di Sergio Bertolami
15 – Le polemiche sulle opere di Klimt.
«Come il comitato direttivo non può ignorare, un gruppo di artisti figurativi sta cercando da anni, all’interno dell’Associazione, di trovare riconoscimenti per le proprie concezioni artistiche. Queste concezioni culminano nell’affermazione della necessità di stabilire un rapporto più vivace tra la vita artistica viennese e l’evoluzione dell’arte all’estero e di organizzare il sistema espositivo su una base puramente artistica, libera da caratteristiche di mercato, risvegliando così in circoli più ampi concezioni artistiche più chiare e moderne e, in ultima analisi, stimolando i circoli ufficiali a una maggiore cura dell’arte». Con queste parole Gustav Klimt, il protagonista indiscusso della scena artistica viennese tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, si rivolgeva alla Casa degli artisti (Künstlerhausgenossenschaft) per annunciare ufficialmente la volontà di creare un organismo maggiormente rappresentativo delle nuove istanze. Nasceva la Wiener Sezession e i concetti espressi nella lettera non mancarono di essere ripresi nello Statuto. Gustav Klimt, al tempo trentacinquenne, fu nominato presidente e si avviò a diventare l’astro dell’arte nuova. Le sue affermazioni artistiche, tuttavia, non combaciavano con gli eventi della vita personale. Era appena uscito da una profonda crisi esistenziale che lo aveva portato ad anni di scarsa attività. Causa principale un duplice lutto in famiglia nel giro di qualche mese. Suo padre era morto a luglio del 1892, ed ecco che a dicembre veniva a mancare anche Ernst, uno dei suoi due fratelli minori. Insieme a Ernst e a Franz Matsch, compagno di studi, Gustav Klimt aveva dato vita a un atelier, con sede a Vienna, per la decorazione di pareti e soffitti in edifici privati, come quelli nascenti sulla Ringstrasse, e in edifici pubblici, specialmente teatri. Con il nome di Künstler-Compagnie (la Compagnia degli Artisti) i tre soci operarono per quasi dodici anni, a partire dal 1881. Insieme realizzarono, dal 1886 al 1888, gli incantevoli dipinti per il soffitto della scalinata del Burgtheater. Raffiguravano l’antico teatro di Taormina, il Globe Theatre di Londra e la scena finale del dramma “Romeo e Giulietta” di Shakespeare. Nel 1890 la fama riscossa valse ai tre giovani artisti la Croce d’oro al merito (Goldene Verdienstkreuz), un riconoscimento civile istituito dall’imperatore Francesco Giuseppe I. Per il suo talento, Gustav Klimt era già considerato come il continuatore del grande Hans Makart, che aveva contrassegnato la bella époque come originale e riconosciuto maestro. La morte di Ernst provocò, invece, una grave crisi nella Künstler-Compagnie. Gustav fu colto da una forte depressione, che bloccò in gran parte la sua creatività, al contrario di Franz Matsch, che raccolse i frutti di un successo finanziariamente vantaggioso, tanto da essere elevato a pittore di corte. La crisi di Klimt, però, interessava anche, e soprattutto, il piano espressivo, perché sentiva di dover prendere strade diverse dal classicismo di maniera che i lavori di studio gli permettevano.
Ora, coinvolto nella Secessione viennese, tornava a considerare un nuovo senso della vita. Non poteva di certo immaginare che nel giro di poco tempo le considerazioni scandalizzate intorno ai suoi dipinti di sconcertante realismo lo avrebbero spinto, una volta di più, a cambiare rotta. A documentare le polemiche su Klimt fu il drammaturgo e critico Hermann Bahr. Il suo libro Contro Klimt (Gegen Klimt, Vienna 1903) a detta dell’autore, avrebbe dovuto essere la testimonianza di «un marchio d’infamia da consegnare ai posteri, per far loro sapere di che cosa si fosse capaci in Austria intorno al Millenovecento». Klimt e Bahr, legati da una forte amicizia, condivisero la causa della modernizzazione dell’arte a Vienna, spingendo verso una precisa coscienza di quanto si stesse producendo in altre nazioni europee. «Quando a Parigi, allora, parlavo di Vienna, – ricordava Bahr – la risposta era sempre la stessa: “Là-bas? C’est en Roumanie, n’est-ce pas?” (Vienna? È là, in Romania, o no?); insomma, eravamo una provincia asiatica». Da allora, con la Secessione le cose erano cambiate in meglio.
Klimt aveva conosciuto Bahr a proposito dell’uscita della rivista ufficiale della Secessione: «Stimatissimo signore! – scriveva il pittore al prestigioso letterato – In nome dell’Unione degli artisti figurativi d’Austria sono qui a ricordarLe la gentilissima promessa, che a suo tempo fece ai nostri rappresentanti, e cioè di scrivere un articolo per Ver Sacrum, l’organo della nostra Unione, che è in procinto di iniziare le sue pubblicazioni; considerando inoltre che il primo numero dovrà essere il più raffinato possibile e che l’Unione considera di vitale importanza inserire l’articolo promesso proprio nel primo numero, mi permetto di chiederLe di comporre questo articolo. Alcuni delegati dell’Unione si prenderanno la libertà di venire a ritirarlo tra qualche giorno». Bahr inviò un suo intervento intitolato “Secessione”, che immancabilmente apparve nelle pagine 8-13 dell’elegante numero iniziale.
L’opera di cui Hermann Bahr s’innamorò fu, in modo particolare, Nuda veritas (Wahrheit) che Klimt dipinse nel 1898. Una donna dai capelli rossi completamente nuda tiene in mano lo specchio della verità, mentre sopra di lei una citazione di Friedrich Schiller avverte: «Non puoi piacere a tutti con la tua azione e la tua arte. Rendi giustizia a pochi. Accontentare molti è sbagliato». È una figura longilinea e ieratica, vicina all’estetica simbolista e in sintonia perfetta con la donna fatale e peccaminosa di Franz von Stuck. Fra i pochi a sostenere l’opera fu Hermann Bahr, che l’acquistò. Al confine tra Ober-St. Veits zum Lainzer Tiergarten, Bahr si stava facendo costruire da Joseph Maria Olbrich una villa, per sé e sua moglie, simile a una fattoria della Germania meridionale. Pregò, quindi, Olbrich di fare della Nuda veritas il punto focale del suo studio. Nell’ambiente volle soltanto questo quadro, assieme ad altri tre disegni, sempre di Klimt, e a una fotografia dell’artista.
Nel più tranquillo isolamento, la casa divenne un luogo d’incontro per la Vienna artistica negli anni fra il 1900 e il 1912. I padroni di casa accoglievano ospiti della levatura di Gustav Klimt, Kolo Moser, Otto Wagner, Arthur Schnitzler, Hugo von Hofmannsthal, Richard Beer-Hofmann, e dopo il secondo matrimonio di Bahr nel 1909 – con la cantante d’opera di corte e interprete di Richard Wagner Anna von Mildenburg – Richard Strauss e Gustav Mahler. Nel 1918 Bahr annotò che, nei giorni in cui la stanchezza degli anni si faceva più sentire, per rinfrancarsi gli era sufficiente contemplare quelle opere di Klimt. A lui era riconoscente, perché proprio alla sua sensibilità doveva «le ore più sublimi che un artista mi abbia mai donato in vita mia».
Le controversie nei confronti di Klimt, alle quali accennavo, iniziarono a proposito dei dipinti commissionati dal Ministero della Cultura e dell’Istruzione (Ministerium für Kultur und Unterricht), al quale spettava delineare la politica austriaca in ambito religioso, didattico e culturale. Il contratto fu stipulato nel 1898. Klimt e Franz Matsch – fino a cinque anni prima soci dello stesso atelier – avrebbero dovuto decorare il soffitto dell’Aula magna dell’Università di Vienna, nell’edificio di recente costruzione. Era stato scelto il tema del progetto, incentrato sulla Vittoria della luce contro le tenebre. Delle quattro facoltà, Klimt ebbe mandato di rappresentare Filosofia, Medicina e Giurisprudenza. Non Teologia, affidata soltanto a Matsch, insieme alla scena centrale riferita al tema, tutt’oggi presente all’Università di Vienna. Diversamente accadde per i lavori di Klimt. Il primo dei pannelli da ancorare a soffitto, riguardante La Filosofia, s’ispirava alle Porte dell’Inferno di Auguste Rodin. Nonostante fosse stato premiato all’Esposizione Universale di Parigi del 1900 – ottenendo il prestigioso “Grand Prix” come migliore opera straniera – quando fu proposto alla settima mostra della Secessione viennese, sulla stampa vicina al governo furono sollevate aspre polemiche. Erano partite all’interno della stessa Università, provocate da ottantasette docenti, guidati dallo stesso rettore Wilhelm Neumann, i quali firmarono una petizione al ministro dell’Istruzione per chiedere di respingere il dipinto di Klimt. Parte dei firmatari non conosceva neppure l’opera, ma condivideva le aspettative della committenza che avrebbe voluto una rappresentazione solenne ed edificante.
Da principio, Bahr non si espresse, d’alta parte l’anno precedente aveva lasciato Die Zeit, che aveva fondato nel 1894, e quindi non aveva neppure a disposizione le colonne di un giornale di rilievo per intervenire. Quando, però, le discussioni si accrebbero e le critiche si esacerbarono, Bahr si schierò subito a fianco dell’amico. Klimt il 15 marzo dell’anno successivo consegnò anche la seconda delle tre allegorie in contratto, La Medicina, che provocò persino discussioni in parlamento e le dimissioni del ministro in carica. Si gridava all’oltraggio delle istituzioni. Questo clamore inconsulto minacciava i progressi ottenuti finora con la Secessione. In una conferenza alla Bösendorfersaal, Bahr manifestò la sua preoccupazione, non certo per Klimt: «Il consenso non può dargli nulla, il dileggio non può togliergli nulla […] No, qui non si tratta di lui, ma di noi. Non è lui a essere in pericolo, ma noi. A lui non può capitare nulla, siamo noi che rischiamo di diventare lo zimbello di tutta l’Europa […] Nell’ambito delle arti decorative si è addirittura creato uno stile particolare ormai chiamato semplicemente austriaco. Se è così, lo dobbiamo a uno sparuto gruppo di uomini, dodici o al massimo quindici in tutto. Per nessuno di loro restare qui è una necessità; nessuno è legato all’Austria da un qualche interesse materiale, ciascuno di loro può decidere di andarsene anche domani e il giovane arciduca d’Assia, che ha la bell’ambizione di fare della sua piccola Darmstadt una moderna Atene, non potrebbe esserne più contento». L’avvocatura di Stato chiese il sequestro della rivista Ver Sacrum sulla quale comparivano i disegni preparatori per La Medicina, e gli esagitati chiedevano persino la distruzione degli originali. Ancora più scandalo provocò l’ultimo pannello, La Giurisprudenza, realizzato fra il 1903 e il 1907. Una ventina di deputati chiesero espressamente al ministro dell’Istruzione di rimuovere i tre pannelli. Le polemiche non ammorbidirono affatto le posizioni di Klimt, che per tutta risposta rese l’opera ancora più aggressiva rispetto agli schizzi preparatori. Inoltre i contrasti finirono anche per logorare i rapporti fra i due stessi ex soci. Il 24 marzo 1905, in una seduta della Commissione artistica dell’Università, Franz Matsch prese le distanze da Klimt. Fra i due fronti avversi, a questo punto, un accordo non sembrava più possibile. Quando la Commissione decise, infatti, che le tele dipinte per l’aula magna fossero collocate nella Galleria di Stato per l’Arte Moderna (Moderne Staatsgalerie) Klimt rifiutò, offeso dal ripiego suggerito. Al punto in cui si era giunti, forte di quella «mirabile sicurezza dei grandi spiriti», che l’amico Bahr gli attribuiva, il pittore prese una convinta decisione: «Attraverso ripetute allusioni – dichiarò – il ministero mi ha fatto capire che sono diventato motivo d’imbarazzo. Ma per un artista, nel senso più elevato del termine, non c’è niente di più penoso di creare delle opere, e per questo ricevere un compenso, da un committente che non gli offra col cuore e con la ragione il suo pieno appoggio». Non sorprende quindi che il 3 aprile Klimt si sia ritirato dall’incarico, mentre Matsch cercò di terminare i lavori iniziati, ma ci riuscì solo nel caso del tema centrale. Klimt restituì la somma che gli era stata anticipata e pretese di avere indietro i dipinti eseguiti. Questa fu l’ultima commessa pubblica accettata dall’artista, che da questo momento in poi lavorò solo per i privati. Le tre allegorie entrarono a far parte della collezione di August Lederer. Nel 1945, le tele confiscate dai nazisti furono trasferite nel castello di Immendorf, con altre opere d’arte e mobili di pregio. L’ultimo giorno di guerra (8 maggio 1945) sono andate distrutte da un incendio appiccato dalle truppe tedesche in ritirata. Sono scomparsi così dei capolavori destinati a influenzare come pochi l’arte moderna.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay