Complicare è da tutti, semplificare è difficile

 

Chi fa impara, chi vede ricorda, chi ascolta dimentica. Uso questo assioma di Bruno Munari, per continuare il discorso intrapreso sul tema dell’apprendimento. Munari sapeva usare un linguaggio chiaro e lineare per spiegare concetti complessi. Sapeva farlo perché interessato a conoscere la natura delle cose, per poi comunicarle nella loro essenzialità. Sorrido pensando che molti davanti ad un capolavoro d’arte contemporanea esclamano con stizza: «Questo potevo farlo anch’io!». Sottolinea Munari che l’espressione rimarca il non voler «dare valore alle cose semplici, perché a quel punto diventano quasi ovvie. In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può Rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima». La semplificazione è frutto di una metodica ricerca. Per i più, complicare fa sembrare tutto più importante; mentre è semplificare l’impegno più difficoltoso. «Per semplificare bisogna togliere e per togliere bisogna sapere cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più della scultura che vuole fare». Togliere, anziché aggiungere, configura il percorso verso l’essenzialità. Questo ha reso immortali Marcel Duchamp o Andy Warhol. La loro opera ha superato i confini del tempo, quando gran parte del lavoro di artisti, oggi sopravvalutati, scomparirà in un batter di ciglia. Con intelligenza è possibile semplificare. L’intelligenza è quel mezzo che tutti abbiamo a disposizione per esplorare il mondo esterno, per raccogliere e relazionare dati; quel mezzo per osservare, attraverso l’immaginazione, ciò che fantasia, invenzione e creatività permetterebbero di ideare, se decidessimo di usarle. «Non è la colla che fa il collage», diceva Duchamp, bensì la facoltà della mente ad unire i ritagli uno all’altro, come in un gioco di pazienza.

About the author: Sergio Bertolami