Conegliano, Palazzo Sarcinelli: Vivian Maier. Shadows and Mirrors

VIVIAN MAIER.
Shadows and Mirrors

Conegliano, Palazzo Sarcinelli
23 marzo – 11 giugno 2023

Mostra a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso. Organizzata da ARTIKA in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

Vernice per la Stampa: giovedì 23 marzo, ore 11

La mostra “Vivian Maier. Shadows and Mirrors”, composta da 93 autoritratti, racconta la grande fotografa e la sua ricerca incessante di trovare un senso e una definizione del proprio essere. L’esposizione è in programma presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, dal 23 marzo al 11 giugno 2023. La mostra, a cura di Anne Morin in collaborazione con Tessa Demichel e Daniel Buso, è organizzata da ARTIKA, in sinergia con diChroma Photography e la Città di Conegliano.

“Un ritratto non è fatto nella macchina fotografica. Ma su entrambi i lati di essa”, così il fotografo Edward Steichen riassumeva il principio della fotografia. Un processo creativo che ha origine dalla visione dell’artista e che si concretizza solo in un secondo tempo nello scatto. Nel caso di Vivian Maier: il suo stile, i suoi autoritratti, hanno origine da una visione artistica al di qua dell’obiettivo fotografico. Per lei fotografare non ha mai significato dar vita a immagini stampate e quindi diffuse nel mondo, quanto piuttosto un percorso di definizione della propria identità.

La mostra ripercorre l’opera della famosa tata-fotografa che, attraverso la fotocamera Rolleiflex e poi con la Leica, trasporta idealmente i visitatori per le strade di New York e Chicago, dove i continui giochi di ombre e riflessi mostrano la presenza-assenza dell’artista che, con i suoi autoritratti, cerca di mettersi in relazione con il mondo circostante.

Vivian Maier fotografò per più di quarant’anni, a partire dai primi anni ’50, pur lavorando come bambinaia a New York e a Chicago. Spese la sua intera vita nel più completo anonimato, fino al 2007, quando il suo corpus di fotografie vide la luce. Un enorme e impressionante mole di lavoro, costituita da oltre 120.000 negativi, film in super 8 e 16mm, diverse registrazioni audio, alcune stampe fotografiche e centinaia di rullini e pellicole non sviluppate. Il suo pervasivo hobby finì per renderla una delle più acclamate rappresentanti della street photography. Gli storici della fotografia l’hanno collocata nella hall of fame, accanto a personalità straordinarie come Diane Arbus, Robert Frank, Helen Levitt e Garry Winograd.

L’allestimento di Palazzo Sarcinelli esplora quindi il tema dell’autoritratto di Vivian Maier a partire dai suoi primi lavori degli anni ’50, fino alla fine del Novecento. Un nutrito corpus di opere caratterizzato da grande varietà espressiva e complessità di realizzazione tecnica. Le sue ricerche estetiche si possono ricondurre a tre categorie chiave, che corrispondono alle tre sezioni della mostra. La prima è intitolata SHADOW (l’ombra). Vivian Maier adottò questa tecnica utilizzando la proiezione della propria silhouette. Si tratta probabilmente delle più sintomatica e riconoscibile tra tutte le tipologie di ricerca formale da lei utilizzate. L’ombra è la forma più vicina alla realtà, è una copia simultanea. È il primo livello di una autorappresentazione, dal momento che impone una presenza senza rivelare nulla di ciò che rappresenta. Attraverso il REFLECTION (riflesso), a cui è dedicata la seconda sezione, l’artista riesce ad aggiungere qualcosa di nuovo alla fotografia, attraverso l’idea di auto-rappresentazione. L’autrice impiega diverse ed elaborate modalità per collocare sé stessa al limite tra il visibile e l’invisibile, il riconoscibile e l’irriconoscibile. I suoi lineamenti sono sfocati, qualcosa si interpone davanti al suo volto, si apre su un fuori campo o si trasforma davanti ai nostri occhi. Il suo volto ci sfugge ma non la certezza della sua presenza nel momento in cui l’immagine viene catturata. Ogni fotografia è di per sé un atto di resistenza alla sua invisibilità. Infine, la sezione dedicata al MIRROR (specchio), un oggetto che appare spesso nelle immagini di Vivian Maier. È frammentato o posto di fronte a un altro specchio oppure posizionato in modo tale che il suo viso sia proiettato su altri specchi, in una cascata infinita. È lo strumento attraverso il quale l’artista affronta il proprio sguardo.

“La scoperta tardiva del lavoro di Vivian Maier, che avrebbe potuto facilmente scomparire o addirittura essere distrutto, è stata quasi una contraddizione. Ha comportato un completo capovolgimento del suo destino, perché grazie a quel ritrovamento, una semplice Vivian Maier, la tata, è riuscita a diventare, postuma, Vivian Maier la fotografa”, scrive Anne Morin nella presentazione della mostra. Nelle splendide immagini in mostra al pubblico, dal 23 marzo al 11 giugno 2023, presso Palazzo Sarcinelli a Conegliano, vedremo la seconda metà del Novecento con gli occhi e negli occhi di un’icona della storia della fotografia.


Self-portrait, 1959,
©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Nota Informativa a cura di Daniel Buso (co-curatore della mostra)

 Vivian Maier. Una vita e un film

Chi è davvero Vivian Maier? Ecco un approfondimento per conoscere meglio questa artista che continua ad emozionare con il suo stile fotografico inconfondibile.

La vita di Vivian Maier

La mostra si propone lo scopo di raccontare le svariate sfaccettature di un’autrice ancora oggi avvolta da un alone di mistero. I suoi progenitori, dal lato materno, provenivano da un piccolo e provinciale ambiente del mondo rurale francese. La prima ad allontanarsi fu Eugenie Jaussaud (la nonna) che si imbarcò per gli Stati Uniti. Vivian Maier nacque così a New York il 1° febbraio 1926, da Maria Jaussaud e Charles Maier. I genitori presto divorziarono e Vivian crebbe sola con la madre, condividendo per un breve periodo un appartamento con la fotografa Jeanne Bertrand. Dal 1938 iniziò a fare la governante per guadagnarsi da vivere. La svolta nella sua vita ha un luogo e una data ben precisi: New York, 1952, quando Vivian acquistò la sua prima macchina fotografica Rolleiflex. Trasferitasi a Chicago inizia ad appassionarsi sempre di più di fotografia, cercando di catturare i frammenti della città. Gli scatti di Vivian testimoniano la quotidianità americana fra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70. La fotografa è considerata una esponente di spicco della street photography, erede ideale dei grandi maestri francesi come Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson. All’inizio degli anni ’60 Vivian Maier cominciò a filmare per strada, specialmente luoghi ed eventi. Le tecniche di ripresa di Vivian Maier, come nel caso della sua fotografia, rivelano il suo metodo di “caccia e cattura”. Dietro la cinepresa sicuramente Maier perdeva la parziale invisibilità che le consentiva la Rolleiflex, però poteva zoomare sui suoi soggetti, cosa impossibile con la sua macchina. Le sue immagini in movimento sono rese dinamiche da rapidi tagli e frenetiche panoramiche. Sul finire degli anni ’70 Vivian Maier iniziò a scattare fotografie a colori. In questa fase Maier utilizzava una macchina Leica, molto più leggera e semplice da usare. Vivian Maier è stata ricordata da chi la conobbe come una donna sola e abbandonata a sé stessa. Forse fu solo una donna indipendente e, l’assenza di un marito e di figli, portò molti dei suoi conoscenti a giudicarla negativamente o a compatirla. Vivian fu sempre sostenuta da una smodata passione per l’arte fotografica e grazie a questo suo grande amore, consegnò alla storia una mole mastodontica di opere. Tuttavia non realizzò mai una mostra d’arte, né vendette alcuna stampa mentre era in vita. Nel 2007, due anni prima della sua morte, Roger Gunderson, proprietario di una casa d’aste di Chicago, acquisì per la modifica cifra di 260 dollari i 5 magazzini appartenuti a Vivian Maier, del tutto inconsapevole che contenessero un tesoro destinato a divenire inestimabile: più di centomila negativi, migliaia di fotografie stampate in ogni formato, scatole Kodak con centinaia di diapositive e pellicole cinematografiche; oltre che più di mille rullini non ancora sviluppati. Da questo momento la storia cambiò il proprio corso. L’anonima bambinaia di Chicago divenne Vivian Maier, autorevole rappresentante della street photography.

John Maloof e il fenomeno culturale chiamato “Vivian Maier” Nel 2007 John Maloof entrò in contatto con gli scatti di Vivian Maier. Alla seconda asta organizzata a Chicago da Roger Gunderson, Maloof (all’epoca un agente immobiliare) si presentò con un’offerta segreta per lo scatolone di negativi più grosso. Maloof possedeva un proprio account professionale su eBay con il quale rivendeva articoli acquisiti in aste di questo tipo. La fotografia era una sua grande passione. La sua vita si stava per intrecciare indissolubilmente con l’opera di Vivian Maier. Gunderson concluse l’esperienza con il sorriso sulle labbra: i 260 dollari pagati per i cinque box gli avevano fruttato circa 20.000 dollari di vendite all’asta. John Maloof, invece, aveva scoperto una delle più importanti fotografe della seconda metà del Novecento. Così, tra il 2007 e il 2014, Vivian Maier è divenuta un fenomeno commerciale. Gli agenti preposti alla diffusione delle sue opere si sono trovati improvvisamente tra le mani una miniera d’oro. Il mercato è spietato e non conosce etica; però può essere anche uno strumento virtuoso, dal momento che è in grado di sottrarre un’artista dall’oblio a cui sembra essere consegnata. Gli osservatori più attenti potrebbero obiettare che se la Maier avesse voluto farsi conoscere in vita avrebbe potuto pubblicare da sola i suoi scatti, o condividerli con un professionista del settore. Invece lei scelse di non farlo, tenne tutto per sé. Però non distrusse i suoi lavori, lasciando così spazio ad una teoria secondo la quale fu proprio lei a voler conservare le sue fotografie per i posteri. Sta di fatto che le immagini di Vivian Maier si sono rapidamente diffuse in tutto il mondo. Decine di pubblicazioni in diverse lingue, migliaia di riproduzioni su siti internet e blog. Il film di John Maloof, “Finding Vivian Maier”, incassò tre milioni e mezzo di dollari. La ricchissima eredità di Vivian è andata dispersa all’asta: quattro tonnellate di scatoloni immagazzinati. Il risultato è che decine di persone oggi dispongono di suoi beni e di un pezzettino della sua opera artistica.


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