Primo piano Argomenti Schede Anteprime Editoriali
 
 
 
 
   
 
 

 
 
 
       CATALOGO DEI PRODOTTI
 
 

Sommario

 

LA SICILIA DEL CINQUECENTO

  

   Recensione

  

   Riassunto del libro

  

   Intervista all'autore

  

   Biografia

  

   L'Inquisizione
   spagnola

  

   Messina nel
   Cinquecento

  

   Un invito a pranzo

  

   Un Menù
   cinquecentesco

  

   Un rompicapo
   divertente
 
 
 

 

 

 
 
 
 
   



 

 
 
L'arte magica di Pellegrina si confonde con l'arte tessile di suo marito, il setaiolo Vitello. Sullo sfondo una Messina  esportatrice di ricche mercanzie nei lucrosi mercati del Nord Europa.
 
 
Domina nocturna - il riassunto
 

 

 

La storia prende l’avvio quando, una dopo l’altra, cinque bizzoche si presentano ai giudici del Santo Tribunale dell’Inquisizione per denunciare Pellegrina Vitello come magara, ovvero come strega. La Corte è presieduta da  Monsignor Bartholomeo Sebastiàn, Vescovo di Patti, che dal 1546 al 1555 ha ricoperto la carica d’Inquisitore Generale di Sicilia. Svolge la sua “santissima missione contro gli eretici come censore del Regno”. E’ stato  inviato nell’Isola direttamente dall’Imperatore Carlo V, non solo per contribuire a fortificare la fede cattolica, ma anche per imporre le regole del Governo Spagnolo.

 Pellegrina si trova alla presenza dell’Inquisitore. Racconta le sfortunate vicende che l’hanno portata a Messina a causa di un rovescio fortuna del marito setaiolo, il quale una volta giunto in città l’abbandona per un'altra donna. Gli inquirenti sostengono di avere informazioni su fatti che Pellegrina non ha confessato. Dicono che in diverse occasioni ha operato molte fatture ed invocato i demoni. Pellegrina nega, ma in effetti le testimonianze più compromettenti l’accusano di aver fornito un pane magico per evitare che un martoriato potesse confessare, di essere capace di cadere in trance nel guardare una caraffa piena d’acqua, nella quale galleggiano strane cose nere che paiono demoni.

Le viene fatta la prima di tre ammonizioni, poi è condotta in carcere.  Anche un apprendista setaiolo che ha lavorato nella bottega di Nardo Vitello, marito di Pellegrina, per un segreto desiderio sessuale insoddisfatto  denuncia Pellegrina. Racconta come la magara prepari sortilegi. La produzione della seta coinvolge in effetti interi strati di popolazione, indaffarata a coltivare la materia prima, poi a filarla, a tesserla, ed in ultimo a tingerla e ricamarla.

Per proteggerne il ciclo lavorativo fino alla sua conclusione si usano nel contempo pratiche religiose ed accorgimenti legati alla superstizione. Perciò, anche in questo caso maghi e magare sono integrati nell’ambiente della comunità,  per fare o disfare sortilegi.

Dopo quattordici giorni di cella, Pellegrina si decide a confessare. Fa il nome della sua complice, una greca di nome Catharina, che confeziona gli amuleti per nasconderli nelle case. Pellegrina informata li trova. Le due donne si spartiscono il compenso. Ma da tempo il sodalizio è stato interrotto.

Pellegrina parla anche di un venditore di ceste che insiste perché guardi dentro uno strano disegno che chiama “gruppo di Salomone”. I giudici non sono soddisfatti e intimano a pellegrina la seconda ammonizione ed è condotta di nuovo in carcere.

 In effetti, analizzando il testo processuale è possibile dimostrare che a partire dall’anno 1549 l’attività di magara si rafforza, lasciando i piccoli espedienti che interessano poco o nulla l’Inquisitore, per concentrarsi sulla divinazione in estasi.  Per dimostrare ciò, Don Sebastiàn procede ad un confronto fra Pellegrina e due venditori di ceste, suoi clienti, i quali affermano che la magara, anche in questa occasione, ha saputo indicare chi  avesse rubato un prezioso anello e dove lo avesse nascosto.

 Le sequenza delle testimonianze - ben undici, contro la media di sei dei processi inquisitoriali -  finalmente si conclude. Per ultimo si riporta lo stralcio tratto da un altro processo, intentato contro una donna, che, da altro documento ritrovato, sappiamo che  sarà anche lei condannata  per stregoneria nello stesso atto di fede del 12 maggio 1555.

 Cosa vuole dimostrare Don Sebastiàn, per condannare Pellegrina? I segni che sa decifrare in uno specchio o in una caraffa non possono essere di origine divina, ma unicamente opera del demonio. All’accusata viene ingiunto, per la terza ed ultima volta, di confessare tutta la verità: se si dimostra assennata, si userà con lei misericordia, altrimenti si farà giustizia. Pellegrina ammette i reati meno gravi e nega tutto il resto, per non essere compromessa. A sorpresa Pellegrina sceglie di rimettersi al volere della Corte, pur di ottenere misericordia. La corte, al contrario, decide di sottoporre l’imputata alla tortura della corda. Per tre volte nell’arco di mezz’ora, viene lasciata cadere violentemente. Pellegrina geme, prega, ma non confessa.

L’udienza è terminata e la Corte emette  la sentenza finale.

 Nel solenne autodafè celebrato il 12 maggio 1555 nella piazza grande della Cattedrale di Messina vediamo sfilare una trentina di penitenti. Si emette la condanna al rogo di un luterano, già riconciliato, ma recidivo. Si seguono le sorti di undici streghe, di un nutrito gruppo di bigami e bestemmiatori. Assistiamo al pronunciamento pubblico della sentenza contro Pellegrina.

   
 
   
   
 
  HOME  
 

 
 

È vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi media, di testi ed immagini, la cui proprietà intellettuale appartiene ai rispettivi autori.

 

   
 
     
 
Experiences S.r.l. - Servizi per la promozione e lo sviluppo di attività culturali e ambientali - Copyright © 2004-2008. Tutti i diritti riservati - E-mail: info@experiences.it - Schermo 1024 x 768