Per il turista occidentale l’Uzbekistan è un luogo esotico, solcato dalla Via della Seta, popolato da leggende e meraviglie, ricondotte a mitiche città, come Samarcanda, Bukhara e Khiva, oltre naturalmente alla capitale, Tashkent. Da qualche anno a questo racconto si è aggiunta una tappa ulteriore: la città di Nukus, caratterizzata da uno dei più grandiosi e importanti e sconosciuti musei del pianeta: il Museo Statale delle Arti del Karakalpakstan, intitolato a I.V. Savickij, definito dal quotidiano inglese “The Guardian” come “il Louvre del deserto”.
UZBEKISTAN: l’Avanguardia nel deserto La Forma e il Simbolo Venezia, Ca’ Foscari Esposizioni 17 aprile – 8 settembre 2024 Progetto espositivo a cura di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri |
A Venezia, in Ca’ Foscari Esposizioni, la grande mostra “Uzbekistan. L’Avanguardia del deserto” offre il privilegio di poter ammirare per la prima volta, in Occidente, una sequenza di fondamentali testimonianze dell’arte uzbeka concesse dal Museo di Tashkent e da quello di Nukus. Emblemi della rinascita culturale del moderno Uzbekistan.
Il museo di Nukus è stato creato nel 1966 e nei suoi appena sessant’anni di storia è diventato una delle maggiori raccolte d’arte del cuore dell’Asia. La potente crescita del Museo ha trascinato quella della città, che da trascurabile insediamento nel deserto si è trasformata in una città di oltre 300 mila abitanti ed è diventata una delle mete imperdibili del turismo culturale internazionale.
Il primo nucleo dell’attuale museo è frutto delle campagne di ricerca condotte Igor’ Savickij, intellettuale, archeologo, studioso inviato da Mosca con l’obiettivo di portare il nuovo dell’arte sovietica in questi territori all’epoca periferici. Alle ricerche delle testimonianze dalla millenaria necropoli di Mizdakhan, Savickij ha unito la ricerca e salvaguardia delle testimonianze delle antiche manifatture, soprattutto tessili, del territorio. Reperti che andavano ad aggiungersi a molte altre migliaia di dipinti e opere su carta di artisti di diversa sensibilità, di somigliante formazione e di varia provenienza (uzbeki, kazaki, turkmeni, tagiki, russi, armeni, georgiani, ucraini).
Questi artisti furono, tra 1910 e 1940, i protagonisti di una stagione che Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, curatori della doppia mostra, definiscono come quella della “Avanguardia Orientalis”.
In questo “deserto della memoria” Savickij ha saputo rilevare una fitta mappa di contiguità e di relazioni (espressive, stilistiche, biografiche, professionali) tra quegli interpreti; sapendo riunire un tesoro che è il frutto di una delle imprese più leggendarie dell’intera storia del Cultural Heritage mondiale. Tesori di questi magici luoghi ma anche tesori dell’Avanguardia “russa” qui giunti a modello, una raccolta seconda in termini di quantità solo a quella del Museo Russo di San Pietroburgo”.
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