Il declino del mercato della pasta nel XX secolo


La produzione di pasta in Italia raggiunse il picco massimo agli inizi del XX secolo, per poi declinare nel periodo compreso tra le due guerre. Dopo la crisi degli anni ’70, in cui chiusero diverse fabbriche dell’arte bianca, oggi si è attestata ad un livello medio. Il colpo più duro fu la progressiva perdita nelle esportazioni, in particolar modo negli Stati Uniti, dove sorsero in sordina pastifici, che con l’affermarsi, fecero crollare le esportazioni italiane in America. Un dato per tutti: le esportazioni italiane, nel 1913, raggiungevano i 710.000 quintali di pasta, mentre già nel 1928 non superavano più i 120.000 quintali.

Persino la nascita dell’Unione Sovietica, produsse conseguenze negative al mondo della pasta. I raccolti di grano duro russo ed ucraino, che, nel periodo rivoluzionario, non arrivarono più in Italia, costrinse i pastai a diminuire la qualità del prodotto, finendo per miscelare semole a farine. Anche durante il periodo fascista, la pasta venne trascurata, registrando una limitazione delle esportazioni. Si registra, tuttavia, un abbassamento dei costi di produzione, ed un perfezionamento delle tecnologie per la lavorazione.

Sta di fatto che il periodo di recessione venne meglio sopportato dalle ditte del Nord, che aumentarono la loro produzione, al contrario di quelle del Sud che accusarono il colpo, con gravi perdite, pur essendo in numero maggiore. Non così a Torre Annunziata e a Gragnano, dove basandosi sulla lunga storia, la qualità del prodotto e sulla bravura imprenditoriale dei loro manager, si sono ritagliate una fetta del mercato.

About the author: Experiences