San Gregorio: una chiesa messinese scomparsa. È il volume curato da Giovanni Molonia per il Rotary Club Messina presieduto da Paolo Musarra. Non il prodotto della nostalgia, ma un’opera scientifica che aggiunge tasselli alla memoria della città perduta. Riunisce in queste pagine i puntuali documenti inediti che una schiera di specialisti ha raccolto e analizzato, come quelle belle pergamene greche e latine reperite a Parigi o i resti del terremoto conservati nella Filanda Mellinghoff e oggi nel MuMe. Tra gli autori Franca Campagna Cicala che per anni del Museo ha curato gran parte dell’ordinamento e i colori dei marmi mischi di San Gregorio li porta negli occhi. Ma c’è anche chi, come Alba Crea, negli occhi ha il panorama di Messina e della Calabria, cresciuta nell’isolato insistente sul sito della chiesa distrutta. Ma, sul colle della Caperrina, allora ci si affacciava dalla spianata balaustrata quasi «messa là per salvare il sacro luogo da ogni mondana contaminazione» (Guida 1902). Si raggiungeva dal Duomo, risalendo la stretta via dei Librai. Ed è sui libri che la maggior parte dei messinesi ha conosciuto San Gregorio: ne hanno scritto Buonfiglio Costanzo, Samperi, Susinno, Gallo, Grano, La Farina, La Corte Cailler, Salinas, Accascina. Tutti distinguono la chiesa per quella sua cupola a chiocciola, innalzata nel 1717, forse su progetto di Paolo Filocamo, con chiaro riferimento a Sant’Ivo alla Sapienza che Borromini realizzò a Roma su di un rivoluzionario impianto geometrico simboleggiante la Trinità. Anche San Gregorio aveva pianta centrale, ma nella classica croce greca, con un braccio appena più esteso. Filippo Juvarra vi lavorò da giovane, nel presbiterio. Qui si guadagnò la presentazione della badessa Ruffo per continuare gli studi di architettura a Roma. Come dire: dalla provincia al centro del mondo.
Fonte immagine: XILOGRAFIA DI BARBERIS 1892
Pubblicato su 100NOVE n. 26 – 29 giugno 2017