Il modo più tradizionale per intraprendere un viaggio
in Sicilia attraverso itinerari, non solo dell’arte, della cultura, delle
tradizioni etniche, ma anche del gusto e dei sapori comincia dalla città
dello Stretto.
Messina, primo punto di approdo nell’Isola per chi
traghetta dal continente, offre al visitatore l’immagine della nuova città
eclettica e razionale, ricostruita all’inizio del Novecento, sulla quale
spiccano il campanile e la mole del duomo. Ma ben altre sorprese sono
riservate al viaggiatore attento, che vuole conoscere usi e costumi non
sempre riscontrabili nelle classiche mete turistiche.
Nella città, come in tutte quelle della Sicilia, la
giornata inizia con il rito mattiniero della granita al gusto di caffè, o
se preferite mandorla, cioccolato, limone, fragola, pesca, albicocche, gelsi
neri e bianchi, gelsomino, anguria, cantalupo, pistacchio… Tutti prodotti,
colori, sapori e profumi degli incantevoli giardini di Sicilia, accompagnati
da fragranti brioches o dalle meno usuali zuccherate.
Il mare entra in tavola proponendo una incredibile
varietà di piatti; si tratta dello stoccafisso in insalata o alla messinese,
cioè a “ghiotta”, con un intingolo di pomodori, sedano, carota, prezzemolo e
patate. Il pesce spada, per la cui pesca si utilizzano delle imbarcazioni
tipiche dall’albero altissimo, viene proposto in svariati modi: alla
“ghiotta”, alla “stemperata”, ad involtino, impanato o arrosto, spennellato
con il “sammurigghiu”, una calda emulsione di acqua, olio, limone,
prezzemolo, origano, sale e pepe, cotta a bagnomaria, che serve per
accompagnare altre ai pesci, anche carni alla brace. Ma a Messina e nelle
località di riviera, si possono gustare, non solo pesce spada, ma anche
tonni, spigole, ricciole, calamari, polpi, cozze… aguglie arrotolate come un
bracciale, capone imperiale, pescato solamente nel mare dello Stretto.
Non bisogna, tuttavia, dimenticare che la cucina di
Messina, come quella delle Eolie, e apparentemente in modo paradossale la
cucina dell’intera Sicilia e delle sue isole, è essenzialmente una cucina di
terra. Il clima favorisce la coltivazione delle verdure, tanto che
spostandosi dalla costa all’entroterra collinare, oltre che al pesce, queste
verdure si mescolano alle carni. Ecco l’agnello alla messinese, cotto al
forno con olive nere e pecorino o, ricordando atavici riti, cosparso di ogni
genere di erbe e anticamente cotto in una fossa scavata nel terreno. Gli
involtini di vitello, le polpette di carne (e di magro), il manzo e il
coniglio in agrodolce, il falsomagro ripieno di salsiccia e tritato, uova
sode, salame e formaggio. Anche la cotoletta si arricchisce di un gusto più
incisivo, dopo una infusione nell’uovo sbattuto ed una ripassata in un
composto di pecorino, pane grattato, prezzemolo, sale, pepe, aglio. Poi
possiamo scoprire il tipico “agglassato” a base di lacerto, il cui fondo di
cottura può essere utilizzato per condire della pasta fresca. Ancora un
piatto, per ricordare solo di sfuggita una tradizione gastronomica
attraverso la quale siamo in grado di mostrare il legame con il territorio,
per reintrodurlo nella ristorazione locale: parliamo del “sciusceddu”,
polpettine di carne trita cotte nel brodo, versate in teglia e infornate,
dopo avere aggiunto un composto di ricotta fresca, sbattuta con uovo,
parmigiano, noce moscata.
E poi i dolci: cannoli e cassata, che a seconda delle
province assumono consistenze e fragranze diverse; la frutta martorana, la
pignolata messinese bianca e nera, le “sfinci” di San Giuseppe e i gelati, i
rosoli, gli sciroppi, i liquori dolci della tradizione, come il nespolino e
il liquore di miele.
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