Adolf Loos: “L’ornamento non soltanto è opera di delinquenti, ma è esso stesso un delitto”

di Sergio Bertolami

38 – Il saggio alle origini del modernismo

Mi riesce difficile commentare di Adolf Loos il testo più significativo: Ornamento e delitto (Ornament und Verbrechen). Non perché dica cose che non condivida nella loro essenza, ma perché le dice in modo così sconclusionato che meraviglia come abbiano fatto presa. Loos era un (simpatico) polemista, un litigioso che sapeva dare spettacolo come tanti protagonisti dei salotti televisivi di oggi. Tornato dagli Stati Uniti, era ancora alla ricerca di un proprio spazio, all’interno dei circoli intellettuali viennesi, e di un linguaggio espressivo che definirà col tempo. Li troverà sparando a zero contro gli amici di un tempo. A cominciare da Josef Hoffmann, compagno di liceo a Igiau, che aveva creato la Wiener Werkstaette e che della Secessione era uno dei protagonisti di primo piano. Eppure, qualcuno rammenterà che proprio sulla rivista simbolo della Secessione, Ver Sacrum – il nome aveva lo scopo di illustrare il nuovo stile, giovane e fiorito; un modo diverso per declinare l’Art Nouveau – Loos aveva pubblicato due articoli sullo storicismo dell’architettura della Ringstrasse. In verità, il giovane architetto sperava di suscitare l’attenzione del contesto al quale si rivolgeva. Ambiva ad essere incaricato per la progettazione del tempio sacro dello Jugendstil, quel palazzo che in Olbrich trovò, invece, il suo realizzatore. Con quel palazzo era stata posta la prima pietra per innescare la lite contro i migliori allievi e collaboratori del già famoso Otto Wagner. «Ma dove sono mai oggi i lavori di Otto Eckmann? Dove saranno tra dieci anni le opere di Olbrich?» si domandava Loos con livore proprio su Ornamento e delitto. Con questo saggio aveva trovato la materia del contendere e aveva qualcosa, da pari suo, per contribuire a demolire la seduzione delle arti applicate, che altri diligentemente stavano tentando di rinnovare. L’ornamento è superato diceva Loos. L’ornamento è un residuo di epoche passate, è destinato immancabilmente a sparire col progresso della civiltà. Prima gridava, poi si lamentava di rimanere inascoltato: «Guardate, il momento si approssima, il compimento ci attende. Presto le vie delle città risplenderanno come bianche muraglie! Come Sion, la città santa, la capitale del cielo. Allora sarà il compimento. Ma taluni uccelli del malaugurio non hanno potuto sopportare tutto questo. L’umanità doveva continuare ancora per lungo tempo ad ansimare nella schiavitù dell’ornamento».

Recente edizione tedesca di
Ornament und verbrechen

Che strano: la casa sulla Michaelerplatz – sottolineata col nome di Looshaus, la casa di Loos – è tutt’altro che priva di ornamenti. Fa parte di quell’atteggiamento al quale accennavo: sconclusionato e contraddittorio. Loos diffonde degli assiomi: «Io ho scoperto e donato al mondo la seguente nozione: l’evoluzione della civiltà è sinonimo dell’eliminazione dell’ornamento dall’oggetto d’uso. Credevo di portare con questo nuova gioia nel mondo, ma esso non me ne è stato grato. Tutti ne sono stati tristi e hanno chinato il capo. Provavano un senso di oppressione di fronte all’idea che non si possa più produrre un ornamento nuovo». Eppure, nel palazzo sulla Michaelerplatz, proprio lui indica un nuovo ornamento modernista dato dai materiali pregiati: marmo screziato, legni venati, metalli e vetri lucidi. Nel 1909, un concorso di architettura, che non portò alla selezione di alcun vincitore, fece sì che Leopold Goldmann affidasse ad Adolf Loos l’incarico di erigere un edificio per aprire un elegante negozio di abbigliamento maschile della sua ditta Goldman & Salatsch.

Looshaus in Michaelerplatz, Vienna

Loos pensò di evidenziare la parte commerciale, con marmo cipollino e colonne tuscaniche ispirate alla città storica, da quella meramente residenziale lasciata disadorna. Scrive Loos in Parole nel vuoto: «Ciò che a me premeva era di separare nettamente nell’edificio la parte commerciale e gli appartamenti. Ho sempre avuto l’illusione di avere risolto questo problema nel senso dei nostri vecchi maestri viennesi. E questa illusione mi è stata confermata da quanto mi disse un artista moderno mio nemico: vuol essere moderno e costruisce una casa come le vecchie case viennesi!». Naturalmente l’edificio creò scandalo. Ciò che, però, occorre considerare è che quei rivestimenti marmorei e quelle colonne, inspiegabilmente, Loos non li considerava falsi e bugiardi quanto gli ornamenti utilizzati dai secessionisti e dalla Wiener Werkstaette. Bisogna, infatti, ricordare che Loos era figlio di uno scalpellino che non si limitava a sbozzare la pietra, ma la scolpiva. Da suo padre aveva ereditato il talento artistico e da quei marmi per tutta l’infanzia aveva assorbito conoscenze. Molte sono le ville e i palazzi innalzati da Loos, che, imbiancati di calce all’esterno, sfoggiano all’interno pregiati marmi venati, motivi ornamentali come solo la natura sa creare e un architetto di gusto sa accostare.  

Recente edizione italiana di “Parole nel Vuoto”, Adelphi 2016

In tutto c’è un prima e c’è un dopo. Già Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc si domandava: «Una concezione architettonica comporta una sua decorazione, oppure l’architetto fa ricorso alla decorazione quando la composizione dell’edificio è conclusa? In altri termini: la decorazione è parte integrante dell’edificio o è solo un vestito più o meno vuoto con il quale lo si copre quando le sue forme sono ormai stabilite?». Il dopo potrebbe essere sintetizzato nelle parole di Le Corbusier che entusiasta proclamava: «L’arte decorativa moderna non comporta nessun tipo di decorazione», che detto in questi termini è sicuramente paradossale, e aggiungeva: «Loos è passato con la scopa sotto i nostri piedi e ha fatto una pulizia omerica, esatta, sia filosofica che lirica».

In realtà quell’ornamento che Loos considera azzerato nei fatti, aprirà una discussione su problemi che il nascente Movimento moderno metterà a tacere, passando un colpo a pavimento con la scopa di Le Corbusier e di tanti altri protagonisti. In modo evidente, il rifiuto dell’ornamento non comprendeva per Loos il ricorso ai motivi tratti dalla naturalezza delle pietre e dei marmi. Le sue invettive contro l’ornamento erano indirizzate a contrastare la degenerazione di soluzioni socialmente insopportabili, diventate il simbolo di una classe sociale decadente, come la borghesia. Questo ornamento borghese era qualcosa di posticcio, una eccedenza rispetto alla struttura dell’oggetto, tanto da poterlo paragonare ad una maschera. La domanda alla quale altri hanno avuto il dovere di rispondere è questa: all’interno dell’arte, esiste o no uno spazio per una nuova sperimentazione sull’ornamento? In verità Loos stava lottando, con le sole forze che disponeva, per un proprio ideale di bellezza. Probabilmente non campava pretese; ma a posteriori è stato fatto diventare il profeta dell’architettura moderna: l’equivalente di un «Gesù Nazareno Re dei Giudei» (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) pietra fondante di un Cristianesimo tutto da inventare. Ne consegue che Loos è oggi ricordato più per il suo saggio sull’Ornamento, anziché per il tentativo di razionalizzare lo spazio interno degli edifici, identificato come Raumplan (piano spaziale). Intuizione ben maggiore. Attraverso un insieme di piani sfalsati, Loos compirà infatti i primi passi per rompere la meccanica sovrapposizione della struttura edilizia degli alloggi e garantire ad ogni stanza un’altezza funzionalmente idonea, attraverso la combinata rappresentazione di pianta e sezione.

Il Raumplan di Villa Mueller (Praga, 1930) permette di organizzare su piani separati lo spazio in una sequenza di zone a gradini dove l’altezza del soffitto è in relazione alle differenti funzioni

Ornamento e delitto rimane comunque il più celebre saggio di Loos, che invero ha scritto di tutto: come vestirsi, come arredare la propria casa, cosa mangiare, come comportarsi in società, come tagliarsi i capelli. Il testo viene iniziato nel 1908, anno della prima Kunstschau, quale abbozzo per una serie di conferenze, di cui innanzitutto quella all’Akademischer Verband für Literatur und Musik del 1910 a Vienna. Compare poi nel 1912 pubblicato dalla rivista Der Sturm e nel 1913 su Les Cahiers d’aujourd’hui in francese. Una notorietà che gli fa assumere la risonanza di un manifesto. Pur tuttavia, quello di Loos più che un programma culturale costituisce un vero e proprio pamphlet col quale prendeva posizione contro l’intera società, su svariate problematiche di stretta attualità che, a suo avviso, sarebbero connesse con l’ornamento paragonato ad una azione criminosa. Gli esempi che porta a sostegno delle sue motivazioni sono alquanti vacui e discutibili, dando per scontato ciò che non lo è affatto. Motivazioni estetiche, per cui l’ornamento maschera la dimensione utilitaria degli oggetti d’uso e degli spazi da abitare. Motivazioni sociali, perché l’ornamento esige un aumento dei tempi di lavorazione. Motivazioni economiche, perché il maggiore costo di produzione è scaricato sui lavoratori, che ricevono salari inadeguati.

Da sinistra: Adolf Loos, Karl Kraus, Herwarth Walden

Benché il testo sia reperibile su internet, in lingua originale o in traduzione italiana, pochissimi lo hanno letto integralmente oppure, come spesso accade, hanno accentrato il proprio interesse sui saggi dei commentatori che lo presentano. Sin dal titolo dato a questo scritto, Ornamento e delitto (Ornament und Verbrechen), si dimostra la virulenta radicalità con cui Loos esporrà le sue tesi. Non è assolutamente un testo criptico dal momento che i concetti sono delineati in modo semplice e comprensibile. Il problema è che Loos non riesce ad approfondire alcun assunto di base. Emerge già dalle prime righe come la sua vis polemica lo porti a ribaltare l’ottica dei suoi contemporanei. Non solo quella dei fautori di un classicismo che lui stesso non ha del tutto abbandonato – come quelle colonne tuscaniche della Looshaus – ma persino le tesi delle avanguardie espressioniste. Queste ultime cercano nelle isole lontane lo stato della purezza originaria alla quale aspirare, mentre lui, che accetta l’ornamento solo nei primitivi, lo considera simbolo di arretratezza perché primitivo. Chi, al tempo della modernità, continua ad utilizzare qualunque forma di ornamentazione o è un delinquente o è un degenerato. Leggere le prime battute fornisce l’idea di come delle valide intuizioni di base siano espresse in modo del tutto fuorviante. A questo punto, vi consiglio di leggere tutto, per avere la cognizione particolareggiata del contenuto: «Il Papua copre di tatuaggi la propria pelle, la sua barca, il suo remo, in breve ogni cosa che trovi a portata di mano. Non è un delinquente. Ma l’uomo moderno che si tatua è un delinquente o un degenerato. Vi sono prigioni dove l’ottanta per cento dei detenuti è tatuato. Gli individui tatuati che non sono in prigione sono delinquenti latenti o aristocratici degenerati. Se avviene che un uomo tatuato muoia in libertà, significa semplicemente che è morto qualche anno prima di aver potuto compiere il proprio delitto». Il resto leggetelo voi; io l’ho fatto più di una volta e non sono riuscito a trovare cosa ci sia veramente di criminoso nell’ornamento. Ma, come spesso accade, non è Loos che pecca nel dire ciò che onestamente pensa, ma coloro che nel Movimento moderno si dimostreranno più realisti del re.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

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