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I CASTELLI MEDIEVALI
 

     

Il Castrum, tra guerra ed urbanistica

 

Il Genio militare nell’antichità

 

Dal castrum al castellum romano

 

L’incastellamento, o la mutazione feudale


Gli elementi architettonici medievali
 

L’architettura arabo-normanna in Sicilia

 

Il mix degli stili nell’architettura normanna

 
I Castelli svevi di Federico II
 

I Castelli fortificati “alla moderna”.

 

Dall’assedio alla guerra “mobile”

 

La meccanizzazione della  guerra moderna

 
  I CASTELLI SICILIANI
   

Il Castello Maniace a Siracusa

 

Il Castello di Eurialo a Siracusa


Il Castello di Milazzo

 

Il Castello di Pietrarossa a Caltanissetta


Il Castello di Carini

 

IIl Castello Ursino a Catania

 

Il Castello di Aci Castello

 

Il Castello di Adrano

 

La Torre di Federico ad Enna

 
 

Il Castello di Lombardia ad Enna

 
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Il primo feudatario di Carini, il guerriero normanno Rodolfo Bonello, arrivato al seguito del re Ruggero I, fece costruire il castello sulla base di una fortificazione d’epoca araba. Nel 1283, passò di proprietà alla famiglia degli Abate, che gli diede l’uso di residenza. Tuttavia, essendosi essi alleati con i Chiaramonte nella controversia sulla corona, furono privati di tutti i beni compreso il castello.
Nel 1397, il nuovo re Martino I assegnò la costruzione e l’intera Terra di Carini a Ubertino La Grua, militare palermitano, per i servigi resi. Non avendo esso una progenie maschile, al matrimonio della figlia con lo spagnolo Gilberto Talamanca, la famiglia fu ribattezzata in La Grua Talamanca. La casata tenne il castello e la baronia fino al 1812. Dalla metà del Quattrocento il castello fu varie volte rimaneggiato, sia come architettura sia come uso, fino a trasformarsi in “palazzo” per la dimora estiva.
Oltre ad elementi arabi, osservabili nella seconda porta del Castello, un elemento caratterizzante, a dimostrazione dei passaggi di proprietà e delle alleanze politiche, sono i diversi stemmi presenti sulla costruzione, non solo dei La Grua, ma anche degli Abbate, dei Chiaramonte e dei Lanza (quest’ultimo nel piano superiore).

Essendo stato costruito in epoca normanna, tutte le mura difensive che lo circondano risalgono  all’XI-XII secolo. Al piano terreno l’edificio presenta diverse sale con volta a crociera, a volte rinforzata da una colonna centrale. Notevole è la cappella presente sul lato est del castello. Affrescata con un Trompe l'oeil, essa contiene una statua marmorea della Madonna di Trapani, un tabernacolo ligneo e un matroneo, anch’esso in legno. Sempre al piano terreno è interessante una stanza senza pavimento, che permette di intravedere le fondazioni di costruzioni più antiche.

Al piano superiore sul tato quattrocentesco, a sud-ovest, si possono ammirare diversi portali marmorei con effigie di fenici che rinascono con varie iscrizioni. Si presuppone che essi vennero realizzati quando l’architetto Matteo Carnalivari eseguì la trasformazione da caserma a residenza privata. Nella stessa area è situato il Salone delle feste che presenta un bellissimo soffitto cassettonato in legno e un camino istoriato in pietra. Probabilmente il soffitto fu realizzato quando la famiglia La Grua Talamanca si imparentò con la famiglia Ajutamicristo, che ha un cassettonato simile nella propria residenza di Palermo.

Storicamente il Castello viene associato alla memoria della famosa “Signora di Carini”, Laura Lanza di Trabia, moglie del barone don Vincenzo La Grua - Talamanca. Questa e il suo ipotetico amante, Ludovico Vernagallo, vennero uccisi dal barone per motivi d’onore il 4 dicembre 1563. Il processo che ne scaturì (di cui rimane traccia storica negli archivi storici della Chiesa Madre di Carini) vide l’assoluzione del barone, secondo le leggi vigenti allora. Non solo: l’anno dopo ottenne il titolo di Conte di Mussomeli. Nonostante che il fatto e il processo vennero svolti senza grandi clamori e con molta riservatezza (i diaristi del tempo furono messi a tacere), data l’importanza della famiglia,  qualcosa trapelò. Dell’amore e dell’assassinio iniziarono a narrare i cantastorie girovaghi, rimanendo nella tradizione orale popolare. Questo fino a quando lo studioso Salvatore Salomone Marino, verso la metà dell’Ottocento, studiò e ricostruì la reale vicenda storica. Naturalmente non poteva mancare la leggenda che narra come, nell’anniversario della sua uccisioni, appaia sul muro della stanza dove avvenne il fatto l’impronta insanguinata della mano della baronessa.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 

   
 
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