di Sergio Bertolami
2 – Le bilan d’un siècle (1801-1900).
All’inizio del Novecento Parigi è la capitale della cultura. Lo è di fatto, non come oggi che le capitali della cultura le inventano a tavolino. La grande Esposizione Universale, aperta il 14 aprile e chiusa il 12 novembre del 1900, ne è la conferma. 58 Paesi partecipanti, oltre 50,8 milioni di visitatori. Il pubblico accede da trentasei porte, di cui la trionfale “Porta Monumentale” è sormontata dalla Parisienne, figura allegorica della Città di Parigi, opera di Paul Moreau-Vauthier. Per agevolare l’affluenza innumerevole, su progetto dell’architetto Marius Toudoire si costruisce la Gare de Lyon e su progetto dell’architetto Victor Laloux la Gare d’Orsay e il lussuoso albergo adiacente. Sono ambedue destinati ad accogliere e ad alloggiare i visitatori di questa Esposizione, la più grandiosa e imponente fino ad allora mai realizzata. Superiore addirittura a quella del 1889, allestita per celebrare il centenario della Rivoluzione francese, la cui icona espositiva costituita dalla Tour Eiffel è divenuta simbolo di Parigi. «La stazione è sfarzosa. Sembra un padiglione delle “Belle Arti”, e il padiglione delle “Belle Arti” somiglia ad una stazione; io propongo a Laloux di fare lo scambio se è ancora in tempo». Scriveva così il pittore Detaille prima dell’inaugurazione della stazione d’Orsay e del lussuoso albergo. Ottantasei anni dopo, l’ironico commento è diventato realtà, perché le due costruzioni sono state inglobate nel maestoso Musée d’Orsay, che espone le opere d’arte della seconda metà del secolo, cioè il periodo compreso fra il 1848 e il 1914. Chi ha percorso le sale di questo emozionante museo, e senza fretta è arrivato alla conclusione, ha potuto soffermarsi su quell’unico ambiente che ancora ripropone il suo stile originario, lasciando inalterate le atmosfere di quel tempo lontano. È la sala da ballo dell’albergo in stile Novecento-rococò, dove pitture e sculture si mescolano con i cromatismi raffinati della decorazione preesistente.
Cosa significa tutto questo? Rivolgo la domanda ai miei lettori attenti. Significa che questa Esposizione universale del 1900 a Parigi rappresenta il momento di snodo, in cui l’insieme delle tensioni espressive – che in ordine sparso vanno dall’arte alla scienza e viceversa – lasciano intendere che il progredire non è mai isolato. Con l’Esposizione Universale era arrivato per i parigini il momento di tracciare il bilancio del secolo che si chiudeva e immaginare quello che si apriva. Per questo motivo Alfred Picard, commissario generale dell’Esposizione, raccoglie in sei volumi Le bilan d’un siècle (1801-1900). Sì, il bilancio di un secolo. «Le esposizioni universali internazionali – scrive – sono delle imprese eminentemente feconde soprattutto laddove il loro inquadramento comprende, come nel 1900, dei musei centenari e più generalmente dei musei retrospettivi. Strumenti ammirabili di educazione e di istruzione pubblica, essi mostrano in un quadro avvincente l’evoluzione ininterrotta del mondo, elevano i cuori, stimolano gli uomini e i popoli, preparano le modalità dell’avvenire, servono potentemente gli interessi commerciali ed industriali». Il primo dei sei volumi (530 pagine, non poche) è dedicato ai progressi dell’arte e della cultura del XIX secolo: Education et enseignement, lettres, sciences, arts. Picard passa in rassegna la letteratura francese e quella estera di 19 Paesi, non solo europei; continua con le scienze, la musica e le arti. Anche in quest’ultimo caso il panorama ha carattere internazionale, come internazionale è l’Esposizione. Alla pittura, incisione, scultura ed architettura, insegnate nel corso del XIX secolo nelle Accademie, Picard aggiunge anche le variegate arti decorative, in Francia come in altre 29 nazioni, dall’Allemagne alla Turquie, in rigoroso ordine alfabetico. Parte dalle decorazioni fisse degli edifici, per poi considerare vetrate, carte da parati, mobili, tappezzerie, tappeti, tessuti d’arredamento, pizzi e ricami, ceramiche, cristalli e cristallerie, argenterie, gioiellerie e bijouterie, bronzi, ghise e ferri battuti artistici, metalli filati. Quante forme ha l’arte, che i libri consueti a portata dell’ampio pubblico trascurano. Picard non le dimentica, come non dimentica gli strumenti principali per stampare ed editare, realizzare carte geografiche, coniare monete e medaglie, fare musica.
Fra questi strumenti uno spazio è riservato alla nuova forma d’arte per eccellenza, qual è la fotografia. Inizia dal 1813 con Nicéphore Niepce occupato ad affrontare il problema del fissaggio, per considerare poi, a metà secolo, i processi d’impressione fotomeccanica come la fotolitografia (per citarne solo una) e giungere infine alla cinematografia, conquista relativamente recente, dei Fratelli Lumière. Picard si sofferma sugli sviluppi futuri di riprese fisse ed “animate”, colte in volo dall’aerostato. Aveva cominciato Nadar sorvolando e fotografando Parigi. La proiezione su schermo gigante dei film prodotti dai Fratelli Lumière è tra le maggiori attrazioni dell’Esposizione. Ma non ne mancano altre, al passo con i tempi. Il palazzo delle illusioni, per esempio, con la sua immensa sala arredata in stile eclettico-moresco e resa sfolgorante da migliaia di lampadine, che esaltano la conquista dell’elettricità, uscita oramai dalla fase sperimentale e impiegata per illuminare le strade della Ville Lumière e gli interni dei suoi palazzi. Tra i padiglioni espositivi, su progetto dell’architetto Charles Girault sorgono il Petit Palais, che dedica una retrospettiva di pittura all’arte del XIX secolo, e il Grand Palais realizzato dagli architetti Henri Deglane, Albert Louvet, Albert Thomas e Charles Girault, impegnati ciascuno a un’area definita. In questo grande edificio in muratura, acciaio e vetro, è allestita in particolare una mostra sulla produzione artistica dell’ultimo decennio, con le opere degli impressionisti il cui impegno ha conquistato del tutto il consenso del grande pubblico. Una mostra giudicata, tuttavia, una «manifestazione troncata, rispetto a ciò che si sarebbe sognato, infinitamente più vasto e completo».
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay