L’interazione tra arte, industria e artigianato al Deutscher Werkbund di Colonia

di Sergio Bertolami

39 – La ricerca di uno stile contemporaneo nel disegno per l’industria

Il discorso di Loos, chiuso su sé stesso, non poteva portare a soluzioni concrete. Era troppo semplicistico affermare: «Dato che l’ornamento non ha più alcun rapporto organico con la nostra civiltà, esso non ne è più neppure l’espressione. L’ornamento realizzato oggigiorno non ha nessun rapporto con noi, non ha in genere nessun rapporto con gli uomini, nessun rapporto con l’ordine del mondo. Esso non è suscettibile di sviluppo. […] L’ornamento moderno non ha predecessori, né ha discendenza, non ha un passato né avrà un futuro». La realtà è che Loos confondeva la superata ornamentazione col nascente design, come poteva essere quello della Weiner Werkstatte, che Loos detestava largamente, ma che Josef Hoffmann e Koloman Moser, dal 1903, avevano portato al successo. Il 5 e 6 ottobre del 1907 – ovvero l’anno prima che Loos cominciasse a diffondere le idee di Ornamento e delitto – nasceva a Monaco il Werkbund tedesco, nel 1910 quello austriaco e nel 1913 il Werkbund svizzero. Tutte associazioni decise ad arricchire la ricerca artistica con l’intento di migliorare proprio il design e, con questo, la qualità del prodotto industriale.

Il perfezionamento del lavoro commerciale nell’interazione tra arte, industria e artigianato – Trattative del Werkbund tedesco a Monaco l’11 e 12 luglio 1908

Abbiamo già visto – nel corso della nostra passeggiata sull’arte del Novecento – come il movimento Arts and Crafts chiedesse che ogni minimo oggetto, «ogni sedia, ogni tavolo e ogni letto, ogni cucchiaio, ogni brocca e ogni bicchiere [dovesse] essere reinventato» ma pur sempre prodotto dalle mani di un uomo. Ovviamente, il movimento di John Ruskin e William Morris era consapevole di non poter fermare la meccanizzazione e il progresso industriale, per questo s’era orientato in gran parte d’Europa verso nuove forme artistiche che hanno dato spazio alla nascente Art Nouveau. In Germania le teorie riformatrici fin dall’inizio si sono, invece, legate alle idee economiche del governo e alla volontà di contribuire allo sviluppo dell’industria. In tal senso l’associazione più nota che ha implementato il nuovo orientamento è stato il Deutscher Werkbund (Lega tedesca artigiani), fondato nel 1907 come Associazione all’avanguardia di artisti visivi, architetti, industriali, uomini d’affari e scrittori. In verità l’idea organizzativa era nata già sul finire del secolo precedente, imbastita a Monaco di Baviera nel 1898 nella Vereinigte Werkstätten für Kunst im Handwerk (Laboratori uniti per arti e mestieri). L’obiettivo era quello di dare uno stile contemporaneo e innovativo a tutti gli oggetti della vita quotidiana, come tavoli e sedie, stoviglie e altro ancora. La ricerca, ad ampio spettro, comincerà ad interessare dapprima le abitazioni, per passare successivamente alla vita moderna nella sua totalità.

Hotel Vier Jahreszeiten Munich

Su iniziativa di Hermann Muthesius, Friedrich Naumann e Henry van de Velde, facendo seguito ad un appello di dodici artisti e dodici industriali, un centinaio di stimati artisti, industriali e operatori culturali il 5 ottobre 1907 s’incontrarono all’Hotel Vier Jahreszeiten di Monaco per istituire una nuova coalizione che ponesse il prodotto del proprio lavoro al centro di ogni attenzione. Tra gli iniziatori c’erano personaggi noti, ma anche coloro fino ad allora meno conosciuti. Tra gli architetti e gli artisti troviamo Peter Behrens (1868-1940), Theodor Fischer (1862-1938), Josef Hoffmann (1870-1956), Josef Olbrich (1867-1968), Bruno Paul (1874-1968), Richard Riemerschmid (1868-1957), Fritz Schumacher (1869-1947). Tra le principali industrie spiccavano, fra le altre, la fabbrica di posate Peter Bruckmann a Heilbronn, i laboratori tedeschi di artigianato a Dresda (poi Deutsche Werkstätten Hellerau), l’editore Eugen Diederichs a Jena, la fonderia di caratteri Gebrüder Klingspor a Offenbach, la tipografia di libri Poeschel & Trepte a Lipsia e la Wiener Werkstätten. Come primo presidente fu eletto l’architetto di Stoccarda Theodor Fischer e Karl Schmidt fu la personalità più rilevante dal punto di vista imprenditoriale. Gli iniziali fondatori, che includevano 12 artisti e 12 aziende, a marzo del 1912 erano saliti a 1.312 membri e nell’estate del 1914 a 1.870.

Manifesto per la mostra del Deutscher Werkbund del 1914 a Colonia. Disegno di Peter Behrens

A grandi passi si era arrivati alla “Prima mostra tedesca del Werkbund” (1914) a Colonia. La mostra fu fortemente voluta dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer – che nel secondo dopoguerra sarà uno dei padri fondatori della Comunità europea – allora di 36 anni, membro del Werkbund e politico a Colonia. La città spese per l’evento la strepitosa somma di 5 milioni di marchi. La pianificazione fu messa a punto nel 1912, mentre i lavori edilizi cominciarono all’inizio del 1914. La mostra fu aperta al pubblico da van de Velde il 16 maggio 1914. Una cinquantina erano i padiglioni espositivi. A Peter Behrens, Walter Gropius, Bruno Taut e Henry van de Velde erano state affidate le costruzioni in muratura di particolare importanza. L’edificio più ricordato è quello di Bruno Taut, con la sua cupola prismatica del Glaspavillon (padiglione di vetro), rimasta nell’immaginario degli architetti dell’epoca. Walter Gropius e Adolf Meyer concentrarono la progettazione su di una fabbrica modello, così come Henri van de Velde concepì un Teatro modello. Peter Behrens realizzò la Festhalle (salone delle feste) ed Hermann Muthesius la Casa dei colori.

Pianta generale della mostra del Deutscher Werkbund a Colonia, 1914,
ad opera dell’architetto-urbanista Carl Rehorst .

La mostra non intendeva puntare ad un ritorno finanziario, quanto adempiere ad un compito culturale. Carl Rehorst, considerato un popolare urbanista e carismatico architetto dalle idee innovative, nel catalogo ufficiale della mostra sottolineava: «Per la prima volta, si è tentato di portare l’obiettivo del Deutscher Werkbund a realizzare una nobilitazione del lavoro commerciale e industriale tedesco grazie alla collaborazione fra gli artisti, attraverso una mostra rivolta alla moltitudine più ampia della nostra gente […] Nuovi pensieri devono costituire la sua base, il suo programma, il suo aspetto esteriore ridisegnato a modo. Il contenuto offerto al visitatore dovrà fare recepire nuovi stimoli». I lavori e i progetti incontrarono il largo favore pubblico e grande influenza si riverberò in Europa. Si calcola che allo scoppio della guerra, la mostra del Werkbund avesse attirato oltre un milione di visitatori. Tutto questo per la qualità delle esposizioni. Nella sala principale, ad esempio, alcuni pezzi unici, selezionati tra le vecchie e le nuove realizzazioni, erano posti in mostra come indicatori della produzione commerciale in atto.

Cartolina Colonia sul Reno, mostra Deutsche Werkbund 1914, panorama della città e dell’area espositiva

A tal proposito il mensile olandese Elsevier’s Geïllustreerd Maandschrift scriveva: «La Germania si è mossa negli ultimi anni nel campo dell’artigianato con nota energia». Elsevier’s è stata la principale rivista olandese di riflessioni sulla letteratura e le arti visive. Non è che uno dei molteplici periodici culturali europei di ampio pubblico che si possono addurre ad esempio. Scorriamone alcuni passaggi essenziali: «L’artigianato tedesco, in generale, non si è limitato al lavoro di pochi individui, ma ha coinvolto l’intera industria. Con la sua istituzione, il Werkbund ha cercato il contatto tra artisti e industriali, ha dato ai primi l’opportunità di realizzare i propri pensieri, ha portato i secondi a vedere che la loro attività poteva e doveva essere migliorata a un piano estetico più elevato; mentre nel contempo si è ottenuto che il pubblico fosse interessato allo sviluppo delle arti e dei mestieri attuali. Inoltre, la collaborazione dell’industriale e dell’artista ha portato all’artigianato esteso anche a quello che può essere fatto a macchina e che può così essere offerto alla portata di moltissimi».

Raccolta della rivista mensile illustrata Elsevier’s,
volume 24/volume 48, 1914

Il successo dell’iniziativa tedesca valicava, dunque, gli ambiti nazionali e persuadeva l’Europa sulle strade da intraprendere. D’altra parte, il programma del Werkbund era chiaro più che mai: «Lo scopo della Federazione è il perfezionamento del lavoro commerciale nell’interazione tra arte, industria e artigianato attraverso l’istruzione, la propaganda e una dichiarazione unificata su questioni rilevanti». Era dunque possibile dimostrare fattivamente e non solo sul piano teorico che la collaborazione tra artisti moderni e imprenditori progressisti non solo avrebbe innalzato il livello dei prodotti manifatturieri tedeschi, ma avrebbe anche reso più umano il processo di produzione. «Con grande perseveranza – continuava l’articolo di Elsevier’s – la Germania ha lavorato in modo tale da rendere popolare l’artigianato giovane e fiorente; al che bisogna aggiungere che la riorganizzazione delle varie scuole di arti e mestieri, passate sotto la direzione dei più eminenti artisti del movimento, non solo è stata una buona idea del governo, ma non ha mancato di esercitare la sua influenza. E l’influenza già emanata da quelle scuole è molto evidente, di conseguenza, in molti rami dell’industria, dove sta emergendo una direzione precisa che punta a nuove forme, nuove applicazioni, nuovi modi di far conoscere i prodotti al pubblico, nuovi modi di esporre, confezionare, annunciare. E quello che si vede da tutto ciò, non solo è fresco e buono, ma è “finito”, curato nei minimi dettagli, pensato, insomma è ottimo».

Bruno Taut, Glashaus-Pavillon, Kölner Werkbundausstellung, 1914

Come, d’altra parte, indicavano gli ordinamenti del Deutscher Werkbund, il focus principale era incentrato su tre attività. In primis la propaganda per gli obiettivi dell’associazione, quindi l’educazione del pubblico ed infine la riforma estetica. Fino al 1914, infatti, ogni azione predisposta dal Werkbund aveva scopo propagandistico. Il solo annuario pubblicato dal 1912 aveva raddoppiato la tiratura a 10.000 copie nel 1914 e la prefazione al catalogo ufficiale di Carl Rehorst chiariva, come s’è visto, gli obiettivi della stessa mostra. Tutto ciò, però, non bastava, perché anche svolgere un’educazione artistica era una necessità impellente: «In nessun momento in Germania l’educazione artistica è stata così importante come lo è oggi». In modo particolare, si puntava ad orientare il gusto del pubblico riguardo ad un’arte “buona”, prendendo le distanze da quella “cattiva”. Anzi, occorreva insegnare alle persone come distinguere da sole l’arte “cattiva” dalla “buona”. L’aspetto educativo era considerato, in effetti, particolarmente importante, poiché la produzione industriale incontrollata aveva dato origine al fenomeno del cosiddetto kitsch, cioè tutti quegli oggetti artistici di massa in realtà banali e di pessimo gusto. Basti l’esempio del lucidante per scarpe, marchiato “Crema degli eroi tedeschi”, immesso sul mercato nel 1914 allo scoppio del conflitto. «Finalmente – si poteva leggere riguardo al Werkbund – per la prima volta, si è cercato anche di mantenere una mostra libera da tutti quegli oggetti inferiori, invadenti e sfacciatamente offerti che così spesso hanno quasi sopraffatto quelli buoni veramente». E come contrappunto a questo “kitsch”, veniva portato ad esempio un “servizio da pranzo” di Henry van de Velde realizzato nel 1903.

Van de Velde propone la sedia individuale, Muthesius propone la sedia tipo e il falegname costruisce la sedia per sedersi. Disegno satirico di Karl Arnolds sulla controversia del congresso del Deutscher Werkbund apparso su Simplicissimus del 3 agosto 1914

La terza attività principale, menzionata negli ordinamenti del Werkbund, era la riforma estetica stessa. Col principio che «Bisogna abolire la differenza tra realtà e apparenza», si faceva un salto di qualità, voltando definitivamente le spalle alle vecchie concezioni. Nello storicismo la decorazione enfatizzava gli oggetti. Fino ad allora i prodotti, anche quelli di comune utilizzo, soddisfacevano la cultura della perenne imitazione di una classe superiore aristocratica alla quale teoricamente si doveva aspirare di appartenere. Finora la Nazione era rappresentata da un imperatore che, attraverso l’arte nazionale ufficiale, riprendeva antiche tradizioni. Ma se è vero, com’è vero, che i governanti sentivano il bisogno di esibire al mondo esterno il loro potere in manifestazioni fastose e rappresentative, ciò non poteva più interessare sia gli acquirenti della classe media istruita, sia la nuova classe media industriale o imprenditoriale. Per il Werkbund gli oggetti avrebbero dovuto essere disadorni nella forma, e sviluppare qualità funzionali e pratiche, in opposizione alla falsa estetica del lusso.

Hermann Muthesius e la moglie Anna bevono il tè, intorno al 1900
Peter Behrens, Teiera elettrica componibile in differenti varanti

Come attuare questo nuovo approccio culturale in linea con i tempi correnti? Sin dalla fondazione dell’associazione, le posizioni, seppure in un clima di apertura e pluralismo, furono molteplici e dissonanti fino ad esplodere nello scontro aperto fra Muthesius e van de Velde. In occasione del congresso annuale del Werkbund tenuto una settimana prima dell’apertura della mostra nella stessa Monaco, nel corso della sua prolusione Muthesius ripartisce il futuro lavoro dell’associazione in dieci tesi. A suo avviso sono le direttrici per il futuro. L’opposizione del gruppo degli artisti, capitanati da van de Velde, non manca a farsi sentire. Muthesius riesce, comunque, a raggiungere un compromesso, evitando non solo i rischi di una spaccatura, ma la mancata apertura della mostra, un evento talmente importante nello sviluppo dell’architettura moderna e del design industriale, che avrebbe compromesso l’evoluzione futura verso la creazione del Bauhaus. Infatti, la mostra aperta a maggio avrebbe dovuto protrarsi fino ad ottobre, ma venne bruscamente chiusa.

Dopo la dichiarazione di guerra del 31 luglio 1914 e la successiva mobilitazione, anche a Colonia furono chiusi tutti i luoghi di intrattenimento, i teatri e i musei. Un ultimo reportage sulla mostra del Werkbund è apparso sul Kölnische Zeitung il 6 agosto ed anche il quotidiano sospende le pubblicazioni. Per il Deutscher Werkbund e per gli espositori, la chiusura significò un contraccolpo finanziario. Tutti i padiglioni furono immediatamente rimossi e l’area espositiva, accanto alla stazione Deutz, messa a disposizione delle autorità per l’acquartieramento delle truppe e la disposizione dei servizi medici. Raccontano le cronache che la Festhalle di Peter Behrens venne utilizzata per il ricovero del bestiame e il Werkbundtheater di van de Velde come magazzino di fieno e paglia. La casa di vetro di Taut fu oggetto di tiro al bersaglio. Fra il 1915 e il 1920, tutti gli edifici espositivi, ad eccezione della casa da tè di Wilhelm Kreis, furono demoliti.

HERMANN MUTHESIUS

LE DIECI TESI

1. L’architettura, e con essa l’intera area delle attività del Werkbund, è incalzante verso la standardizzazione, e solo attraverso la standardizzazione può recuperare il significato universale che le era caratteristico ai tempi della cultura armonica.

2. Solo con la standardizzazione, intesa come risultato di una sana concentrazione, il buon gusto universalmente valido e affidabile può ritrovare un accesso.

3. Fino al raggiungimento di un livello di gusto elevato e generale, non possiamo aspettarci un’effettiva diffusione delle arti e dei mestieri tedeschi a livello internazionale.

4. Il mondo richiederà i nostri prodotti solo quando parleranno in uno stile espressivo convincente. I principi fondamentali per questo sono stati stabiliti dal governo tedesco.

5. Lo sviluppo creativo di quanto già realizzato è il compito più urgente del nostro tempo. Il successo finale del movimento dipenderà da questo. Qualsiasi ricaduta e deterioramento verso l’imitazione significherà oggi il degrado di qualsiasi immobile di pregio.

6. Partendo dalla convinzione che affidarsi sempre di più alla sua produzione sia una questione vitale per la Germania, il Deutcher Werkbund, in quanto associazione di artisti, industriali e commercianti, deve indirizzare la sua attenzione a creare le condizioni per un’arte industriale da esportare.

7. I progressi della Germania nelle arti applicate e nell’architettura dovrebbero essere portati avanti. Il modo più ovvio per farlo è raccomandare la realizzazione di periodici illustrati e mostre.

8. Le mostre del Deutcher Werkbund hanno senso solo se sono radicalmente circoscritte alla produzione migliore e più ammirevole. Esibizione artistica e commercio con l’estero devono essere considerati come una questione nazionale e quindi necessitano di sovvenzioni pubbliche.

9. Per qualsiasi esportazione, presenza aziendale potente e su larga scala e di buon gusto, sono dei prerequisiti. Neppure le esigenze interne potrebbero essere soddisfatte da un oggetto disegnato da un artista isolato.

10. Per ragioni nazionali, le grandi imprese di trasporto e distribuzione, le cui attività sono dirette all’estero, devono aderire al nuovo movimento, ora che ha mostrato i suoi frutti e rappresenta con coscienza l’arte tedesca nel mondo.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Adolf Loos: “L’ornamento non soltanto è opera di delinquenti, ma è esso stesso un delitto”

di Sergio Bertolami

38 – Il saggio alle origini del modernismo

Mi riesce difficile commentare di Adolf Loos il testo più significativo: Ornamento e delitto (Ornament und Verbrechen). Non perché dica cose che non condivida nella loro essenza, ma perché le dice in modo così sconclusionato che meraviglia come abbiano fatto presa. Loos era un (simpatico) polemista, un litigioso che sapeva dare spettacolo come tanti protagonisti dei salotti televisivi di oggi. Tornato dagli Stati Uniti, era ancora alla ricerca di un proprio spazio, all’interno dei circoli intellettuali viennesi, e di un linguaggio espressivo che definirà col tempo. Li troverà sparando a zero contro gli amici di un tempo. A cominciare da Josef Hoffmann, compagno di liceo a Igiau, che aveva creato la Wiener Werkstaette e che della Secessione era uno dei protagonisti di primo piano. Eppure, qualcuno rammenterà che proprio sulla rivista simbolo della Secessione, Ver Sacrum – il nome aveva lo scopo di illustrare il nuovo stile, giovane e fiorito; un modo diverso per declinare l’Art Nouveau – Loos aveva pubblicato due articoli sullo storicismo dell’architettura della Ringstrasse. In verità, il giovane architetto sperava di suscitare l’attenzione del contesto al quale si rivolgeva. Ambiva ad essere incaricato per la progettazione del tempio sacro dello Jugendstil, quel palazzo che in Olbrich trovò, invece, il suo realizzatore. Con quel palazzo era stata posta la prima pietra per innescare la lite contro i migliori allievi e collaboratori del già famoso Otto Wagner. «Ma dove sono mai oggi i lavori di Otto Eckmann? Dove saranno tra dieci anni le opere di Olbrich?» si domandava Loos con livore proprio su Ornamento e delitto. Con questo saggio aveva trovato la materia del contendere e aveva qualcosa, da pari suo, per contribuire a demolire la seduzione delle arti applicate, che altri diligentemente stavano tentando di rinnovare. L’ornamento è superato diceva Loos. L’ornamento è un residuo di epoche passate, è destinato immancabilmente a sparire col progresso della civiltà. Prima gridava, poi si lamentava di rimanere inascoltato: «Guardate, il momento si approssima, il compimento ci attende. Presto le vie delle città risplenderanno come bianche muraglie! Come Sion, la città santa, la capitale del cielo. Allora sarà il compimento. Ma taluni uccelli del malaugurio non hanno potuto sopportare tutto questo. L’umanità doveva continuare ancora per lungo tempo ad ansimare nella schiavitù dell’ornamento».

Recente edizione tedesca di
Ornament und verbrechen

Che strano: la casa sulla Michaelerplatz – sottolineata col nome di Looshaus, la casa di Loos – è tutt’altro che priva di ornamenti. Fa parte di quell’atteggiamento al quale accennavo: sconclusionato e contraddittorio. Loos diffonde degli assiomi: «Io ho scoperto e donato al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso. Credevo di portare con questo nuova gioia nel mondo, ma esso non me ne è stato grato. Tutti ne sono stati tristi e hanno chinato il capo. Provavano un senso di oppressione di fronte all’idea che non si possa più produrre un ornamento nuovo». Eppure, nel palazzo sulla Michaelerplatz, proprio lui indica un nuovo ornamento modernista dato dai materiali pregiati: marmo screziato, legni venati, metalli e vetri lucidi. Nel 1909, un concorso di architettura, che non portò alla selezione di alcun vincitore, fece sì che Leopold Goldmann affidasse ad Adolf Loos l’incarico di erigere un edificio per aprire un elegante negozio di abbigliamento maschile della sua ditta Goldman & Salatsch.

Looshaus in Michaelerplatz, Vienna

Loos pensò di evidenziare la parte commerciale, con marmo cipollino e colonne tuscaniche ispirate alla città storica, da quella meramente residenziale lasciata disadorna. Scrive Loos in Parole nel vuoto: «Ciò che a me premeva era di separare nettamente nell’edificio la parte commerciale e gli appartamenti. Ho sempre avuto l’illusione di avere risolto questo problema nel senso dei nostri vecchi maestri viennesi. E questa illusione mi è stata confermata da quanto mi disse un artista moderno mio nemico: vuol essere moderno e costruisce una casa come le vecchie case viennesi!». Naturalmente l’edificio creò scandalo. Ciò che, però, occorre considerare è che quei rivestimenti marmorei e quelle colonne, inspiegabilmente, Loos non li considerava falsi e bugiardi quanto gli ornamenti utilizzati dai secessionisti e dalla Wiener Werkstaette. Bisogna, infatti, ricordare che Loos era figlio di uno scalpellino che non si limitava a sbozzare la pietra, ma la scolpiva. Da suo padre aveva ereditato il talento artistico e da quei marmi per tutta l’infanzia aveva assorbito conoscenze. Molte sono le ville e i palazzi innalzati da Loos, che, imbiancati di calce all’esterno, sfoggiano all’interno pregiati marmi venati, motivi ornamentali come solo la natura sa creare e un architetto di gusto sa accostare.  

Recente edizione italiana di “Parole nel Vuoto”, Adelphi 2016

In tutto c’è un prima e c’è un dopo. Già Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc si domandava: «Una concezione architettonica comporta una sua decorazione, oppure l’architetto fa ricorso alla decorazione quando la composizione dell’edificio è conclusa? In altri termini: la decorazione è parte integrante dell’edificio o è solo un vestito più o meno vuoto con il quale lo si copre quando le sue forme sono ormai stabilite?». Il dopo potrebbe essere sintetizzato nelle parole di Le Corbusier che entusiasta proclamava: «L’arte decorativa moderna non comporta nessun tipo di decorazione», che detto in questi termini è sicuramente paradossale, e aggiungeva: «Loos è passato con la scopa sotto i nostri piedi e ha fatto una pulizia omerica, esatta, sia filosofica che lirica».

In realtà quell’ornamento che Loos considera azzerato nei fatti, aprirà una discussione su problemi che il nascente Movimento moderno metterà a tacere, passando un colpo a pavimento con la scopa di Le Corbusier e di tanti altri protagonisti. In modo evidente, il rifiuto dell’ornamento non comprendeva per Loos il ricorso ai motivi tratti dalla naturalezza delle pietre e dei marmi. Le sue invettive contro l’ornamento erano indirizzate a contrastare la degenerazione di soluzioni socialmente insopportabili, diventate il simbolo di una classe sociale decadente, come la borghesia. Questo ornamento borghese era qualcosa di posticcio, una eccedenza rispetto alla struttura dell’oggetto, tanto da poterlo paragonare ad una maschera. La domanda alla quale altri hanno avuto il dovere di rispondere è questa: all’interno dell’arte, esiste o no uno spazio per una nuova sperimentazione sull’ornamento? In verità Loos stava lottando, con le sole forze che disponeva, per un proprio ideale di bellezza. Probabilmente non campava pretese; ma a posteriori è stato fatto diventare il profeta dell’architettura moderna: l’equivalente di un «Gesù Nazareno Re dei Giudei» (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) pietra fondante di un Cristianesimo tutto da inventare. Ne consegue che Loos è oggi ricordato più per il suo saggio sull’Ornamento, anziché per il tentativo di razionalizzare lo spazio interno degli edifici, identificato come Raumplan (piano spaziale). Intuizione ben maggiore. Attraverso un insieme di piani sfalsati, Loos compirà infatti i primi passi per rompere la meccanica sovrapposizione della struttura edilizia degli alloggi e garantire ad ogni stanza un’altezza funzionalmente idonea, attraverso la combinata rappresentazione di pianta e sezione.

Il Raumplan di Villa Mueller (Praga, 1930) permette di organizzare su piani separati lo spazio in una sequenza di zone a gradini dove l’altezza del soffitto è in relazione alle differenti funzioni

Ornamento e delitto rimane comunque il più celebre saggio di Loos, che invero ha scritto di tutto: come vestirsi, come arredare la propria casa, cosa mangiare, come comportarsi in società, come tagliarsi i capelli. Il testo viene iniziato nel 1908, anno della prima Kunstschau, quale abbozzo per una serie di conferenze, di cui innanzitutto quella all’Akademischer Verband für Literatur und Musik del 1910 a Vienna. Compare poi nel 1912 pubblicato dalla rivista Der Sturm e nel 1913 su Les Cahiers d’aujourd’hui in francese. Una notorietà che gli fa assumere la risonanza di un manifesto. Pur tuttavia, quello di Loos più che un programma culturale costituisce un vero e proprio pamphlet col quale prendeva posizione contro l’intera società, su svariate problematiche di stretta attualità che, a suo avviso, sarebbero connesse con l’ornamento paragonato ad una azione criminosa. Gli esempi che porta a sostegno delle sue motivazioni sono alquanti vacui e discutibili, dando per scontato ciò che non lo è affatto. Motivazioni estetiche, per cui l’ornamento maschera la dimensione utilitaria degli oggetti d’uso e degli spazi da abitare. Motivazioni sociali, perché l’ornamento esige un aumento dei tempi di lavorazione. Motivazioni economiche, perché il maggiore costo di produzione è scaricato sui lavoratori, che ricevono salari inadeguati.

Da sinistra: Adolf Loos, Karl Kraus, Herwarth Walden

Benché il testo sia reperibile su internet, in lingua originale o in traduzione italiana, pochissimi lo hanno letto integralmente oppure, come spesso accade, hanno accentrato il proprio interesse sui saggi dei commentatori che lo presentano. Sin dal titolo dato a questo scritto, Ornamento e delitto (Ornament und Verbrechen), si dimostra la virulenta radicalità con cui Loos esporrà le sue tesi. Non è assolutamente un testo criptico dal momento che i concetti sono delineati in modo semplice e comprensibile. Il problema è che Loos non riesce ad approfondire alcun assunto di base. Emerge già dalle prime righe come la sua vis polemica lo porti a ribaltare l’ottica dei suoi contemporanei. Non solo quella dei fautori di un classicismo che lui stesso non ha del tutto abbandonato – come quelle colonne tuscaniche della Looshaus – ma persino le tesi delle avanguardie espressioniste. Queste ultime cercano nelle isole lontane lo stato della purezza originaria alla quale aspirare, mentre lui, che accetta l’ornamento solo nei primitivi, lo considera simbolo di arretratezza perché primitivo. Chi, al tempo della modernità, continua ad utilizzare qualunque forma di ornamentazione o è un delinquente o è un degenerato. Leggere le prime battute fornisce l’idea di come delle valide intuizioni di base siano espresse in modo del tutto fuorviante. A questo punto, vi consiglio di leggere tutto, per avere la cognizione particolareggiata del contenuto: «Il Papua copre di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, in breve ogni cosa che trovi a portata di mano. Non è un delinquente. Ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un degenerato. Vi sono prigioni dove l’ottanta per cento dei detenuti è tatuato. Gli individui tatuati che non sono in prigione sono delinquenti latenti o aristocratici degenerati. Se avviene che un uomo tatuato muoia in libertà, significa semplicemente che è morto qualche anno prima di aver potuto compiere il proprio delitto». Il resto leggetelo voi; io l’ho fatto più di una volta e non sono riuscito a trovare cosa ci sia veramente di criminoso nell’ornamento. Ma, come spesso accade, non è Loos che pecca nel dire ciò che onestamente pensa, ma coloro che nel Movimento moderno si dimostreranno più realisti del re.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Adolf Loos: ciò che ha scritto e costruito era esattamente quello che pensava

di Sergio Bertolami

37 – L’architetto precursore del Movimento moderno

L’amico architetto di Oskar Kokoschka, Adolf Loos – Dolfi come lo chiamavano familiarmente – non è soltanto il sacro autore di Ornamento e delitto (1908), granitico come la pietra che scolpiva suo padre, scalpellino di Brunn. Sapeva anche scherzare sulle situazioni quotidiane. Come quella volta che, parlando di Ulk, il critico viennese che lo prendeva in giro proprio per quel suo famosissimo saggio, rispondeva lapidario: «Caro Ulk! Ti sto solo dicendo che verrà il momento in cui allestirete una cella carceraria secondo le indicazioni del tappezziere di corte Schulze o del professore Van de Velde e questo conterà come un inasprimento di pena». Dolfi andava alla ricerca della semplicità. Ma non riusciva a trovarla nemmeno fra i suoi contemporanei fautori dell’arte applicata. «Una cultura comune – scrive sulla mostra del Deutscher Werkbund – crea forme comuni. E le forme dei mobili di Van de Velde differiscono notevolmente da quelle di Josef Hoffmann. Quale cultura dovrebbero scegliere i tedeschi? La cultura di Hoffmann o quella di Van de Velde? Di Riemerschmied o di Olbrich?». Se da un lato è aperto alle innovazioni, dall’altro Loos è ostile ai formalismi discutibili. Per lui tutto è discutibile, persino l’arte. «L’arte è un’alta dea per l’uomo moderno, e lui sente che è un attentato all’arte quando viene prostituita per merci». Loos nei suoi scritti traccia deliziosi ritrattini letterari coi quali ridicolizza ricchi e borghesi arcicontenti, come quel tale che sente il bisogno di richiedere le prestazioni di un famoso architetto: «Mi porti l’arte, porti l’arte fra le mie pareti domestiche. Non bado a spese». A leggere questo racconto – dal titolo Da un povero ricco (Von einem armen reichen Manne) – potreste riconoscerci Hoffmann che progetta Palazzo Stoclet, oppure Van de Velde e Olbrich che disegnano persino abiti per le proprie consorti. L’architetto immaginato da Loos non si fa ripetere due volte la richiesta del suo nuovo cliente. Va a casa dell’uomo ricco, fa gettare via tutti i mobili – quelli grazie ai quali poteva condividere le sue radici familiari – per chiamare uno stuolo di parchettisti, decoratori, laccatori, muratori, imbianchini, falegnami, idraulici, fumisti, tappezzieri, pittori e scultori e in men che non si dica, l’arte è catturata, inscatolata, ben sistemata tra le pareti domestiche dell’uomo ricco. «L’uomo ricco era tutto felice. Tutto felice attraversava i nuovi locali. Dovunque posasse gli occhi si imbatteva nell’arte, ogni cosa esprimeva l’arte. Quando afferrava una maniglia posava la mano sull’arte, si sedeva sull’arte quando si abbandonava in una poltrona, sprofondava la testa nell’arte quando, stanco, poggiava la testa sui cuscini, i suoi piedi affondavano nell’arte quando camminava sui tappeti. Egli nuotava nell’arte con immenso fervore. Quando anche il suo piatto fu provvisto di decorazioni raddoppiò l’energia con cui si accingeva a tagliare il suo boeuf à l’oignon. Fu lodato. Fu invidiato. I periodici d’arte lo esaltavano come uno dei più grandi mecenati, i locali della sua abitazione furono riprodotti come esemplari, furono discussi e illustrati».

Adolf Loos, racconto dal titolo Da un povero ricco
(Von einem armen reichen Manne)

Un racconto immaginario che sintetizza il clima dell’epoca, dalla Secessione viennese di Klimt, Hoffmann, Helmer e tanti altri, alla Wiener Werkstätte che progetta e produce veri e propri gioielli artistici. A leggere gli scritti completi di Adolf Loos – da Parlato nel vuoto (1897–1900) a Tuttavia (1900–1931) – ci si trova davanti ad una fonte inesauribile di notizie, raccontate con impietoso sarcasmo, ma anche giocosa leggerezza. Questa, per esempio, sembra una spiritosaggine, ma per chi conosce Loos non è una novità: il suo modo di esprimersi è stato sempre sarcastico, enfatico, plateale. Un giorno incontra un famoso architetto di cui tace il nome: «Salve, ieri ho visto uno dei vostri appartamenti. Quello del dott. Y». Forse, attendendosi un complimento, come per schermirsi, quello risponde: «Per l’amor di Dio, non guardate quella bruttura. L’ho fatta tre anni fa». Al che Loos ribatte caustico: «Ho sempre creduto, caro collega, che ci fosse una differenza sostanziale tra noi. Ora mi accorgo che c’è solo una differenza di fuso orario. Una differenza di tempo, che può essere espressa anche in anni. Tre anni! All’epoca io stesso avevo detto che faceva schifo, voi lo state riconoscendo solo ora».

Adolf Loos, ritratto fotografico di 
Otto Mayer (intorno al 1904)

Adolf Loos è un tipo senza perplessità, sempre sicuro delle sue opinioni, che, intelligentemente, qualche volta rende malleabili. Racconta che la fabbrica francese Christofle aveva una filiale di fronte all’Opera a Heinrichshof. «Le vetrine non ti obbligano mai a fermarti». Per cui, dovendoci passare davanti ogni giorno, cerca di farlo in tutta fretta. Un anno accade qualcosa di speciale. «Tra i centritavola e le posate d’argento – le posate per chi sa mangiare, basate sui modelli inglesi, e quelle disegnate da Olbrich per le persone che non possono mangiare – era esposto un pinscher a grandezza naturale in porcellana bianca, smaltata. Solo gli occhi e il muso del cane erano colorati. Il mio primo pensiero è stato: Copenaghen. E ho cominciato ad ammorbidire il mio giudizio su Copenaghen». Esistono artisti, si domanda, che creano oggetti di questo tipo, oggetti che si desidera possedere? Come si chiama? Dove vive? Entra, chiede e si sente rispondere che l’uomo è morto forse da centocinquant’anni. Quella esposta è una copia della fabbrica di Sèvres. Costa troppo, non può permettersi l’acquisto, ma da quel momento Loos sta insieme a quel cane di porcellana tutti i giorni. Si limita ad ammirarlo in vetrina. «È andata così per un anno. Ma l’altro giorno la mia gioia si è trasformata in acqua. Il cane era sparito. Sono entrato e ho detto, dov’è il mio cane? Lo ha comprato un americano». Gli viene, però, assicurato, che presto, spedito l’ordinativo, una nuova copia del cane sarebbe stata in mostra. «Spero che gli americani utilizzino il marciapiede opposto» conclude Loos.

Pinscher tedesco, elegante cane a pelo raso
Adolf Loos con la cagnetta Beau-Beau, intorno al 1930
(Foto di Claire Beck)

Molte volte Loos riesce ad essere spiazzante. Claire Beck Loos (terza moglie dell’architetto) ne traccia un simpatico ritratto confidenziale. Ricorda quando, con un gruppo di amici, entrò nel negozio di un artigiano di ceramiche in un paese sperduto nei dintorni di Cannes. Loos si guarda intorno. Prende un piatto da zuppa da uno scaffale, lo osserva con attenzione e lo posa di fronte a sé. Il proprietario è in allarme. «Mi scusi, monsieur – dice – ma quello è uno scarto!» e, imbarazzato, toglie via il piatto. Loos lo guarda e ride. «Quel piatto è particolarmente bello. Vorrei dodici piatti da zuppa come quello». «Ma è stato un incidente se il marrone è finito sul giallo – risponde disperato il proprietario – Di sicuro non ricapiterà mai su dodici piatti!». «È davvero un grazioso incidente. Non importa se i colori non sono perfettamente uniformi. Mi faccia dodici piatti di scarto … proprio come quello» (Beck 2014).

Claire Beck Loos: Adolf Loos privato. Ritratto di un eccentrico genio

Potrei continuare a raccontare episodi umoristici di questo genere per mettere in luce il temperamento irriverente di Loos, ma forse ripercorrere brevemente gli anni, almeno fino al primo conflitto mondiale, potrebbe tornare utile per comprendere meglio l’architetto che tutti riconoscono come il precursore del Movimento moderno. Primogenito di tre figli, nasce il 10 dicembre 1870 a Brunn, in Moravia (oggi Brno, Repubblica Ceca) da Adolf Loos e da Maria Hertl. È uno studente intelligente, ma dal rendimento incostante, anche perché deve affrontare il continuo trasferimento in vari istituti scolastici. Completa le quattro classi del liceo a Jihlava, Melk e Brunn. Al Melk Abbey Gymnasium, per esempio, rimane solo un anno, il 1881, ma a causa degli scarsi voti la sua iscrizione è rifiutata. Dopo l’estate è trasferito al liceo di Igiau, in Moravia, dove conosce Josef Hoffmann. Frequenta, quindi, dal 1885 la Imperial-regia scuola professionale (K.K. Staats-Gewerbeschule) di Reichenberg, in Boemia, e si diploma alla Scuola Statale Tedesca per il Commercio a Brunn nel 1889. Studia poi, dal 1890 al 1893, presso il dipartimento di ingegneria strutturale dell’Università Tecnica di Dresda, ma anche qui interrompe gli studi per un anno per arruolarsi a Vienna come volontario nella polizia militare; quindi, sempre a Vienna, studia per un breve periodo all’Accademia di arti applicate. Rientrato all’Università, solo al terzo anno, cioè dal 1886, si dedica finalmente all’architettura e nell’estate del 1887 acquisisce anche un certificato di muratore presso l’impresa Czapka & Neusser in Moravia.

Vista dell’Home Insurance Building dell’architetto William Le Baron Jenney a Chicago, Illinois. Primo esempio di grattacielo.

Nell’estate del 1893, nonostante non conosca una parola d’inglese, con un solo biglietto da 50 dollari in tasca, parte per gli Stati Uniti. Il primo maggio si è, infatti, inaugurata l’Esposizione Universale di Chicago per celebrare il quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’America. Qui prende atto, con grande meraviglia, di una città in fermento dopo distruzione quasi completa per il Grande incendio dell’8 ottobre del 1871. Le fiamme avevano ridotto in cenere le numerose case del centro che erano ancora in legno. Con la ricostruzione viene elevato il primo grattacielo della storia, l’Home Insurance Building e gli edifici che seguono danno origine alla decantata architettura della Scuola di Chicago. l’Home Insurance Building, progettato nel 1885 da William Le Baron Jenney aveva dieci piani d’altezza tirati su interamente con telaio metallico, sistema costruttivo brevettato da altri nel 1888. Dieci piani sono il doppio di quelli che Loos aveva potuto vedere fino ad allora. Ma ciò che più meraviglia è che, mentre in Europa ci si perde dietro un decorativismo inutile, a Chicago la sfida in altezza non si ferma. Nel 1889 John Wellborn Root fa svettare i diciassette piani del Monadnock Building, che detiene ancora oggi l’imbattuto record del più alto edificio con struttura portante in mattoni rafforzata da un telaio in ferro. Le nuove linee architettoniche e le tecnologie adottate, convincono il giovane Loos che occorre trovare forme espressive al passo con i tempi, superando l’Art Nouveau, «l’opera – come sosteneva Henry van de Velde – messa assieme, giudicata e studiata attraverso la sola qualità ovviamente comune a tutti: la novità». Ma per Loos l’Art Nouveau non era più una novità.

Adolf Loos, Parole nel vuoto (Ins Leere gesprochen), 1900 

A New York Loos vive in ristrettezze economiche e si mantiene con umili lavori occasionali, come garzone di un parrucchiere, lavapiatti, disegnatore e posatore di tarsie, infine dal 1894 è assunto come disegnatore in uno studio di architettura. Collabora anche con riviste in lingua tedesca. Di questa esperienza americana scrive: «L’uomo che possiede la cultura occidentale sa adattarsi immediatamente a quella cultura che corrisponde a un certo terreno, a una certa attività e a un certo clima. Ogni viennese può indossare scarpe chiodate, lederhosen corti al ginocchio e giacca in loden, quando va in montagna. Ma l’uomo di montagna non può indossare una redingote e un cappello a cilindro quando va in città». Loos vive a New York e in altre città degli Stati Uniti fino al 1896, poi rientra a Vienna, passando per Londra e Parigi. Ha guadagnato bene e può potersi di pagare il viaggio di ritorno.

Die Fackel, rivista in lingua tedesca pubblicata da Karl Kraus a Vienna tra il 1899 e il 1936

Dopo il rinnovato servizio militare, Loos entra nella società di costruzioni dell’architetto Carl Mayreder, da tre anni anche docente alla Technische Hochschule. Nel contempo scrive, acquisendo una certa notorietà attraverso i suoi articoli pubblicati su giornali e riviste in cui sostiene con tenacia e argomentazioni la riforma della professione. Trascorre le sue serate frequentando caffè e teatri, alla ricerca di una vita mondana che gli permetta di inserirsi nel cuore della società viennese fin de siècle. Al Cafè Griensteidl e al Cafè Central, stringe amicizia con due intellettuali di spicco, quali Peter Allenberg (pseudonimo di Richard Englander), eccentrico letterato più grande di una decina d’anni, e il coetaneo Karl Kraus, appartenente a una facoltosa famiglia ebrea di industriali della carta, che dal 1899 darà alle stampe la rivista Die Fackel (La fiaccola), attraverso la quale diffonderà critiche graffianti sulla società del tempo. Il lavoro professionale di Loos nei primi anni a Vienna riguarda solo la progettazione d’interni. Si occupa della ristrutturazione e dell’allestimento di banche, negozi e appartamenti, per i quali disegna anche gli arredi. Nel 1899 progetta il Café Museum all’angolo tra la Opemgasse e la Friedrichstrasse di Vienna, ancora oggi in funzione. Invece di realizzarne gli interni in tessuto felpato rosso – secondo l’arredamento consueto per i locali in voga – Loos decide di lasciare le pareti nude e di utilizzare dei mobili, da lui stesso disegnati, talmente essenziali che questo “disadorno” locale è subito soprannominato Café Nihilismus, in riferimento al rigetto di qualsiasi ornamento. ​

Adolf Loos, Café Museum, 1898-1899

«Adolf Loos si dimostra un sincero non-secessionista col suo caffè Museum; non nemico della Secessione viennese, ma qualcosa di diverso. Può essere in un certo modo nichilista, anzi molto nichilista, ma è attraente, logico, pratico, insolito» (Lajos Hevesi, Kunst auf der Strasse, Fremben Blatt, Vienna 30 maggio 1899).

Adolf Loos, American Bar Kärntner Durchgang Nr. 10, 1907

Subito dopo il Café Museum, Loos si occupa degli interni della casa del dottor Hugo Haberfeld in Alserstrasse. L’anno successivo esegue l’ammodernamento di una casa a Brunn e la sistemazione del Wiener Frauen-Club a Vienna. Sono lavori che lo pongono all’attenzione di una cerchia di persone benestanti, che conosce tramite l’amicizia di Karl Kraus e della sua cerchia, con cui condivide gli ideali di modernità. Realizza gli arredi dell’appartamento Turnowsky in Wohllebengasse e dell’appartamento Steiner in Gumpendorferstrasse. Sempre tramite Kraus progetta le abitazioni di Otto Stössl, due case per Chlotilde Brill Schweiger ed Elisabeth Reitler e poi gli appartamenti per i fratelli Alfred e Rudolf Kraus.

Villa Karma a Montreux, sulle rive del lago di Ginevra in Svizzera, 1904-1906

La prima grande opera di architettura di Loos è, tuttavia, la ristrutturazione e l’arredamento della Villa Karma a Clarens (Montreux) sul Lago di Ginevra dal 1903 al 1906 (completata dall’architetto croato Hugo Ehrlich dopo il 1908). A gennaio del 1903 il fisiologo viennese Theodor Beer, anche lui collaboratore come Loos della rivista Neue Freie Presse, lo aveva invitato a Clarens, per completare i lavori della sfarzosa villa. In questo progetto, Loos manifesta i suoi tratti caratteristici, come i corpi stereometrici – cubo e parte cilindrica – quali forme costruenti la geometria dello spazio edificato. L’interno è un susseguirsi di ambienti di diverse altezze e dai particolari tagli della luce. L’effetto decorativo è affidato ai materiali pregiati: marmo, legno, metallo. Utilizza vetri e specchi per conseguire illusioni spaziali.

Adolf Loos, Villa Steiner, nel 13° distretto di Vienna a St.-Veit-Gasse n. 10, 1910

Quando nel 1903 inizia Villa Karma, la rivista Kunst di Peter Altenberg il primo di ottobre esce con un supplemento interamente redatto da Loos e intitolato Das Andere. Ein Blatt zur Einfuhrung abendländischer Kultur in Osterreich (L’Altro. Foglio per la diffusione della cultura occidentale in Austria). Si prospettano vari allegati alla rivista, ma Das Andere si conclude già con il secondo numero del 15 ottobre, nel quale è inserito un polemico editoriale contro la Wiener Sezession.

L’Altro. Foglio per la diffusione della cultura occidentale in Austria

L’articolo è intitolato “Cosa ci vendono”. «In questa sezione – scrive Loos – voglio provare a educare il mio pubblico a conoscere. I fabbricanti di beni buoni benediranno il mio inizio, i fabbricanti di beni scadenti mi malediranno […] C’erano già approcci felici. Ricordo solo l’industria viennese della pelle, l’arte viennese dell’oreficeria. Era comprensibile quando qualcuno pagava per il suo desiderio di un buon materiale e di un lavoro corretto. Nessuno è mai stato considerato un idiota perché alla Würzl pagava quattro volte il prezzo di ciò che comprava in un negozio scadente per pochi soldi. Poi venne la Secessione e gettò fuori bordo tutte le buone idee. Tuttavia, alcuni mestieri furono risparmiati dalla Secessione. Lo dobbiamo a una fortunata circostanza se il Ministero della Pubblica Istruzione tuttora non ha nominato alla Scuola di Arti Applicate un artista “moderno” per la costruzione di carri, abbigliamento maschile e calzature. Per questo sono ancora all’apice».

Manifesto di Adolf Loos per la conferenza Ornament and Crime

La chiave per comprendere l’essenza della poetica di Loos è linguistica, afferma Luigi Prestinenza Puglisi, filtrata attraverso la riflessione di Karl Kraus, geniale indagatore dell’espressione verbale, direttore della rivista Die Fakel: «Un linguaggio scorretto – ecco la tesi di Kraus che sarà fatta propria da Loos, ma anche dal filosofo Wittgenstein e dal compositore Schönberg, tutti affezionati lettori della rivista – mischia fatti e valori. In architettura ciò avviene quando si vuole a tutti i costi rendere artistico il quotidiano, dando all’oggetto d’uso un’inusitata importanza. Quando si confonde l’urna con il pitale. È l’evoluzione culturale che porta a eliminare dal quotidiano la decorazione, togliendole la sua commistione con l’artistico. Se invece si vuole saltare il problema della civiltà, proponendo la scorciatoia dell’invenzione formale, non si possono che produrre disastri, rendendo retorico, cioè inautentico – e quindi brutto e farsesco – il mondo». Su questo, però, ci soffermeremo più attentamene, prendendo in considerazione Ornamento e delitto, il saggio più importante. Un saggio al quale Adolf Loos ha lavorato a lungo, limandolo e correggendolo, fino a modificarne l’anno originale in cui l’aveva composto per la prima volta, retrodatandolo al 1908 per assumere il primato nel confronto con i Secessionisti.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Oskar Kokoschka: “Non esiste un Espressionismo ma solo giovani che cercano di orientarsi nel mondo”

di Sergio Bertolami

36/3 – I protagonisti

Oskar Kokoschka (Pöchlarn 1886 – Montreux 1980). Nasce, nella periferia di una cittadina austriaca del sud, dalla modesta famiglia di un commesso viaggiatore e gli inizi sono abbastanza difficili. Le biografie, invece, tendono sempre all’esaltazione e fanno di suo padre un orafo cecoslovacco, mestiere praticato in realtà dai suoi antenati. La famiglia nel 1887 si trasferisce a Vienna e qui comincia la storia di un ragazzino capace di attirare l’attenzione come uno studente straordinariamente ricco di talento, ma poco incline alle regole ferree. Frequenta la KK Staatsrealschule Währing ed è accettato nella classe di Carl Otto Czeschka, designer di spicco della Wiener Werkstätte, che individua subito le qualità pittoriche del suo allievo. Così, dal 1905 al 1909, eccolo alla Kunstgewerbeschule di Vienna, la Scuola di arti decorative, architettura e arti applicate. Pittore preferito? Immancabilmente Vincent van Gogh. Nel prestigioso istituto, al quale ha potuto iscriversi usufruendo di una borsa di studio, insegnano anche i professori Josef Hoffmann e Koloman Moser. Non può meravigliare, dunque, se le sue prime commesse come artista free-lance gli vengono proprio dalla Wiener Werkstätte. Disegna manifesti, cartoline, dipinge ventagli per signora, e collabora all’allestimento del Cabaret Fledermaus, il locale alla moda che mette in scena vizi e virtù della società viennese. Nei primi anni, Oskar Kokoschka è ben accolto da chi circonda Gustav Klimt e Carl Moll e, grazie a questi, espone con il Gruppo Klimt alle due mostre d’arte del 1908 e 1909. Il plauso, gli viene anche da un intellettuale come l’architetto Adolf Loos, talmente lontano dallo stile Art Nouveau, prevalente all’epoca, che Kokoschka ne rimarrà sempre più influenzato. Loos lo introduce nei circoli dell’avanguardia che fanno riferimento a Karl Kraus, Peter Altenberg e Arnold Schönberg.

Vista aerea di onde che si infrangono sulla spiaggia.
Vista aerea di onde che si infrangono sulla spiaggia.
Oskar Kokoschka, I ragazzi che sognano, ristampa del 1917

Da subito, il giovane gode del successo ottenuto con il suo libro di fiabe. Nel 1907 Fritz Waerndofer, finanziatore della Wiener Werkstätte, aveva infatti commissionato a Kokoschka, ancora studente alla Kunstgewerbeschule, un racconto illustrato per i suoi figli. Gli promette che le tavole originali a colori del libro per bambini sarebbero state esposte alla mostra Kunstschau del 1908. Il giovane, perspicace, coglie l’occasione per elaborare delle immagini che interpretano una sua poesia scritta un anno prima, Die träumenden Knaben (I ragazzi che sognano). Kokoschka confeziona un libro d’artista composto da alcune pagine introduttive con due litografie in bianco e nero e da otto pagine di immagini e testo nelle quali descrive il risveglio della sessualità adolescenziale connesso con la paura di dover lasciare il paradiso dell’infanzia. Le immagini ambientate in isole esotiche richiamano alla memoria Gauguin, mentre il testo allude sia alla letteratura classica di Goethe, sia a quella contemporanea del viennese Altenberg. Nell’autobiografia, apparsa nel 1971, Kokoschka ha spiegato le origini della poesia, nata dalla sua esperienza personale di studente, innamorato della sua compagna di classe svedese Lilith. Quando propone questa sua fantasia adolescenziale autobiografica, l’opera naturalmente appare inappropriata per un pubblico infantile. L’editore, che avrebbe dovuto dare alle stampe il libro, da includere in una serie per bambini, dopo aver visto le bozze di Kokoschka, decide di ritirare la propria offerta. Il libro viene ugualmente pubblicato, ma direttamente dalla Wiener Werkstätte ed è tirato in 500 copie, che saranno vendute con non poche difficoltà. Tuttavia, nel 1917, il volume sarà ristampato, in altri 275 esemplari numerati, dall’editore Kurt Wolff amico dell’artista. L’opera dedicata dall’autore a Klimt, dal quale ha ripreso il formato quadrato, è oggi celebrata dalla critica come il passaggio di Kokoschka dallo Jugendstil all’Espressionismo.

Oskar Kokoschka,
Assassino, speranza delle donne, 1909

Tra il 1908 e il 1909 Kokoschka compone due opere teatrali – Uomo di paglia e sfinge, nonché Assassino, speranza delle donne – ritenute tra le prime sperimentazioni dell’Espressionismo letterario austriaco. L’epiteto di Oberwildling (Super selvaggio), come viene presto soprannominato dalla stampa, Kokoschka se lo guadagna allorché inscena all’Internationale Kunstschau proprio il dramma Assassino, speranza delle donne (Mörder, Hoffnung der Frauen). Ha solo ventidue anni, ma lo scossone che provoca rappresenta l’inizio promettente di una carriera artistica sfolgorante. Un anno dopo pubblica il copione sulla Rivista berlinese Der Sturm di Herwarth Walden, che non riproduce l’autentico testo recitato a Vienna, visto che l’autore ha distribuito agli attori soltanto fogli volanti di appunti. È, insomma, un rifacimento in progress che riunisce ben quattro redazioni diverse dell’opera, scritta fra il 1907 e il 1910. La rappresentazione teatrale, nondimeno, scatena a Vienna un vero scandalo, tanto da creare a Kokoschka problemi anche all’interno della stessa Scuola di Arti Applicate, dove prenderà presto a lavorare come assistente. Persino l’arciduca erede al trono, raccapricciato, inveisce che dovrebbero «rompere tutte le ossa» che ha in corpo all’autore che ha composto quel repellente dramma e uno dei critici più in vista dell’epoca, Ludwig Hevesi, non manca di chiosare: «Il nome dell’Oberwildling è Kokoschka», ma in questo caso quello di Hevesi va colto come un complimento. L’agitazione del pubblico nasce perché alla rappresentazione scenica si assomma anche il tema orrido del manifesto che lo pubblicizza. Una donna pallida tiene fra le braccia il suo uomo grondante di sangue, apparentemente morto. Sullo sfondo compaiono Sole e Luna simboli della battaglia fra sesso maschile e sesso femminile. In breve, alla prima del 4 luglio 1909, l’opera espressionistica suscita l’ira tra gli spettatori.

Oskar Kokoschka con la testa rasata, 1909

Per sottolineare come l’ostracismo del pubblico lo avesse colpito, Kokoschka si fa ritrarre in una foto per Der Sturm con la testa rasata. Non ha tutti i torti, dal momento che i viennesi per molto tempo non lo capiranno affatto, pur precipitandosi alle sue esposizioni, così «da ridere a crepapelle», come ricorderà Loos. I due anni della mostra Kunstschau, contribuiscono tuttavia a far conoscere il nome di Kokoschka, il quale sdegnato volge le spalle alla metropoli del Danubio e si orienta verso la Germania della rivista di Walden o della Brücke e del Blaue Reiter. Espone con Wassily Kandinsky e Franz Marc. Nel 1910, lo stesso anno in cui è fondata la Neue Secession, Kokoschka si trasferisce a Berlino. Il mercante d’arte Paul Cassirer lancia l’artista nell’ambiente internazionale e, solo nel primo anno di attività, Herwarth Walden, editore e critico d’ arte al quale Kokoschka è presentato da Loos, lo incarica di realizzare ben ventotto disegni per la rivista Der Sturm.

Oskar Kokoschka, La bella pattinatrice a rotelle,
frontespizio del periodico Der Sturm Settimanale della cultura e dell’arte, vol. 1, n° 37 (10 novembre 1910)

L’incomprensione da parte del pubblico, in effetti, intacca lo stato d’animo del giovane e gli crea problemi esistenziali. Ricorda Kokoschka nella sua biografia che, quantomeno, per tutto il 1910 quasi morì di fame, e la situazione si protrasse inizialmente anche a Berlino. Qui, però, incontra diversi scrittori e artisti dell’entourage della rivista e della galleria Der Sturm. Così commenta: «Conoscevo personalmente pochi membri del circolo Sturm e mi interessavo molto poco dei loro problemi formali o delle loro idee morali. Non ho contribuito a manifesti programmatici, nemmeno con una firma. Non avevo intenzione di sottomettere la mia indipendenza conquistata a fatica al controllo di qualcun altro. Questa è la libertà per come la intendo io». Naturalmente, i programmi d’azione di quei movimenti artistici tedeschi sono anche per lui, austriaco, di stimolo e di sostegno. Lo coinvolgono emotivamente e concretamente, sia chiamandolo a partecipare agli eventi, sia nel personale processo creativo. Anche se, in età matura, l’Espressionismo di quegli anni, in quanto a concezione del mondo (Weltanschauung), non sembrerà più appartenergli. «Non esiste – asserisce – un Espressionismo tedesco, francese o angloamericano! Ci sono solo giovani che cercano di orientarsi nel mondo».

Oskar Kokoschka, Ritratto di Hans Tietze e Erica Tietze-Conrat, 1909

Adolf Loos gli fa da mecenate: presenta il giovane pittore ai collezionisti della ricca società viennese e a metà ottobre 1909 si fa accompagnare da lui in un viaggio in Svizzera, a Leysin, vicino al lago di Ginevra. È qui che Kokoschka per la prima volta s’impegna sulla pittura di paesaggio. Ed è sempre qui, che dipinge il ritratto di Adolf Loos e di sua moglie Bessie Bruce. Con l’appoggio del suo amico architetto, da questo momento, Kokoschka si dedicherà ai ritratti e lo farà solo in questi anni. Ottiene, infatti, un inaspettato successo, tanto da farlo considerare in tale genere di pittura la punta di diamante delle avanguardie. In realtà, la maggior parte delle commissioni di Kokoschka viene da clienti di Loos, che, in un certo senso, gli ordina i ritratti ogni volta che stringe una sorta di patto con i suoi amici, dichiarandosi disponibile ad acquistarli lui stesso se avessero preferito non farlo a lavoro concluso. In pratica, a partire dal 1909, Kokoschka rompe con l’idea, comunemente diffusa, dei ritratti rappresentativi. Ciò che l’artista pone sulla tela è il proprio mondo emotivo, nell’intento di afferrare nei suoi modelli un qualche aspetto visionario, anche allontanandosi dal reale e mettendo in mostra persino la bruttezza, al punto di deformarne il corpo. Dipinge ad esempio con pennello, mani e unghie, il ritratto di Hans Tietze e Erica Tietze-Conrat nella loro biblioteca, lasciandoli liberi di continuare a lavorare alla scrivania o muoversi nell’ambiente, mentre lui li osserva. L’anno dopo altri due ritratti: il primo dedicato alla duchessa Victoire de Montesquiou-Fezensac, il secondo al marito. Dopo altri ritratti degli amici viennesi, come quello di Felix Albrecht Harta, cofondatore della Secessione viennese, il ritratto del professore Auguste Forel, famoso biologo, dell’amico Karl Kraus e dello scrittore Ludwig Ritter von Janikowsky, Kokoschka ritrae Herwarth Walden (1910), l’attore Karl Etlinger (1911), Frau Karpeles (1911) ed Emil Löwenbach (1914) e continuerà anche durante la guerra col ritratto di Hermann Schwarzwald (1916).

Oscar Kokoshka, Doppio ritratto con Alma Mahler, 1913

Il ritratto che più lo coinvolge, sicuramente, è quello di Alma Schindler, vedova da un anno del compositore Gustav Mahler, figlia del paesaggista Emil Jacob Schindler e (dopo le seconde nozze di sua madre) figliastra del pittore Carl Moll. Una delle più belle ragazze di Vienna, circondata da uno stuolo di ammiratori legati al mondo degli affari, della scienza e dell’arte, che frequentano il suo salotto. Kokoschka s’innamora perdutamente della modella al suo primo ritratto, anche se più che della donna è verosimile che sia conquistato dall’ideale femminile che rappresenta: donna seducente ed emancipata, indipendente finanziariamente, colta, artisticamente talentuosa, aspirante cantante lirica e compositrice di Lieder per voce e pianoforte. Una “leonessa dei salotti viennesi”. Da parte sua, dopo la morte del marito, Alma sta vivendo un periodo di incertezza emotiva e sentimentale. Anche se il pittore appare impacciato, timido, colpito, ne scaturiscono tre anni di passione turbolenta fra due persone che non avrebbero mai potuto vivere insieme. Con Alma, Kokoschka viaggia in Italia, dove rimangono impressionati in particolare da Tintoretto, ma soprattutto dipinge e manifesta il lato peggiore del suo carattere inquieto. Oskar e Alma stringono una relazione tanto segreta quanto segnata da scene esagitate da sospetti e litigi. Una storia che ha interessato da vicino anche un romanziere come Andrea Camilleri (La creatura del desiderio, 2013). Alma rimane incinta e asseconda Oskar a portare avanti la realizzazione di un tetto sotto cui vivere insieme. Il pittore è però folle di gelosia. Non vuole neppure che alcun ricordo appartenuto a Mahler entri nella nuova casa, neppure il busto realizzato da Auguste Rodin. Quando vede recapitare la cassetta che racchiude la maschera mortuaria di Mahler, Kokoschka stravede. La scaglia a terra e offende la giovane vedova e persino il bambino che porta in grembo. In una lettera scrive: «Non posso venire da te in pace finché so che un altro uomo, vivo o morto, ti possiede. Perché mi hai invitato a un ballo di morte e mi costringi a rimanere in silenzio, per ore e ore a guardare la tua schiavitù spirituale, mentre segui il ritmo di un uomo che fu e che deve essere un estraneo per te?». Alma decide di abortire e avviare il rapporto alla sua conclusione. Anche perché non è sola. Torna, infatti, da Walter Gropius – l’architetto che sarà uno dei fondatori del Bauhaus – col quale aveva già intessuto una romantica amicizia, quando Mahler era ancora in vita. Lo raggiunge a Berlino e lo sposa nel 1915.

Oskar Kokoschka, La sposa del vento, 1913

L’appassionato amour fou di Kokoschka si riverbera in numerose opere artistiche e letterarie. Le litografie della Bach-Kantate sono un esempio. Undici illustrazioni della cantata n. 60 di Bach, O Eternità, Tu Parola del Tuono, nelle quali Kokoschka interpreta il ruolo di Hope, mentre Alma Mahler interpreta Fear. Il dialogo tra Paura e Speranza tessuto in musica da Bach serve all’artista ad intrecciare allusioni biografiche sul suo rapporto d’amore con Alma. Lo stesso vale per il lavoro teatrale Orfeo ed Euridice. È però La sposa del vento (2014) la tela più famosa di Kokoschka, che materializza il tormento di quei giorni. I due amanti sono rappresentati sulla fragile imbarcazione della loro esistenza, appena accennata, sommersa dall’andamento ondoso, in un turbinio di pennellate dai colori freddissimi e profondi, in procinto di essere travolti. Da una parte Kokoschka raffigura la tenerezza dell’abbraccio con Alma, mentre la protegge dalle minacce incombenti, dall’altra raffigura la tempesta che a breve sconvolgerà l’Europa con la guerra. Quando l’anno seguente la relazione fra i due avrà irrimediabilmente fine e il conflitto è già in atto, il pittore non saprà darsi pace.

Oskar Kokoschka volontario nel 15° Reggimento Dragoni

All’inizio del 1915, Kokoschka compra un cavallo, che porta con sé quando si offre volontario per il fronte. «Al mio felice ritorno dalla guerra non mi avrebbe aspettato nessuna donna, nessun bambino. Di sicuro, non avevo niente da perdere in guerra né da difendere». Anche per arruolarsi la mediazione dell’amico Adolf Loos è necessaria, affinché Kokoschka possa essere ammesso nel 15° Reggimento Dragoni imperiali “Arciduca Giuseppe”, l’unità di cavalleria più illustre del regno. Le esperienze di guerra di Kokoschka in Galizia e Ucraina, così come sul fronte isontino, le sue due ferite e il suo successivo soggiorno nel sanatorio militare a Dresda – nonché gli intellettuali che incontrerà nel dopoguerra, come il dottore Fritz Neuberger, lo scrittore Walter Hasenclever o l’attrice Käthe Richter – influenzeranno la trasformazione dell’artista in un convinto oppositore della guerra e in un manifesto pacifista ad oltranza.

La creatrice di bambole Hermine Moos con la bambola realizzata per Oskar Kokoschka, 1919

Gli orrori non gli hanno fatto dimenticare, tuttavia, la sua delusione d’amore. Nell’ospedale di Dresda, trova collegamenti artistici con l’accademia locale; ma trova anche un’abile artigiana che, su sua indicazione, può realizzargli una bambola a grandezza naturale con le fattezze di Alma. Non le assomiglia granché, ma cosa importa a chi sta delirando? Fortunatamente Kokoschka rinsavisce, disfacendo la bambola e fugando i demoni che hanno pervaso la sua mente. Seguiranno anni di viaggi e peregrinazioni: in Europa, Oriente, Nord Africa. Farà ancora ritorno a Vienna, mentre la Germania di Hitler bandisce anche lui come rappresentante dell’Arte degenerata, confiscando 417 dipinti dai musei.

Oskar Kokoschka, Autobiografia
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Oskar Kokoschka, Salisburgo 1957

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Il primo viaggio: Le tre lingue dell’Odissea e la narrazione in metrica

di Daniele Bertolami

Il termine Odissea deriverebbe dal greco “οδυσσομαι”, cioè “odiare”. Non è chiaro, però, se Ulisse è odiato da chi gli impedisce di tornare a casa, o è colui che odia, in particolare i Proci, che ucciderà al ritorno. Il termine ha tuttavia un’origine più antica. Appartenente alla cultura della Caria, in Asia Minore, starebbe ad indicare un antico dio del mare, evolutosi nel dio Poseidone. Alla base del poema si troverebbero, quindi, una serie di racconti marinari, confluiti, poi, nell’Odissea. Lo studioso Martin West, ad esempio, ritiene che nell’Odissea e nella sua epopea sia confluita quella di Gilgamesh, che fa parte della mitologia mediorientale. Ambedue le storie trattano di un viaggio avvenuto fino ai confini del mondo, ambedue gli eroi scendono, grazie all’aiuto di un dio, da vivi nel mondo dei morti e ne fanno ritorno. La straordinaria somiglianza tra i due racconti dipenderebbe dall’ influsso avuto dall’epopea di Gilgamesh sulla stesura dell’Odissea.
La lingua utilizzata da Omero è un misto di diversi dialetti. Quella attica, dovuta probabilmente dal tiranno Pisistrato, ma poco presente nel testo. Quella ionica, predominante, utilizzata in quanto il dialetto ionico era la lingua “ufficiale” dei poemi epici. Il dialetto eolico, anch’esso molto utilizzato, ha ragione di essere in quanto lingua che si prestava ad un uso metrico e poetico.
Tra le semplificazioni linguistiche della narrazione sono presenti le formule, espressioni metriche fisse, che forniscono un’idea essenziale e simbolica (l’astuto Odisseo o Aurora dalle dita rosate). Esse permettono una gestione più semplice della narrazione in metrica, soprattutto nella esposizione orale.
L’opera di Omero, analizzandone la struttura, risulta di una grande modernità. Ambedue i libri hanno un inizio in “Medias Res”, cioè a fatti già iniziati. Ulisse appare dopo sette anni dalla sua partenza da Troia; l’Iliade ci racconta degli ultimi 51 giorni di una guerra di dieci anni. Anche l’Odissea si svolge in un arco temporale ben definito e ridotto: 38-40 giorni. Per abbracciare l’intero viaggi di Ulisse, Omero fa uso di analessi, cioè di “flash-back”, che ci proiettano nel passato temporale dell’azione, con il racconto che Ulisse fa a re Alcinoo. permettendoci di conoscere le disavventure patite.
L’ambientazione del racconto, cioè i luoghi geografici, non sono, a tutt’oggi, identificabili nella realtà. La tradizione vuole che la terra dei Ciclopi e dei Lestrigoni sia la Sicilia, in una delle isole Eolie Odisseo incontrò il dio Eolo, e Scheria, la terra dei Feaci, in Corfù. Molte altre sono le “attribuzioni”, la maggior parte nel Mediterraneo, ma anche nell’Oceano Atlantico o, addirittura, nel Mar Baltico.

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IMMAGINE DI APERTURA  – Composizione grafica di Testa di Ulisse da un gruppo scultoreo raffigurante Ulisse che acceca Polifemo (Marmo, greco, probabilmente del I secolo d.C. Dalla villa di Tiberio a Sperlonga. Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga) tratta da Wikipedia e illustrazione di Maicon Fonseca Zanco da Pixabay.