Come in ogni cucina
tradizionale anche in quella siciliana si può distinguere schematicamente una cucina dei
ricchi o baronale, e una cucina popolare, entrambe si innestano in un contesto complesso
che affonda le sue radici nelle varie dominazioni che si sono succedute nell'isola. Così
la sobrietà di alcuni cibi ci riporta all'antichità classica, ai greci ed al romani e
alle tradizioni del mondo contadino che ad essi si sono ispirati, sono in questo senso da
ricordare le tipiche focacce ragusane, le scacciate catanesi o le scacce modicae, che
nacquero come forme schiacciate di pane, che con il passare del tempo sono state
arricchite con ripieni di verdure e formaggi.
Di contro invece in altre zone dell'isola
dove più dirette furono le influenze arabe, spagnole, e francesi ritroviamo soprattutto
nelle tavole dei nobili una cucina ricca ed elaborata, Palermo ad esempio in quanto
capitale è stata da sempre sede dei governanti di Sicilia e e quindi Emiri, Re Normanni, Viceré Borboni, Spagnoli, Francesi, ,da questo la necessità dei cuochi di trasformare
cibi poveri ed essenziali in pietanze ricche e sfarzose. Al monsù signore indiscusso
delle cucine baronali, spettava dare l'impronta di eleganza ed originalità ad ogni
piatto, ed è infatti la sua fantasia che trasforma il riso in tonde "arancine"
dorate, gli ortaggi in stuzzicanti pasticci come la "caponata" o la
"frittella".
Essenzialmente però la cucina siciliana è una cucina povera, che
ha come caratteristica il piatto unico che si avvale di un elemento base come la pasta, il
pane arricchito con condimenti vari, ed è qui nel pane condito che probabilmente si deve
cercare il passaggio che porta alle focacce, alle scacciate, alle pizze, ai calzoni che
poi sfociano nella grande rosticceria siciliana. I pasticci di pasta di pane e formaggio,
parenti diretti delle attuali scacciate alla siciliana, sono ad esempio molto antichi e
infatti come afferma P. Correnti, nel Vocabolarium latinum dellabate
benedettino Angelo Seniso del 1348 troviamo un pasticcio di pane e formaggio col nome di
pasteda (lat arthocrca) anche nel vocabolario latino-sicilianospagnolo dello Scobar
composto fra il 1519 e il 1520 si trova questa vivanda col nome di pasticza è
citata solo nella parte spagnola, per cui pur esistendo non era ancora entrata a far parte
del lessico siciliano.
Il nome di mpanata invece derivante dallo spagnolo empanadilla diviene comune in Sicilia intorno alla seconda metà del 700 come attesta il
vocabolario siciliano etimologico del 1785, per indicare la mpanata si usa anche il
diminutivo 'mpanatigghia, invece con variazione della lavorazione, dell'impasto, della
farcia e del luogo in cui tradizionalmente si preparano abbiamo la nfigghiulata, la
fuazza, il pastizzu, la ravazzata, la scacciata, lo sfinciuni.
Tra le mpanatigghie, a parte quella ragusana, nissena e ionica che si
preparano per il Natale, abbiamo la mpanatigghia palermitana, che si può
considerare in un certo senso una variante del "pasticcio di sostanza" e tale si
può considerare anche la 'nfigghiulata di Rosolini, che si distingue per la
tecnica dellagnutticamentu, cioè del ripiegamento su se stessa, ciò consente di
variare il gusto del ripieno nei vari strati sicché alla fine si otterrà un filone molto
sostanzioso e appetitoso, che raffreddato può anche essere tagliato trasversalmente in
pezzi compatti.
Un'altra mpanata tipica del ragusano è il cudduruni un
sostanzioso piatto contadino che però rappresentava anche un lusso, anche qui il
condimento interno può variare, ma non mancano mai il formaggio, tuma o caciocavallo e le
verdure. Una caratteristica ricetta siciliana è anche "la pizza fritta' o calzone
siciliano, che è presente tutt'oggi nelle rosticcerie e di cui non si è persa
l'abitudine di cucinarla anche nelle nostre case con qualche variante, nel messinese in
particolare esso prende il nome di "pitone". Nelle "guastedderie"
palermitane invece, oltre appunto alle guastedde sopracitate, ritroviamo ancora oggi
"u sfinciuni" che è l'attuale focaccia di rosticceria, esso deriva dal
più antico "sfinciuni di San Vito" che prende il nome dal monastero in
cui esso ha avuto origine, quest'ultimo appare più elaborato e sostanzioso soprattutto
per la presenza della polpa di maiale e della salsiccia.
Sempre nelle guastedderie
palermitane troviamo le rinomate panelle un piatto povero fatto di farina di ceci
che a volte si suole accompagnare con il pane (pane e panelle ) e ancora oggi ritroviamo u
pani ca' meusa, il pane con la milza, anchesso un cibo tradizionale il cui uso
si è ben conservato, nel museo etnografico G. Pitrè infatti un giocattolo rappresenta un
bancarella portatile del venditore ambulanti di pane e milza risalente probabilmente alla
fine dell'ottocento. |
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