13- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – Una certezza

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte seconda: La città

Una certezza

La mia vita è tutt’altro che sedentaria; posso anzi dire di avere avuto avventure insolite, rovesci, riprese, burrasche, né le prove sono tuttora finite; eppure, in mezzo a tutto ciò, se mi accade di fermarmi un momento a pensare, nel mio passato non mi ritrovo e le sue agitazioni non le capisco. È come se tutto fosse toccato a un altro, e io sbucassi adesso da un nascondiglio, un buco dove fossi vissuto sinora senza saper come. Se non fosse che in questi momenti provo un grande stupore e non mi riconosco nemmeno, direi che il nascondiglio da cui esco è me stesso. Succede, a volte, di vivere intere giornate, e anche molto attive, senza prendere parte ai propri gesti e alle proprie decisioni. Ma non è questo. Io, in genere, so benissimo quello che voglio, e bisogna pure che chi, come me, fa una vita di responsabilità e paga di persona, abbia idee chiare e si versi tutto nei fatti.

Quand’ero più giovane mi toccò una volta starmene rinchiuso per parecchi giorni. Avevo dei nemici, parecchi nemici (non è adesso il caso di raccontare tutto, ma il sangue caldo è sempre stata la mia qualità), e le cose erano a un punto che io dovetti per forza tenermi nascosto. Ricordo che i primi giorni stetti come una tigre, andai avanti e indietro nella stanza, parlai da solo; ma poi, avvicinandosi la fine, cominciavo ad adattarmi e la sera che potei permettermi di uscire esitai un attimo sulla soglia. Poi, beninteso, uscii e ripresi i fatti miei. Ebbene, ricordo che in quel momento di esitazione mi sentii appunto nel modo che ho detto – un grande stupore, un rincrescimento come di chi è trattenuto sull’orlo di un gesto, di un risveglio che stava avvenendo e adesso non avverrà più. Ma non fu come quando s’interrompe un’abitudine (la pace e il silenzio della mia stanza per l’incerta vastità delle strade) – né allora né dopo sentii quell’attimo di disagio, bensì l’impressione di essere di colpo sbucato in un’aria tutta diversa dalla solita, un’aria che ti pare di avere dentro invece che intorno, un grande abisso d’aria, di vuoto, di possibili eventi e pensieri che sgorgherebbero dal più profondo te stesso, se questo te stesso non fosse subito sparito tant’era incredibile.

Sono momenti questi, che si possono chiamare di disponibilità assoluta. S’intravede, dopo che uno li ha vissuti, che tutto il proprio passato visibile e perciò anche il presente e insomma tutta la vita, non conta per quello che si è fatto voluto sofferto ottenuto, e che tanto varrebbe starsene fermi su un angolo come un pezzente e, borbottando qualcosa che i passanti non capiscano nemmeno, fissare a occhi chiusi questo stupore, quest’abisso. C’è qui dentro un segreto più importante di tutte le responsabilità che si possano dare. Ma per quanto questo stato sia sempre identico a se stesso, non c’è nessuna monotonia: uno ha sempre la stessa faccia, gli stessi occhi, la stessa voce, eppure non si sogna di stancarsi di queste cose.

Certi giorni che mi tocca andare molto per le strade (sono i soli momenti che riposo) o rivedere facce di vecchia conoscenza, so già che a poco a poco mi lascerò prendere dalla solita idea – quest’idea comincia a camminare con me – mi fa compagnia negli incontri e nelle attese – sta per dirmi una parola decisiva – e proprio mentre credo di vedere qualcosa, capisco ch’è soltanto il riflesso di un momento di quand’ero ragazzo e non sapevo nemmeno che sarei diventato io. Con tanto che ho fatto, veduto e capito nel mondo, mi succede dunque che le cose più mie sono un mucchio di sassi dove mi sedevo allora, una griglia di cantina dove ficcavo gli occhi, una stanza chiusa dove non potevo entrare. E il bello è che quell’impressione di sfiorare un mondo libero come l’aria, di sentire per un momento che io e questo mondo siamo una cosa sola e, se l’impressione continuasse per un po’, dovrei credermi chi sa chi e vivere in tutt’altro modo, quest’impressione potevo già provarla, senza neanche capirlo, da ragazzo. È un fatto che non vorrei ammettere in conversazione con nessuno, questo che, a pensarci, i momenti di maggior soddisfazione sono quelli più lontani, che uno neanche sapeva di aver vissuto, quando cominciava a scappare di casa e lo faceva con la paura. L’unica differenza è che allora andavo d’accordo con me stesso e non avevo bisogno, per capire chi sono, di prendere al volo il momento, e fermarmi in strada come uno smemorato e come una bestia spaventata. Ma poi penso che uno le sue soddisfazioni se le prende dove le trova e non è detto che, perché le mie giornate mi sembrano quelle di un altro, io sia meno risoluto quando si tratta di lavorare e di pagare di persona. Anzi, avere questo mezzo di sfogo in certo senso mi rifà; come se sapere che tutto quello che ho, che maneggio e che comando, domani prenderà il volo soltanto a pensarci, mi desse una garanzia che almeno il volo non lo prenderò io. Vuol dire che in questo caso mi godrò la compagnia di quel ragazzo, che non era poi tanto ragazzo se ha sempre saputo una cosa simile.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.

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