La Parigi ereditata, romantica o del futuro?

 

La Parigi costruita dal barone Haussmann, alla fine dell’Ottocento, divenne, in breve tempo, molto copiata ovunque nel mondo. Lo stile architettonico adottato per la sua realizzazione fu quello eclettico, uno stile che doveva risultare avveniristico e nuovo per i tempi. Anche sotto il profilo urbanistico Parigi fu all’avanguardia. Non parliamo della tecnologia del ferro, tanto che quando, all’esposizione universale del 1889, fu costruita la Torre Eiffel, vanto della “modernità”, la città doveva risultare letteralmente fantascientifica, a chi, naturalmente, viveva allora e ne conosceva i linguaggi. Oggi, invece, si parla di città “romantica”. Il tempo ha capovolto le cose. Ma non sarà solo una questione di tempo a rendere il passato così romantico? 

Una mappa based che mostra (in rosso) il Streetwork haussmanniano tra il 1850 e il 1870.
Una mappa che mostra (in rosso) gli interventi viari haussmanniani tra il 1850 e il 1870.

 

Il Tema La Parigi di Haussmann
Dopo avere ottenuto l’incarico da parte del re di ristrutturare Parigi, Haussmann si ispirò ai larghi viali alberati dell’urbanistica del XVII secolo francese, che fu definito “il culto dell’asse”. Creò, quindi, strade larghe e diritte, raddrizzando anche quelle precedenti. Ecco dunque i Boulevard, viali ampi almeno 30 metri, e le Avenue strade principali tracciate a congiungimento delle importanti piazze e costruzioni del centro, quali place du Trône collegata alla Place de l’Étoile, o anche dalla Gare de l’Est all’Observatoire.

Questa soluzione urbanistica tendeva a mettere in valore grandi opere del passato come anche di nuova creazione, come l’Opéra Garnier, magnifico esempio dell’architettura eclettica del periodo. Rappresentazione massima di questa metodologia è simboleggiato proprio dalla place de l’Étoile da cui si dipartono ben 12 viali, tra cui l’avenue des Champs-Élysées. Questa valorizzazione urbanistico-architettonica diede a Parigi un’immagine moderna e grandiosa, politicamente di forte impatto. È stato calcolato che ben il 60% della città fu interessata dai lavori del barone Haussmann.

Non solo. Nei regolamenti edilizi adottati dalla città vennero fissati dei parametri molto severi. Gli edifici non potevano superare i 5 piani per le nuove costruzioni, presentando inoltre appartamenti non più bassi di 2,60 di altezza. Altresì vennero introdotte diverse forme abitative, quali l’immeuble de rapport (un edificio con più appartamenti, ma di un unico proprietario) e l’hôtel particulier, una residenza di lusso per un unico proprietario. I nuovi sistemi abitativi e l’ampiezza degli isolati voluti da Haussmann incentivarono gli interessi legati alla nuova edilizia parigina, con enormi profitti e la riorganizzazione della rendita immobiliare.

In virtù della volontà igienista, Haussmann diede il meglio di sé. Furono creati nuovi parchi urbani e valorizzati quelli già esistenti. Si diede, infatti, vita al parco delle Buttes Chaumont e Montsouris, nonché al Bois de Vincennes e al Bois de Boulogne. Ma Haussmann fece molto di più per la salute dei parigini, creando una moderna rete idrica ed un sistema di fognature adeguato alla grandezza della città.

Tra le grandi opere realizzate, vanno enumerate le Halles (i mercati generali) e le diverse stazioni ferroviarie. Sempre in questo periodo, si diede vita al piano di illuminazione pubblica, che trasformerà Parigi in una città all’avanguardia per i tempi. Non mancarono le critiche da parte dei vecchi proprietari, della stampa e delle opposizioni politiche in Parlamento, ma già a distanza di poco tempo se ne capì il significato e la grandiosità dell’intervento del barone Haussmann, passato ormai alla storia.

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Prospettive – La Parigi del barone Haussmann

 

Prendete una cartina di Parigi e cancellatene un buon 70 per cento. A questo punto, realizzate la nuova Parigi! Sembra una sciocchezza, vero? Eppure è proprio quello che fece il barone Haussmann a metà dell’Ottocento. Pochi anni dopo, alla fine del secolo, Parigi era riedificata praticamente ex novo. Il suo fascino oggi dipende, quindi, dal visionario barone. Città pensata, città realizzata. Quando si dice che basta la volontà…

Il Tema

Molto del fascino di Parigi si deve al lavoro del barone Georges Eugène Haussmann, che dal 1852 al 1869, in qualità di prefetto del dipartimento della Senna, ristrutturò la città. Fu nominato barone da Napoleone III, proprio in virtù della sua opera. Dopo avere svolto studi in scuole di grande prestigio di Parigi (la famiglia ne aveva la possibilità), quasi subito iniziò la carriera di funzionario di Stato, che assolse con ottimi risultati in diverse prefetture di Parigi. Si mise in luce, in particolare, per le realizzazioni urbanistiche, con la creazione di strade, scuole e piantumazioni a verde, come nel dipartimento del Lot-et-Garonne. La sua vita ebbe una importante svolta nel 1853, quando Victor de Persigny, ministro dell’Interno, lo presentò a Napoleone III, che lo nominò Prefetto di Parigi e Senna.

L’attività di prefetto di Parigi fu accompagnata da altre nomine prestigiose: ad esempio, divenne membro dell’Académie des beaux-arts, nel 1867. Ma fu anche segnata da forti contrasti politici. Il deputato Jules Ferry, in particolare, lo fece mettere sotto inchiesta per i disinvolti finanziamenti dei lavori pubblici della capitale. Tanto che nel 1869 fu estromesso da prefetto con disonore, prima ancora di ultimare i lavori di trasformazione della città. Tuttavia, Haussmann continuò a ricoprire un ruolo di primo piano, nominato deputato nel 1877 e nel 1881. Il valore della trasformazione di Parigi lo mise in grande luce, tanto che gli fu richiesto, dal governo italiano presieduto da Crispi, un progetto anche per Roma, nuova capitale d’Italia. La sua stesura, tuttavia, non convinse molto. Egli aveva proposto per la città romana una “medicina” molto simile a quella francese. Strade larghe e diritte, demolizioni, ampliamento di piazze, il tutto in una soluzione planimetrica ortogonale. Accantonato per qualche anno, il progetto fu parzialmente attuato dal successivo regime fascista. Il barone Haussmann scrisse le sue memorie, in tre volumi, pubblicate fra il 1890 e il 1893. Morì nel 1891.

La Parigi del Re

L’input per il rinnovamento della capitale francese non venne da Haussmann, bensì dal re Napoleone III. Infatti, nel corso della sua permanenza a Londra, ebbe modo di apprezzare le trasformazioni della città in conseguenza della ricostruzione dovuta all’incendio del 1666 che l’aveva annientata. La città riedificata, aveva seguito principi innovativi d’igiene e di urbanistica, con strade larghe ed edifici non più in legno, ma in muratura. Al suo ritorno la capitale francese, al contrario di quanto veduto in Inghilterra, gli apparve caratterizzata da strade strette e malsane, eredità del periodo medievale. Il re aveva, perciò, più di un motivo per cambiare volto alla città. A cominciare proprio da quello igienico, desunto dal pensiero illuminista del secolo prima e, soprattutto, dopo l’epidemia di colera, registrata in città, nel 1832. Sotto il suo slogan “Parigi abbellita, ingrandita”, si nascondeva, però, una precisa volontà politica. Per superare la coabitazione con il popolo, Luigi XIV (il famoso Re Sole), aveva fatto costruire Versailles. Dopo più di un secolo, Napoleone III fece la scelta opposta: trasferire il popolo fuori da Parigi. La corona non si sentiva tranquilla, soprattutto dopo le rivolte parigine del 1830 e del 1848.

 

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La città ideale del Rinascimento

 

PROSPETTIVE.

Di solito gli ideali non vanno d’accordo con la realtà, anche se molti ci hanno provato. Si dice: è solo un’utopia. Questo valeva anche per il concetto di “Città ideale” ideato nel Cinquecento. Nelle Corti, infatti, fu molto discusso, disegnato e dipinto, ma poco fu realizzato. Pura e semplice fantasia? Se pensiamo, però, che la realtà che viviamo oggi, sarebbe stata considerata un’utopia in epoca rinascimentale, nasce spontanea una riflessione: con il tempo, anche le utopie si potrebbero realizzare davvero. È solo una questione di perseveranza storica (di fantasia e creatività).

 

Il Tema
Il vero dibattito sul rapporto tra urbanistica del tempo e l’utopia di una città ideale, lo registriamo in periodo umanistico e rinascimentale. Molte furono le realizzazioni architettoniche ispirate al concetto teorico da parte degli architetti ed artisti dell’epoca, ma pochissime furono le realizzazioni concrete. In linea teorica l’utopia della città ideale si legò ad altre tematiche molto dibattute: la centralità dell’uomo nella natura, la riscoperta della cultura e dell’arte greco-romana, l’imitazione dell’arte classica. Ritroviamo quest’ultima negli studi di Vitruvio (nel famoso De architectura) e nelle ricerche dell’Accademia della Virtù (a cui partecipò anche il Vignola e Claudio Tolomei). Nell’Accademia si svilupparono tematiche rilevanti, come l’organizzazione prospettica, che trattava i fondamenti della teoria delle proporzioni e della misura architettonica.

Il rilancio umanistico della città, come ambiente distinto dalla natura, in diretto rapporto con la dignità e l’agire dell’uomo, messo quest’ultimo al centro dell’indagine filosofica, apre tutta la stagione rinascimentale. L’artificialità dello spazio urbano (ben diverso dalla natura), inteso come spazio dell’opera e dell’esperienza umana, lo rese passibile d’astrazione idealistica, fino ad oggettualizzarlo in una visione utopistica. Le città-stato dell’Umanesimo, che poi sono le “città del principe”, contengono in sé funzionalità ed estetica. Le diverse arti e l’immagine del signore coincidono complessivamente nell’immagine cittadina. Non come somma di interventi singoli dei cittadini, ma in un unico rapporto urbano.

Il concetto di  città-stato corrisponde con quello di comunità civica, quindi simbolo della vita associata che vi si svolge. Da qui l’astrattezza dell’architettura diviene ideale o idealizzabile. Perciò, amministrate politicamente da signorie cittadine (e dalla comunità locale) tali città possedevano tutta la novità e la rappresentatività di un unico concetto di città idealizzabile. Per rappresentare la propria immagine, il sogno dei principi passò, quindi, dal castello o dal palazzo, a quello di una intera città, tale da divenire funzionalmente ed esteticamente perfetta. Così la città ideale aveva come finalità architettonica l’equilibrio, l’ordine, la funzionalità e la razionalità formale, che potesse essere rappresentazione e traduzione concreta della perfezione della guida politica del principe.

Tali aspirazioni, nel XV secolo, portarono, oltre alla progettazione di nuove città, anche all’apertura di nuove prospettive nella città, al suo ampliamento, alla sua trasformazione, e nella maggior parte dei casi al semplice abbellimento. Nel XVI secolo le forti tensioni politiche e militari in tutta Europa, portarono ad irrobustire le proprie difese. Nacquero castelli dalla geometria perfetta (come quella idealizzata), che finirono per trasformare i centri urbani secondo linee e direttrici più regolari. Tuttavia, nell’urgenza militare, alcuni signori diedero vita a città o cittadelle militari. Ne è un esempio la città-fortezza di Terra del Sole, costruita al termine del Cinquecento, per decisione di Cosimo I de’ Medici. In particolare, tra le città-fortezza ben si colloca il castello a forma di stella e l’abitato di Palmanova.

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La Casa d’Arte di Depero

 

PROSPETTIVE.

Alla fine dell’Ottocento i musei, le gallerie e i collezionisti americani iniziarono ad acquistare opere in Europa, mettendo fine a quello che era stato il vecchio rapporto artista-committente. Era nato il moderno mercato dell’arte. Gli artisti del futurismo, corrente modernista, cavalcarono il rinnovamento nel corso del Novecento. Arte, pubblicità e design industriale erano il loro pane quotidiano, inseriti a tutti gli effetti in un mondo nuovo che si annunciava. Depero, artista futurista, diede vita ad una personale casa d’arte a Rovereto, museo e portfolio insieme delle sue opere. Ma non si fermò qui: diede vita ad una seconda casa d’arte, stavolta a New York, dimostrando d’essere perfettamente inserito nello spirito dei tempi, ma soprattutto in un nuovo mercato globale. Era all’avanguardia anche sotto questo aspetto. Perciò, onore al merito!

Il Tema

Possiamo trovare un museo sul futurismo a Rovereto (Trento), grazie ad una fortunata intuizione dell’artista stesso: il laboratorio di Fortunato Depero. Egli ideò la sua “Casa” laddove abitava. Vi lavorava con la sua famiglia. Era nel contempo ufficio e piccolo museo, dove esporre le opere che via via andava creando. La Casa museo, venne ideata da Depero nel 1919, ma si completò realmente solo nel 1959 a Rovereto, quando venne inaugurata come “Galleria Museo Fortunato Depero”. La sede è un palazzo storico del medioevo, già banco dei pegni. La Casa fa parte di un’ampia progettazione curata dallo stesso artista, che comprende schizzi su arredamenti, decorazioni e rivestimenti. Dopo la sua morte (avvenuta nel 1960), la struttura venne ultimata grazie alla raccolta di opere documentarie e d’arte in essa conservate .

La Casa d’Arte di Depero, come unico museo futurista in Italia, fa parte del polo museale del Mart di Trento e Rovereto dal 1969, anno di apertura di questo museo progettato dall’architetto ticinese Mario Botta. Successivamente la Casa Depero è stata oggetto di un attento restauro, su progetto dell’architetto Renato Rizzi, All’inizio del 2009, in occasione del centenario della nascita del futurismo, il museo ha riaperto al pubblico. Da allora nella struttura si sono svolte diverse mostre, sempre incentrate sul futurismo. Ad esempio, essendo Depero attento innovatore in diversi settori dell’attività produttiva, si è svolta nella Casa una manifestazione che partendo dal “cane a sei zampe”, da sempre logo dell’Eni, ha sviluppato temi incentrati sul design, le arti applicate e la grafica pubblicitaria futurista. Nella stessa struttura molteplici sono le mostre allestite sui variegati aspetti della corrente artistica futurista.

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Depero e l’espressione futurista

 

PROSPETTIVE.

Il simbolo del genio e della creatività è, senz’altro, Leonardo da Vinci. Ma vi sono stati altri esempi di straripante genialità, anche abbastanza recentemente. Tra questi, a modo suo, possiamo citare Fortunato Depero, artista futurista. Creò di tutto e fu un esempio del moderno designer.

L’approccio futurista ci ha sempre colpito per la somiglianza col rinnovamento tecnologico, che andiamo vivendo oggi. L’invenzione dell’ascensore, ad esempio, permise la creazione dei grattacieli, che rendevano possibile, a loro volta, la visione di una nuova città, sia architettonicamente, che urbanisticamente. Cambiava la città con il contemporaneo arrivo di una nuova società e nuove abitudini di vita. Vi sembra poco?

 

Il Tema

Fortunato Depero, fu un artista futurista tra gli altri, che pure furono numerosi, come Boccioni, Giacomo Balla, Enrico Prampolini, Ardengo Soffici, Gino Severini. Tuttavia, Depero emerge storicamente, per aver lasciato ai posteri due Case d’arte, a Rovereto (Trento) e a New York, in cui ritroviamo composizioni varie, investendo espressioni artistiche che variano dagli oggetti, alla pubblicità e ai manifesti. L’opera di Depero, infatti, si svolse con un’ottica a 360 gradi, investendo campi diversissimi tra loro, nell’aspirazione visionaria di immaginare (e creare) il mondo del futuro, appunto futurista. Come per oggi, il loro riferimento era la nuova tecnologia di allora, quale l’invenzione della macchina, la motocicletta, l’aereo o l’ascensore.

Fortunato Depero fu definito “pittore, scultore e pubblicitario”, ma si dedicò a creare l’impensabile, con una vera visione totale. Ebbe come committenti molte aziende produttive leader italiane. Questa grande esuberanza artistica dava vita a disegni, manufatti, stoffe e occasioni pubblicitarie. Tant’è che, nel 1957, Depero stesso creò la Casa d’arte a Rovereto, denominata “la Casa del mago”, dove erano esposte le sue composizioni, come in un museo, ma che conteneva, contemporaneamente, il proprio laboratorio, dove lavorava l’intera famiglia. Desiderio dell’artista non era solo quello di esprimersi, ma di creare oggetti d’impatto sulla società: sia belli, ma soprattutto utili. Un vero designer moderno.

In seguito, nel 1928, lui e la moglie replicarono la Casa di Rovereto, aprendo, a New York, la “Deperòs Futurist House”, una specie di filiale, che operava sul mercato americano.

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L’Art Nouveau e Mucha

PROSPETTIVE.

All’inizio del secolo scorso, erano già esistenti alcune correnti artistiche, diverse tra loro per contenuti ed ispirazione, quali il Futurismo e l’Art Nouveau. Ma mentre il Futurismo non è sempre bene accetto a tutti, non abbiamo mai incontrato qualcuno a cui non piaccia l’Art Nouveau. Fu, tuttavia, presente nel panorama dell’arte nuova come una cometa veloce, intensa ma temporanea. Si spense nel giro di un paio di decenni.

Il Tema
La Belle Époque fu incoronata dall’Art Nouveau. Dolce e sensuale. I disegni pubblicitari dell’artista ceco Alfons Mucha (1860-1939), protagonista tra i massimi della corrente di inizio Novecento, sono stati in passato anche oggetto di varie mostre, attestazione dei contenuti artistici di questo stile “moderno”.

Le grandi città europee, tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, tra macchine e fiori, s’ingentiliscono. Le linee diventano flessuose e morbide, appaiono dolci e luminosi volti di fanciulle, la decorazione prende forma vegetale. Compaiono rose, narcisi, ninfee, pavoni e farfalle. Il tutto fluttuante nello spazio pubblicitario, nei manifesti e nelle riviste. In Italia lo stile Art Nouveau prende il nome di Stile Floreale o Liberty. Quest’ultimo termine ha origine da Arthur Liberty, commerciante britannico, che tra i prodotti dei suoi Grandi Magazzini di Londra vende oggetti d’arte di questa nuova corrente, così diversa da tutte le altre.

Contemporaneo del Liberty è anche il Movimento futurista, che anziché ispirarsi alla natura, si rifà al concetto di macchina e di velocità. È uno stile forte, duro e “maschile”, mentre il Liberty potrebbe essere definito “femminile”. Sono quindi stili contrapposti. Ambedue, però, utilizzano l’asimmetria della composizione grafica. È il segno dei nuovi tempi che si annunciano.

Alfons Mucha, artista Art Nouveau, viaggia in Italia, prima a Milano, poi a Genova. Nel suo passaggio lascia traccia di sé. Natura, trasparenze, presenze femminili botticelliane, sono alla base dell’arte di Mucha; sono il “marchio di fabbrica” che caratterizza ogni sua opera. Ma non è solo grande intelligenza grafica. Unitamente, ecco la malinconia, il lirismo di una interpretazione poetica. Se il Futurismo è forza, velocità, la macchina su tutto che apre nuovi scenari, Mucha si rifà, invece, alla Danza, alla Musica e alla Pittura, forse ispirato dalle composizioni dei Preraffaelliti.

Le ragazze di Mucha sono ben vestite, ma spesso anche velate e sensuali. Angeli e contemporaneamente “femmes fatales”. Moderne ninfe, licenziose ed ammiccanti, trasformano un prodotto nel desiderio di comprarlo e provarlo. Pubblicizzano lo Champagne Ruinart, le Bières de la Meuse, i biscotti Lefèvre-Utile e le sigarette Job. Questi sono soli alcuni dei prodotti presentati servendosi della sua opera geniale e raffinata. I suoi disegni sono così originali da oscurare lo stesso prodotto offerto.

Le numerosissime composizioni e applicazioni di Mucha, tra disegni, realizzazioni grafiche, litografie a colori, poster e illustrazioni, ma anche maioliche, gioielli e oggetti d’ogni tipo, fino ai Vasi Daum e Gallé, declinano ampiamente tutta la sua creatività, in vari temi e utilizzi.

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Viaggio alla scoperta di nuove prospettive

 

PROSPETTIVE.

E se facessimo un viaggio? Non il solito viaggio: qualcosa di diverso. Un viaggio nella creatività e nella fantasia. Si tratta di avere un pizzico di curiosità, perché, a volte, informazioni sapute e risapute possono assumere uno spirito diverso, se conosciute sotto una nuova prospettiva. È il classico ritratto di Napoleone con la mano sullo stomaco. Non appare più così scontato, dopo aver scoperto che soffriva di gastrite.

Il “gioco” e la sua importanza
Per definizione, la “creatività è un termine che indica genericamente l’arte o la capacità cognitiva della mente di creare e inventare” (Wikipedia). Cosa sia la fantasia lo sappiamo tutti. Sostanzialmente, indica l’immaginare nuove storie, scenari ed oggetti. Oppure trovare le tessere mancanti di un puzzle. È un “gioco”, ma che può tornare utile, davvero. Tuttavia, il meccanismo segreto della creatività non si conosce bene, perché, anche se la pratica dell’inventiva e della fantasia la possediamo un po’ tutti, essere creativi è una questione caratteriale. Saper vedere le cose sotto un punto di vista diverso può consistere, invece, in un semplice scambio di opinioni tra noi e gli altri. Tenendo conto delle sinergie che si possono creare tra fantasie diverse condivise.

Il valore della cultura
Ciononostante, creatività e fantasia sono argomenti ritenuti di solito leggeri. Eppure il mondo progredisce grazie alla fantasia, alla creatività e alle idee. Forse anche con un pizzico di curiosità. Il passo in più dipende sempre da una domanda e dalla conseguente risposta: step by step. Un percorso di idee apre il futuro dell’umanità.
Ma questo vale anche per il passato. Riscoprire il passato, in un’ottica diversa, può renderlo più autentico e credibile. Perché, a ben guardare, conoscere meglio il passato non è inutile, perché la “realtà storica” ha un valore simile alla “realtà quotidiana”. Servono ambedue per la comprensione del mondo. Questo per il semplice fatto che la Storia è stata scritta da uomini esattamente come noi. Le loro esperienze possono essere le nostre, se interpretate ed “aggiornate”. Se Gutenberg fosse vissuto oggi, probabilmente, lavorerebbe su Internet, dopo aver inventato gli e-book.

Vi invitiamo, perciò, ad accompagnarci in questo insolito viaggio, con curiosità, fantasia e tanta arguzia, giocando con il passato e con i differenti punti di vista. Vi basterà seguire i prossimi appuntamenti delle nostre “Prospettive“, per leggere ogni lunedì le cose sotto un’ottica diversa. Allora, si parte insieme per questo viaggio? À bientôt.

 

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