
Nel Silenzio dei pensieri… fioriscono i versi
Una recensione di Diana Daneluz
Mi è tornato tra le mani un libricino…
Ed è normale, perché le poesie, se ami leggere poesie, non le leggi una volta per tutte, ma le tieni sul comodino, o su uno scaffale o altrove e poi ti ritornano in mente, in qualche caso ti servono proprio, e torni a prenderle. E a leggerle. In questo caso di tratta un volumetto pubblicato nel 2009 da Edisud Salerno, “Nel Silenzio dei pensieri”, di Antonio VALITUTTI. Ventinove i testi di quella che è la prima raccolta poetica dell’Autore, cui altro è seguito.
La colta prefazione di Luigi Reina – “Detto per significare” – avverte il lettore sull’intento di Valitutti, magistrato, docente, musicista, scrittore, qui poeta: attraversare il privato, il personale, ma per essere compreso autenticamente dal potenziale lettore, grazie ad una “versificazione piana…. a tratti quasi prosa”, che bene restituisce, oltre il suo Io più intimo, l’altro da sé. Riparte dall’ascolto, Valitutti, dall’ascolto dei silenzi perfino, quei silenzi cui sembra condannato l’uomo moderno avviluppato nella spirale della velocità e dell’utilità, dello scopo a tutti i costi. E nel suo tendere alla scrittura, recupera il senso ultimo della poesia – che tanti sensi ha – “cerco parole che non ho / per raccontarti il mondo di emozioni / che ho dentro”.
Il Silenzio dei pensieri del titolo, avvisa Reina, è il silenzio della solitudine degli uomini, di tutti gli uomini, ma soprattutto degli uomini “impietosamente soli” cui Valitutti intitola intera una delle poesie. Una solitudine cui l’Autore oppone nei suoi versi la Bellezza di una natura non ostile, fatta di boschi, di fiumi e di mare, di architetture antiche e perciò stesse preziose, così intrise di memoria come sono, di ancestrali figure familiari e animali mitologici, e naturalmente, dell’Amore. L’amore nel rimpianto, l’amore vissuto, l’amore che scalda.
Anche il Tempo è protagonista di queste poesie. Il retaggio del tempo che passa e che fu “e che nessuno più cercherà” nella prima, il tempo dei ricordi e dei rimpianti nella seconda, il tempo fermo per sempre dentro di noi dell’infanzia prima e della giovinezza poi nella terza, “Rinascita”, celebrato nell’alveo di un cortile, spazio per antonomasia dei giochi dei bambini. C’è il tempo di “Vorrei”, l’ultima poesia della raccolta, con l’anelito universale a fermarne lo scorrere, ad essere capace di imprimere nella memoria per sempre i momenti più belli o perché no riviverli, un volere qualcosa di impossibile e perciò stesso anelarlo, tempo scandito da un orologio fantastico, “senza lancette”.
Le Stagioni pure ispirano l’Autore, su tutte l’estate, per lui “dolce…odorosa di fiori e di salsedine…. rossa di tramonti”, epperò destinata a finire, ad essere “spazzata via da un vento di tramontana”, con la malinconia che a tutti lascia il suo epilogo e che ci sorprende ogni volta. E poi l’autunno, più solitario, contenitore di sogni e di ricordi. E l’inverno, freddo, bianco e spoglio, cui però contrappone il calore e la tenerezza dell’abbraccio amoroso della coppia. O l’inverno del Natale, col suo spirito e il suo ricorrente mistero, “indecifrabile e intenso”, e l’attesa della festa. E ci sono poi le stagioni del cuore tra le righe, quelle che in ciascuno di noi si susseguono nostro malgrado.
La Notte si alterna al Giorno nei versi di Valitutti, col loro diverso portato. Notti “interminabili” di solitudine, silenzio, tra chiari di luna e completa oscurità e persiane chiuse, a generare dubbi, rimpianti, nostalgie. Giorni “qualunque”, invece, in cui fantasticare di impossibili ricongiungimenti e ritorni, accanto a giorni precisi, come quello di un fanciullo “sulle rive di un fiume” che guarda scorrere e ancora tante cose non sa, o come quello di un certo giorno d’aprile in cui è impossibile sottrarsi al ricordo di “lei”, capace di dissipare “pensieri molesti e gli affanni del vivere”.
Musicista appassionato a sua volta, suona la chitarra e il sax, autore di studi per chitarra classica, non poteva mancare la musica ad ispirare Antonio Valitutti. Gianni suona un giorno dopo l’altro la chitarra sui gradini di una vecchia chiesa – “Gianni il suonatore” proprio il titolo di questa poesia – tra l’indifferenza dei più, regalando malinconia accanto alle armonie del suo “mondo nascosto e segreto”. Poi la morte, a regalare a sua volta però a Gianni e alle sue esibizioni le scale di un tempio molto più grande, “infinito” scrive l’Autore, ascoltato finalmente “per tutta l’eternità”.
Infine, l’Amore. Direi, su tutto l’Amore. Senza cedere a tentazioni di rivelazioni autobiografiche, nulla è più universale di un amore adolescenziale così come di quello maturo, di quello appagato come quello negato, di quello rimpianto come quello vissuto, qui e ora. Così come l’amore, in questo caso paterno, intriso di “fatica, sonno dolore…. consiglio, conforto”, amore, questo sì, per sempre. Non so se sono riuscita a rendere il mondo completo e ricco che l’Autore ha riversato in questi versi contenuti in poesie da qualcuno definite “ermetiche, romantiche”, né lunghe né corte, che l’una tira l’altra, come le ciliegie in giugno. Valitutti ci prende per mano, e dall’una all’altra ci conduce senza la fatica del leggere, anzi con leggerezza, dal “limitare del bosco” del primo componimento fino al “Vorrei” dell’ultimo, in fondo ad un piccolo libro, sessantatré le sue pagine, capace di fare grande e buona compagnia.
L’Autore
Magistrato, ex Presidente della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, Antonio Valitutti è stato assistente universitario, docente nella Scuola Superiore della Magistratura e oggi collabora attivamente con diverse Università italiane. Conferenziere su temi legati al diritto e alla giustizia, è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Nuova Procedura Civile”. Musicista, suona la chitarra e il sax e ha scritto due apprezzati studi per chitarra classica. Autore di numerosi saggi e pubblicazioni giuridiche, il suo esordio nel romanzo è avvenuto con “Il mistero della Zingara”, sempre pubblicato da Edisud Salerno. Non smetterà di scrivere poesie.

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