Le antichità archeologiche del British Museum 3/5

 

Dopo la sconfitta dell’esercito napoleonico nella battaglia del Nilo, l’Egitto e l’intero Medioriente entrarono a far parte della sfera politica britannica. Ciò comportò l’arrivo a Londra di pezzi archeologici egiziani. Tra questi, nel 1802, apparve la famosa stele di Rosetta, presentata agli studiosi dallo stesso re Giorgio III, dalla quale scaturì l’interpretazione dell’antica scrittura geroglifica egiziana; mentre nel 1818, fu esposta la colossale statua di Ramesse II, recuperata, in loco (tra i numerosi reperti), dal console generale Henry Salt. Grazie a lui, il museo inaugurò la sala della collezione di scultura egiziana. Nel 1805, invece fu donata da Charles Townley, la sua raccolta di sculture romane. Thomas Bruce, ambasciatore in Turchia (l’allora Impero ottomano), nel 1806, sull’Acropoli di Atene, arrivò a rimuovere dal Partenone le sue sculture marmoree. Uguale sorte ebbero i fregi del Tempio di Apollo Epicurio di Phigalia, antica città greca. Inoltre, dal Medioriente, arrivarono in Inghilterra, nel 1825, reperti archeologici di antichità Assire e Babilonesi, stavolta tramite acquisto, da parte della vedova di Claudius James Rich. Il tutto (sancito da una legge), fu acquisito dal British Museum, che aprì, così, numerose sale archeologiche.

La crescita esponenziale degli oggetti reperiti e raccolti, che aumentava ogni giorno, compreso il numero di visitatori in costante aumento, creò la necessità di una nuova sede istituzionale più ampia. Nel 1802, con l’ulteriore donazione della King’s Library appartenente al re Giorgio III, i problemi balzarono agli occhi. La collezione, infatti, si componeva di 65.000 libri, 19.000 pamphlet, oltre a diverse mappe, carte e disegni topografici. Per accogliere, in particolar modo, la Royal Library, fu deciso di dare il via alla costruzione di una nuova sede attraverso un ampliamento nella zona ad est. L’architetto neoclassico Robert Smirke fu incaricato del progetto. Quando, nel 1823, la Montagu House, fino ad allora sede del British Museum, fu demolita, si iniziò la costruzione per la King’s Library. Tuttavia, l’anno seguente, si ebbe la nascita della National Gallery, che tolse un po’ di fretta a tutti.

Il museo rimase chiuso, fatta eccezione per aperture straordinarie come fu nel 1851 per l’Esposizione Universale. L’edificio venne ultimato e riaprì i battenti nel 1852. Successivamente, furono realizzate le Infill galleries, per le sculture assire. La sala di lettura circolare con volta in ferro, progettata da Smirke per ospitarvi un milione di volumi, venne aperta alla cittadinanza, come la King’s Library, nel 1857. Durante gli anni di chiusura, nel museo operò l’italiano Antonio Panizzi. Egli rese ben organizzata e strutturata la sezione della biblioteca, quintuplicandola per numero di volumi, e portandola ad essere la seconda biblioteca d’Europa, dopo la Bibliothèque nationale de France di Parigi. Da molti è ritenuto il “secondo fondatore” del British Museum.

La collezione libraria di Sir Thomas Grenville, che contava 20.240 volumi, venne devoluta nel 1847 al museo inglese. Non venne esposta fino alla nascita della British Library a St Pancras, nel 1998. Proprio per la costante necessità di spazio, si decise di trasferire, nel 1887, la collezione di storia naturale a South Kensington, in un edificio che sarebbe divenuto poi il Natural History Museum. Con questa suddivisione il museo ritrovò lo spazio necessario. Verso la fine del XIX secolo, furono introdotte innovazioni, come l’illuminazione elettrica degli ambienti nella Reading Room e nelle gallerie.

 

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Le torri moderne, i grattacieli 1/2

 

Tra il 1910 ed il 1941, anno in cui gli Stati Uniti entrano in guerra, l’isola di Manhattan cambia volto, riempiendosi di edifici alti ed altissimi. Con la sua trasformazione cambia il modo di fare architettura e si acquisisce un modello di società totalmente innovativo. In questo continente la società mondiale entra in una nuova fase civile. È il futuro. Tra gli edifici eretti in questo periodo vi sono: il Chrysler Building (319 metri), il Chanin Building (215 metri), il General Electric Building (270 metri), il 500 Fifth Avenue (212 metri) ed il più famoso e più alto, Empire State Building (381 metri). Lo spazio che li contiene è ristretto alla sola parte sud e centrale di Manhattan, vicino a Wall Street (oggi fulcro di tutta l’area). Lo spazio è talmente ristretto, che i grattacieli vengono demoliti per far posto ad altri più elevati. È il caso del Singer Building, di 205 metri, che viene abbattuto per costruire, nella stessa zona, il Chase Manhattan Plaza, che raggiunge i 260 metri.

Dal secondo dopoguerra, naturalmente, non ci si è fermati nella costruzione di grattacieli. Le famose Torri Gemelle di New York, costruite nel 1973, erano il simbolo della cultura americana, divenendo (per questo) oggetto dell’attentato terroristico dell’11 settembre del 2001. Ciononostante, la tipologia ha preso piede in tutto il mondo, e oggi i grattacieli sono diventati simbolo di progresso e civiltà. 20 costruzioni superano sul globo un’altezza tale da essere definite “supergrattacieli”. Di questi, 20 hanno oltrepassato i 400 metri, ma solo 6, in tutto il mondo contano più di cento piani. Tra questi sei, il più elevato è il Burj Khalifa a Dubai. Fu terminato nel 2009 ed aperto al pubblico nel 2010. L’ultimo livello termina a 636 metri, mentre le sue antenne raggiungono gli 828 metri. Fa parte di un complesso molto più ampio nel centro di Dubai, che comprende altri edifici significativi, tra cui il secondo albergo più alto sul pianeta.

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Una voce per Bullenhuser Damm

Nella giornata della memoria un messaggio di Giuseppe Marchetti Tricamo alla professoressa Teresa Lazzaro, autrice del libro “Venti farfalle e una nuova primavera” edito da Experiences.

È la pagina più crudele e feroce della storia recente dell’umanità questa che vi viene raccontata. La più scellerata, infame e intollerabile, non perché non ce ne siano state altre – ancora più intrise di atrocità di cui sono zeppi quegli anni bui, nei quali il mondo smarrì la ragione – ma perché quella di Bullenhuser Damm riguarda venti piccoli innocenti, venti vite appena sbocciate, venti farfalle pronte a levarsi in volo per vivere la loro primavera – dice Teresa Lazzaro ­- ma caduti nella rete dell’orco nazista.

Sognavano, quei piccoli, di perdersi nel bosco incantato delle fiabe, volevano offrire il loro sorriso al mondo, come dice Sergio De Simone (il primo bambino arrivato ad Auschwitz) nei toccanti versi di Teresa Lazzaro “volevo essere il bimbo sorridente di un dipinto”. Ma tutto gli fu negato. Furono traditi. Furono ingannati. “Chi vuol vedere la mamma faccia un passo avanti” gli dissero, per convincerli ad offrirsi ma, invece di ritrovare il tepore e l’amore di un abbraccio, diventarono cavie di esperimenti aberranti.

Si prova una stretta al cuore nel leggere le parole vibranti di memoria e i versi teneri e struggenti di Teresa Lazzaro. Sì, professoressa Lazzaro, mantieni l’impegno che manifesti in chiusura di questo tuo libro, quando dici: “Bullenhuser Damm è dentro di me. Non smetterò mai di raccontare quanto accaduto”. Sì, non smettere. Séguita nella tua testimonianza, continua a ridestare la memoria degli adulti e a sollecitare la giovane sensibilità dei tuoi studenti perché, per concludere con un pensiero di Primo Levi, “se comprendere è impossibile, conoscere è necessario”.

Le due sorelle Bucci con al centro il loro cuginetto Sergio De Simone, il bimbo italiano ucciso a Bullenhuser Damm.

Il 14 gennaio del 2015 Saro Abate, preside del Liceo Classico Maurolico e allora preside delI’stituto Jaci, ha organizzato al Palacutura un commovente incontro con le sorelle Bucci e Teresa Lazzaro. Questo il suo ricordo.

Il 27 gennaio si celebra “Il Giorno della Memoria” che ricorda il 72° anniversario della liberazione del Campo di concentramento di Auschwitz e di tutte le vittime del genocidio perpetrato dai nazisti contro la popolazione ebraica. Vorrei ricordare il commovente e struggente incontro che il 14 gennaio 2015 ho organizzato con l’Istituto Jaci al Palacultura di Messina con Adra e Titiana Bucci, Teresa Lazzaro e gli studenti messinesi. Le sorelle Bucci sono le più giovani sopravvissute ebree italiane di Auschwitz ancora viventi. I ricordi di ciò che era effettivamente un campo di concentramento e di come il loro aver attraversato l’inferno da bambine vivendo una tragedia che probabilmente non riuscivano nemmeno a concepire, ed il loro uscirne come quasi uniche superstiti, abbiano influenzato la loro vita è stata toccante emotivamente ed ha rafforzato la coscienza sull’argomento, sensibilizzando i presenti alla riflessione.

Guardiamo il servizio della RTP trasmesso quel giorno.


Uscire dal sentiero battuto della logica comune

 

Il pensare differente, ricordato la scorsa settimana, si richiama alla tag-line «Think different» inventata per “oggettivare”, nei prodotti Apple, un insolito approccio creativo. È bene, infatti, evidenziare che si può riuscire a risolvere una molteplicità di interrogativi, osservando le questioni da angolazioni diverse. Ciò significa prescindere da logiche sequenziali, che spesso portano ad individuare percorsi ideali irrealizzabili di fronte ad infiniti ostacoli. Molte volte l’alternativa è intuire soluzioni fuori dalla rigida consequenzialità logica. Ad esempio, fare recuperare a questa città un amor proprio, progressivamente smarrito, continuando a parlare di identità nei pubblici dibattiti o su libri e giornali, si finisce col rivolgersi solo a quanti sono già sensibilizzati sul tema. Collateralmente esiste una moltitudine che non frequenta dibattiti e non legge. Come attrarre il loro interesse? “Oggettivando” la realtà, ovverosia restituendo l’astrazione di un pensiero attraverso una evidenza materiale. Come può essere la maglietta “Free Tibet” del nostro sindaco Accorinti – osteggiata da alcuni o al contrario amata da altri – che non simboleggia solo un Tibet oppresso, bensì una Messina realmente libera di cercare e ritrovare sé stessa. “Oggettivare” l’attenzione sulla Galleria Vittorio Emanuele e recuperarla con una gara di solidarietà, come è riuscita a fare l’assessore Ursino, ha rivitalizzato la percezione dei beni monumentali da valorizzare. Tale oggettivazione rende, quindi, espliciti concetti comunemente inafferrabili. Supera gli elementi materiali per estendersi a quelli immateriali, come sono le idee. E con queste idee animare quel processo di costruzione sociale di una realtà che vorremmo migliore.

I nostri calendari lunari 3/3

 

Non tutti sanno dell’esistenza del calendario lunare e del calendario luni-solare. Il primo ha una durata di circa 354 giorni ed è legato alle dodici lunazioni (le rotazioni della luna intorno alla Terra). Il secondo tipo cerca di fare coincidere l’anno lunare con quello solare (che è di 365 giorni), applicando degli espedienti.
L’uso del calendario lunare è antichissimo. Arcaiche popolazioni, come i babilonesi, ma anche gli indù o i cinesi, lo utilizzavano. Il loro però era un calendario luni-solare, data la necessità di armonizzare le coltivazioni con il cambiamento delle stagioni. Tra i calendari luni-solari il più famoso è quello cinese, in vigore da tempi remotissimi, adottato in tutto l’impero (che era molto vasto). L’uso permetteva alle popolazioni di utilizzare l’astrologia, allora molto importante (se non essenziale). Anche il calendario ebraico è del tipo lunare, ma nella necessità di farlo coincidere con quello solare, gli ebrei aggiungono un mese intercalato, chiamato embolismico.

Senza rendercene conto anche noi utilizziamo un calendario lunare. Infatti, poiché la chiesa cattolica adotta ancora il calendario ecclesiastico (lunisolare) la data della Pasqua è stabilita con quello. Ecco perché il giorno di Pasqua varia tutti gli anni. Il calendario ecclesiastico non considera, quindi, le reali irregolarità del moto lunare, ma ne fa una media, basandosi su una luna ipotetica.

Il calendario islamico
Il più importante calendario lunare è quello islamico. Anch’esso è di tipo luni-solare, detto “Hijri”. Si basa su 12 mesi lunari, di 29-30 giorni. Tuttavia, la regolarità dei mesi non permette una sincronizzazione con i noviluni, né con le stagioni. I musulmani perciò aggiungono ogni tanto un giorno in più ad un mese di 29 giorni, detto di Ramadan. Questo permette loro di ottenere un anno di 355 giorni. Il ritardo che si crea con l’anno solare, viene risolto con l’aggiunta di una decina di giorni ogni 33 anni, permettendo un collegamento perfetto con i vari calendari solari e luni-solari.

 

 

Antipasti appetitosi 3/3

 

Risale al giugno del 1711 la descrizione di un antipasto offerto a Padre Labat, giunto a Messina durante il suo viaggio in Italia. Invitato alla tavola dei Domenicani di S. Girolamo, durante la domenica, così descrive le prelibatezze che furono servite: “come antipasto due cipolle bianche di buone dimensioni con salsa allo zafferano. Ne aprii una e la trovai piena di un tritato di carne con pinoli, uva di Corinto, coriandolo e buccia di limone candita”.

Gli antipasti, semplici o complessi, non esistono nella cucina popolare. Si trovano invece gli apri-appetito, in dialetto “grape u pitittu” o “sbrogghia pitittu” o “tornagusto”. Si tratta di preparazioni che oggi, come allora, costituivano la cosiddetta gastronomia da marciapiede e che è possibile gustare anche nelle rosticcerie: arancini, crocchette, panelle…

Un elenco interminabile di ingredienti rientra nella elaborazione di questi piatti appetitosi. In primo luogo le verdure: zucchine, melanzane, carciofi, peperoni, pomodori. Tante olive: verdi o nere, lucide, condite (cunzate), fritte, infornate, dolcificate in salamoia, schiacciate, farcite. Persino piccole “guastedde” venivano servite un tempo in un noto ristorante palermitano: erano delle pagnottelle morbide, cosparse di sesamo, spaccate e ripiene con fettine di milza soffritta, frittole, caciocavallo ragusano e ricotta. Non mancano formaggi freschi o stagionati, come tuma, pecorino, ricotta; pesci, molluschi, salumi, carni…e persino alimenti insoliti quali alghe, castagne e lumache.

 

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Le innovazioni del British Museum 2/5

 

Il British Museum fu il primo museo nazionale, aperto gratuitamente al pubblico, che non fosse di proprietà ecclesiastica o reale, e incentrato su ogni produzione umana, in generale. Un vero museo illuminista.

Se, tuttavia, in principio l’attività del museo era imperniata, soprattutto, sulla tematica naturalistica e libraria, nel 1772, ricevette la collezione di ceramica greca di proprietà di William Hamilton, che rappresentò il primo nucleo artistico e storico, su cui si sarebbe sviluppato in seguito. Ebbe donazioni pure di materiali provenienti dalle “stanze delle meraviglie” e altre donazioni, come la Collezione Thomason e la biblioteca di David Garrick (circa 1.000 opere).

L’Inghilterra di fine Settecento era protesa verso il mondo. Numerosi erano gli esploratori che vi affluivano nei Mari del Sud, tra cui James Cook. Così, dal mondo intero, giunsero al museo oggetti di culture etniche fino ad allora sconosciute. Da Clayton Mordaunt Cracherode si ebbero in donazione libri, gemme intagliate, monete, stampe e disegni.

La Royal Society era già in contatto con esploratori, viaggiatori e lontani ambasciatori britannici. Tra questi ultimi, l’ambasciatore di Napoli fece giungere da Pompei ed Ercolano reperti archeologici autentici o riproduzioni di questi e, naturalmente, disegni del Vesuvio.

 

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Una particolare torre russa

 

Nella capitale del lontano Tatarstan, Kazan’, in Russia, esiste una torre pendente, famosa in quei paesi. Si chiama Torre Söyembikä, ed era una torre di guardia. Prende il nome dall’eroina tàtara, che resse il governo dal 1549 al 1551.
Esistono sulla torre diverse leggende. La più importante narra che il monumento è frutto della volontà dello zar Ivan il Terribile, che nel 1552 ne avrebbe ordinato la costruzione con urgenza, cosa che fu fatta in soli 7 giorni. In essa, poi, sarebbe stata imprigionata l’eroina tàtara. Questa per porre fine alla insopportabile detenzione, si gettò nel vuoto. È per questo che la torre è a lei denominata. Questa è, tuttavia, solo una leggenda. Le carte, invece, testimoniano che la Söyembikä fu imprigionata a Mosca e morì nella città di Kasimov.

La strana torre fu utilizzata come simbolo del potere in auge. In cima ad essa fu posizionata, nel 1730, un’aquila bicipite, simbolo zarista. Successivamente, durante il periodo Sovietico l’aquila venne sostituita da una stella rossa. Oggi porta, invece, una mezzaluna islamica. La torre Söyembikä è composta da sette piani, raggiungendo un’altezza di circa 58 metri. Da essa si gode uno splendido panorama, dove si possono ammirare i due fiumi cittadini Kazanka e Volga.

La torre rientra nel gruppo delle torri pendenti mondiali. È inclinata, infatti, di 1,98 gradi. La sua particolare forma a ziqqurat è servita come ispirazione del progetto della stazione di Kazanskij a Mosca dell’architetto Aleksej Ščusev. La torre ha subito consolidamenti delle fondazioni negli anni Trenta e Novanta del secolo scorso.

La Stazione di MoscaLa Stazione di Mosca

 

La data di costruzione
La data di costruzione della Torre Söyembikä è, praticamente, avvolta nel mistero. I documenti sono scarsi. Tutte le carte precedenti al XVI secolo sono andate distrutte in un incendio (nel 1701). Per cui gli studiosi ipotizzano basandosi sui pochi riferimenti certi. Alcuni di essi fissano la data tra il XVII e le prime fasi del XVIII secolo. Lo asseriscono in base al fatto che in quel periodo erano molte le torri edificate in Russia. Altri ricercatori sostengono che la data di costruzione è precedente almeno di un secolo, e comunque prima della metà del Cinquecento.

Il professore Nikolaj Zagoskin, dell’Università imperiale di Kazan’, fa risalire la data al periodo dei khan. Molti sono gli storici che lo avallano, soprattutto, perché in quel tempo esistevano torri con un’architettura molto simile nell’Asia centrale. La teoria è, però, smentita dal racconto di viaggio effettuato dal tedesco Adam Olearius nel 1638 in quelle zone. Nel testo non si cita affatto la torre tàtara, facendo presupporre che si tratti di costruzione posteriore.

 

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Un sistema nuovo d’interagire col mondo

 

Dieci anni fa, il 9 gennaio 2007, Steve Jobs ha presentato al pubblico iPhone e la maniera di approcciare il presente è cambiata. Con il mondo in tasca, s’è trasformata in modo radicale l’esistenza. Ti informi su Wikipedia, posti su Facebook, spedisci messaggi con WhatsApp, condividi selfie e video, controlli e-mail, utilizzi mappe, ascolti musica, sfogli giornali e libri, chiami un taxi. Tutto questo in mobilità e con interfaccia multi-touch. All’inizio del 2005, senza clamori, in Apple si prese a tradurre i gesti delle dita – come tap, scroll, pizzichi e strisciate – in comandi di funzione. IPhone era il prodotto più importante dai tempi del primo Macintosh. Comprensibile il timore iniziale di Jony Ive: «Io credo che le idee siano fragili e che si debba essere delicati con le idee ancora abbozzate». Era il futuro, ma anche il momento in cui «scommetti l’azienda». Grandi rischi; per converso, grandi ricompense se hai successo. Il rischio maggiore era eliminare la tastiera. L’interfaccia diventava, così, fluida e flessibile. Un portatile sottile, leggero. Design essenziale, minimale. Il nuovo aspetto amichevole invitava a toccare lo schermo. Sensazioni magnetiche. «È la cosa migliore che abbia fatto», anticipò Jobs a Time. Quel 9 gennaio presentò tre rivoluzionari prodotti. Un iPod a grande schermo con comandi tattili. Un telefono portatile rivoluzionario. Un “device” innovativo per la comunicazione internet. «Non tre dispositivi distinti ma un unico dispositivo chiamato iPhone». Da allora non siamo più gli stessi. Jobs non ha inventato nuove funzionalità, ma le ha rese davvero fruibili. Aveva ragione: per cambiare il mondo basta pensarlo differente. Sembra facile, ma è la cosa più complicata che ci sia.

Il nostro calendario solare 2/3

 

Il calendario gregoriano ed il calendario giuliano sono due calendari solari. La Terra, infatti, nel suo moto di rivoluzione intorno al Sole impiega circa 365 giorni per una rotazione completa, cioè, la durata del nostro anno. Questo è diviso in 12 mesi, di durata diversa. Ciononostante, i mesi non seguono precisamente le fasi lunari. Da qui la differenza con i calendari lunari. Gli anni bisestili (ogni quattro anni) rendono preciso il calcolo astrale. Grazie alla rotazione delle quattro stagioni, è possibile organizzare l’anno in funzione dei lavori agricoli. Le stagioni non mutano mai la data di inizio e sono legate ai solstizi ed agli equinozi.

La scansione del nostro calendario, fu adottata il 15 ottobre 1582 per volontà di Papa Gregorio XIII (da cui il nome), attraverso l’emanazione di una specifica bolla papale. Fu adottato in tutta l’Europa cattolica. In quella protestante posteriormente, nel XVIII secolo. In Svezia, anche se paese europeo, il cambiamento avvenne solo nel 1753. Le Chiese ortodosse russa e serba mantengono attualmente il calendario giuliano.
Nel resto del mondo molti paesi di altre confessioni hanno adottato il calendario gregoriano abbastanza recentemente, come il Giappone (nel 1873), la Cina (nel 1912), l’Egitto (nel 1875) e la Turchia nel 1924.

Nel 1923, in Russia, fu creato il Calendario rivoluzionario sovietico, che non ebbe, però, grande fortuna, dato che fu abbandonato nel 1940, per tornare al gregoriano. Anche alcune Chiese ortodosse stanno verificando l’ipotesi di lasciare il loro calendario (che differisce attualmente di 13 giorni rispetto al nostro) e allinearsi al resto dell’Europa cristiana.