Genova – Call Internazionale per Residenze: il 16 aprile scadono le candidature

In occasione della Genova BeDesign Week 2022 che si svolgerà a Genova dal 18 al 22 maggio 2022, DiDe Distretto del Designe Festival del Tempo indicono congiuntamente un bando internazionale al fine di assegnare residenze per la realizzazione di installazioni all’interno di una parte del centro storico di Genova. Le due realtà, infatti, lavorano da anni alla rigenerazione sociale, culturale, economica e spirituale dei tessuti urbani nei quali sono inseriti: in particolare l’edizione di quest’anno della Genova BeDesign Week ha assunto il Tempo come suo tema portante, trovando connessioni evidenti con le finalità e gli obiettivi del Festival del Tempo.

DiDe Distretto del Design e Festival del Tempo lanciano la
Call Internazionale per Residenze per la terza edizione della
Genova BeDesign Week
18-22 maggio 2022

Scadenza candidature 16 aprile 2022

Il tema del concorso è incentrato sulle relazioni tra il corpo e lo spazio-tempo: le installazioni dovranno essere opere site specific che sappiano relazionarsi con i luoghi e gli spazi esterni e/o interni di una parte del centro storico di Genova e che contemplino, eventualmente, un coinvolgimento della comunità territoriale valorizzando le specifiche identità e peculiarità. La partecipazione al bando è gratuita ed aperta a tutti i cittadini residenti in Italia o all’estero, a partire dal 18° anno di età, senza limiti di nazionalità, sesso, etnia o religione. La residenza si svolgerà da sabato 14 maggio a domenica 22 maggio 2022: i progetti saranno inaugurati il 18 maggio e saranno visitabili e fruibili fino al 22 maggio, ovvero per tutto il periodo della Genova BeDesign Week 2022.

I vincitori del concorso (il numero preciso sarà presto comunicato) riceveranno un premio di euro 500,00, ospitalità e assistenza per tutto il periodo della residenza, avendo così l’opportunità di partecipare ad uno degli eventi più importanti a livello nazionale ed entrare in contatto con professionisti, operatori culturali ed aziende. La scadenza per le candidature è fissata al 16 aprile 2022 e tutte le informazioni e il bando sono disponibili sui siti web del DiDe Distretto del Design www.didegenova.it e del Festival del Tempo www.festivaldeltempo.it.

SCARICA IL MODULO DI PARTECIPAZIONE BANDO INTERNAZIONALE RESIDENZE
GENOVA BEDESIGN WEEK 2022 / FESTIVAL DEL TEMPO 2022


INFO

Genova Design Week
Associazione Distretto del Design APS
Via Chiabrera, 33 R – Genova
Tel.: +39 0102367619
segreteria@didegenova.it
https://www.didegenova.it

Festival Tempo
Associazione culturale blowart
Direttrice artistica Roberta Melasecca
tel. +39 3494945612
info@festivaldeltempo.it
www.festivaldeltempo.it

Segreteria Bando Internazionale Residenze
mail: iltempodelcorpo@gmail.com
Roberta Melasecca tel: + 39 3494945612
Monica Palazzini: tel: + 39 3488296767

Ufficio stampa DiDe Distretto del Design
mail: tomaso.torre@libero.it

Ufficio Stampa Festival del Tempo
mail: press@festivaldeltempo.it

Pisa, Museo della Grafica – MANCA SEMPRE QUALCOSA. Omaggio a Pier Paolo Pasolini

Il Museo della Grafica (Comune di Pisa, Università di Pisa) 
è lieto di invitarvi all’inaugurazione della mostra 
MANCA SEMPRE QUALCOSA. Pisa omaggia Pier Paolo Pasolini a cento anni dalla nascita.
Venerdì 1 aprile, ore 17:00

L’evento si svolgerà in presenza con prenotazione obbligatoria al seguente link: 

Sarà inoltre possibile seguire l’evento in diretta streaming sul canale YouTube del Sistema Museale di Ateneo al seguente link:

Per ulteriori informazioni: MUSEO DELLA GRAFICA

Museo della Grafica – Lungarno Galilei, 9 – Pisa
Tel. 050/2216060 (62-66-67)
E-mail: museodellagrafica@adm.unipi.it
www.museodellagrafica.sma.unipi.it

IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Bologna – Sta arrivando la decima edizione di ART CITY la più longeva fiera d’arte italiana

Si svolgerà dal 7 al 15 maggio 2022 la decima edizione di ART CITY Bologna, il progetto di alleanza culturale nato dalla collaborazione tra Comune di Bologna e BolognaFiere per affiancare con mostre, eventi e iniziative speciali l’annuale svolgimento di Arte Fiera e proporre un’originale esplorazione di musei e luoghi d’arte in città.

ART CITY Bologna 2022
7 – 15 maggio 2022
Il Main Program

Vista aerea di un campo. Una strada attraversa l'angolo superiore destro.
Emilia Tapprest
Zhōuwéi Network, 2021 (still)
Courtesy l’artista

Dopo la decisione di posticipare alla stagione primaverile la tradizionale edizione di fine gennaio della più longeva fiera d’arte italiana a causa dello scenario pandemico, ART CITY Bologna conferma lo spirito collaborativo consolidato con la manifestazione fieristica, riposizionandosi per il secondo anno consecutivo nel mese di maggio, dopo l’apprezzata edizione sperimentale organizzata nel 2021.     

Coordinato dall’Area Arte Moderna e Contemporanea dell’Istituzione Bologna Musei sotto la direzione artistica di Lorenzo Balbi, il programma offrirà un ricco calendario di inaugurazioni e aperture straordinarie a partire da sabato 7 per proseguire fino al weekend successivo, in concomitanza con Arte Fiera prevista dal 13 al 15 maggio 2022.

Il nucleo principale di ART CITY Bologna è costituito da un Main Program articolato in uno Special Project e in una serie di progetti curatoriali che spaziano tra le più diverse pratiche artistiche contemporanee. Il calendario includerà inoltre le proposte di musei, fondazioni, spazi istituzionali, Associazione Gallerie Bologna (Confcommercio Ascom Bologna), spazi espositivi e gallerie indipendenti della città.
In uno scenario che continua ad essere plasmato dagli esiti della crisi pandemica, ART CITY Bologna 2022 parte da una necessaria ridefinizione delle modalità di condivisione dello spazio pubblico e da una riflessione sulle mutevoli dinamiche di relazione interpersonale. Le opere si estenderanno in azioni, mostre e installazioni site specific che abiteranno luoghi consueti e inusuali, generando narrazioni e nuove interazioni.

I luoghi
Tra le cifre più distintive di ART CITY Bologna vi è da sempre l’intento di riportare all’attenzione di un vasto pubblico luoghi spesso non deputati all’arte – tra i più interessanti, raramente accessibili o sconosciuti della città – riscoperti dagli interventi degli artisti invitati a relazionarsi con le loro specifiche identità.
Anche in questa edizione i contesti di azione spazieranno tra le più diverse tipologie: da luoghi simbolici per eccellenza della storia civica come Piazza Maggiore, Palazzo d’Accursio e la Pinacoteca Nazionale di Bologna, a palazzi di grande pregio riconvertiti in contenitori culturali – come Palazzo De’ Toschi con la Sala Convegni Banca di Bologna, Alchemilla a Palazzo Vizzani, l’Oratorio di San Filippo Neri di proprietà della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e il Centro di Ricerca Musicale – Teatro San Leonardo – a un prezioso tesoro architettonico come il Padiglione de l’Esprit Nouveau realizzato su progetto di Le Corbusier fino allo scrigno verde del Sistema Museale di Ateneo, situato nel cuore della zona universitaria, come l’Orto Botanico ed Erbario.
L’edizione 2022 sarà inoltre connotata da una dimensione territoriale più ampia e policentrica che estenderà la costellazione diffusa di eventi verso l’area metropolitana.

L’identità visiva
Come per l’edizione 2021, l’ideazione e lo sviluppo dell’identità visiva sono stati affidati agli artisti Filippo Tappi e Marco Casella che sono partiti dalla stella, segno grafico che lo scorso anno ha guidato i visitatori insieme a Peter Pan, che quest’anno trema, sfuma, si moltiplica.
Lo sfondo di ART CITY 2022 è Bologna stessa, vista come una galassia nella quale ogni cosa accade: un agglomerato di pianeti iridescenti, stelle pulsanti, materia oscura, pulviscolo, che danza indisturbato al ritmo astronomico. In questa galassia miriadi di eventi entrano in contatto, si sovrappongono, si fondono, si fanno eco, si moltiplicano. Il rumore della città, delle sue strade, dei portici, dei colli e delle persone che l’attraversano è il rumore di fondo di una galassia che nelle giornate di ART CITY è attraversata da oggetti non identificati, bagliori anomali, mondi atomici che appaiono e scompaiono, suoni mai sentiti, battiti e segnali che transitano per qualche ora e poi spariscono.
La stella viene declinata in una serie di forme e di colori che cambiano di frequenza, accompagnandola a un’esplosione, un bagliore evanescente, motore di trasformazione. Lo segue un essere vivente, organico, che ribadisce la varietà del mondo dei segni, un essere dalle linee più morbide, che porta con sé i suoni ovattati degli ambienti marini. Ultimo elemento dell’identità visiva è la scia di un viaggio alla velocità della luce, in cui segni iniziano a moltiplicarsi e a confondersi con lo sfondo.

La proposta artistica del Main Program
Lo Special Project di ART CITY Bologna è un progetto che, a partire dall’edizione del 2018, invita il pubblico a immergersi in vere e proprie opere d’arte viventi, proseguendo così quell’avventura ambiziosa nella produzione e presentazione di lavori degli artisti più interessanti e importanti del panorama internazionale, invitati a immaginare i loro interventi per i luoghi più rappresentativi di Bologna.
Per l’edizione 2022 è stato invitato Tino Sehgal, uno degli artisti più radicali che siano emersi negli ultimi anni, Leone d’Oro all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nel 2013. Le sue opere sono autentiche sculture viventi, coreografie di persone in movimento che generano situazioni insolite, a volte surreali, con cui il pubblico è invitato a confrontarsi. L’intervento, a cura di Lorenzo Balbi, promosso da Istituzione Bologna Musei | MAMbo col sostegno di Gruppo Unipol in collaborazione con Bologna Welcome, che l’artista ha pensato e ideato appositamente per Piazza Maggiore – da secoli luogo di incontro e scambio, circondata da palazzi medievali e dall’imponente Basilica di San Petronio – vedrà la partecipazione di 45 tra ballerini e interpreti, i cui corpi e gesti verranno utilizzati da Sehgal come materiale artistico e umano per comporre una grande opera, un’occasione unica per vivere l’arte in termini di esperienza sociale di scambio reciproco. Il cuore di Bologna farà così da cornice ai corpi degli interpreti, che si muoveranno nello stesso spazio del pubblico, che diventerà non solo fruitore ma anche protagonista di questa coreografia umana, ricca di riferimenti alla storia e al passato.
Quella di Sehgal è un’arte senza oggetti: alla base del suo lavoro vi è infatti una profonda riflessione sul valore e sullo spazio dell’arte visto e vissuto come esperienza diretta e fisica dell’opera; come esercizio che non prevede documentazione o riproduzione di alcun tipo. Il suo obiettivo è quello di sovvertire i sistemi economici e processuali legati all’industria dell’arte, creando dei veri contro-modelli di situazioni che nascono e svaniscono senza lasciare tracce fisiche da vendere sul mercato, ma solo esperienze per il pubblico da vivere. L’artista, in dialogo con il curatore, incontrerà il pubblico in un evento promosso da CUBO Museo d’impresa del Gruppo Unipol.

Sono otto i Main Project curatoriali, prodotti e realizzati appositamente per la manifestazione e costruiti in relazione ai luoghi che li ospitano. Artisti emergenti come Benni Bosetto, Kipras Dubauskas, Mattia Pajè ed Emilia Tapprest sono affiancati a nomi più consolidati come Giulia Niccolai – unica artista non vivente inclusa nel Main Program – e Italo Zuffi, fino a nomi internazionali come Carlos Garaicoa, Pedro Neves Marques, l’artista che rappresenterà il Portogallo nell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, oltre al già citato Tino Sehgal. L’attenzione all’arte Italiana, in continuità con le scelte portate avanti dalla direzione artistica di Simone Menegoi per Arte Fiera, si accompagna alla contaminazione e all’apertura verso artisti di provenienza internazionale.
Un elemento trasversale che caratterizza i progetti della decima edizione è la prevalenza della dimensione esperienziale dell’opera, in cui è l’azione a ridefinire gli spazi attraverso i corpi.
Se ciò è palese nello Special Project di Tino Sehgal, non meno pregnante risulta per diversi altri progetti, a partire da Stultifera, grande opera performativa di Benni Bosetto a cura di Caterina Molteni che avrà luogo nel Salone degli Incamminati della Pinacoteca Nazionale di Bologna. La scena, ispirata all’opera satirica La nave dei folli (1494) di Sebastian Brant, si svolge su una nave destinata a un viaggio senza fine, sulla quale i passeggeri interagiscono assumendo identità archetipiche, nella necessità di delineare un nuovo ordine sociale. Stultifera è un progetto di Trust Per l’Arte Contemporanea con il supporto di MAMbo, Pinacoteca Nazionale di Bologna, Azienda Speciale Palaexpo – il Mattatoio | Progetto Prender-si Cura, in collaborazione con AtelierSì.E ancora l’elemento esperienziale torna nella mostra dedicata a Giulia Niccolai, Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai al Padiglione de l’Esprit Nouveau, a cura di Allison Grimaldi Donahue e Caterina Molteni, promossa dal MAMbo, in cui la ricerca poetica, visiva e sonora, dell’artista è ricostruita ma anche riattivata grazie a un nuovo lavoro performativo di Tomaso Binga e Giulia Crispiani. L’elemento performativo torna anche in Zhōuwéi Network di Emilia Tapprest al Centro di Ricerca Musicale – Teatro San Leonardo, video installazione immersiva e live performance a cura di Felice Moramarco, che attraverso il medium cinematografico esplora la relazione tra datificazione, potere politico ed esperienze affettive individuali, promossa dall’Ambasciata e il Consolato Generale del Regno dei Paesi Bassi, I-Portunus, Mondriaan Fund e Stimuleringsfonds, in collaborazione con: DEMO Moving Image Experimental Politics, Adiacenze e AngelicA | Centro di Ricerca Musicale.
Vivere lo spazio attraverso azioni che lo ridefiniscono e generano narrazioni è un tratto peculiare anche della ricerca di Italo Zuffi cui è dedicata Fronte e retro, personale a cura di Lorenzo Balbi e Davide Ferri che si sviluppa su due sedi, la Sala delle Ciminiere del MAMbo, che propone un percorso retrospettivo dalla metà degli anni Novanta al 2020, e la Sala Convegni Banca di Bologna a Palazzo De’ Toschi in cui sarà visibile una serie di nuove produzioni. La mostra è promossa da MAMbo e Banca di Bologna.
Il dialogo delle opere con lo spazio urbano, altro caposaldo dell’identità di ART CITY fin dalla prima edizione nel 2013,  emerge in altri progetti del Main Program. Trova collocazione nei centralissimi spazi della Sala Tassinari,gestita da Fondazione per l’Innovazione Urbana a Palazzo d’Accursio, Emergency Break di Kipras Dubauskas, installazione filmica a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi, promossa da NOS Visual Arts Production in collaborazione con Home Movies, Istituto Lituano di Cultura e Residenza per artisti Sandra Natali, che presenta per la prima volta in Italia la trilogia dedicata al tema fortemente attuale del “soccorso”, sviluppata dall’artista lituano a partire dal 2019, con un’anteprima del capitolo su Bologna.
È Carlos Garaicoa invece il protagonista dell’interazione con il settecentesco spazio dell’Oratorio di San Filippo Neri, luogo molto amato dal pubblico, con un’installazione a cura di Maura Pozzati, promossa da Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna in collaborazione con Galleria Continua, attraverso la quale l’artista cubano intende approcciare la storia del luogo, ricordandone la distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale e il restauro che ha consentito di recuperare un capolavoro dell’architettura barocca bolognese.
Trova una singolare collocazione, creando anche in questo caso una relazione viva con lo spazio ospitante, la videoinstallazione Aedes Aegypti di Pedro Neves Marques, a cura di Sabrina Samorì, promossa da MAMbo in collaborazione con SMA – Sistema Museale di Ateneo, che sarà visibile all’Orto Botanico ed Erbario dell’Università di Bologna.
Le sale storiche di Palazzo Vizzani saranno abitate da Fuori Terra, mostra di Mattia Pajè a cura di Giovanni Rendina, promossa da MAMbo e Alchemilla in collaborazione con Associazione BOCA e Gelateria Sogni di Ghiaccio, incentrata su un gruppo scultoreo composto da figure umanoidi immerse in un ambiente installativo.

Accanto al Main Program, a riconfermare l’identità della Bologna contemporanea come inesauribile officina di eventi artistici, concorre la presenza di un sistema culturale diffuso e interconnesso in cui si riflette la multiforme pluralità di approcci verso la creatività del presente. Concorreranno alla programmazione coordinata di musei, fondazioni e spazi istituzionali, pubblici e privati, numerose iniziative.
Come di consueto, protagoniste di primo piano della art week bolognese saranno le Associazione Gallerie Bologna associate a Confcommercio Ascom Bologna, con proposte espositive che spazieranno dalla grande arte figurativa italiana del Novecento ad eccellenti artisti internazionali, ad autori del nostro territorio.
Nel denso programma non mancheranno le mostre e le altre iniziative allestite nelle più diverse tipologie di spazi espositivi e gallerie indipendenti, che ogni anno animano Bologna trasformandola in un teatro delle più diverse pratiche del contemporaneo.

ART CITY White Night
Per gli appassionati d’arte che desiderano diversificare il proprio percorso in una miriade di proposte e spazi e concentrarlo la sera di sabato 14 maggio, torna ART CITY White Night,l’invasione pacifica dell’arte contemporanea in città con mostre, performance, eventi in spazi pubblici, privati e commerciali.
La White Night è realizzata da BolognaFiere nell’ambito di ART CITY Bologna 2022 e in collaborazione con gli operatori commerciali e culturali bolognesi.
Per aderire è possibile segnalare il proprio evento sul sito artefiera.it.

Il pubblico. Modalità di fruizione

Per garantire la partecipazione in totale sicurezza di operatori e visitatori, il ritorno alla condivisione in presenza dell’arte e della cultura sarà vincolato al pieno rispetto delle norme di sicurezza e dei protocolli di tutela della salute in vigore nel periodo di svolgimento della rassegna.
Nell’ottica di favorire l’accessibilità, rimane confermata nel 2022 la gratuità di accesso per tutti gli eventi inclusi nel Main Program.
Per informazioni aggiornate sulle modalità di ingresso alle sedi espositive è sempre consigliata la preventiva consultazione del sito artcity.bologna.it.

La guida e gli altri strumenti per orientarsi nel programma
Le informazioni sul programma saranno declinate in due diversi formati editoriali, anch’essi curati nel visual design da Filippo Tappi e Marco Casella, da portare sempre con sé per farsi accompagnare nel proprio personale percorso durante i giorni della manifestazione e conservare al termine.
La guida booklet, a cura di Lorenzo Balbi, Caterina Molteni e Sabrina Samorì, conterrà testi curatoriali e descrizioni dei luoghi sul Main Program, in versione bilingue italiano/inglese, e sarà disponibile nelle sedi dei relativi progetti. Per orientarsi su tutti gli appuntamenti inclusi nel programma sarà disponibile la mappa in italiano, distribuita in tutti i luoghi del circuito ART CITY Bologna 2022, nei punti di informazione e accoglienza turistica di Bologna Welcome e nei padiglioni di Arte Fiera.

Il programma completo di ART CITY Bologna 2022 sarà pubblicato in prossimità della rassegna sul sito artcity.bologna.it.

Messina, Mondadori Bookstore – CHARTÆ. Mostra di Linda Sofia Randazzo. Testo critico di Mariateresa Zagone

Sabato 2 aprile alle 18:30 presso i locali della Mondadori Bookstore di via Consolato del Mare 35 a Messina, verrà inaugurata la mostra CHARTÆ di Linda Sofia Randazzo a cura di Mariateresa Zagone.

CHARTÆ.
Mostra di Linda Sofia Randazzo

A cura di Mariateresa Zagone

Linda Sofia Randazzo, Gabbiani, 50 cm x 50 cm, olio su tela, 2019.
LA MOSTRA

«Attendi, che la più perfetta guida che possa avere e migliore timone, si è la trionfal porta del ritrarre di naturale. E questo avanza tutti gli altri esempi; e sotto questo con ardito cuore sempre ti fida, e spezialmente come incominci ad avere qualche sentimento nel disegnare. Continuando ogni dì non ti manchi disegnar qualche cosa, ché non sarà sì poco che non sia assai; e faratti eccellente pro.» (Cennino Cennini, Trattato dell’Arte)

Ho voluto iniziare questo breve testo critico con le parole con le quali Cennino Cennini raccomandava agli artisti la pratica del disegno giornaliero e quella di avere come maestra la natura per introdurre alla lettura del cadeau che è costituito dalla sequenza di opere su carta dell’artista palermitana Linda Sofia Randazzo qui esposte: una mostra da me fortemente voluta a Messina e possibile grazie all’ospitalità della Libreria Mondadori e di Viviana Montalto.

Sarebbe però più bello poter iniziare questa breve trattazione a partire dalla straordinaria impressione avuta quando, un freddo sabato dello scorso gennaio, in preparazione di CHARTÆ, mi sono recata a Palermo per scegliere le opere da esporre e conoscere direttamente l’artista, il suo mondo, i suoi luoghi; ne verrebbe fuori un racconto di empatia, di anime che si parlano, di sorprese (le mie) al cospetto di una donna/bambina che incarna la polarità archetipica di Persefone/Kore, di un’artista pura come quelli che, nell’immaginario collettivo, potevano esistere solo nella Montmartre di fine Ottocento.

Linda disegna come per sfogare un’ossessione, fotografa con la macchina fotografica o con la retina, fotografa e disegna la realtà che ha fortemente scelto di vivere e mi mostra fogli su fogli tirati fuori da carpette alloggiate disordinatamente in ogni dove.

Questa mostra vuole indagare come nasce un’opera pittorica e proverà a sbirciare nella sua genesi tramite un percorso che ricostruisce una sorta di sketchbook, fogli di carta che provengono da album di schizzi sparsi sono qui ricomposti in una sequenza serrata, a tratti dialogica, sui pannelli appositamente predisposti fra i libri.

Il punto di partenza del mio progetto curatoriale e il nucleo del pensiero creativo di Linda Sofia Randazzo permettono ai visitatori di osservare da vicino la sua pratica quotidiana del disegnare. Cani e gatti si alternano a nudi di donna e di uomo, a bambini, a pescatori e, soprattutto, a bagnanti. La ripetizione e la leggera variazione dell’angolo di studio permettono all’artista di capire come si formano le percezioni e di sviluppare, poi, il suo registro pittorico. Si tratta di un vasto repertorio di grafiche, dalla matita al carboncino alla penna bic, mentre negli acquerelli e nelle chine Linda esplora l’interazione dinamica tra la linea e il colore in senso espressionistico. La mostra vuole offrire, a chi saprà coglierle, affascinanti intuizioni sul processo creativo di una pittrice palermitana che espone per la prima volta nella città dello Stretto.

Linda scrive anche molto e di sé dice:
«Ho dato grande importanza alla presa diretta dal vero e allo studio preliminare dei soggetti, a partire dalle centinaia di schizzi e disegni che ho raccolto negli anni. Un dato fondamentale su cui si basa la mia pittura è l’importanza della percezione visiva, anche quando catturo i miei soggetti con la fotografia… Appartengo sicuramente alla categoria dei pittori figurativi, realisti e maggiormente interessati alla pittura come riflessione soggettiva sulla realtà. Da tempo ho capito che il mio amore e ossessione per la rappresentazione dei corpi non nasce da una precisa capacità accademica di creare il corpo in senso classico, né dalla ricerca del virtuosismo in questo senso, ma solo da una libera passione e l’attenzione per la muta capacità dei corpi e dei gesti umani di esprimere ed evocare mondi sommersi di emozioni e di storie non dette. Quello su cui mi soffermo è il rapporto prossemico tra i corpi dei miei soggetti, colti nei gesti naturali e inconsci della quotidianità».

L’artista affronta l’Universo intero nella Sicilia, paradigma del mondo. È l’immagine costante di un disegno determinato nell’espressione della linea tagliente, nel taglio di figure chiuse dentro atteggiamenti e posture tanto ovvi da essere emblematici. La sua Sicilia è densità universale che abbandona il transitorio, la tensione è sempre espressionistica, il disegno (e poi la pittura) scopre una critica, ironica consistenza che ritaglia, quasi incide con un segno deciso ma sintetico ogni gesto, ogni forma, ogni ombra, su sfondi che si articolano per sottrazione, quindi, per la maggior parte, bianchi o del colore della carta di volta in volta usata. È un espressionismo realista, morsa da cui è dolce lasciarsi stringere, che ha le sue origini nel grande Novecento siciliano, da occidente ad oriente, da Guttuso a Migneco e che, come ogni realismo, ha la presunzione, certamente inconscia, di incidere sulla realtà, una realtà fatta di gesti meccanici, quotidiani e ripetitivi ma che diventano eterni. In questi disegni bisogna cercare l’ostinazione di una intelligenza eminentemente visiva che usa il segno per esprimere rabbia, dolore, allegria, amore ed ogni altra forma di sentimento nel comporsi di una grafica inconfondibile. Il foglio diviene luogo di tensioni lineari soggette a una figurazione fortemente sintetica che hanno la loro dichiarata matrice nelle articolazioni grammaticali degli amatissimi Matisse e Picasso, mentre l’irruenza incisa e gridata dei nudi femminili e maschili sembra apparentata maggiormente a certi esiti dell’espressionismo tedesco dall’intrinseco erotismo.

Partanna, la marina di Mondello, le periferie palermitane, rappresentano il palcoscenico sul quale agiscono senza recitare i suoi soggetti. C’è la pinguedine delle sue donne che dopo ore dietro i fornelli, si rilassano sulla spiaggia in pose stravaccate, padrone di un tempo lento tutto siciliano, siciliane di scoglio che non si allontanano dalla sicilianitudine che diventa, ancora una volta, paradigma universale.

Ironia, forse sarcasmo, forse denuncia, forse tutto insieme, forse niente. Però le grassone nell’arte, e nella più nobile- vedi Rubens– stanno lì sempre ad indicarci che una cosa è il pensiero sofisticato degli intellettuali, altro il sentire della maggioranza. Il grasso “è salute” diceva mia nonna che aveva attraversato la guerra e di penuria, di cibo e di ciccia, ne sapeva. E poco importa se sono ninfe immerse in boschi ombrosi o fruttivendole dalle caviglie gonfie che la domenica, finalmente, vanno a stracquariarsi con tutta la famiglia a seguito, o un piccolo Dioniso (e come non ricordare le insolenti trasposizioni di Caravaggio!) che per l’occasione veste i panni di un picciotto bastaseddu che in un meriggio estivo col sole cocente tira calci ad un pallone in una strada di Brancaccio.

Linda Sofia Randazzo, Autoritratto, 2018

L’ARTISTA

Linda Sofia Randazzo è nata a Palermo nel 1979, qui vive e lavora. Scenografa, costumista, performer, disegnatrice, ritrattista e pittrice. Lavora da più di 20 anni nelle arti visive, espone in gallerie private, musei, eventi e istituzioni dell’arte. Studia all’Accademia di Belle Arti Scenografia e si specializza in Pittura poi, a Milano, frequenta il Politecnico per un Master in Design per il teatro. Studia per due anni Storia dell’arte tra Palermo e Firenze, non conclude gli studi accademici ma si diletta a scrivere di arte, di pittura, a volte di letteratura; cura e progetta eventi e mostre indipendenti, collabora con artisti e curatori. Spesso lavora come illustratrice per alcune edizioni letterarie, ha condotto laboratori per bambini con associazioni di volontariato nei quartieri più difficili della città. Insegna privatamente disegno e pittura.

Sito web ufficiale: https://it.lindarandazzo.net/


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IMMAGINE DI APERTURA – Locandina

Jardino presenta “On the fault line”, mostra personale dell’artista Lucrezia Costa

Jardino è felice di aprire le sue porte con “On the fault line”, la mostra personale di Lucrezia Costa, a cura di Livia Milani e Julia Rajacic.

La mostra raccoglie le opere inedite realizzate da Costa durante i tre mesi di permanenza in galleria ed è il risultato di una ricerca stratificata e continuamente ripensata.

Questo progetto parte da una domanda: come è possibile trovare un equilibrio e conciliare ciò che è agli antipodi?

L’intera struttura ruota attorno al legame tra il concetto di equilibrio e quello di crepa per arrivare ad una profonda riflessione sul corpo, inteso come territorio in continua evoluzione.

Inaugurazione: 1 aprile, 16-21

Mostra aperta fino al 15 aprile su appuntamento (prenota la tua visita qui: 
https://www.jardino.it/exhibition )

Spero di vederti presto!

Jardino is thrilled to open its doors with “On the fault line”, the Lucrezia Costa’s solo show, curated by Livia Milani and Julia Rajacic.

The exhibition brings together the unpublished works created by Costa during the three months of residence in the gallery and is the result of a stratified and continually rethought research.

This project starts from a question: how is it possible to find a balance and reconcile what is at the antipodes?

The whole structure revolves around the link between the concept of balance and that of crack to arrive at a profound reflection concerning the body, understood as a constantly evolving territory.

Opening: 1st April, 4 pm-9pm

Exhibition open until 15th April by appointment (book your visit here: 
https://www.jardino.it/exhibition )

Hope to see you soon there !

Registrati all’evento qui / Register to the event here

Lecco: LA LUCE DEL VERO. L’eredità della pittura macchiaiola. Da Fattori a Ghiglia

L’esposizione esplora il tema, finora poco indagato, della pittura sviluppatasi tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, sulla scia della rivoluzione macchiaiola, attraverso 90 opere di autori quali Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Plinio Nomellini, Oscar Ghiglia, Lorenzo Viani e altri.

LECCO | PALAZZO DELLE PAURE
DAL 18 MARZO AL 19 GIUGNO 2022

LA LUCE DEL VERO

L’eredità della pittura macchiaiola. Da Fattori a Ghiglia

A cura di Simona Bartolena

Francesco Gioli, Contadine in toscana, fine ‘800, olio su tela, 35 x 55 cm, collezione privata, Livorno copia

Dal 18 marzo al 19 giugno 2022, il Palazzo delle Paure a Lecco ospita La luce del vero. L’eredità della pittura macchiaiola. Da Fattori a Ghiglia, nuovo appuntamento del ciclo di esposizioni, iniziato nel 2019, che approfondisce la scena artistica italiana del XIX secolo.

La mostra, curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi – Visit Different, in collaborazione con il Comune di Lecco e il Sistema Museale Urbano Lecchese, esplora, attraverso novanta opere provenienti da collezioni pubbliche e private, il tema finora poco indagato della pittura postmacchiaiola, termine che aiuta a definire quel novero di artisti attivi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo, cresciuti sull’esempio dei grandi maestri della Macchia, soprattutto di Giovanni Fattori, Silvestro Lega e Telemaco Signorini.

La rassegna è l’occasione per avvicinarsi a un gruppo di autori eterogeneo e complesso, dai fratelli Gioli alla famiglia Tommasi, da Llewelyn Lloyd a Ulvi Liegi, da Oscar Ghiglia a Plinio Nomellini, da Mario Puccini a Giovanni Bartolena, uniti dalla vocazione per il vero e per i soggetti tratti dalla vita quotidiana e dalla formazione di ascendenza macchiaiola. Alcuni di loro resteranno sempre fedeli alla lezione dei maestri, altri, invece porteranno la loro ricerca verso ambiti assai diversi da quelli di origine.

Il percorso espositivo si sviluppa come un racconto che, dall’esempio dei maestri – da Giovanni Fattori a Silvestro Lega -, giungerà a risultati più contemporanei con artisti quali Oscar Ghiglia e Lorenzo Viani, intrecciando l’analisi stilistica, il racconto biografico, la lettura iconografica e la ricerca storico-sociale.

Così l’assessore alla Cultura del Comune di Lecco Simona Piazza: “Con l’esposizione che arricchirà la primavera lecchese prosegue la collaborazione del Comune di Lecco e del Si.M.U.L. con ViDi, nel solco della programmazione delle grandi mostre ospitate in città. Un’occasione per i lecchesi e i visitatori di approfondire uno spiraglio di arte poco esplorato, come la corrente postmacchiaiola, con una lente anche sui più celebri macchiaioli, che furono i maestri degli artisti esposti. Proponiamo così un’altra importante opportunità per leggere la storia a cavallo fra Ottocento e Novecento, tra permanenza e trasformazione, attraverso lo sguardo dell’arte, nel quadro offerto da un più generale ciclo di esposizioni che la città di Lecco sta presentando, dal 2019, per esplorare la scena artistica italiana del diciannovesimo secolo”.

“Attraverso l’indagine della situazione dell’arte toscana alla fine del secolo – afferma Simona Bartolena -, la mostra svela anche i meccanismi che sottendono, più in generale, alla trasmissione del sapere da maestro ad allievo, l’evoluzione del linguaggio dei “padri” da parte delle nuove generazioni, le contaminazioni stilistiche che nel tempo modificano, anche radicalmente, gli esiti portati da una rivoluzione artistica”.

“Nell’area Toscana – prosegue Simona Bartolena -, il ventaglio di linguaggi e di ricerche in questo periodo di transizione è particolarmente ricco e l’intreccio tra lo sguardo sul vero oggettivo dei Macchiaioli, l’impatto dell’impressionismo francese e le tentazioni simboliste si fa molto interessante”.

Il periodo preso in esame si caratterizza come un momento storico dinamico, di grandi cambiamenti, essenziale per comprendere gli eventi che hanno aperto le porte alle novità novecentesche, come i dialoghi con la scena francese e con quella inglese e il passaggio dalla pittura del vero a quella dell’immaginazione e del sogno, tipica della ricerca di tanti artisti di fine secolo.

Catalogo Edizioni La Grafica/Ponte43.


LA LUCE DEL VERO.
L’eredità della pittura macchiaiola. Da Fattori a Ghiglia
Lecco, Palazzo delle Paure (piazza XX Settembre)
18 marzo – 19 giugno 2022

Orari:
lunedì chiuso
martedì 10.00 – 14.00
da mercoledì a domenica 10.00 – 18.00

Gli accessi alla mostra saranno regolati in base alle vigenti norme anti Covid-19.

Biglietti
Intero: €10,00;
Ridotto: €7,00 (ragazzi dai 13 ai 18 anni, over 65 anni, studenti universitari muniti di tessera, gruppi precostituiti da almeno 8 persone e fino ad un massimo di 20, soci FAI e TCI con tessere in corso di validità);
Scuole e bambini (dai 6 ai 12 anni): € 4,00;
Gratuito: disabile e un accompagnatore, giornalisti con tessera in corso di validità, guide turistiche abilitate, bambini fino ai 5 anni, soci ICOM muniti di tessera in corso di validità, soci Abbonamento Musei Lombardia muniti di tessera in corso di validità, un accompagnatorie di gruppi ogni 15 persone, docenti delle scuole di Lecco di ogni ordine e grado).

Prenotazioni
www.vivaticket.com

Informazioni
Tel. 0341 286729
E-mail palazzopaure@comune.lecco.it
www.museilecco.org | www.vidicultural.com

Catalogo
Edizioni La Grafica/Ponte43

Ufficio stampa Comune di Lecco
Tel. 0341.481262 | ufficio.stampa@comune.lecco.it

Ufficio stampa ViDi
CLP Relazioni Pubbliche, Tel. 02 36755700
Clara Cervia | clara.cervia@clp1968.it | www.clp1968.it

Bologna, Palazzo Albergati – Arriva la Collezione Julián Castilla con la mostra PHOTOS!

Per la prima volta in Italia, a Palazzo Albergati di Bologna arriva la Collezione Julián Castilla,
uno dei più ricchi archivi fotografici spagnoli, con la mostra
“PHOTOS! I capolavori della Collezione Julián Castilla: Cartier-Bresson, Doisneau, Capa, Man Ray e i più grandi fotografi del ‘900”.

Un viaggio imperdibile nella storia della fotografia internazionale e spagnola,
attraverso oltre 70 opere,
con gli scatti più iconici dei maestri più amati di sempre.

PHOTOS!

I capolavori della Collezione Julián Castilla:
Cartier-Bresson, Doisneau, Capa, Man Ray e i più grandi fotografi del ‘900

8 aprile – 4 settembre 2022
Palazzo Albergati, Bologna

Palazzo Albergati di Bologna ospita – dall’8 aprile al 4 settembre 2022 – per la prima volta in Italia, la straordinaria Collezione Julián Castilla con la mostra PHOTOS!

Alfred Stieglizt, Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Vivian Meier, Robert Capa, André Kertèsz, Alberto Korda e Robert Doisneau
,nonché fotografi spagnoli come Carlos Saura, Ramón Masats, Oriol Maspons, Isabel Muñoz, Cristina García Rodero o Chema Madoz e molti altri sono i protagonisti indiscussi, con i loro memorabili scatti entrati ormai nell’immaginario collettivo come fermo-immagine del secolo scorso, di un viaggio imperdibile nella storia della fotografia.

Un accostamento di oltre 70 opere, di grandi maestri spagnoli e internazionali, che rendono l’esposizione bolognese unica al mondo.
Considerata una delle collezioni private più importanti d’Europa, appartenente a Julián Castilla, noto collezionista d’arte spagnolo, copre più di un secolo di arte fotografica, dalla nascita della fotografia moderna all’inizio del XX secolo a quella attuale del XXI secolo. Una narrazione che passando per la creazione dell’Agenzia Magnum e lo sviluppo del fotoreportage, dall’evoluzione della fotografia di moda, al racconto del presente, si confronta oggi con le sfide contemporanee nell’era digitale.
La maggior parte delle opere della sua collezione storica sono in bianco e nero. L’ultima fotografia, datata febbraio 2005, è degli artisti Christo e Jeanne-Claude, che ritraggono la loro monumentale installazione di 37 chilometri a Central Park, composta da un totale di 7.503 “porte” (pannelli di tessuto arancione).

La mostraPHOTOS!, con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna, in collaborazione con Museo d’Arte Contemporanea di Villanueva de los Infantes, vede come sponsor Poema ed è curata da Cristina Carrillo de Albornoz.
La mostra è prodotta e organizzata da Arthemisia.


Informazioni e prenotazioni
didattica@arthemisia.it
T +39 06 915 110 55

Siti internet
www.palazzoalbergati.com
www.arthemisia.it

Hashtag ufficiale
#PhotosBologna

Ufficio Stampa
Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
T. +39 06 69380306

Relazioni esterne Arthemisia
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M. +39 335 7316687 | +39 345 7503572

Milano: LA PASSIONE. Arte italiana del ‘900 dai Musei Vaticani. Da Manzù a Guttuso, da Casorati a Carrà

Dall’11 marzo al 5 giugno 2022, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano e i Musei Vaticani presentano la mostra LA PASSIONE. Arte italiana del ‘900 dai Musei Vaticani. Da Manzù a Guttuso, da Casorati a Carrà.

All’interno del museo milanese, quaranta opere dei maggiori artisti del Novecento italiano, provenienti dalla Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, interpretano la Passione di Cristo e documentano il perdurare del loro interesse per il tema del sacro.

MILANO – MUSEO DIOCESANO CARLO MARIA MARTINI
11 MARZO – 5 GIUGNO 2022

A cura di Micol Forti e Nadia Righi

Mirko Basaldella
(Udine, 1910 – Cambridge, Mass., USA 1969)
 Crocifissione, omaggio a Martin Luther King Jr., 1968
tecnica mista su carta intelata, 90 x 180 cm
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea, inv. 23374
Foto © Governatorato SCV, Direzione dei Musei e dei Beni Culturali

L’esposizione, curata da Micol Forti, responsabile della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani, e da Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano, con il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Milano, dell’Arcidiocesi di Milano, sponsorizzata da Deloitte con il Patrocinio di Fondazione Deloitte, media partner IGP Decaux, è il nuovo capitolo nella collaborazione tra il Museo Diocesano di Milano e i Musei Vaticani, iniziata nel 2018 con l’esposizione Gaetano Previati. La Passione e proseguita nel 2020 con Gauguin, Matisse, Chagall. La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani, che ha inaugurato il primo di tre eventi espositivi pensati per il periodo pasquale e radunati attorno al titolo Resurrezioni dello sguardo.

Il progetto documenta la forza innovativa con cui l’arte del XX secolo ha affrontato le tematiche sacre, nel costante confronto tra la tradizione, l’evoluzione della ricerca linguistica e l’espressione di una nuova sensibilità spirituale.

Le opere selezionate comprendono un ampio arco del Novecento italiano, soffermandosi in particolare sul periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando gli artisti vivono un periodo di profonda riflessione sulla devastazione causata dagli eventi bellici e tentano di ripartire con grande slancio creativo, cercando di rispondere alle domande sempre più urgenti poste dalla società e dal mondo contemporaneo.

La mostra presenta 40 opere dei protagonisti di una delle stagioni più fertili dell’arte contemporanea italiana, quali Felice Casorati, Carlo Carrà, Marino Marini, Ottone Rosai, Renato Guttuso, Fausto Pirandello, Pericle Fazzini, Giacomo Manzù, provenienti dalla Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, cui si affiancano nomi meno celebrati, quali Aldo Carpi, Giuseppe Montanari, Antonio Giuseppe Santagata, Felice Carena, Gerardo Dottori ma ugualmente capaci d’interpretare la Passione di Cristo, come segno della sofferenza che ha toccato l’intera umanità e, nello stesso tempo, di considerare la sua Resurrezione come speranza e rinascita a vita nuova.

Il risultato è una narrazione corale, che testimonia come l’arte italiana, dagli inizi del Novecento, fino agli anni Settanta del secolo scorso, abbia mantenuto costante l’interesse per il sacro e per la sfida di rinnovare e riattivare il suo senso nel presente. In particolare, i temi legati alla Passione di Cristo hanno costituito un fondamentale terreno di scambio e di approfondimento tra aspetti iconografici, stilistici e narrativi.

Il percorso espositivo prende avvio con un focus su alcuni episodi che precedono la Passione di Cristo, come il Bacio di Giuda nell’interpretazione di Giuseppe Montanari e Felice Casorati o la Flagellazione di Salvatore Fiume.

La sale centrali sono dedicate alla rappresentazione della Crocifissione, declinata nelle molteplici varianti tecniche e interpretative, dalla tela di Gerardo Dottori del 1927, tra le prime opere di Arte Sacra Futurista, al Crocifisso bronzeo di Giacomo Manzù del 1937, dal bassorilievo in gesso di Marino Marini del 1939, ai disegni di Renato Guttuso, preparatori per la grande Crocifissione del 1941, alla Via Crucis di Pericle Fazzini del 1957-1958 per la chiesa di Santa Barbara a San Donato Milanese.

La mostra prosegue affrontando il tema della Pietà e della Deposizione, attraverso le opere di Carla Carrà, Felice Carena, Francesco Messina, Marino Marini e chiude con un disegno e un bozzetto in bronzo di Pericle Fazzini preparatori alla monumentale Resurrezione dell’Aula Paolo VI, destinata alle udienze pontificie e inaugurata dallo stesso papa Montini nel 1977.

Una sezione è riservata alla figura di Paolo VI e al suo pensiero sull’arte, in particolare a quella contemporanea, e sull’architettura. Qui s’incontra una selezione di bozzetti preparatori per la Via Crucis realizzati tra il 1960 e il 1961 da Guido Strazza per la chiesa di Ponte Lambro, nella periferia sud-est di Milano. Progettata dall’architetto Guido Maffezzoli, questo è uno dei luoghi di culto che rientra nel piano di costruzione 22 chiese per 22 concili, ideato e promosso nel 1961 dall’allora Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, per rispondere alla crescita del capoluogo lombardo e per celebrare l’apertura del Concilio Vaticano II.

Accompagna la rassegna un catalogo Silvana Editoriale, con testi di Luca Bressan, Micol Forti, Barbara Jatta, Nadia Righi, José Tolentino de Mendonça; schede di Francesca Boschetti, Matilde Coletti, Livia Ficoroni, Elisabetta Masala, Rosalia Pagliarani, Gloria Raimondi.


LA PASSIONE. Arte italiana del Novecento dai Musei Vaticani. Da Manzù a Guttuso, da Casorati a Carrà
Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini (p.zza Sant’Eustorgio, 3)
11 marzo – 5 giugno 2022

Orari:
martedì- domenica, 10-18
Chiuso lunedì

Biglietti:
Intero, € 8,00
Ridotto e gruppi, € 6,00
Scuole e oratori, € 4,00

È necessario esibire il Super green pass

Informazioni: T. +39 02 89420019; www.chiostrisanteustorgio.it

#MuseoDiocesanoMilano #MuDiMi

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche | Anna Defrancesco | T. +39 02 36755700 | M. +39 349 6107625  anna.defrancesco@clp1968.it | www.clp1968.it

L’interazione tra arte, industria e artigianato al Deutscher Werkbund di Colonia

di Sergio Bertolami

39 – La ricerca di uno stile contemporaneo nel disegno per l’industria

Il discorso di Loos, chiuso su sé stesso, non poteva portare a soluzioni concrete. Era troppo semplicistico affermare: «Dato che l’ornamento non ha più alcun rapporto organico con la nostra civiltà, esso non ne è più neppure l’espressione. L’ornamento realizzato oggigiorno non ha nessun rapporto con noi, non ha in genere nessun rapporto con gli uomini, nessun rapporto con l’ordine del mondo. Esso non è suscettibile di sviluppo. […] L’ornamento moderno non ha predecessori, né ha discendenza, non ha un passato né avrà un futuro». La realtà è che Loos confondeva la superata ornamentazione col nascente design, come poteva essere quello della Weiner Werkstatte, che Loos detestava largamente, ma che Josef Hoffmann e Koloman Moser, dal 1903, avevano portato al successo. Il 5 e 6 ottobre del 1907 – ovvero l’anno prima che Loos cominciasse a diffondere le idee di Ornamento e delitto – nasceva a Monaco il Werkbund tedesco, nel 1910 quello austriaco e nel 1913 il Werkbund svizzero. Tutte associazioni decise ad arricchire la ricerca artistica con l’intento di migliorare proprio il design e, con questo, la qualità del prodotto industriale.

Il perfezionamento del lavoro commerciale nell’interazione tra arte, industria e artigianato – Trattative del Werkbund tedesco a Monaco l’11 e 12 luglio 1908

Abbiamo già visto – nel corso della nostra passeggiata sull’arte del Novecento – come il movimento Arts and Crafts chiedesse che ogni minimo oggetto, «ogni sedia, ogni tavolo e ogni letto, ogni cucchiaio, ogni brocca e ogni bicchiere [dovesse] essere reinventato» ma pur sempre prodotto dalle mani di un uomo. Ovviamente, il movimento di John Ruskin e William Morris era consapevole di non poter fermare la meccanizzazione e il progresso industriale, per questo s’era orientato in gran parte d’Europa verso nuove forme artistiche che hanno dato spazio alla nascente Art Nouveau. In Germania le teorie riformatrici fin dall’inizio si sono, invece, legate alle idee economiche del governo e alla volontà di contribuire allo sviluppo dell’industria. In tal senso l’associazione più nota che ha implementato il nuovo orientamento è stato il Deutscher Werkbund (Lega tedesca artigiani), fondato nel 1907 come Associazione all’avanguardia di artisti visivi, architetti, industriali, uomini d’affari e scrittori. In verità l’idea organizzativa era nata già sul finire del secolo precedente, imbastita a Monaco di Baviera nel 1898 nella Vereinigte Werkstätten für Kunst im Handwerk (Laboratori uniti per arti e mestieri). L’obiettivo era quello di dare uno stile contemporaneo e innovativo a tutti gli oggetti della vita quotidiana, come tavoli e sedie, stoviglie e altro ancora. La ricerca, ad ampio spettro, comincerà ad interessare dapprima le abitazioni, per passare successivamente alla vita moderna nella sua totalità.

Hotel Vier Jahreszeiten Munich

Su iniziativa di Hermann Muthesius, Friedrich Naumann e Henry van de Velde, facendo seguito ad un appello di dodici artisti e dodici industriali, un centinaio di stimati artisti, industriali e operatori culturali il 5 ottobre 1907 s’incontrarono all’Hotel Vier Jahreszeiten di Monaco per istituire una nuova coalizione che ponesse il prodotto del proprio lavoro al centro di ogni attenzione. Tra gli iniziatori c’erano personaggi noti, ma anche coloro fino ad allora meno conosciuti. Tra gli architetti e gli artisti troviamo Peter Behrens (1868-1940), Theodor Fischer (1862-1938), Josef Hoffmann (1870-1956), Josef Olbrich (1867-1968), Bruno Paul (1874-1968), Richard Riemerschmid (1868-1957), Fritz Schumacher (1869-1947). Tra le principali industrie spiccavano, fra le altre, la fabbrica di posate Peter Bruckmann a Heilbronn, i laboratori tedeschi di artigianato a Dresda (poi Deutsche Werkstätten Hellerau), l’editore Eugen Diederichs a Jena, la fonderia di caratteri Gebrüder Klingspor a Offenbach, la tipografia di libri Poeschel & Trepte a Lipsia e la Wiener Werkstätten. Come primo presidente fu eletto l’architetto di Stoccarda Theodor Fischer e Karl Schmidt fu la personalità più rilevante dal punto di vista imprenditoriale. Gli iniziali fondatori, che includevano 12 artisti e 12 aziende, a marzo del 1912 erano saliti a 1.312 membri e nell’estate del 1914 a 1.870.

Manifesto per la mostra del Deutscher Werkbund del 1914 a Colonia. Disegno di Peter Behrens

A grandi passi si era arrivati alla “Prima mostra tedesca del Werkbund” (1914) a Colonia. La mostra fu fortemente voluta dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer – che nel secondo dopoguerra sarà uno dei padri fondatori della Comunità europea – allora di 36 anni, membro del Werkbund e politico a Colonia. La città spese per l’evento la strepitosa somma di 5 milioni di marchi. La pianificazione fu messa a punto nel 1912, mentre i lavori edilizi cominciarono all’inizio del 1914. La mostra fu aperta al pubblico da van de Velde il 16 maggio 1914. Una cinquantina erano i padiglioni espositivi. A Peter Behrens, Walter Gropius, Bruno Taut e Henry van de Velde erano state affidate le costruzioni in muratura di particolare importanza. L’edificio più ricordato è quello di Bruno Taut, con la sua cupola prismatica del Glaspavillon (padiglione di vetro), rimasta nell’immaginario degli architetti dell’epoca. Walter Gropius e Adolf Meyer concentrarono la progettazione su di una fabbrica modello, così come Henri van de Velde concepì un Teatro modello. Peter Behrens realizzò la Festhalle (salone delle feste) ed Hermann Muthesius la Casa dei colori.

Pianta generale della mostra del Deutscher Werkbund a Colonia, 1914,
ad opera dell’architetto-urbanista Carl Rehorst .

La mostra non intendeva puntare ad un ritorno finanziario, quanto adempiere ad un compito culturale. Carl Rehorst, considerato un popolare urbanista e carismatico architetto dalle idee innovative, nel catalogo ufficiale della mostra sottolineava: «Per la prima volta, si è tentato di portare l’obiettivo del Deutscher Werkbund a realizzare una nobilitazione del lavoro commerciale e industriale tedesco grazie alla collaborazione fra gli artisti, attraverso una mostra rivolta alla moltitudine più ampia della nostra gente […] Nuovi pensieri devono costituire la sua base, il suo programma, il suo aspetto esteriore ridisegnato a modo. Il contenuto offerto al visitatore dovrà fare recepire nuovi stimoli». I lavori e i progetti incontrarono il largo favore pubblico e grande influenza si riverberò in Europa. Si calcola che allo scoppio della guerra, la mostra del Werkbund avesse attirato oltre un milione di visitatori. Tutto questo per la qualità delle esposizioni. Nella sala principale, ad esempio, alcuni pezzi unici, selezionati tra le vecchie e le nuove realizzazioni, erano posti in mostra come indicatori della produzione commerciale in atto.

Cartolina Colonia sul Reno, mostra Deutsche Werkbund 1914, panorama della città e dell’area espositiva

A tal proposito il mensile olandese Elsevier’s Geïllustreerd Maandschrift scriveva: «La Germania si è mossa negli ultimi anni nel campo dell’artigianato con nota energia». Elsevier’s è stata la principale rivista olandese di riflessioni sulla letteratura e le arti visive. Non è che uno dei molteplici periodici culturali europei di ampio pubblico che si possono addurre ad esempio. Scorriamone alcuni passaggi essenziali: «L’artigianato tedesco, in generale, non si è limitato al lavoro di pochi individui, ma ha coinvolto l’intera industria. Con la sua istituzione, il Werkbund ha cercato il contatto tra artisti e industriali, ha dato ai primi l’opportunità di realizzare i propri pensieri, ha portato i secondi a vedere che la loro attività poteva e doveva essere migliorata a un piano estetico più elevato; mentre nel contempo si è ottenuto che il pubblico fosse interessato allo sviluppo delle arti e dei mestieri attuali. Inoltre, la collaborazione dell’industriale e dell’artista ha portato all’artigianato esteso anche a quello che può essere fatto a macchina e che può così essere offerto alla portata di moltissimi».

Raccolta della rivista mensile illustrata Elsevier’s,
volume 24/volume 48, 1914

Il successo dell’iniziativa tedesca valicava, dunque, gli ambiti nazionali e persuadeva l’Europa sulle strade da intraprendere. D’altra parte, il programma del Werkbund era chiaro più che mai: «Lo scopo della Federazione è il perfezionamento del lavoro commerciale nell’interazione tra arte, industria e artigianato attraverso l’istruzione, la propaganda e una dichiarazione unificata su questioni rilevanti». Era dunque possibile dimostrare fattivamente e non solo sul piano teorico che la collaborazione tra artisti moderni e imprenditori progressisti non solo avrebbe innalzato il livello dei prodotti manifatturieri tedeschi, ma avrebbe anche reso più umano il processo di produzione. «Con grande perseveranza – continuava l’articolo di Elsevier’s – la Germania ha lavorato in modo tale da rendere popolare l’artigianato giovane e fiorente; al che bisogna aggiungere che la riorganizzazione delle varie scuole di arti e mestieri, passate sotto la direzione dei più eminenti artisti del movimento, non solo è stata una buona idea del governo, ma non ha mancato di esercitare la sua influenza. E l’influenza già emanata da quelle scuole è molto evidente, di conseguenza, in molti rami dell’industria, dove sta emergendo una direzione precisa che punta a nuove forme, nuove applicazioni, nuovi modi di far conoscere i prodotti al pubblico, nuovi modi di esporre, confezionare, annunciare. E quello che si vede da tutto ciò, non solo è fresco e buono, ma è “finito”, curato nei minimi dettagli, pensato, insomma è ottimo».

Bruno Taut, Glashaus-Pavillon, Kölner Werkbundausstellung, 1914

Come, d’altra parte, indicavano gli ordinamenti del Deutscher Werkbund, il focus principale era incentrato su tre attività. In primis la propaganda per gli obiettivi dell’associazione, quindi l’educazione del pubblico ed infine la riforma estetica. Fino al 1914, infatti, ogni azione predisposta dal Werkbund aveva scopo propagandistico. Il solo annuario pubblicato dal 1912 aveva raddoppiato la tiratura a 10.000 copie nel 1914 e la prefazione al catalogo ufficiale di Carl Rehorst chiariva, come s’è visto, gli obiettivi della stessa mostra. Tutto ciò, però, non bastava, perché anche svolgere un’educazione artistica era una necessità impellente: «In nessun momento in Germania l’educazione artistica è stata così importante come lo è oggi». In modo particolare, si puntava ad orientare il gusto del pubblico riguardo ad un’arte “buona”, prendendo le distanze da quella “cattiva”. Anzi, occorreva insegnare alle persone come distinguere da sole l’arte “cattiva” dalla “buona”. L’aspetto educativo era considerato, in effetti, particolarmente importante, poiché la produzione industriale incontrollata aveva dato origine al fenomeno del cosiddetto kitsch, cioè tutti quegli oggetti artistici di massa in realtà banali e di pessimo gusto. Basti l’esempio del lucidante per scarpe, marchiato “Crema degli eroi tedeschi”, immesso sul mercato nel 1914 allo scoppio del conflitto. «Finalmente – si poteva leggere riguardo al Werkbund – per la prima volta, si è cercato anche di mantenere una mostra libera da tutti quegli oggetti inferiori, invadenti e sfacciatamente offerti che così spesso hanno quasi sopraffatto quelli buoni veramente». E come contrappunto a questo “kitsch”, veniva portato ad esempio un “servizio da pranzo” di Henry van de Velde realizzato nel 1903.

Van de Velde propone la sedia individuale, Muthesius propone la sedia tipo e il falegname costruisce la sedia per sedersi. Disegno satirico di Karl Arnolds sulla controversia del congresso del Deutscher Werkbund apparso su Simplicissimus del 3 agosto 1914

La terza attività principale, menzionata negli ordinamenti del Werkbund, era la riforma estetica stessa. Col principio che «Bisogna abolire la differenza tra realtà e apparenza», si faceva un salto di qualità, voltando definitivamente le spalle alle vecchie concezioni. Nello storicismo la decorazione enfatizzava gli oggetti. Fino ad allora i prodotti, anche quelli di comune utilizzo, soddisfacevano la cultura della perenne imitazione di una classe superiore aristocratica alla quale teoricamente si doveva aspirare di appartenere. Finora la Nazione era rappresentata da un imperatore che, attraverso l’arte nazionale ufficiale, riprendeva antiche tradizioni. Ma se è vero, com’è vero, che i governanti sentivano il bisogno di esibire al mondo esterno il loro potere in manifestazioni fastose e rappresentative, ciò non poteva più interessare sia gli acquirenti della classe media istruita, sia la nuova classe media industriale o imprenditoriale. Per il Werkbund gli oggetti avrebbero dovuto essere disadorni nella forma, e sviluppare qualità funzionali e pratiche, in opposizione alla falsa estetica del lusso.

Hermann Muthesius e la moglie Anna bevono il tè, intorno al 1900
Peter Behrens, Teiera elettrica componibile in differenti varanti

Come attuare questo nuovo approccio culturale in linea con i tempi correnti? Sin dalla fondazione dell’associazione, le posizioni, seppure in un clima di apertura e pluralismo, furono molteplici e dissonanti fino ad esplodere nello scontro aperto fra Muthesius e van de Velde. In occasione del congresso annuale del Werkbund tenuto una settimana prima dell’apertura della mostra nella stessa Monaco, nel corso della sua prolusione Muthesius ripartisce il futuro lavoro dell’associazione in dieci tesi. A suo avviso sono le direttrici per il futuro. L’opposizione del gruppo degli artisti, capitanati da van de Velde, non manca a farsi sentire. Muthesius riesce, comunque, a raggiungere un compromesso, evitando non solo i rischi di una spaccatura, ma la mancata apertura della mostra, un evento talmente importante nello sviluppo dell’architettura moderna e del design industriale, che avrebbe compromesso l’evoluzione futura verso la creazione del Bauhaus. Infatti, la mostra aperta a maggio avrebbe dovuto protrarsi fino ad ottobre, ma venne bruscamente chiusa.

Dopo la dichiarazione di guerra del 31 luglio 1914 e la successiva mobilitazione, anche a Colonia furono chiusi tutti i luoghi di intrattenimento, i teatri e i musei. Un ultimo reportage sulla mostra del Werkbund è apparso sul Kölnische Zeitung il 6 agosto ed anche il quotidiano sospende le pubblicazioni. Per il Deutscher Werkbund e per gli espositori, la chiusura significò un contraccolpo finanziario. Tutti i padiglioni furono immediatamente rimossi e l’area espositiva, accanto alla stazione Deutz, messa a disposizione delle autorità per l’acquartieramento delle truppe e la disposizione dei servizi medici. Raccontano le cronache che la Festhalle di Peter Behrens venne utilizzata per il ricovero del bestiame e il Werkbundtheater di van de Velde come magazzino di fieno e paglia. La casa di vetro di Taut fu oggetto di tiro al bersaglio. Fra il 1915 e il 1920, tutti gli edifici espositivi, ad eccezione della casa da tè di Wilhelm Kreis, furono demoliti.

HERMANN MUTHESIUS

LE DIECI TESI

1. L’architettura, e con essa l’intera area delle attività del Werkbund, è incalzante verso la standardizzazione, e solo attraverso la standardizzazione può recuperare il significato universale che le era caratteristico ai tempi della cultura armonica.

2. Solo con la standardizzazione, intesa come risultato di una sana concentrazione, il buon gusto universalmente valido e affidabile può ritrovare un accesso.

3. Fino al raggiungimento di un livello di gusto elevato e generale, non possiamo aspettarci un’effettiva diffusione delle arti e dei mestieri tedeschi a livello internazionale.

4. Il mondo richiederà i nostri prodotti solo quando parleranno in uno stile espressivo convincente. I principi fondamentali per questo sono stati stabiliti dal governo tedesco.

5. Lo sviluppo creativo di quanto già realizzato è il compito più urgente del nostro tempo. Il successo finale del movimento dipenderà da questo. Qualsiasi ricaduta e deterioramento verso l’imitazione significherà oggi il degrado di qualsiasi immobile di pregio.

6. Partendo dalla convinzione che affidarsi sempre di più alla sua produzione sia una questione vitale per la Germania, il Deutcher Werkbund, in quanto associazione di artisti, industriali e commercianti, deve indirizzare la sua attenzione a creare le condizioni per un’arte industriale da esportare.

7. I progressi della Germania nelle arti applicate e nell’architettura dovrebbero essere portati avanti. Il modo più ovvio per farlo è raccomandare la realizzazione di periodici illustrati e mostre.

8. Le mostre del Deutcher Werkbund hanno senso solo se sono radicalmente circoscritte alla produzione migliore e più ammirevole. Esibizione artistica e commercio con l’estero devono essere considerati come una questione nazionale e quindi necessitano di sovvenzioni pubbliche.

9. Per qualsiasi esportazione, presenza aziendale potente e su larga scala e di buon gusto, sono dei prerequisiti. Neppure le esigenze interne potrebbero essere soddisfatte da un oggetto disegnato da un artista isolato.

10. Per ragioni nazionali, le grandi imprese di trasporto e distribuzione, le cui attività sono dirette all’estero, devono aderire al nuovo movimento, ora che ha mostrato i suoi frutti e rappresenta con coscienza l’arte tedesca nel mondo.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Dan Brown – Il codice da Vinci

Parigi, Museo del Louvre. Nella Grande Galleria, il vecchio curatore Saunière, ferito a morte, si aggrappa con un ultimo gesto disperato a un dipinto del Caravaggio, fa scattare l’allarme e le grate di ferro all’entrata della sala immediatamente scendono, chiudendo fuori il suo inseguitore. L’assassino, rabbioso, non ha ottenuto quello che voleva. A Saunière restano pochi minuti di vita. Si toglie i vestiti e, disteso sul pavimento, si dispone come l’uomo di Vitruvio, il celeberrimo disegno di Leonardo da Vinci. La scena che si presenta agli occhi dei primi soccorritori è agghiacciante: il vecchio disteso sul marmo è riuscito, prima di morire, a scrivere alcuni numeri, poche parole e soltanto un nome: Robert Langdon.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro