Il Palazzo Reale di Amsterdam 2/2

 

Da Municipio a Reggia di Amsterdam
Il Palazzo Reale di Amsterdam dell’architetto van Campen si ispira al Classicismo del Palladio. Tecnicamente, essendo in Olanda, la fondazione fu progettata con la presenza di 13.659 pali di legno, infissi nel terreno, per dare stabilità alla costruzione. Questa è formata da un quadrilatero perfetto con due chiostri interni e due prospetti uguali, quello su piazza Dam (il principale) e l’opposto. Ambedue sono segnati da un avancorpo con frontone triangolare classico. È suddiviso in quattro ordini di finestre, ognuno con un proprio stile, ritmate da due ordini di lesene. La facciata d’ingresso è segnata da una torre ottagonale con cupola, che veniva utilizzata come torre d’avvistamento delle navi che passavano in porto.
Il timpano del prospetto principale è decorato da statue di bronzo e da rilievi marmorei. Il tema generale è incentrato sulla Pace, ispirata, probabilmente, alla Pace di Vestfalia. Incorniciata da due statue ai lati, le raffigurazioni della Prudenza e della Giustizia. Tutta la composizione rappresenta il benessere economico prodotto dalla Pace.

Curiosamente l’importante palazzo non è fornito di un grande portale d’ingresso, come ci si aspetterebbe, ma da sette piccole porte, segnate da altrettante arcate a tutto sesto. Il numero può essere simbolico delle sette province olandesi, che allora erano quelle di Olanda, Zelanda, Utrecht, Gheldria, Overijssel, Frisia, e Groninga (oggi sono tutte indipendenti).
Tutto il livello scultoreo del Palazzo venne affidato, tra il 1650 e il 1664, ad Artus Quellinus il Vecchio, che fu coadiuvato da diversi artisti.

Anche la facciata posteriore presenta un timpano triangolare. Questo, centralmente porta una statua di Atlante che regge il globo terrestre con i quattro continenti allora conosciuti (Africa, Europa, Asia e America). Ai lati il timpano ha due statue, che rappresentano la Sobrietà e la Vigilanza. Al centro è raffigurata la Vergine urbana con ai piedi i fiumi Amstel e l’IJ. Sullo sfondo una nave da carico olandese, come era allora il simbolo della città.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: AMSTERDAM

VIDEO SU AMSTERDAM::
Holland…i canali di Amsterdam. 15/06/2013
Una crociera per i canali di Amsterdam
Amsterdam – Diario di viaggio

 

Terence Hanbury White

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI?

 

Simbolismo: la psicanalisi di Sigmund Freud 2/2

 

Il successo della psicanalisi
Con il nuovo secolo, la marea psicoanalitica si diffuse in vari paesi velocemente. Tanto che, nel 1909, furono invitati negli Stati Uniti oltre a Freud, lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, l’ungherese Sándor Ferenczi e, poco dopo, lo scienziato, Ernest Jones dall’Inghilterra. Il ciclo delle conferenze che ne presero vita furono denominate le “Cinque conferenze sulla psicoanalisi“. In quella occasione la Clark University insignì Freud del titolo di Dottore.
Nel 1910, al ritorno dagli Stati Uniti, fu organizzato da Jung il Congresso di Norimberga del 30 e 31 marzo, che diede vita ad una organizzazione internazionale coordinatrice di tutte le associazioni psicoanalitiche nazionali nate e quelle in fase di istituzione. Già in quel momento erano stati aperti circoli medici legati alla psicoanalisi, oltre che a Berlino, Vienna e Zurigo anche a Budapest, Bruxelles, negli Stati Uniti, in Russia, Francia, Italia e Australia.
Al Congresso, Freud stesso si dichiarò favorevole all’affidamento della presidenza dell’internazionale della psicoanalisi a Jung (che già allora era considerato il suo successore). Del giornale dell’associazione, lo “Zentralblatt für Psychoanalyse” (Rivista centrale di Psicoanalisi), furono incaricati Adler e Stekel. Alla rivista “ufficiale” si aggiunse in seguito la rivista di psicoanalisi “Imago“, diretta dallo stesso Freud, che pubblicava questioni non direttamente mediche della psicoanalisi.
Nel 1926, compiuti settant’anni, festeggiato da colleghi da ogni parte del mondo, giunto a Berlino per rivedere figli e nipoti, Freud ebbe ad incontrare Einstein e sua moglie. I due geniali scienziati (di scienze diverse) familiarizzarono molto amabilmente.

Nel 1933, grosse nubi nere iniziavano a coprire l’Europa. Adolf Hitler giunge, in quell’anno, al potere, la questione ebrea comincia a scottare e molti libri iniziano ad essere messi all’indice e bruciati, tra questi proprio quelli di Freud. A partire dal 1938, con l’annessione dell’Austria da parte nazista, lo scienziato ebreo è minacciato, tanto che sua figlia Anna è arrestata dalla Gestapo. Rilasciata, Freud e la sua famiglia partono, immediatamente, per la Gran Bretagna (alcuni ritengono che a permettergli la partenza fu l’intervento personale di Benito Mussolini). A Londra prende abitazione vicino al centro di psicoanalisi, dove, dopo la guerra, lavorerà sua figlia Anna.
In quell’anno, in una intervista della BBC, Freud ammette che la strada per la Psicoanalisi è ancora lunga. Una ventina di giorni dopo l’inizio della seconda guerra mondiale (nel 1939), Freud muore: come se non volesse assistere alla notte dell’inconscio umano che travaglierà il mondo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  SIGMUND FREUD

VIDEO SU SIGMUND FREUD:
Le Grandi Biografie Sigmund Freud 1 3
visionari Sigmund Freud .Umberto Galimberti e Corrado Augias
PSICOTERAPIA – Sigmund Freud

In copertina – Ritratto fotografico di Sigmund Freud – estratta da Wikimedia Commens

Simbolismo: la psicanalisi di Sigmund Freud 1/2

 

La vita di Freud fu alquanto travagliata, ma segnata da una forte volontà nella ricerca di risultati sia scientifici che privati. Il suo nome era Sigismund Schlomo Freud, che lui abbreviò, nel 1877, in Sigmund Freud. D’origine ebrea nacque da una famiglia di non grandi possibilità economiche (1856-1939). A questo si aggiunse che, in quel periodo nella Vienna asburgica, erano diffuse forti discriminazioni antisemitiche. La sua istruzione fu portata avanti, tuttavia, con significativi risultati a causa del suo temperamento, tanto che l’Istituto Superiore “Sperl Gimnasyum”, dove studiò per otto anni e ottenne la maturità, motivata dal profitto che Sigmund otteneva, gli assegnò una menzione d’onore. Laureatosi in Medicina (il corso di laurea fu ritardato dal suo carattere critico e polemico) nel marzo del 1881, ebbe esperienze lavorative nel laboratorio di zoologia, diretto da Carl Claus a Vienna, ma non ne fu entusiasta, tanto che, successivamente, entrò nell’Istituto di Fisiologia di Ernst Wilhelm von Brücke, dove portò avanti studi di neuro-istologia. Egli stesso scrisse, poi, dell’importanza di quegli anni accanto a Brücke, di grande influenza sulla sua personalità.

Alla ricerca della stabilità economica, entrò nell’Ospedale Generale di Vienna, dove lavorò tre anni, seguendo malati affetti da turbe neurologiche. Fu proprio in questi anni, a partire dal 1884, che Freud sperimentò su sé stesso e sui malati la cocaina, che in America veniva usata come analgesico, in alternativa alla morfina. Purtroppo sperimentò sulla sua pelle, che questa, che non sembrava avere controindicazioni collaterali, dava però una fortissima dipendenza. È noto come Sigmund ne rimase affetto per tutta la vita.
Nel 1885 raggiunse la libera docenza e questa l’aiutò nell’esercizio della professione medica. Stimato da tutti, contemporaneamente, percorse una facile carriera accademica, che lo portò alla cattedra di professore ordinario.
Nel biennio 1885-86 si recò a Parigi, ottenuta una borsa di studio, presso lo scienziato Jean-Martin Charcot. Questi, per curare i malati, utilizzava l’ipnosi, che Freud, molto colpito, utilizzò una volta tornato a Vienna.

Il 13 maggio 1886 si sposò con Martha Bernays, che gli diede cinque figli di cui l’ultima, Anna, percorse la stessa carriera del padre, divenendo un’importante psicoanalista. Sempre in quell’anno aprì lo studio privato, dove utilizzò per le cure l’ipnosi unitamente a cure termali, l’elettroterapia e l’idroterapia, non ultima l’applicazione dei magneti, già in uso dal 1700.
Fondamentale fu per Freud il conoscere Josef Breuer, fisiologo conosciuto, che portava avanti importanti ricerche, ad esempio il caso di “Anna O”, affetta da isteria con varie derivazioni anche invalidanti. Nel 1895 il Breuer pubblicò Studi sull’isteria, dove si fa cenno del metodo catartico, e, cioè, l’analisi dei ricordi traumatici.
Nella notte tra il 23 e il 24 luglio 1895, Freud fece un sogno che lo colpì, tanto che fu riportato come “il sogno dell’iniezione di Irma” nella pubblicazione de L’interpretazione dei sogni. È dall’interpretazione di quel sogno che Freud, abbandonando l’ipnosi, passa ad un nuovo tipo di studio, che caratterizzerà il suo metodo innovativo. È ritenuto questo, da alcuni, l’anno della nascita della psicoanalisi moderna.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  SIGMUND FREUD

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PSICOTERAPIA – Sigmund Freud

In copertina – Ritratto fotografico di Sigmund Freud – estratta da Wikimedia Commens

 

Antichi mestieri: il mastro ferraio

 

Arte ed artigianato, nel passato, si sono spesso incrociati in determinati mestieri. In quello della lavorazione dei metalli, tale qualità era propria del mastro ferraio. Questo era sinonimo di creazione con il ferro battuto, e lo è ancora oggi in specifiche lavorazioni, come nei cancelli, nelle testiere dei letti, oppure sedie per giardini. L’arte del mastro può produrre lavorazioni specifiche, o in piccola serie, sempre però, di alto valore, perché è, a tutti gli effetti, uno scultore del ferro battuto. Ricordate le bellissime ringhiere dei balconi del periodo barocco? La qualità artistica, quindi, ne fa un mestiere antico, ma ancora possibile da svolgere, con molta soddisfazione. D’altra parte, anche gli antichi mestieri si possono proiettare in chiave moderna. Oggi su internet, ad esempio, si possono acquistare (e quindi vendere) artistiche ringhiere in ferro battuto, su specifica ordinazione.
Naturalmente, per svolgere l’attività di mastro ferraio, si parte da un apprendistato tecnico, come di un apprendistato creativo, mirato alle composizioni specifiche, tutte da inventare.

Il mestiere
Il mestiere di mastro ferraio è legato alla lavorazione del ferro battuto, per ottenere cancelli artistici o altrettante testiere per letti. Con l’abilità nel lavoro crescono, parallelamente, le capacità raffigurative. Così si passa dalle varie figure geometriche, alle lance, torciglioni e foglie, fino alle più complesse ramificazioni di edera, ricci, volute e rose. Nel lavoro si parte, quasi sempre, da un’asta di sezione rotonda, quadrata o rettangolare, in grandezze e spessori diverse.

Tuttavia, se ancora si parla di “ferro” battuto, oggi, si utilizza nella lavorazione l’acciaio forgiato a caldo. La modalità di battitura, rimane nel corso dell’intera lavorazione. L’acciaio adoperato in questa, nella storia, fu inventato, probabilmente, per caso, come sottoprodotto della produzione del rame. Nell’antichità, si partiva dai minerali di ferro, che venivano posti su un letto di carbone, in un forno, sigillato, così da raggiungere una maggiore temperatura nella cottura. Se ne otteneva un prodotto, denominato spugna di ferro, o blumo. Dopo l’estrazione esso veniva battuto, per liberarlo dalle impurità, ottenendone l’acciaio (da qui il termine ancora attuale di ferro battuto).

Il materiale oggi si chiama “acciaio dolce”, cioè, un metallo a basso contenuto di carbonio, che aveva come caratteristica d’essere duttile, quindi, congeniale per il lavoro del mastro ferraio ed al servizio della sua fantasia.
Per la sua creatività il mestiere ha ancora forti potenzialità artistiche e questo è dimostrato dalla stessa storia dell’arte.

 

ENCICLOPEDIA TRECCANI: IL FERRO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Con le mie mani io faccio il fabbro
Arte Ferro – Lavorazioni in ferro battuto

IL MESTIERE OGGI:
Le Straordinarie Macchine Per Il Ferro Battuto
Ferro Battuto – i segreti della lavorazione (by Mobilpro)

Immagine di copertinaParticolare di un manufatto in ferro battuto – estratta da Wikimedia Commons

 

Interazione digitale? C’è ancora molto da fare

 

Un po’ di numeri sul patrimonio culturale italiano. Sono dati ISTAT: 4.158 musei, gallerie o collezioni, 282 aree e parchi archeologici, 536 monumenti e complessi monumentali. Una ricchezza straordinaria, ma il 70% degli italiani non sa cosa sia. Oltre metà delle aree archeologiche è al Sud e un terzo si trova in Sicilia e Sardegna. La maggior parte dei musei espone collezioni di etnografia e antropologia, a ruota vengono arte antica, archeologia, storia. Ancora numeri? A differenza di altri Paesi, l’offerta museale italiana è costituita da un considerevole numero di strutture di piccole e piccolissime dimensioni. Tre istituti museali su quattro non registrano più di 10 mila ingressi l’anno e quelli con meno di 1.000 visitatori sono logicamente dotati di modeste risorse finanziarie e organizzative. La visibilità online riguarda il 57,4% delle istituzioni nazionali con un sito web dedicato. Solo il 40,5% ha un account su social media come Facebook, Twitter o Instragram. Eppure sono gratuiti. Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, in una indagine su 476 musei, dicono che c’è un netto ritardo sui servizi digitali per la fruizione delle opere online come cataloghi e visite virtuali. L’utilizzo onsite di QR-Code e sistemi di prossimità è a terra. La maggior parte di informazioni diffuse è di natura pubblicitaria: riguarda eventi, orari d’apertura e promozioni sugli ingressi. Al contrario ciò che tutti apprezzano sono più notizie sulle opere esposte o i racconti che ruotano intorno ad esse, sugli autori o sulle vicende storiche. Questa è la via più adeguata per riuscire a creare coinvolgimento. Non basta attrarre visitatori, ma occorre trovare la maniera per evidenziare in modo nuovo le opere in possesso. Come? diventando interpreti digitali del nostro patrimonio.

Pubblicato su Centonove-Press n. 20 – 18 maggio 2017

Da municipio a Reggia di Amsterdam 1/2

 

Ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, sulla piazza Dam, sorge il Palazzo Reale, detto anche “Municipio di Amsterdam”. Questo, infatti, venne costruito per la municipalità, per poi essere ristrutturato in residenza Reale. L’edificio, in effetti risale già al Trecento ed era in stile gotico. Poiché si logorò nel tempo, nel 1639, se ne intraprese la ristrutturazione.
Dopo la Guerra dei Trent’anni, con la Pace di Vestfalia (nel 1648), nacque la Repubblica delle Sette Province Unite che sanciva l’indipendenza dalla Spagna, dando origine così al “Secolo d’oro del Paesi Bassi. La costruzione del Palazzo Reale, quindi, segna e simboleggia questo “Secolo d’oro” storico

L’edificio
Il Palazzo è in stile barocco olandese e fu progettato dall’architetto Jacob van Campen (allora assai noto). La sua visione molto ampia lo portò a presentare un progetto grandioso, mai realizzato prima in Europa, e cioè un palazzo municipale enorme, che voleva simboleggiare una nuova grandezza di un impero, non più militare, ma commerciale. Nonostante qualche ritrosia ed un costo folle, l’edificio fu realizzato e fu definito l’Ottava meraviglia dell’epoca.
Ciononostante, a metà dell’opera, l’architetto ebbe dei dissapori con il Consiglio comunale. Fu pertanto rilevato dal compito e il progetto fu assegnato a Daniël Stalpaert. Nonostante il Palazzo non fosse ultimato, nel 1655, venne inaugurato con una grande festa. La costruzione dell’edificio, però, fu terminata nel 1665. La sua importanza simbolica era tale, che il poeta Joost van den Vondel vi compose sopra un poema. Alla sua ricchezza si deve invece il posizionamento sulla torre di un grande orologio con un carillon a 9 campane. Avvenne nel 1664, grazie al lavoro dei mastri campanai François e Pieter Hemony.

La lunga storia del Municipio di Amsterdam termina con la rivoluzione francese quando venne instaurata la Repubblica Batava. Nel 1808, però, Napoleone trasformò i Paesi Bassi in regno d’Olanda, che fu retto dal fratello minore Luigi Bonaparte. Questo si spostò all’Aia e poi a Utrecht. Infine si stabilì ad Amsterdam, dove si alloggiò nel municipio. Per portarlo a livello di residenza Reale fece iniziare la trasformazione dell’edificio. Vennero eseguite, soprattutto, modifiche interne. Così le gallerie furono divise in stanze, cambiò lo stile interno (in stile Impero) e aggiunti mobili nuovi dell’epoca. Poco dopo se ne stancò e trasformò il Palazzo in Museo Reale”. Nel 1810, con l’annessione dell’Olanda alla Francia, i lavori ripresero al Castello per trasformarlo, stavolta, in Palazzo imperiale. Uguale destino ebbero i Palazzi del Castello di Fontainebleau, di Laeken a Bruxelles e del Quirinale a Roma. La nuova Reggia olandese svolse, allora, il compito di residenza del governatore generale del paese.
Con la Battaglia di Lipsia, avvenuta nel 1813, i francesi furono scacciati e per breve tempo il Palazzo tornò ad essere un municipio. Il compito finì del tutto. nel 1815, con la Restaurazione, quando il re Guglielmo I dei Paesi Bassi tornò sul trono. Da qui l’appellativo di Palazzo Reale. Attualmente l’edificio è utilizzato dalla casata reale per i ricevimenti ufficiali ad Amsterdam.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: PAESI BASSI

VIDEO SULLA REGGIA DI AMSTERDAM:
Palazzo Reale, Amsterdam – dovevado.com
Documentario Amsterdam: [TOP 10] COSA VEDERE in un week end?

 

 

Thomas Edison

 

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Il Simbolismo: la psicanalisi, come nuova scienza

 

I grandi scopritori della Scienza hanno sempre saputo aprire nuovi campi scientifici ma anche, accettare, con essi, tutte le polemiche seguenti alle novità da loro introdotte.
Sigmund Freud, alla fine del XIX secolo, veniva visto con diffidenza negli ambienti scientifici della Vienna di allora. Molti furono, successivamente, i dissensi con lui e le sue teorie, e diversi
 gli indirizzi di pensiero alternativi che ne nacquero: di Adler, Jung ed altri. Ancora oggi le sue teorie sono al centro di accesi dibattiti e di infinite discussioni, questo perché Freud ha aperto tematiche dalle mille implicazioni, non solo nel campo medico-scientifico, ma anche accademico, letterario, filosofico e culturale in genere.

La sua teoria, non scientifica, si basa sull’inconscio e sugli influssi di questo con il comportamento ed il pensiero umano, e nella interazione e comunicazione con gli altri 
 individui.
Già, prima di lui, alcuni ricercatori come Josef Breuer e Jean-Martin Charcot avevano condotto studi sull’isteria, rilevando che questa derivava da un disturbo della psiche e non, come si credeva, da una simulazione dell’individuo. Freud, partendo da questa base, sviluppò alcuni principi basilari della psicoanalisi, legati al rapporto tra medico e paziente (la resistenza e il transfert) e sul metodo di indagine. Quest’ultimo, che finalmente dava all’analista degli “strumenti” per indagare sull’inconscio del paziente, si basava sull’analisi di associazioni libere, lapsus (da cui deriva il “lapsus freudiano”), atti involontari e l’interpretazione dei sogni.

Nel 1896 dopo 10 anni di esperienze nel settore della psicopatologia, in due pubblicazioni Freud usò il termine “psicoanalitico” per la prima volta. Col termine “psicoanalisi” egli intendeva un gruppo di concezioni psicologiche (teoria della psiche) basate su di un metodo per l’indagine di processi mentali, altrimenti inaccessibili, che fosse terapeutico in quanto finalizzato alla cura delle nevrosi.
La peculiarità, tuttavia, della teoria freudiana, l’impulso sessuale e le sue relazioni con l’inconscio, che Freud considerava il fulcro delle malattie psichiatriche, fu ritenuta eccessiva dagli allievi e colleghi, fu contestata e, come abbiamo detto, da questo ha dato luogo alla nascita di scuole scientifiche di diverso orientamento.
Sembra, infatti, dalla consueta storiografia della psicoanalisi, che in Europa le nuove teorie di Freud, basate sulla libido come pulsione principale, animalesca e primitiva, nella vita emotiva dell’uomo, ottennero un impatto assai duro. Lo si accusava principalmente di danneggiare la società mettendo a nudo indecenze e perversioni d’ogni genere. Ne sarebbe nata “una lotta” contro le scandalose nuove teorie. Lo stesso Jung uscì dalla struttura delle teorie freudiane, alla ricerca di motivazioni altre nell’analisi dell’inconscio, tanto che fu accusato in seguito da Freud di “codardia”.

Nei suoi ultimi anni Freud trattò tematiche particolarmente nuove come la dualità tra pulsione di vita e pulsione di morte (nel suo saggio Psicologia e Metapsicologia), cioè la lotta tutta interiore tra volontà alla vita e all’aggregazione e tra la volontà alla morte e alla disgregazione. In “Analisi terminabile e interminabile”, pose invece la questione della difficoltà a proseguire il lavoro psicoanalitico oltre un certo limite (il problema del “fondo roccioso della psicoanalisi”, come lo chiamava egli stesso). Il limite si incontra nell’affrontare l’aspetto biologico della divisione sessuale che, a sua volta, nasconde il lato sulla funzione adattativa-conservatrice della psicoanalisi.

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  PSICANALISI

VIDEO SU: PSICOTERAPIA
SINTESI di Freud e la nascita della psicoanalisi
Freud, il padre della psicoanalisi
Psicoterapia : perchè funziona
La mia esperienza con la psicoterapia

In copertina – Foto del lettino nello studio di Sigmund Freud – estratta da Wikimedia Commens

 

Il Simbolismo: nella musica, Giacomo Puccini

 

Giacomo Puccini era un grande già a partire dal nome. Si chiamava, infatti, per esteso: Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini. Visse a cavallo tra Ottocento e Novecento, dal 1858 al 1924. Fu spettatore e autore di un mondo che cambia, e lui con esso. Ha saputo divenire un grande del mondo operistico italiano e poiché, a quell’epoca, la musica lirica italiana era amatissima, lo è divenuto su tutto il mondo operistico.
Già a partire dalla sua giovinezza, si accostò alle tendenze dominanti, verista prima e dannunziana, poi. Ciononostante, nella sua carriera, non aderì mai completamente ad un movimento artistico, seguendo un’evoluzione attenta ma indipendente. Molti hanno difficoltà tuttora, a classificarlo con chiarezza. Non fu né un teorico, né un concertista, amava la realtà. Scrisse per il suo pubblico, ne curò gli allestimenti e spesso si recava dove sarebbe avvenuta la successiva messa in scena di una delle sue opere. Per cui, ogni suo lavoro otteneva il massimo del successo, sul pubblico, ma soprattutto sui direttori dei teatri lirici, lasciando loro opere perfette, ben controllate, limate e solo dopo presentate. Nonostante quello che si pensi, nella sua vita compose solo 12 opere, di cui tre fanno parte del veloce trittico. Ottenne il massimo da ciascuna e continua ancora a raccoglierlo, visto che le rappresentazioni di sue opere non sono mai cessate, e si svolgono con il massimo del gradimento.

Tuttavia, se era seguito fedelmente dal suo pubblico, non fu così con la critica musicale, soprattutto in Italia. Faticò molto ad essere benaccetto, con una dimostrazione di qualità, opera dopo opera. Ma non fu facile. L’ostilità nei suoi confronti si manifestò aspramente nei primi due decenni del Novecento. A contrastarlo vi fu la cosiddetta Generazione dell’Ottanta, ed in particolare il critico Fausto Torrefranca, amante di musica antica. Questi pubblicò su Puccini un libricino (Giacomo Puccini e l’opera internazionale), dove denunciava come spregevole e commerciale tutto il lavoro di Puccini ed additando l’orrore del melodramma. Torrefranca si dichiarò nostalgico dei tempi della musica strumentale. Nella sua critica egli afferma che Puccini “non riesce mai ad ampliare ciò che ha imparato dagli altri, ma se ne serve come di un “luogo comune” della musica moderna, consacrato dal successo e avvalorato dalla moda”. Così dicendo, però, Torrefranca attesta, implicitamente, il livello internazionale delle composizioni di Puccini. E lo conferma, viceversa, l’apprezzamento di musicisti a lui contemporanei, come Stravinskij, Schoenberg, Ravel e Webern. Infatti, da una parte il nazionalismo di Torrefranc e dall’altra abbiamo lo stile internazionale di Puccini, che finirà per trovare eco e conferma sulla scena mondiale. Tra i suoi massimi estimatori molti stranieri, ad esempio, il francese René Leibowitz e l’austriaco Mosco Carner.

I riferimenti
Ma quali erano i riferimenti musicali ed artistici, di un autore così ecclettico, come Puccini? Dal passato, riemerge il settecentesco Boccherini, a cui Puccini si ispirò per la sua opera Manon Lescaut, ambientata, infatti, un secolo prima. Tuttavia, nel campo musicale, l’autore più presente nella sua produzione, fu Richard Wagner. Sin da giovane Puccini non nascose la sua ammirazione per l’autore tedesco. A lui si rifece nei due saggi di Conservatorio (dal Lohengrin e Tannhäuser) e successivamente da studente acquistò lo spartito del Parsifal (dividendo le spese con Pietro Mascagni, suo amico di stanza).
A quel tempo, mentre gli altri discutevano su Wagner e la sua opera d’arte totale, Puccini (tra i primi estimatori in Italia) ne ammirava, soprattutto, il linguaggio armonico e la struttura narrativa delle opere. Prese a studiare ed analizzare attentamente la tecnica compositiva di Wagner, il suo uso dei Leitmotiv ed i legami tra di loro, in particolare nell’opera wagneriana di Tristano e Isotta. Così la flessibilità dell’opera del maestro tedesco, tra lirica e concertistica, molti critici hanno rilevato anche in Puccini, il doppio uso delle sue composizioni, traducibili in musica semplicemente orchestrale, in sinfonia.

Se Torrefranca fosse vissuto ora, si sarebbe sicuramente ricreduto sulle sue astiose opinioni. Alla luce della rivalutazione, d’oggi (pubblico e critica), rileverebbe quanto il genio di Puccini sta registrando negli ultimi decenni, del secolo scorso ed i primi del terzo millennio. Le meravigliose melodie pucciniane sono un’eredità preziosa quanto bellissima, di sicuro livello “internazionale”..

ENCICLOPEDIA TRECCANI:  GIACOMO PUCCINI

VIDEO SU GIACOMO PUCCINI
Giacomo Puccini – Frammenti di Vita
The Best of Puccini
LUCIANO PAVAROTTI: Nessun dorma! GIACOMO PUCCINI Turandot
Pavarotti- Tosca- E lucevan le stelle

In copertina – Ritratto fotografico di Giacomo Puccini – estratta da Wikimedia Commens