Verso la fine dell’Ottocento, il
teatro, con l’unità d’Italia e la formazione di un sentimento
concorde,
diventa un vero e proprio teatro
nazionale. Dopo il 1872, col Verga, la corrente principale è
quella verista, al contrario nel teatro popolare spicca invece
Paolo Giacometti (“Morte Civile”). La vera base del
movimento italiano del Verismo è il positivismo e, cioè,
l’assoluta fiducia di un progresso mosso a partire dalla
scienza, il metodo sperimentale e la ricerca ad esso legata.
La visione concreta della realtà che si può conoscere e su cui
si può intervenire, nasce dal 1830 e dura fino alla fine del
XIX secolo. Ad esso è legato il Naturalismo, un movimento
letterario francese che conoscerà autori come Zola, Flaubert,
Balzac, Maupassant, Daudet e Bourget.
Se il suo teorizzatore fu Luigi
Capuana che sosteneva la "poesia del vero", il suo maggiore
esponente, viene considerato proprio Giovanni Carmelo Verga
(Catania, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922), il
quale, pur venendo da un’esperienza come scrittore legata alla
corrente letteraria tardo romantica, riuscì con la raccolta di
novelle Vita dei campi e col primo romanzo, nel 1881,
del Ciclo dei Vinti, I Malavoglia, ad essere d’esempio
a tutto il gruppo milanese.
Verga, proprio nella
raccolta di novelle di Vita dei campi,
sovverte le tematiche consuete. Come voleva la corrente del
Naturalismo e quella del Verismo, Verga si rivolge alla
contemporaneità, ma nei suoi strati sociali ed umani
più bassi. E’ il
mondo contadino e popolare siciliano ad ottenere
la sua attenzione. Non vi sono grandi ribalte, ma un piccolo
mondo popolare e locale. Tra le novelle spiccano
Rosso Malpelo e
Cavalleria rusticana.
Se Verga racconta la realtà e lo sfruttamento delle classi
povere in Sicilia alla fine dell’Ottocento, lo fa secondo il
principio d’impersonalità, proprio dei veristi, i quali
cercano di descrivere la realtà quasi senza emozioni, ma
oggettivamente. Secondo l’ottica del Verga, il lettore deve
essere messo “faccia
a faccia col fatto nudo e schietto”, escludendo totalmente
“la lente dello scrittore”. Questo non deve comparire
nel narrato, deve “eclissarsi”, eliminando emozioni
soggettive, riflessioni e interpretazioni. L'autore deve
inoltre “mettersi nella pelle” del suo personaggio, “vedere
le cose coi loro occhi ed esprimerle colle loro parole”.
Così la sua penna “rimarrà assolutamente invisibile”
nel libro, tanto che il testo sembri “essersi fatta da sé”,
“essere sorta spontanea come fatto naturale, senza serbare
alcun punto di contatto col suo autore”, cioè la
semplicità oggettiva di una fotografia.
L'autore si “eclissa”
, si mette “nella pelle” dei protagonisti, vede “coi
loro occhi” e racconta “colle loro parole. La “voce”
narrante si pone tutta all'interno dell’universo ritratto,
totalmente al livello dei personaggi presentati. Non vi
sono nei racconti di Verga né la sua cultura né le sue idee. I
fatti narrati vengono presentati senza commento alcuno, sarà
il lettore ad intendere e concludere in relazione al personale
modo di vedere. Un vero e proprio “reality” da interpretare
secondo le proprie idee e convinzioni.
A Verga si deve
la creazione di un Teatro Verista. Non soltanto sceneggiò
alcune novelle (ad esempio, Cavalleria rusticana e
La lupa),
ma scrisse direttamente opere teatrali, come In portineria
e Dal tuo al mio. Il soggetto di Cavalleria
rusticana, messo
in musica da
Pietro Mascagni (con il libretto di Guido Menasci e
Giovanni Targioni-Tozzetti), è divenuto un’opera lirica molto
apprezzata. Nel 1905, dal dramma Dal tuo al mio,
scrive un romanzo di tipo sociale, dove si riflettono le nuove teorie
del Movimento Operaio. L’emblematicità sta nell’impostazione:
un sindacalista operaio che, con il matrimonio con la
figlia del padrone, si trova, sia economicamente che
socialmente, dalla parte tanto avversata
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