Nel fervore riformistico del tempo, i concetti alla base della riforma teatrale goldoniana sono da lui espressi lungo tutta la sua vita artistica, nel Teatro Comico, nelle lettere pubbliche al Bettinelli, in prefazioni e polemiche qui e là seminate nelle commedie. Anche altri autori suoi contemporanei dichiararono esigenze generali e particolari, ma solo Goldoni seppe realizzare una vera e propria "riforna".
Goldoni inizia dal superamento del Teatro del Seicento, ricco di metafore, iperboli e antitesi ma assolutamente privo di senso comune. Poi affronta la Commedia dell'Arte con il suo lubrico e buffonesco che finisce per ignorare ed escludere dalla scena l'umanità vera. Goldoni si sente un uomo moderno che pensa in maniera moderna. Egli nega questo genere di riso gratuito e spensierato, e cerca di dare una nuova dignità al comico. Per raggiungere questo egli non passa dall'ordine letterario e teorico o da quello poetico dell'Arcadia. Sfrondando i generi del tempo, esclude il prezioso, il retorico, l'eroico e le grandi passioni. Cosa rimane? La semplice analisi del cuore umano, i comportamenti, una realtà semplice e naturale, che si sviluppa in passioni sulla scena anche virtuose e patetiche, ma sempre esprimibili con tratti comici e leggeri. Egli si muove in modo che queste passioni tocchino lo spettatore, perchè non esistono più sulla scena tipi fissi irrazionali o astratti, ma caratteri umani, ben condotti, coerenti e naturali.

E' la vita che esplode sul palco come in un film moderno. Goldoni guarda alla realtà in quanto trasferibile sul teatro, in maniera selettiva, a lui confacente e diversa dal casuale che qualificano questo procedimento non come copia, ma come realismo artistico. Poichè questo "specchio quasi vero" rappresenta la realtà della società a lui contemporanea, esso "conduce la commedia in sviluppi d'azione motivati dai caratteri stessi, per modo che non ne risulti offesa la natura, riconduce la nuova realtà dell'arte cosi accosto a quella da cui è partita, da vedervi scorrere lo stesso sangue".