Benvenuti nella casa di Charles Dickens

 

Con BLOGROLL ci rechiamo oggi al 48 Doughty Street di Londra, dove un portoncino, prospiciente la via costeggiata da un parapetto in ferro, ci accoglie nella casa di Charles Dickens, trasformata in un Museo. È qui che l’autore ha scritto Oliver Twist, Il Circolo Pickwick e Nicholas Nickleby. Qui ha conseguito la fama internazionale come uno dei più grandi narratori del mondo. È l’unica rimasta delle tre dimore abitate dallo scrittore a Londra e ricorda solo gli anni fra il 1837 e il 1839. Due anni ricchi di fantasia narrativa.

L’abitazione è ubicata nel cuore di Bloomsbury. Un edificio in stile georgiano originale, risalente al 1809. Si può visitare il Museo che offre la suggestiva cornice di una casa intima vittoriana, perché vi sono conservati gli arredi, ma anche le prime edizioni delle opere famose e i ritratti dello scrittore più rappresentativo dell’epoca. Ci si può soffermare nella quiete dello studio dove hanno preso vita personaggi immortali. Ma i londinesi utilizzano la casa anche come ambiente ideale per un aperitivo elegante o un evento aziendale. Oppure per fare vivere agli ospiti una cena d’atmosfera, illuminata da candele, percorrendo gli stessi corridoi di Dickens.

Per saperne di più, scaricate il DEPLIANT e leggetelo attentamente.

Ma se volete vivere a distanza l’attività che oggi si svolge in questa casa, leggete il BLOG che ci porta dietro le quinte del Charles Dickens Museum, alla scoperta di mostre, eventi e iniziative per l’apprendimento.

 

Website: CHARLES DICKENS MUSEUM IN LONDON

Fonte immagine: DISCOVERING DICKENS’ LONDON HOME

Antichi mestieri: il tintore

 

Il mestiere del tintore

Il tintore si occupava di tingere direttamente i filati o le stoffe grezze tessute a completamento della lavorazione. Con l’evoluzione della gamma coloristica, si perfezionò il lavoro. Questo fino alla meccanizzazione del settore tessile. Tuttavia, negli anni ’50 e ’60 del Novecento, le ristrettezze economiche del dopoguerra, portarono le persone a rinnovare i propri abiti con l’uso di tingerli diversamente. Oggi non è più così. Ma, se con l’industrializzazione la produzione di stoffe ormai è un discorso automatizzato, che comprende anche la fase coloristica, la tintura continua ad esistere. È divenuta, infatti, una pratica propria delle lavanderie (e tintorie), che, oltre al lavaggio e la stiratura dei capi, alcune di esse offrono anche il servizio di tintura dei vestiti. Ma non è divenuto per questo, un lavoro semplice, perché è caratterizzato da diverse insidie tecniche, che mettono in pericolo la perfezione dell’operazione. Si conferma, quindi, nel piccolo, l’abilità artigiana dell’ex mestiere di tintore.

Il mestiere del tintore si applicava principalmente, alle fibre tessili, i filati ed i tessuti, in genere. Ma non basta, perché si dava (e si dà) colore anche al cuoio, alle pelli, al legno, ma anche ai capelli, cosa di cui si occupano attualmente i parrucchieri. Tintoria e tessitoria hanno sempre proceduto in coppia nella Storia. Anche oggi, la loro applicazione si lega all’industria dell’abbigliamento, e, quindi, direttamente al campo della moda.

La tintura consiste, in pratica, in un bagno del tessuto, in cui sono stati disciolti dei coloranti. L’evoluzione dei coloranti ha permesso l’ampliamento della gamma dei colori, e quindi indirettamente lo sviluppo dell’abbigliamento, maschile e femminile.

Le origini della tintura

Si fa risalire la coloritura degli indumenti, addirittura, al neolitico, grazie al ritrovamento di rarissimi vestiti dell’epoca, che ne portano il segno, e di pesi da telaio. Inizialmente, i coloranti erano tutti di origine vegetale o animale. Tra i primissimi, quelli estratti dalla robbia, il guado e l’uva. Al tempo degli Egizi si utilizzavano l’henné, il cartamo, lo zafferano e la curcuma e come mordente l’allume. Tutti materiali prodotti localmente. Tra i Babilonesi ed i Caldei, in Mesopotamia, venivano applicati colori alla lana, anche in una fase di filatura. Tutti dal tono molto acceso, quali i rossi ed i gialli. Il nero, presso gli Ebrei, si otteneva dal bitume, recuperato nell’area del mar Morto. I mirtilli davano il colore violetto, mentre altri colori si ottenevano dalle galle di quercia e dai suoi parassiti (il kermes).

Con i Fenici, nel XV secolo a.C., il colorante era estratto dal mollusco dei murex e si otteneva un bellissimo colore porpora. Con la vendita dei tessuti colorati, nacque, la prima pratica commerciale tra le altre popolazioni nel Mediterraneo.

Nel III millennio a.C., in India si utilizzava per il cotone il colore indaco, che risultava anche il più esportato. I colori tessili, in Giappone, erano ottenuti dalle alghe, molto utilizzate nel confezionamento dei Kimono femminili. Contemporaneamente, in Cina, dove era sviluppata la bachicoltura, si colorava la seta attraverso un metodo tenuto, per secoli, segreto dalla corte imperiale, che si arrogava il diritto di produzione e vendita.

Nel Sud America, le popolazioni delle civiltà dei Maya, Aztechi, Toltechi ed Inca, per tingere i propri vestiti, vi applicavano estratti da radici, cortecce e legno, ma anche dalle cocciniglie, che davano un rosso molto acceso ai capi. Quando fu scoperta l’America, le tecniche importate in Europa diedero una grande scossa all’abbigliamento del Vecchio Continente, rivoluzionandolo.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: TINTURA:

 

Rappresentazione dell'arte del tintore, antica stampa
Rappresentazione dell’arte del tintore, antica stampa

 

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Passo dopo passo, il futuro che si desidera


Evviva Palermo
capitale italiana della cultura per il 2018. Evviva perché «questa competizione virtuosa consente di lavorare molto in termini di progettazione e promozione», ha dichiarato il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Dario Franceschini. Il sindaco Leoluca Orlando ha parimenti evidenziato come il valore più significativo sia stato incentrato sulla cultura dell’accoglienza, all’insegna delle identità e delle alterità: «Dobbiamo avere autostima, ma non sentirci ombelico del mondo, perché il fatto di sentirci ombelico del mondo nel passato ci ha lasciati fuori dal mondo». Non è, però, marginale considerare che la buona progettazione praticata ha messo insieme i Beni del patrimonio palermitano, proposto Attività inerenti alla cultura, in modo tale da attivare il Turismo. Sono esattamente i compiti fondamentali del Ministero, istituito nel 1974 «al fine di assicurare l’organica tutela di interessi di estrema rilevanza sul piano interno e internazionale». Nel 2018 verrà designata la capitale italiana del 2020. Tutte le altre città potranno così puntare su nuove idee per esaltare le bellezze del proprio territorio. Due anni a disposizione per proporre il migliore progetto. Messina potrebbe una volta di più esaltare lo Stretto, senza rimanere ferma alla proposta presentata all’Unesco. Nel 2015 Palermo aveva ottenuto il riconoscimento del suo percorso arabo-normanno quale patrimonio dell’umanità. Ma era stata bocciata nella selezione per diventare capitale europea della cultura 2019. Si imbocca una strada, si cade sbucciandosi un ginocchio, ci si rialza e si continua. Il cammino si fa camminando, guardando avanti e trascurando il percorso compiuto, che, lieve o gravoso, non torneremo a percorrere.

Il verde sotto casa, breve Storia del giardino

 

La storia della civiltà si riflette sull’architettura, ma anche sul giardino, che arredava gli esterni. Si evolve nella misura in cui lo si concepisce. Dal verde sorprendente del giardino all’italiana, si è passati a quello geometrico nel giardino alla francese, per arrivare al giardino all’inglese, dove l’artificio ricrea una natura “incontaminata”. Dall’Ottocento in poi le varie fasi si fondono nel parco pubblico.

Oggi, viviamo una fase di grande ripensamento sull’opera dell’uomo e sulla natura. È l’uomo, infatti, che deve difendere la natura, proprio quella stessa che rappresentava, ai primordi, solo un grande pericolo incombente.

Il libro, che vi proponiamo, può ricordare e suggerire un comportamento sicuramente più sostenibile e rassicurante, che si è evoluto nei secoli, ed ha visto il succedersi di mode artistiche nel campo sia dell’arredo d’esterni, che del paesaggio. Un e-book che può essere inusuale, tutto da sfogliare e leggere.

 

Brevi istantanee da leggere sui primordi del giardino nell’antichità, cliccate:
http://www.experiences-plus.it/exp_istantanee/istantanee_10/giardino_storia_home.htm

Se, invece, volete gustare alcune anteprime-video di quello che può offrirvi il nostro e-book, cliccate:
Il giardino in età classica – VILLA ADRIANA A TIVOLI –
https://www.youtube.com/watch?v=S0xqopU9_6w
https://www.youtube.com/watch?v=Qs68eF2Y4cg

Il giardino all’italiana – VILLA D’ESTE A TIVOLI –
https://www.youtube.com/watch?v=aGm2DO5x-8E
https://www.youtube.com/watch?v=imHTyHOUHDc

Il giardino alla francese – IL GIARDINO DI VERSAILLES –
https://www.youtube.com/watch?v=WjvDNu1s60k
https://www.youtube.com/watch?v=vrUlRe5uDLw

DANIELE BERTOLAMI, Storia del giardino, formato e-book, costo 1,60 euro

 

 

Le storielle di Pitrè: Giufà e il giudice

 

Si racconta che Giufà una mattina se ne andò per finocchi ed erbe selvatiche e si ridusse a tornare in paese che era ormai notte. Mentre camminava c’era la luna annuvolata, che si affacciava e scompariva. Si sedette su d’una pietra e si mise a fissare la luna che si affacciava e scompariva, e quando si affacciava le diceva: «Affaccia, affaccia»; quando spariva: «Sparisci, sparisci». E non smetteva di ripetere: «Affaccia, affaccia! Sparisci, sparisci!».
Intanto sotto la strada c’erano due ladruncoli che squartavano una vitellina che avevano rubato. Quando intesero dire: «Affaccia e sparisci» si spaventarono che venisse la Giustizia; se la diedero a correre e lasciarono la carne.
Giufà, quando vide scappare i ladri, andò a vedere e trovò la vitellina squartata. Prese il coltello, cominciò a tagliarne la carne, ne riempì un sacco e se ne andò.
Arrivato da sua madre: «Ma’, aprite»
Sua madre gli disse: «Perché sei venuto così di notte?».
«Venni di notte perché ho portato la carne che domani dovrete vendere tutta, ché mi servono denari».
Gli rispose sua madre: «Domani tu torni in campagna, che io vendo la carne».
Quando fece giorno Giufà se ne andò e sua madre vendette tutta la carne.
La sera tornò Giufà e le disse: «Ma’ l’avete venduta la carne?».
«Sì, l’ho data a credito alle mosche».
«E la grana quando ve la dovranno dare?».
«Quando l’avranno».
Passarono otto giorni, ma denari le mosche non ne portarono; si parte Giufà e va dal Giudice e gli dice: «Signor Giudice, voglio fatta giustizia, ché detti la carne a credito alle mosche e non sono (ancora) venute a pagarmi».
Il giudice gli rispose: «Sentenzio che dove ne vedi l’ammazzi».
Giusto giusto una mosca andò a posarsi proprio sopra la testa del Giudice, Giufà (senza farselo ripetere due volte) gli sferrò un cazzotto (tanto forte) che gliela fracassò.

Fonte dell’immaginewww.behance.net
Illustrazione della storia: Marina De Santis

 

Il British Museum nel XX secolo 5/5

 

Durante la prima guerra mondiale, a causa del pericolo di bombardamenti, alcune collezioni vennero spostate altrove per sicurezza. Alla fine della guerra. Le collezioni ritornarono alla sede centrale. Furono constatati su alcuni pezzi segni di deterioramento. Nel maggio 1920, venne allestito un piccolo laboratorio di restauro. Da temporaneo divenne permanente nel 1931. Quello del British fu il primo laboratorio di conservazione in assoluto al mondo. Nella ricerca continua di spazio furono ricostruiti gli archivi e realizzati nuovi piani a mezzanino. Nel 1931 fu realizzata una galleria apposita per le Sculture del Partenone, finanziata dal commerciante d’arte Sir Joseph Duveen e progettata dall’architetto americano John Russell Pope. Su suggerimento di questo venne modificata la tinteggiatura delle gallerie, passando dal rosso cupo, d’epoca vittoriana, a tinte pastello, più chiare e moderne.

A partire dall’agosto del 1939, con la nuova guerra alle porte, iniziò una grande operazione di traslazione delle opere più preziose del museo. Furono utilizzate case di campagna, la stazione della metropolitana di Aldwych e la National Library of Wales. Il British Museum, come tutta Londra, venne pesantemente bombardata. Ebbe i suoi danni maggiori proprio nella galleria Duveen, costruita da poco. Dopo la seconda guerra mondiale, gli edifici furono ristrutturati e le collezioni tornarono al proprio posto nel museo. Venne ricostruita, nel 1959, la danneggiata Sala delle monete e delle medaglie. Nel 1962, nella Galleria Duveen, ristrutturata, ritornarono i fregi del Partenone, spostati durante la guerra.

A partire dalla fine degli anni Sessanta, furono introdotte innovazioni rivolte soprattutto al pubblico. Tra le quali: la fondazione dell’associazione “Amici del British Museum” (nel 1968); l’attivazione di un Servizio educativo (Education Service), nel 1970; la creazione di una casa editrice (nel 1973). Inoltre, con la nuova legge del 1963 si resero più semplici, amministrativamente, le donazioni al museo. Nel 1972 fu stabilita la costruzione della British Library, con l’edificazione di una nuova ala ad essa dedicata o di una nuova sede ex novo. Il governo suggerì la zona di St. Pancras. Al museo, vero e proprio, sarebbero rimaste le sezioni riguardanti i reperti storici, i dipinti, le etnografie, le monete e le banconote antiche, le collezioni di medaglie.

Si completò lo spostamento della British Library a St. Pancras solo nel 1998. Nel 2000, fu presentata al pubblico la Queen Elizabeth Great court, la più grande piazza coperta europea. Nel 1997 era stata inaugurata la Weston Gallery of Roman Britain, sui reperti britannici d’epoca romana: quindi, una sezione esclusiva.
Nel 1953, il museo ha celebrato il proprio bicentenario. Tra le esposizioni temporanee vi fu quella sui “Tesori di Tutankhamun“, del 1972. La più visitata mostra d’Inghilterra: 1.694.117 estimatori.

 

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L’inaspettato successo di Tex 3/6

 

Le pubblicazioni di Occhio cupo, non ottengono il successo sperato, e dopo sei puntate viene interrotto. Ma è Tex Willer a riservare incredibili sorprese. È talmente accettato dal pubblico, sin dalla prima uscita (intitolata Il totem misterioso), che, in breve, si trasforma in uno dei maggiori successi editoriali nel settore dei fumetti di quel periodo. Per Tex verrà utilizzato, successivamente, il formato ancora detto “formato Bonelli”, cioè, un albo di grandi dimensioni, che permette ai fumettisti una libertà d’espressione grafica non ottenibile con un formato più piccolo, come era stato impiegato per le uscite infelici di Occhio cupo. Quegli anni per Galep sono molto faticosi. Quasi non dorme per completare le strisce di Occhio cupo e Tex e le loro copertine. La situazione si normalizza quando vengono assunti dei grafici molto bravi, che lo affiancheranno per gestire le avventure di Tex. I nomi di questi collaboratori, che spenderanno la loro vita sui racconti del ranger, sono: Guglielmo Letteri, Giovanni Ticci ed Erio Nicolò.

Anche Galup, impiegato quasi a tempo pieno su Tex, avrà difficoltà a realizzare altri impegni grafici. Lo fa negli anni Cinquanta, con le copertine de Le Avventure del West (sempre Edizioni Audace) e solo nel 1977, disegnerà un altro racconto L’Uomo del Texas su sceneggiatura di Guido Nolitta, per la serie Un Uomo, Un’Avventura, edita dalla stessa Bonelli (che allora aveva il nome di Edizioni Cepim). Nel 1989, su incarico dell’editrice, Galup disegnò tavole e copertina del terzo albo speciale di Tex Willer, Il segno del serpente, che fu pubblicato l’anno seguente. Nel 1993, dopo quarantasei anni, smise di illustrare le storie del ranger, lasciando l’incarico al fumettista Claudio Villa. A distanza di un anno Aurelio Galleppini (Galup) muore all’età di 76 anni. Sembra stesse realizzando una nuova storia di Tex.

 

Le parole per esprimere la felicità

 

Oggi Blogroll approda a “la Lettura”, il settimanale allegato al Corriere della Sera ogni domenica. E lo fa per “farvi felici”, nel senso con l’intento di esplorare parole particolari che esprimono il meglio dell’animo umano. «Esplora il significato del termine: Un vocabolario della felicità, in continua evoluzione. Ecco cos’è «The Positive Lexicography Project», raccolta di parole intraducibili, ideata da Tim Lomas, docente di Psicologia Positiva della University of East London. «Ho cercato i vocaboli online, su siti, blog e tra i paper accademici — racconta a “la Lettura” —. Le persone, inoltre, mi inviano suggerimenti per sottopormi termini nuovi». I quali entrano a far parte del vocabolario a due condizioni: non devono avere un equivalente in inglese e devono descrivere esperienze, stati d’animo e tratti personali positivi.Un vocabolario della felicità, in continua evoluzione. Ecco cos’è «The Positive Lexicography Project», raccolta di parole intraducibili, ideata da Tim Lomas, docente di Psicologia Positiva della University of East London. «Ho cercato i vocaboli online, su siti, blog e tra i paper accademici — racconta a “la Lettura” —. Le persone, inoltre, mi inviano suggerimenti per sottopormi termini nuovi». I quali entrano a far parte del vocabolario a due condizioni: non devono avere un equivalente in inglese e devono descrivere esperienze, stati d’animo e tratti personali positivi».

LE PAROLE PER DESCRIVERE LA FELICITÀ IN 26 LINGUE

 

Antichi mestieri: il tessitore

 

Il mestiere del tessitore

Carlo di Borbone, oltre che re, fu un grande imprenditore. Egli diede vita in prossimità della sua Reggia di Caserta, gli stabilimenti reali di San Leucio, una tra le più antiche fabbriche tessili, dove si creavano stoffe per l’abbigliamento e per le varie tappezzerie del tempo. Mandò persino dei napoletani in Francia, a studiare le tecniche della tessitura. Ciononostante, anche queste tecniche, nella loro evoluzione, approdarono alla meccanizzazione dei processi lavorativi. Con Joseph-Marie Jacquard, inventore del telaio omonimo, le procedure si semplificarono ulteriormente. Il telaio Jacquard, infatti, era mosso da una semplice scheda perforata. Il telaio era controllato da un solo dipendente. Erano gli albori della moderna informatizzazione. Vi possiamo dire che questi telai di San Leucio sono stati ripristinati ed oggi sono funzionanti, da quelli più antichi e casalinghi (che i tessitori tenevano in casa ad uso familiare) al telaio Jacquard con le sue schede.

Anche il lavoro del tessitore è, quindi, tra i mestieri che sono andati scomparendo. Ma c’è da chiedersi: ovunque? Forse in Iran o Afghanistan, non sono stati avvertiti dell’arrivo dell’industrializzazione, perché continuano a produrre i loro tappeti con il telaio (se non a mano). Tappeti che sono da noi apprezzati e comprati. Esiste, quindi, ancora una nicchia di mercato, forse piccola, ma molto valutata.

 

Per saperne di più: Complesso monumentale del Belvedere di San Leucio.

TESSITURA: ENCICLOPEDIA TRECCANI
http://www.treccani.it/enciclopedia/tessitura/

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Kiwi, un uccello per leoni ed agnelli

 

Quei lustrascarpe con la laurea, di cui parlava l’editoriale di Centonove la scorsa settimana, non conoscono la storia di William Ramsey e del suo lucido “Kiwi”. Perché la racconto? Perché se un giovane fa un corso di formazione dovrebbe incontrare un professore come Malley che gli dicesse: «Sai, i professori non sono insegnanti, sono venditori. Io vendo te a te stesso». Prima del 1906 le scarpe si pulivano con una mistura di cera d’api fatta in casa: inconsistente per durata e inefficace alla pioggia. William aprì a Melbourne una fabbrichetta di disinfettanti e detergenti, lucidi e creme. Ma voleva migliorare; così mise insieme una miscela di nafta, lanolina, cera, gomma arabica e un colorante. La nafta, insolubile, evapora mentre il lucido asciuga e indurisce, conservandone però la brillantezza. La lanolina invece resiste all’acqua, lasciando al lucido la sua consistenza oleosa; fino alla stesura completa del prodotto rallenta l’evaporazione della nafta, rendendo l’aspetto della pelle perfettamente uniforme. Quando milioni di stivali dei soldati europei stipati in trincea necessitarono, nel fango, di un lucido in scatola, veloce da applicare e funzionale, il lucido “Kiwi” riuscì a donare colore e lucentezza alla pelle, proteggendo, se non altro, le scarpe. Ramsey, obietterebbe qualcuno, era un imprenditore! Occorre mettersi in testa che ognuno è sempre l’imprenditore di sé stesso, anche se vuole aprire un negozio di pasta fresca o fare l’avvocato. Invece, dice ancora il professor Malley, «voi studenti volete stare il più lontano possibile dal mondo reale. E gli stronzi ci campano sulla vostra apatia. Ci elaborano le strategie, valutano quante volte riusciranno a farla franca» (dal film “Leoni per agnelli”, 2007).

HERITAGE – 100NOVE n.05 del 2 febbraio 2017