lasciato.
Non ascolteremo invece “A hards rain gonna fall” e “Knockin’ on Heaven’s Door” perdendo quindi la possibilita’ di conoscere le storie che le accompagnavano.
E così un brano dopo l’altro appoggiato alle sue vicende ritrovo giorni della mia giovinezza e la serata vola via. Il pubblico ha gradito, il concerto finisce e siamo contenti. Roma bella ci accompagna verso casa.
Mi piacciono questi incontri musicali, dove la musica viene accompagnata dalle storie, dal contesto e dal racconto del momento vissuto dall’artista. La sola traduzione delle parole di un pezzo non sempre è sufficiente, aneddoti e curiosità rendono invece il brano più comprensibile.
C’è una bellissima trasmissione televisiva su Rai3 che si chiama “Via dei Matti numero 0” con Stefano Bollani, che suona e racconta la musica proprio in questo modo. Bollani e il suo talento, la sua capacità di stare con la gente per raccontare di sè e della musica in modo del tutto naturale. Anche lui ha omaggiato il pubblico romano, recentemente, alla Cavea dell’Auditorium.
Ha suonato di tutto, con il pianoforte non conosce confini. Ha eseguito brani suoi, blues, musica classica e canzoni. Tra le più bizzarre: “Faceva il palo della Banda dell’ortica” di Jannacci e “‘O Sarracino di Carosone, il tutto sempre accompagnato da un commento attento e mai banale.
Ascoltare. Anche per conoscere. In questo caso “Un uomo chiamato Bob Dylan”.
Da Diana Daneluz dianadaneluz410@gmail.com |
A chiarimento delle problematiche relative al copyright delle immagini.
Le immagini eventualmente riprodotte in pagina sono coperte da copyright (diritto d’autore) e – qualora non fosse di per sé chiaro – specifichiamo che sono state fornite a Experiences S.r.l. dagli Organizzatori o dagli Uffici Stampa degli eventi, esclusivamente per accompagnarne segnalazioni o articoli inerenti.
Tali immagini non possono essere acquisite in alcun modo, come ad esempio download o screenshot. Qualunque indebito utilizzo è perseguibile ai sensi di Legge, per iniziativa di ogni avente diritto, e pertanto Experiences S.r.l. è sollevata da qualsiasi tipo di responsabilità.