Camille Pissarro – Gelata bianca

Gelata bianca, 1873, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

Gelata bianca (Gelée blanche) è un dipinto olio su tela del pittore francese Camille Pissarro, realizzato nel 1873 e conservato al Museo d’Orsay di Parigi. Allontanandosi dai nozionismi aneddotici della pittura di paesaggio, in questo quadro Pissarro raffigura un mattino invernale. Il gelo intirizzisce il contadino, che si avventura per i campi con un fardello sulle spalle, e rende sordo il terreno. Il paesaggio raffigurato è in effetti greve, quasi opprimente, ed aleggia un’atmosfera stagnante, raggelante nella sua immobilità, che intorpidisce la mente e lo spirito: si ha persino la lugubre sensazione che nel paesaggio ritratto l’aria non circoli.

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Autoritratto, 1873, Museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Jacob Abraham Camille Pissarro (Charlotte Amalie, 10 luglio 1830 – Parigi, 13 novembre 1903) è stato un pittore francese, tra i maggiori esponenti dell’Impressionismo. Jacob Abraham Camille Pissarro nacque il 10 luglio 1830 a St. Thomas, nelle isole Antille, all’epoca note come Indie Occidentali: il padre, Frederick Pissarro, era francese con origini ebreo-portoghesi mentre la madre, Rachel Manzano, era una creola nativa dell’isola. Papà Frederick era giunto sull’isola alla ricerca di fortuna per succedere negli affari di uno zio defunto, il quale quand’era in vita era titolare di una piccola bottega. A dodici anni Pissarro, assecondando le volontà del padre, andò a studiare in Francia, nella scuola di un sobborgo parigino, Passy. Fu proprio grazie ai continui stimoli degli insegnanti di quest’istituto che Pissarro maturò una sincera passione per il disegno e la pittura, che ebbe modo di mettere a frutto quando diciassettenne fece ritorno alle Antille. La sua passione per le Belle Arti, tuttavia, fu fortemente ostacolata dal padre, che desiderava piuttosto che si avviasse alla carriera di merciaio, ritenendola meno azzardata sotto il profilo economico. Nonostante queste rilevanti difficoltà Pissarro non abbandonò mai le sue ambizioni pittoriche, che coltivava allorquando ne avesse l’opportunità.

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Se sai usarlo, anche WhatsApp è strumento di cultura

di Sergio Bertolami

Capita sempre più spesso che qualcuno mi chieda d’iscrivermi a uno dei gruppi nati sui social che vanno per la maggiore. Le relazioni oggi iniziano e si sviluppano, non più in una piazza cittadina, ma su WhatsApp, Facebook o Twitter. Da principio si mantengono gli assunti di base che hanno portato a costituire il gruppo, ma quando i componenti superano il “numero di Dunbar” la coesione comincia a incrinarsi. L’antropologo Robin Dunbar è attualmente alla guida di un team di ricerca sulle neuroscienze sociali ed evolutive dell’Università di Oxford. Il numero massimo di persone, che non bisognerebbe oltrepassare per mantenere relazioni stabili, è stato da lui fissato intorno ad una media di 150. Fino a cento contatti siamo ancora nell’ambito delle conoscenze private, superata questa soglia ci troviamo fra persone con le quali intratteniamo rapporti di lavoro; ancora oltre i rapporti divengono saltuari e occasionali. Questo, a mio avviso, può spiegare, in qualche modo, perché nei social network i gruppi numerosi possono diventare stucchevoli e irritanti. I componenti si conoscono sempre meno fra di loro e finiscono col non conoscersi affatto. Si accresce, pertanto, quella sorta di promozione personale che arriva all’esibizionismo: sopportarli è il prezzo da pagare se si vuole continuare a rimanere nel gruppo. Un prezzo che tuttavia potrebbe essere, sempre e comunque, vantaggioso.

Mi faceva notare un’amica che ognuno di noi legge in virtù delle proprie conoscenze. Alcuni tendono a percepire più di quanto è espresso in un testo, poiché attivano confronti e relazioni. Per altri può valere esattamente l’opposto, cioè non capiscono nulla di quanto leggono oppure tendono a travisarlo. Naturalmente questo vale pure per i social, anche perché queste letture sono colte al volo mentre si svolgono mille faccende. Nondimeno sono convinto che, se sai usarli bene, anche i social potrebbero essere strumenti di cultura. Infatti, nei giorni scorsi mi sono reso conto, in modo ancora più tangibile, che la cultura non è semplicemente il complesso delle conoscenze che abbiamo appreso attraverso lo studio e l’esperienza, ma anche la ricerca continua di allargare i propri limitati confini o il rielaborare quanto credevamo acquisito. Mi è bastato leggere in un post l’espressione “Sic est” per richiamare alla memoria un’affermazione di Seneca ben più incisiva. “Sic est, non muto sententiam”, che tradotto suona “è così, non cambio opinione”. Di primo acchito avrei postato l’espressione latina così com’era; ma ho pensato che sarebbe passata come una superflua e banale ostentazione linguistica. Tuttavia, ripescare nel mio passato, dal Libro I, la Lettera Decima che Seneca scrive al suo amico Lucilio è stata per me una letizia inaspettata. Lo dico col sorriso sulle labbra, perché vi assicuro che è insistente in me il desiderio di abbandonare specialmente WhatsApp, con tutti quei post di condiscendenze esagerate e ostentate, condivisioni, réclame autoreferenziali, idee fisse e ripetitive che qualcuno ha opportunamente definito pandemiche.

La lettera di Seneca parla vivaddio del valore che ha la solitudine. «Rifuggi dalla moltitudine, dai pochi, persino da uno solo», consiglia il filosofo all’amico. E gli racconta di quando Cratete di Tebe – nel suo vagare come un cane randagio, perché per lui la casa e la città si trovavano in ogni punto dell’universo – incontrò un ragazzo che se ne stava in disparte. Gli domandò cosa facesse lì tutto solo. «Parlo con me stesso», fu la risposta. E Cratete ribatté: «Fa’ molta attenzione, stai parlando con un cattivo individuo». Ognuno di noi sa bene che sovente chi si isola dagli altri rimugina pensieri tristi e melanconici. Solitamente, chiarisce Seneca, teniamo d’occhio chi è in preda al dolore e alla paura, perché non faccia uso cattivo della solitudine. Se è dissennato è bene che non sia lasciato solo con sé stesso: ora rimugina brutti propositi, ora manifesta sentimenti che prima nascondeva. Eppure, spiega Seneca a Lucilio, «non c’è nessuno con cui vorrei che tu avessi rapporti se non con te stesso». Oso addirittura affidarti proprio a te stesso. Vedi come ti stimo? Ripenso a quanta forza d’animo esprimi nelle tue parole; per questo mi sono subito rallegrato fra me e me e ho detto: «Queste frasi nascono dal cuore, non dalle labbra; costui non è uno dei tanti, mira al bene». E quale bene, Lucilio, bisognerebbe chiedere a Dio? «Chiedi l’integrità della mente, la salute dell’anima e infine quella del corpo».

Probabilmente nessuno si è curato di tradurre il testo originale latino che ho inserito su WhatsApp e che ora ho sintetizzato. Con certezza so che una sola persona del gruppo ha scoperto che si trattava di Seneca. Spesso metto alla prova i miei interlocutori con una sorta di esercizi iniziatici, ai quali sottopongo per primo me stesso. Esercizi di concentrazione e di riflessione. In questo caso occorreva che, spontaneamente, qualcuno manifestasse la volontà di scoprire l’autore e quale messaggio volesse trasmettere. Non ho messo nel mio post l’ultima parte della lettera. Era mio desiderio che il lettore scoprisse il “piccolo dono” che Seneca spedisce al suo amico Lucilio. Lo ha trovato nelle pagine di Atenodoro. «Sappi che sarai libero da ogni passione, quando arriverai al punto di chiedere a Dio solo ciò che puoi chiedere davanti a tutti». Invece, come sono stolti gli uomini, commenta Seneca: quando parlano a Dio gli si rivolgono sottovoce; se qualcuno li ascolta, tacciono, e quello che non vogliono che gli uomini sappiano lo raccontano a Dio. «Vedi, dunque, se non è utile questo insegnamento: vivi in mezzo agli uomini come se Dio ti vedesse e parla con lui come se gli uomini ti udissero. Stammi bene». Amici miei, questi sono i messaggi che hanno oltrepassato la profondità del tempo. Non sono figurine trovate su Google.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Thomas Ulrich da Pixabay

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Édouard Manet – Corse a Longchamp

Corse a Longchamp, 1867, Art Institute of Chicago, Chicago

IL DIPINTO

Corse a Longchamp (Les Courses à Longchamp) è un dipinto a olio su tela del pittore francese Édouard Manet, realizzato nel 1867 e conservato all’Art Institute of Chicago. L’opera presenta decise tangenze con l’œuvre di Edgar Degas, altro pittore che si ispirava alla vita quotidiana dei suoi contemporanei mostrando una naturale predilezione per le corse di cavalli, svago divertente eppure caduco nella sua rapidità. I campi da corsa si snodavano lungo il Bois de Boulogne, alla periferia occidentale di Parigi, ed erano un luogo di socializzazione molto alla moda. Non solo il soggetto del dipinto è moderno, bensì anche il suo formato compositivo. Il punto di vista di Manet, infatti, non appartiene alla folla, individuata oltre le staccionate nella sua palpitante festosità, bensì a un personaggio collocato idealmente nel bel mezzo della pista.

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Édouard Manet, ritratto da Henri Fantin-Latour, 1867, Art Institute of Chicago, Chigago, Illinois, Stati Uniti

L’ARTISTA

Édouard Manet (Parigi, 23 gennaio 1832 – Parigi, 30 aprile 1883) è stato un pittore francese, considerato il maggiore interprete della pittura pre-impressionista. Édouard Manet nacque il 23 gennaio 1832 in un lussuoso hôtel particulier al n. 5 di rue des Petits Augustins (l’odierna rue Bonaparte), a Parigi, in una famiglia colta e benestante. Il padre, Auguste Manet (1797-1862), era un alto funzionario del ministero della Giustizia, mentre la madre, Eugénie-Desirée Fournier (1811-1895), era la figlia di un diplomatico di stanza a Stoccolma (i due si erano sposati il 18 gennaio 1831, un anno prima della nascita di Édouard, che fu il loro primogenito). Manet, in ogni caso, avrà anche due fratelli minori, Eugène (1833) e Gustave (1835). Pur abitando praticamente di fronte all’École des Beaux-Arts, tempio dell’arte ufficiale, papà Auguste disprezzava la pittura e fece di tutto per ostacolare la vocazione del figlio. Fu così che, dopo aver studiato per qualche anno all’Institut Poiloup di Vaugirard, nel 1844 il giovane Édouard venne accompagnato al prestigioso collegio Rollin, dove conobbe Antonin Proust. Fra i due nacque subito un’amicizia destinata a perdurare profonda e a dar luogo anche a una feconda passione artistica, coltivata da entrambi con assidue visite al museo del Louvre, che scoprirono grazie a Edouard Fournier. Fournier era uno zio materno di Manet che, resosi conto delle attitudini del nipote, fece di tutto per incoraggiarle: fu in questo modo, in effetti, che il giovane Édouard ampliò i propri orizzonti figurativi, coltivando assiduamente il disegno mediante la copia dei grandi maestri del passato, come Goya, Greco e Velázquez, tra gli autori più autorevoli presenti nel museo spagnolo di Luigi Filippo al Louvre.

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Brescia: Il nuovo programma d’iniziative per la celebrazione della vittoria alata

BRESCIA AUTUNNO 2020
IL NUOVO PROGRAMMA D’INIZIATIVE PER
LA CELEBRAZIONE DELLA VITTORIA ALATA

Il ritorno in città di una delle più straordinarie statue di epoca romana sarà per Brescia uno dei simboli che guiderà la rinascita dopo l‘emergenza Coronavirus.

Vista dell’interno della cella orientale (modello)

Il viaggio della Vittoria Alata verso Brescia non si è interrotto ma è solamente posticipato.
Allo stesso modo, a causa della grave situazione epidemiologica, tutte le iniziative progettate dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei per celebrare il ritorno di una delle più straordinarie statue di epoca romana, inizialmente previste da questa primavera, sono state necessariamente riprogrammate, a partire da settembre 2020.

“In attesa del ritorno della Vittoria Alata”, dichiara Francesca Bazoli, presidente di Fondazione Brescia Musei, “i nostri musei sono pronti a riaprire per contribuire alla ripartenza della città e del suo tessuto, sociale e culturale, nella consapevolezza che il complesso momento che stiamo vivendo possa essere occasione per pensare a nuove modalità di fruizione del patrimonio artistico, in grado di portare persino ad un arricchimento della qualità dell’esperienza di una visita museale.”

“Il ritorno della Vittoria Alata”, afferma Stefano Karadjov, direttore di Fondazione Brescia Musei, “ovvero uno dei simboli più alti della città di Brescia tanto severamente colpita dalla epidemia, diventerà per la nostra città un segno tangibile della rinascita e un auspicio per la ripresa. Il lavoro sul palinsesto Vittoria Alata non si è mai interrotto e la riapertura dei Musei lascia ben sperare sulla rinascita che il ritorno della Dea alata promuoverà”.

Questa rinascita è sottolineata dalle campagne promozionali promosse in occasione della riapertura di due luoghi simbolo della città come Santa Giulia e la Pinacoteca Tosio Martinengo. Con i messaggi “Dove eravamo rimasti”, “L’avventura continua” e “Come prima, più di prima”, i musei accoglieranno i visitatori all’insegna della sicurezza e di una rinnovata proposta espositiva.

I luoghi che da giovedì 21 maggio riapriranno al pubblico saranno dunque la Pinacoteca Tosio Martinengo e il Museo di Santa Giulia, nel totale rispetto delle norme emanate a tutela della sicurezza e della salute di tutti e di conseguenza con nuove modalità.

In particolare l’affluenza sarà regolata secondo visite programmate di piccoli gruppi, alle quali si potrà partecipare su prenotazione e presentandosi nella fascia oraria prescelta. Le visite saranno inoltre accompagnate da operatori museali che garantiranno l’ottimale distanziamento tra i partecipanti e il necessario supporto informativo.

Dal 21 maggio, fino a fine settembre, gli orari verranno inoltre sostanzialmente rimodulati rispetto alle consuetudini passate, così da adeguarsi alle mutate esigenze. L’assenza dei gruppi e delle scolaresche che popolavano i musei in orario diurno infrasettimanale, ad esempio, offrirà ai bresciani e al turismo interregionale nuove occasioni di intrattenimento non aggregativo serale e nei fine settimana. Per queste ragioni la Pinacoteca Tosio Martinengo e il Museo di Santa Giulia apriranno il giovedì e il venerdì dalle 18 alle 22 (ultimo ingresso alle 20.15), e il sabato, la domenica e i festivi dalle 10 alle 21.30 (ultimo ingresso alle 19.45).

Fondamentale ricordare che per accedere alle visite programmate sarà necessario prenotarsi. Allo scopo saranno disponibili il CUP della Fondazione, 0302977833.34 – santagiulia@bresciamusei.com, e il sito www.bresciamusei.com

La Vittoria Alata sarà ufficialmente restituita a Brescia a novembre 2020.  Proprio in questi giorni si stanno facendo tutte le verifiche necessarie per la ripresa delle attività di restauro nel rispetto delle misure di sicurezza e di distanziamento. La statua tornerà in città dopo quasi due anni di lavori di restauro, promossi dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei, con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Provincie di Bergamo e Brescia, e condotti dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.

Trenta sono i professionisti che a vario titolo, ciascuno con la propria specializzazione, sono stati impegnati nelle numerose attività di conoscenza e di conservazione del bronzo. Gli interventi si sono concentrati dapprima sulla pulitura della scultura, quindi sulla rimozione controllata dei materiali che riempivano la statua e della struttura interna a cui si agganciavano le ali e le braccia della Vittoria, sulla progettazione del sostegno interno a garanzia della statica del bronzo, e sulla stesura di un materiale protettivo, scelto anche in base alle caratteristiche dell’ambiente espositivo. Durante questo periodo, sono stati condotti studi, indagini scientifiche ed esami volti a una conoscenza più approfondita della tecnologia di costruzione e non solo.

La grande statua in bronzo, amata da Giosuè Carducci che la celebrò nell’ode Alla Vittoria, ammirata da Gabriele d’Annunzio e da Napoleone III che ne vollero una copia, che per composizione, materiale e conservazione è una delle opere più importanti della romanità, avrà una nuova collocazione nella cella orientale del Capitolium, in un allestimento museale curato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg.

È proprio presso il Capitolium che nel 1826, durante gli scavi archeologici condotti dai membri dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, venne ritrovata all’interno di un’intercapedine dell’antico tempio romano, insieme a sei teste imperiali e ad altri reperti, forse per preservarla da eventuali distruzioni.

La scultura, realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa, è databile al I secolo dopo Cristo, ispirata a modelli più antichi.

Da venerdì 18 settembre Brescia proporrà, come anticipazione dell’arrivo della Vittoria Alata, alcune iniziative tra cui la mostra-omaggio all’architetto Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939), autore dell’intervento del riallestimento della Vittoria Alata nel Capitolium.

La rassegna, in programma fino al 5 aprile 2021, dal titolo Juan Navarro Baldeweg. Architettura, pittura, scultura. In un campo di energia e processo, curata da Pierre-Alain Croset, ospitata nel Museo di Santa Giulia (Coro delle Monache, Basilica di San Salvatore e cripta), col patrocinio dell’Ambasciata di Spagna a Roma e dell’Ordine degli architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Brescia, presenterà una serie di opere – modelli e disegni dei suoi progetti più importanti, grandi tele e sculture – che ripercorrono la poliedrica carriera di Navarro Baldeweg, come architetto, pittore e scultore, e che consentono di cogliere le interazioni e le connessioni tra le varie arti.

A seguire, dal 2 ottobre, in occasione del quinto centenario della morte di Raffaello (1483-1520), in Santa Giulia verrà proposta la mostra Raffaello: alle origini del mito, curata da Roberta D’Adda, dedicata all’artista urbinate con opere in grado di testimoniare lo sviluppo della fortuna dei suoi modelli nelle arti e presso i collezionisti, nonché la nascita di un vero e proprio ‘mito del divino pittore’, che raggiunse il suo massimo sviluppo nel XIX secolo, nel contesto della temperie culturale neoclassica prima e romantica poi.

Il percorso espositivo si aprirà con una serie di incisioni uscite direttamente dalla bottega di Raffaello grazie alla collaborazione con Marcantonio Raimondi (1480-1534), spesso ispirate a disegni appositamente pensati dal maestro o a versioni poco conosciute dei suoi capolavori più noti: tra le invenzioni affidate al bulino di Raimondi e dei suoi collaboratori si segnalano in particolare la celebre Strage degli innocenti e uno straordinario esemplare del Giudizio di Paride. A seguire, la mostra presenterà una ricca selezione delle stampe di riproduzione, italiane ed europee, che fiorirono tra il Cinquecento e l’Ottocento a opera dei più grandi artisti di questa disciplina, quali Ugo da Carpi, Giorgio Ghisi, Carlo Maratta, Francesco Rosaspina e Giovanni Volpato, con la straordinaria serie dei grandi fogli delle Stanze Vaticane e dei Pilastri delle Logge. La sezione riservata all’Ottocento si concentra infine su Brescia, dove attraverso una fitta rete di rapporti interpersonali giungevano esemplari in prima tiratura delle più importanti incisioni di Giuseppe Longhi e dei suoi allievi della scuola di Brera, e dove intorno al Redentore di Raffaello, acquistato nel 1821 da Paolo Tosio, si raccolse e si sviluppò un nuovo interesse per il maestro.

Le ali della Vittoria si estendono fino alla contemporaneità e sono state d’ispirazione a Francesco Vezzoli, bresciano di nascita, uno degli autori italiani più conosciuti e apprezzati del panorama artistico internazionale.

Per il ritorno della statua, Francesco Vezzoli ha progettato degli interventi curatoriali, radunati attorno al titolo di Palcoscenici archeologici, da gennaio 2021, capaci d’instaurare una relazione tra le sue sculture, il sito archeologico di Brescia romana e il Museo di Santa Giulia.

Le opere condurranno lo spettatore dalla terrazza del Capitolium alla Basilica di San Salvatore, lungo un percorso cronologico che dal I secolo dopo Cristo giunge all’VIII secolo, tra cultura romana e longobarda.

Nella primavera 2021, la Fondazione Brescia Musei e il Comune di Brescia presenteranno, per la prima volta in Italia, 150 immagini, alcune di grande formato, tratte dal lavoro monumentale IMPERIVM ROMANVM di Alfred Seiland, (Sankt Michael im Lungau, Austria, 1952) di cui 30 inedite e 10 scattate a Brescia tra agosto 2019 e marzo 2020, che colgono il patrimonio antico della città in diverse stagioni e situazioni e ne documentano il valore monumentale e sociale, accompagnate dai video backstage del progetto.

L’artista austriaco, affascinato dalle scenografie cinematografiche dell’antica Roma, allestite a Cinecittà, ha viaggiato nei territori in cui si estendeva l’Impero Romano, dalla Siria alla Scozia, fermando sulla pellicola le diverse sfumature di interazione tra uomo e rovine.

L’esposizione, dal titolo Alfred Seiland. IMPERIVM ROMANVM. Fotografie 2005-2020, curata da Filippo Maggia e Francesca Morandini, organizzata da Fondazione Brescia Musei in co-produzione con Skira, prevedrà per Brescia un percorso totalmente nuovo rispetto a quanto proposto nelle altre sedi europee, ripensato sulla base delle diverse percezioni del significato di “patrimonio” e arricchito da scatti inediti. I monumenti dell’Impero romano, diffusi in Europa e lungo il bacino del Mediterraneo, costituiscono per gli abitanti un’abitudine visiva, per i turisti un feticcio, per le infrastrutture un ostacolo; l’obbiettivo di Seiland offre una riflessione sempre attuale e spesso sorprendente.

L’iniziativa anticiperà la quarta edizione del Brescia Photo Festival, diretto da Renato Corsini, che si terrà sempre nel corso della primavera e il cui titolo Patrimoni, sottolinea il valore culturale, archeologico, storico e sociale dei beni culturali, dall’antichità romana alla contemporaneità.

A settembre 2021, Fondazione Brescia Musei in collaborazione con Skira promuove la grande mostra Vittoria. Il lungo viaggio di un mito al Museo di Santa Giulia.

L’esposizione, curata da Marcello Barbanera, Francesca Morandini e Valerio Terraroli approfondirà il tema della Vittoria, indagandone storia, aspetti e declinazioni anche nell’età moderna e contemporanea, attraverso una serie di opere antiche provenienti dall’area del Mediterraneo e dalle zone più periferiche dell’Impero romano in grado di delineare la genesi iconografica di questo straordinario modello, che ancora non trova confronti specifici.

Le sezioni che compongono il percorso permetteranno ai visitatori di effettuare un viaggio nel tempo di 2.500 anni sulle ali appunto della Vittoria, attraverso la vista di reperti inediti e inconsueti, garantendo un’esperienza che cambierà radicalmente la percezione che finora si è avuta di questo simbolo e che permetterà di cogliere con maggiore ricchezza di sfaccettature il significato della Vittoria Alata, simbolo della città.

L’identità visiva studiata per la comunicazione del grande progetto culturale dedicato alla Vittoria Alata e alla città di Brescia è stata realizzata da Tassinari/Vetta, uno dei più importanti studi grafici in Italia.

IMMAGINE DI APERTURA – Home del sito http://www.vittorialatabrescia.it/

Edgar Degas – Cavalli da corsa davanti alle tribune

Cavalli da corsa davanti alle tribune, 1866-1868, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

Cavalli da corsa davanti alle tribune (Le défilé) è un dipinto del pittore francese Edgar Degas, realizzato nel 1866-68 e conservato al Musée d’Orsay di Parigi. Con il proprio pennello Degas si proponeva di cogliere instancabilmente l’autentico significato della vita contemporanea, sulla scia di quanto prescriveva Édouard Manet, vero e proprio catalizzatore del gruppo impressionista. Il tema dell’ippodromo con i cavalli, in effetti, era uno dei preferiti dall’artista, che vi individuava un pretesto ideale per studiare le forme e il movimento. Pur subendo il fascino delle foto di azione di Eadweard Muybridge, tuttavia, Degas non poneva mai l’accento sulla corsa vera e propria, bensì preferiva coglierne i momenti relativamente più tranquilli.

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Autoritratto, museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Hilaire German Edgar Degas (Parigi, 19 luglio 1834 – Parigi, 27 settembre 1917) è stato un pittore e scultore francese. Edgar Degas proveniva, dal lato paterno, da una famiglia nobile e illustre: i De Gas: era questa l’ortografia originale del cognome, che si rintraccia anche in alcuni documenti cinquecenteschi anche come «De Gast» e «De Guast». I De Gas erano una nobile famiglia della Linguadoca i cui membri erano cavalieri del prestigioso ordine degli Orleans, donde l’istrice al centro del loro stemma nobiliare. In virtù di questa affiliazione si stabilirono a Meung, nella provincia dell’Orleans, dove nacque René Hilaire, nonno del pittore.

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Piacenza, Palazzo Farnese: Il nuovo allestimento della collezione di ceramiche

PIACENZA
SABATO 13 GIUGNO 2020 RIAPRONO I MUSEI DI PALAZZO FARNESE
Il nuovo allestimento della collezione di ceramiche

Bacile, Parma, Real Fabbrica della Maiolica e Vetri, terzo quarto XVIII secolo, maiolica, Musei Civici di Palazzo Farnese, Piacenza

Dopo la pausa forzata legata all’emergenza Coronavirus, sabato 13 giugno 2020 il nuovo allestimento della “sezione ceramiche” della collezione dei Musei Civici di Palazzo Farnese è nuovamente aperto al pubblico.

In occasione di Piacenza 2020, il calendario di eventi culturali, promosso dal Comune di Piacenza, dalla Fondazione Piacenza e Vigevano, dalla Diocesi Piacenza-Bobbio, dalla Camera di Commercio di Piacenza, alcune delle sezioni più importanti del museo piacentino si mostreranno al pubblico con un allestimento totalmente rinnovato che consentirà di apprezzare la qualità dei capolavori in esso conservati.

Prima in ordine di tempo a essere inaugurata, è stata la Sezione Ceramiche che, da sabato 30 novembre 2019, propone un nuovo percorso espositivo, realizzato sotto la direzione scientifica di Antonella Gigli, con il contributo dell’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, composto da 250 pezzi, alcuni già appartenenti alla collezione storica delle ceramiche dei musei civici, altri giunti dalla donazione Besner-Decca, che presenta un consistente nucleo di maioliche lombarde settecentesche, in particolare delle fabbriche milanesi e lodigiane, di provenienza estera, soprattutto tedesca e austriaca, oltre a numerose porcellane europee e cinesi.

All’interno delle stanze dell’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese s’incontrano splendidi esempi realizzati a Venezia, Nove di Bassano, Albisola, Faenza, Milano, Lodi, Pavia, Castelli d’Abruzzo, Urbania, Pesaro, e oggetti ritrovati negli scavi effettuati in città e nel territorio comunale (di proprietà statale in deposito ai musei civici), che forniscono interessanti spunti per la ricostruzione di un profilo della produzione ceramica nel territorio piacentino tra il XVI e il XVIII secolo.

Tra i capolavori, si segnalano i due piatti in maiolica color del mare lumeggiate in oro con lo stemma dinastico dipinto al centro, provenienti dal servizio da tavola del Gran Cardinale, Alessandro Farnese, nipote di Papa Paolo III. Il servizio, originariamente composto da centinaia di pezzi, tra piatti, zuppiere, alzate, rinfrescatoi e contenitori vari, imbandiva quotidianamente sontuose tavole, in linea con il gusto di una nobiltà raffinata e aggiornata alla moda rinascimentale.

IMMAGINE DI APERTURA – Musei civici di Palazzo Farnese – Piacenza – sala delle ceramiche – Foto Mauro Del Papa

Edgar Degas – La famiglia Bellelli

La famiglia Bellelli, 1858-1867, Museo d’Orsay, Parigi

IL DIPINTO

La famiglia Bellelli (La famille Bellelli) è un dipinto a olio su tela (200×250 cm) di Edgar Degas, databile al 1858-1867 e conservato al Musée d’Orsay di Parigi. Una volta compiuti ventidue anni il giovane artista Edgar Degas scelse di coronare la dura attività di studio compiuta in Francia con un viaggio di formazione in Italia. A Firenze Degas fu ospite dalla zia paterna, unita in matrimonio con il barone Gennaro Bellelli. Già dal 1858 il pittore stava meditando sulla composizione di un quadro da realizzare per omaggiare la generosità dei Bellelli. Lo sappiamo grazie alla fitta corrispondenza epistolare che Auguste De Gas intrattiene con il figlio, cui confidò: «Cominci un così grande quadro il 29 dicembre e credi di averlo finito il 28 febbraio. Ne dubitiamo moltissimo: infine se ho un consiglio da darti è di farlo con calma e pazienza, perché altrimenti rischieresti di non portarlo a termine e di dare a tuo zio Bellelli un giusto motivo di scontentezza» (Auguste De Gas).

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Autoritratto, museo d’Orsay, Parigi

L’ARTISTA

Hilaire German Edgar Degas (Parigi, 19 luglio 1834 – Parigi, 27 settembre 1917) è stato un pittore e scultore francese. Edgar Degas proveniva, dal lato paterno, da una famiglia nobile e illustre: i De Gas: era questa l’ortografia originale del cognome, che si rintraccia anche in alcuni documenti cinquecenteschi anche come «De Gast» e «De Guast». I De Gas erano una nobile famiglia della Linguadoca i cui membri erano cavalieri del prestigioso ordine degli Orleans, donde l’istrice al centro del loro stemma nobiliare. In virtù di questa affiliazione si stabilirono a Meung, nella provincia dell’Orleans, dove nacque René Hilaire, nonno del pittore.

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Le Passeggiate del Direttore: Il papiro dello sciopero

Cosa c’è di meglio di una web serie per tenervi compagnia? A grande richiesta, vi presentiamo LE PASSEGGIATE DEL DIRETTORE, la prima stagione di una serie firmata dal Museo Egizio, un viaggio nella storia suddiviso in brevi episodi. 

Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo, a livello mondiale, interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. Nel 2004 il ministero dei beni culturali l’ha affidato in gestione alla “Fondazione Museo Egizio di Torino”. Nel 2019 il museo ha fatto registrare 853 320 visitatori, risultando il sesto museo italiano più visitato. Nel 2017 i Premi Travellers’ Choice di TripAdvisor classificano l’Egizio al primo posto tra i musei più apprezzati in Italia, al nono in Europa e al quattordicesimo nel mondo.
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Le Passeggiate del Direttore: Il papiro dello sciopero

IMMAGINE DI APERTURA – Ingresso del museo egizio, Torino (Fonte Wikipedia)

Scrivere un libro (e farselo pubblicare veramente)

Come si sceglie il titolo di un romanzo di successo? In che modo si cattura l’interesse del lettore fin dalle prime pagine? Come si trasforma una bella storia in un bestseller? Sono alcune delle domande a cui vuole rispondere questo libro, nato dall’esperienza di IoScrittore, l’unico torneo letterario gratuito promosso da un grande gruppo editoriale e dai suoi editor. La sua formula, particolarmente originale, prevede che i partecipanti siano investiti del doppio ruolo di scrittore e di critico.

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IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Mote Oo Education da Pixabay