25- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – La vigna

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte terza: La vigna

La vigna

Una vigna che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo, è una vista familiare, eppure le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una porta magica. Sotto le viti è terra rossa dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie sta il cielo. È un cielo sempre tenero e maturo, dove non mancano – tesoro e vigna anch’esse – le nubi sode di settembre. Tutto ciò è familiare e remoto – infantile, a dirla breve, ma scuote ogni volta, quasi fosse un mondo.

La visione s’accompagna al sospetto che queste non siano se non le quinte di una scena favolosa in attesa di un evento che né il ricordo né la fantasia conoscono. Qualcosa d’inaudito è accaduto o accadrà su questo teatro. Basta pensare alle ore della notte, o del crepuscolo, in cui la vigna non cade sotto gli occhi e si sa che si distende sotto il cielo, sempre uguale e raccolta. Si direbbe che nessuno vi è mai camminato, eppure c’è chi la lavora a tralcio a tralcio e alla vendemmia è tutta gaia di voci e di passi. Ma poi se ne vanno, ed è come una stanza in cui da tempo non entra nessuno e la finestra è aperta al cielo. Il giorno e la notte vi regnano; a volte vi fa fresco e coperto – è la pioggia –, nulla muta nella stanza, e il tempo non passa. Neanche sulla vigna il tempo passa; la sua stagione è settembre e torna sempre, e appare eterna. Solamente un ragazzo la conosce davvero; sono passati gli anni, ma davanti alla vigna l’uomo adulto contemplandola ritrova il ragazzo. Il sospetto di ciò che deve – che è dovuto – accadere, la mantiene la stessa e risuscita nel ricordo l’infanzia. Ma nulla è veramente accaduto e il ragazzo non sapeva di attendere ciò che adesso sfugge anche al ricordo. E ciò che non accadde al principio non può accadere mai più.

Se non forse sia stata proprio quest’immobilità a incantare la vigna. Un sentiero l’attraversa all’insú, dimezzando i filari e tagliando una porta sul cielo vicino. Il ragazzo saliva per questi sentieri, vi saliva e non pensava a ricordare; non sapeva che l’attimo sarebbe durato come un germe e che un’ansia di afferrarlo e conoscerlo a fondo l’avrebbe in avvenire dilatato oltre il tempo. Forse quest’attimo era fatto di nulla, ma stava proprio in questo il suo avvenire. Un semplice e profondo nulla, non ricordato perché non ne valeva la pena, disteso nei giorni e poi perduto, riaffiora davanti al sentiero, alla vigna, e si scopre infantile, di là dalle cose e dal tempo, com’era allora che il tempo per il ragazzo non esisteva. E allora qualcosa è davvero accaduto. È accaduto un istante fa, è l’istante stesso: l’uomo e il ragazzo s’incontrano e sanno e si dicono che il tempo è sfumato.

L’uomo sa queste cose contemplando la vigna. E tutto l’accumulo, la lenta ricchezza di ricordi d’ogni sorta, non è nulla di fronte alla certezza di quest’estasi immemoriale. Ci sono cieli e piante, e stagioni e ritorni, ritrovamenti e dolcezze, ma questo è soltanto passato che la vita riplasma come giochi di nubi. La vigna è fatta anche di questo, un miele dell’anima, e qualcosa nel suo orizzonte apre plausibili vedute di nostalgia e di speranza. Insoliti eventi vi possono accadere che la sola fantasia suscita, ma non l’evento che soggiace a tutti quanti e tutti abolisce: la scomparsa del tempo. Questo non accade, è; anzi è la vigna stessa.

Davanti al sentiero che sale all’orizzonte, l’uomo non ritorna ragazzo: è ragazzo. Per un attimo, in cui giunge a far tacere ogni ricordo, si trova entro gli occhi la vigna immobile, istintiva, immutabile, quale ha sempre saputo di avere nel cuore. E non accade nulla, perché nulla può accadere che sia più vasto di questa presenza. Non occorre nemmeno fermarsi davanti alla vigna e riconoscerne i tratti familiari e inauditi. Basta l’attimo dell’incontro e già il ragazzo e l’uomo adulto han cominciato il loro dialogo che, ricco di giorni, dall’inizio non muta.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.

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