di Sergio Bertolami
39 – La ricerca di uno stile contemporaneo nel disegno per l’industria
Il discorso di Loos, chiuso su sé stesso, non poteva portare a soluzioni concrete. Era troppo semplicistico affermare: «Dato che l’ornamento non ha più alcun rapporto organico con la nostra civiltà, esso non ne è più neppure l’espressione. L’ornamento realizzato oggigiorno non ha nessun rapporto con noi, non ha in genere nessun rapporto con gli uomini, nessun rapporto con l’ordine del mondo. Esso non è suscettibile di sviluppo. […] L’ornamento moderno non ha predecessori, né ha discendenza, non ha un passato né avrà un futuro». La realtà è che Loos confondeva la superata ornamentazione col nascente design, come poteva essere quello della Weiner Werkstatte, che Loos detestava largamente, ma che Josef Hoffmann e Koloman Moser, dal 1903, avevano portato al successo. Il 5 e 6 ottobre del 1907 – ovvero l’anno prima che Loos cominciasse a diffondere le idee di Ornamento e delitto – nasceva a Monaco il Werkbund tedesco, nel 1910 quello austriaco e nel 1913 il Werkbund svizzero. Tutte associazioni decise ad arricchire la ricerca artistica con l’intento di migliorare proprio il design e, con questo, la qualità del prodotto industriale.
Abbiamo già visto – nel corso della nostra passeggiata sull’arte del Novecento – come il movimento Arts and Crafts chiedesse che ogni minimo oggetto, «ogni sedia, ogni tavolo e ogni letto, ogni cucchiaio, ogni brocca e ogni bicchiere [dovesse] essere reinventato» ma pur sempre prodotto dalle mani di un uomo. Ovviamente, il movimento di John Ruskin e William Morris era consapevole di non poter fermare la meccanizzazione e il progresso industriale, per questo s’era orientato in gran parte d’Europa verso nuove forme artistiche che hanno dato spazio alla nascente Art Nouveau. In Germania le teorie riformatrici fin dall’inizio si sono, invece, legate alle idee economiche del governo e alla volontà di contribuire allo sviluppo dell’industria. In tal senso l’associazione più nota che ha implementato il nuovo orientamento è stato il Deutscher Werkbund (Lega tedesca artigiani), fondato nel 1907 come Associazione all’avanguardia di artisti visivi, architetti, industriali, uomini d’affari e scrittori. In verità l’idea organizzativa era nata già sul finire del secolo precedente, imbastita a Monaco di Baviera nel 1898 nella Vereinigte Werkstätten für Kunst im Handwerk (Laboratori uniti per arti e mestieri). L’obiettivo era quello di dare uno stile contemporaneo e innovativo a tutti gli oggetti della vita quotidiana, come tavoli e sedie, stoviglie e altro ancora. La ricerca, ad ampio spettro, comincerà ad interessare dapprima le abitazioni, per passare successivamente alla vita moderna nella sua totalità.
Su iniziativa di Hermann Muthesius, Friedrich Naumann e Henry van de Velde, facendo seguito ad un appello di dodici artisti e dodici industriali, un centinaio di stimati artisti, industriali e operatori culturali il 5 ottobre 1907 s’incontrarono all’Hotel Vier Jahreszeiten di Monaco per istituire una nuova coalizione che ponesse il prodotto del proprio lavoro al centro di ogni attenzione. Tra gli iniziatori c’erano personaggi noti, ma anche coloro fino ad allora meno conosciuti. Tra gli architetti e gli artisti troviamo Peter Behrens (1868-1940), Theodor Fischer (1862-1938), Josef Hoffmann (1870-1956), Josef Olbrich (1867-1968), Bruno Paul (1874-1968), Richard Riemerschmid (1868-1957), Fritz Schumacher (1869-1947). Tra le principali industrie spiccavano, fra le altre, la fabbrica di posate Peter Bruckmann a Heilbronn, i laboratori tedeschi di artigianato a Dresda (poi Deutsche Werkstätten Hellerau), l’editore Eugen Diederichs a Jena, la fonderia di caratteri Gebrüder Klingspor a Offenbach, la tipografia di libri Poeschel & Trepte a Lipsia e la Wiener Werkstätten. Come primo presidente fu eletto l’architetto di Stoccarda Theodor Fischer e Karl Schmidt fu la personalità più rilevante dal punto di vista imprenditoriale. Gli iniziali fondatori, che includevano 12 artisti e 12 aziende, a marzo del 1912 erano saliti a 1.312 membri e nell’estate del 1914 a 1.870.
A grandi passi si era arrivati alla “Prima mostra tedesca del Werkbund” (1914) a Colonia. La mostra fu fortemente voluta dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer – che nel secondo dopoguerra sarà uno dei padri fondatori della Comunità europea – allora di 36 anni, membro del Werkbund e politico a Colonia. La città spese per l’evento la strepitosa somma di 5 milioni di marchi. La pianificazione fu messa a punto nel 1912, mentre i lavori edilizi cominciarono all’inizio del 1914. La mostra fu aperta al pubblico da van de Velde il 16 maggio 1914. Una cinquantina erano i padiglioni espositivi. A Peter Behrens, Walter Gropius, Bruno Taut e Henry van de Velde erano state affidate le costruzioni in muratura di particolare importanza. L’edificio più ricordato è quello di Bruno Taut, con la sua cupola prismatica del Glaspavillon (padiglione di vetro), rimasta nell’immaginario degli architetti dell’epoca. Walter Gropius e Adolf Meyer concentrarono la progettazione su di una fabbrica modello, così come Henri van de Velde concepì un Teatro modello. Peter Behrens realizzò la Festhalle (salone delle feste) ed Hermann Muthesius la Casa dei colori.
La mostra non intendeva puntare ad un ritorno finanziario, quanto adempiere ad un compito culturale. Carl Rehorst, considerato un popolare urbanista e carismatico architetto dalle idee innovative, nel catalogo ufficiale della mostra sottolineava: «Per la prima volta, si è tentato di portare l’obiettivo del Deutscher Werkbund a realizzare una nobilitazione del lavoro commerciale e industriale tedesco grazie alla collaborazione fra gli artisti, attraverso una mostra rivolta alla moltitudine più ampia della nostra gente […] Nuovi pensieri devono costituire la sua base, il suo programma, il suo aspetto esteriore ridisegnato a modo. Il contenuto offerto al visitatore dovrà fare recepire nuovi stimoli». I lavori e i progetti incontrarono il largo favore pubblico e grande influenza si riverberò in Europa. Si calcola che allo scoppio della guerra, la mostra del Werkbund avesse attirato oltre un milione di visitatori. Tutto questo per la qualità delle esposizioni. Nella sala principale, ad esempio, alcuni pezzi unici, selezionati tra le vecchie e le nuove realizzazioni, erano posti in mostra come indicatori della produzione commerciale in atto.
A tal proposito il mensile olandese Elsevier’s Geïllustreerd Maandschrift scriveva: «La Germania si è mossa negli ultimi anni nel campo dell’artigianato con nota energia». Elsevier’s è stata la principale rivista olandese di riflessioni sulla letteratura e le arti visive. Non è che uno dei molteplici periodici culturali europei di ampio pubblico che si possono addurre ad esempio. Scorriamone alcuni passaggi essenziali: «L’artigianato tedesco, in generale, non si è limitato al lavoro di pochi individui, ma ha coinvolto l’intera industria. Con la sua istituzione, il Werkbund ha cercato il contatto tra artisti e industriali, ha dato ai primi l’opportunità di realizzare i propri pensieri, ha portato i secondi a vedere che la loro attività poteva e doveva essere migliorata a un piano estetico più elevato; mentre nel contempo si è ottenuto che il pubblico fosse interessato allo sviluppo delle arti e dei mestieri attuali. Inoltre, la collaborazione dell’industriale e dell’artista ha portato all’artigianato esteso anche a quello che può essere fatto a macchina e che può così essere offerto alla portata di moltissimi».
Il successo dell’iniziativa tedesca valicava, dunque, gli ambiti nazionali e persuadeva l’Europa sulle strade da intraprendere. D’altra parte, il programma del Werkbund era chiaro più che mai: «Lo scopo della Federazione è il perfezionamento del lavoro commerciale nell’interazione tra arte, industria e artigianato attraverso l’istruzione, la propaganda e una dichiarazione unificata su questioni rilevanti». Era dunque possibile dimostrare fattivamente e non solo sul piano teorico che la collaborazione tra artisti moderni e imprenditori progressisti non solo avrebbe innalzato il livello dei prodotti manifatturieri tedeschi, ma avrebbe anche reso più umano il processo di produzione. «Con grande perseveranza – continuava l’articolo di Elsevier’s – la Germania ha lavorato in modo tale da rendere popolare l’artigianato giovane e fiorente; al che bisogna aggiungere che la riorganizzazione delle varie scuole di arti e mestieri, passate sotto la direzione dei più eminenti artisti del movimento, non solo è stata una buona idea del governo, ma non ha mancato di esercitare la sua influenza. E l’influenza già emanata da quelle scuole è molto evidente, di conseguenza, in molti rami dell’industria, dove sta emergendo una direzione precisa che punta a nuove forme, nuove applicazioni, nuovi modi di far conoscere i prodotti al pubblico, nuovi modi di esporre, confezionare, annunciare. E quello che si vede da tutto ciò, non solo è fresco e buono, ma è “finito”, curato nei minimi dettagli, pensato, insomma è ottimo».
Come, d’altra parte, indicavano gli ordinamenti del Deutscher Werkbund, il focus principale era incentrato su tre attività. In primis la propaganda per gli obiettivi dell’associazione, quindi l’educazione del pubblico ed infine la riforma estetica. Fino al 1914, infatti, ogni azione predisposta dal Werkbund aveva scopo propagandistico. Il solo annuario pubblicato dal 1912 aveva raddoppiato la tiratura a 10.000 copie nel 1914 e la prefazione al catalogo ufficiale di Carl Rehorst chiariva, come s’è visto, gli obiettivi della stessa mostra. Tutto ciò, però, non bastava, perché anche svolgere un’educazione artistica era una necessità impellente: «In nessun momento in Germania l’educazione artistica è stata così importante come lo è oggi». In modo particolare, si puntava ad orientare il gusto del pubblico riguardo ad un’arte “buona”, prendendo le distanze da quella “cattiva”. Anzi, occorreva insegnare alle persone come distinguere da sole l’arte “cattiva” dalla “buona”. L’aspetto educativo era considerato, in effetti, particolarmente importante, poiché la produzione industriale incontrollata aveva dato origine al fenomeno del cosiddetto kitsch, cioè tutti quegli oggetti artistici di massa in realtà banali e di pessimo gusto. Basti l’esempio del lucidante per scarpe, marchiato “Crema degli eroi tedeschi”, immesso sul mercato nel 1914 allo scoppio del conflitto. «Finalmente – si poteva leggere riguardo al Werkbund – per la prima volta, si è cercato anche di mantenere una mostra libera da tutti quegli oggetti inferiori, invadenti e sfacciatamente offerti che così spesso hanno quasi sopraffatto quelli buoni veramente». E come contrappunto a questo “kitsch”, veniva portato ad esempio un “servizio da pranzo” di Henry van de Velde realizzato nel 1903.
La terza attività principale, menzionata negli ordinamenti del Werkbund, era la riforma estetica stessa. Col principio che «Bisogna abolire la differenza tra realtà e apparenza», si faceva un salto di qualità, voltando definitivamente le spalle alle vecchie concezioni. Nello storicismo la decorazione enfatizzava gli oggetti. Fino ad allora i prodotti, anche quelli di comune utilizzo, soddisfacevano la cultura della perenne imitazione di una classe superiore aristocratica alla quale teoricamente si doveva aspirare di appartenere. Finora la Nazione era rappresentata da un imperatore che, attraverso l’arte nazionale ufficiale, riprendeva antiche tradizioni. Ma se è vero, com’è vero, che i governanti sentivano il bisogno di esibire al mondo esterno il loro potere in manifestazioni fastose e rappresentative, ciò non poteva più interessare sia gli acquirenti della classe media istruita, sia la nuova classe media industriale o imprenditoriale. Per il Werkbund gli oggetti avrebbero dovuto essere disadorni nella forma, e sviluppare qualità funzionali e pratiche, in opposizione alla falsa estetica del lusso.
Come attuare questo nuovo approccio culturale in linea con i tempi correnti? Sin dalla fondazione dell’associazione, le posizioni, seppure in un clima di apertura e pluralismo, furono molteplici e dissonanti fino ad esplodere nello scontro aperto fra Muthesius e van de Velde. In occasione del congresso annuale del Werkbund tenuto una settimana prima dell’apertura della mostra nella stessa Monaco, nel corso della sua prolusione Muthesius ripartisce il futuro lavoro dell’associazione in dieci tesi. A suo avviso sono le direttrici per il futuro. L’opposizione del gruppo degli artisti, capitanati da van de Velde, non manca a farsi sentire. Muthesius riesce, comunque, a raggiungere un compromesso, evitando non solo i rischi di una spaccatura, ma la mancata apertura della mostra, un evento talmente importante nello sviluppo dell’architettura moderna e del design industriale, che avrebbe compromesso l’evoluzione futura verso la creazione del Bauhaus. Infatti, la mostra aperta a maggio avrebbe dovuto protrarsi fino ad ottobre, ma venne bruscamente chiusa.
Dopo la dichiarazione di guerra del 31 luglio 1914 e la successiva mobilitazione, anche a Colonia furono chiusi tutti i luoghi di intrattenimento, i teatri e i musei. Un ultimo reportage sulla mostra del Werkbund è apparso sul Kölnische Zeitung il 6 agosto ed anche il quotidiano sospende le pubblicazioni. Per il Deutscher Werkbund e per gli espositori, la chiusura significò un contraccolpo finanziario. Tutti i padiglioni furono immediatamente rimossi e l’area espositiva, accanto alla stazione Deutz, messa a disposizione delle autorità per l’acquartieramento delle truppe e la disposizione dei servizi medici. Raccontano le cronache che la Festhalle di Peter Behrens venne utilizzata per il ricovero del bestiame e il Werkbundtheater di van de Velde come magazzino di fieno e paglia. La casa di vetro di Taut fu oggetto di tiro al bersaglio. Fra il 1915 e il 1920, tutti gli edifici espositivi, ad eccezione della casa da tè di Wilhelm Kreis, furono demoliti.
HERMANN MUTHESIUS
LE DIECI TESI
1. L’architettura, e con essa l’intera area delle attività del Werkbund, è incalzante verso la standardizzazione, e solo attraverso la standardizzazione può recuperare il significato universale che le era caratteristico ai tempi della cultura armonica.
2. Solo con la standardizzazione, intesa come risultato di una sana concentrazione, il buon gusto universalmente valido e affidabile può ritrovare un accesso.
3. Fino al raggiungimento di un livello di gusto elevato e generale, non possiamo aspettarci un’effettiva diffusione delle arti e dei mestieri tedeschi a livello internazionale.
4. Il mondo richiederà i nostri prodotti solo quando parleranno in uno stile espressivo convincente. I principi fondamentali per questo sono stati stabiliti dal governo tedesco.
5. Lo sviluppo creativo di quanto già realizzato è il compito più urgente del nostro tempo. Il successo finale del movimento dipenderà da questo. Qualsiasi ricaduta e deterioramento verso l’imitazione significherà oggi il degrado di qualsiasi immobile di pregio.
6. Partendo dalla convinzione che affidarsi sempre di più alla sua produzione sia una questione vitale per la Germania, il Deutcher Werkbund, in quanto associazione di artisti, industriali e commercianti, deve indirizzare la sua attenzione a creare le condizioni per un’arte industriale da esportare.
7. I progressi della Germania nelle arti applicate e nell’architettura dovrebbero essere portati avanti. Il modo più ovvio per farlo è raccomandare la realizzazione di periodici illustrati e mostre.
8. Le mostre del Deutcher Werkbund hanno senso solo se sono radicalmente circoscritte alla produzione migliore e più ammirevole. Esibizione artistica e commercio con l’estero devono essere considerati come una questione nazionale e quindi necessitano di sovvenzioni pubbliche.
9. Per qualsiasi esportazione, presenza aziendale potente e su larga scala e di buon gusto, sono dei prerequisiti. Neppure le esigenze interne potrebbero essere soddisfatte da un oggetto disegnato da un artista isolato.
10. Per ragioni nazionali, le grandi imprese di trasporto e distribuzione, le cui attività sono dirette all’estero, devono aderire al nuovo movimento, ora che ha mostrato i suoi frutti e rappresenta con coscienza l’arte tedesca nel mondo.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay