Bologna, Cripta di San Zama: A Single Moment – Mostra fotografica di Anna Caterina Masotti 

ANNA CATERINA MASOTTI – DANZA DEL SOLE 1 OTTOBRE 2023 MARE

Alla morte del suo grande amico Robert Mapplethorpe, Nan Golding decide di progettare una delle mostre più interessanti nella storia della fotografia, dedicata al grande fotografo appena scomparso. Questa esposizione prenderà il titolo di “The Perfect Moment [1]: il Momento Perfetto”.

L’istante diviene il concetto da cui parte l’indagine fotografica di Anna Caterina Masotti.
È l’attimo dentro senza passato né futuro. È essere nel “qui e ora”, per beneficiare a pieno della magia dell’esistere.
Alcuni interventi medici ed il cambio forzato di visione, hanno condotto Anna Caterina Masotti a riconoscere il valore dello sguardo laterale, ma soprattutto a riappropriarsi del proprio tempo, in modo consapevole.
E la fotografia è lo strumento capace di restituire l’effimero rendendolo eterno: un procedimento concettuale che arresta l’istante, rinnovando la fonte del ricordo.

Con un linguaggio dai bianchi e neri contrastati, Anna Caterina Masotti incanta lo spettatore negli scatti alla natura, sia essa macro che di paesaggio. Sovrastano la terra dei cieli intensi o pastosi mentre giocano coi fondi le silhouettes. La luce è la protagonista. Diurna o notturna, filtra negli interni creando pattern, riflettendo nell’acqua e sagomando sui muri delicati ornamenti floreali.
Le Fotografie di Anna Caterina Masotti generano una osmosi tra esseri e natura in un dialogo cui il sentimento si riflette nell’ambiente e, viceversa, l’energia del paesaggio pervade tutto lo scatto. Anche dove la poetica va per sottrazione, l’oggetto tiene la sua forza totemica, la sua possanza.

Lo stesso connubio tra estetica e poetica delle fotografie si rigenera nell’allestimento che ricrea ambienti intimi, uterini, dentro cui danzano la vita della quotidianità i suoi affetti, i suoi spazi ed i paesaggi a lei cari.
Stampe di grande formato si alternano ad altre in dimensione minore, intime nell’approccio visivo oltre che nel soggetto rappresentato.  Un percorso sia materico che visivo, che mira ad aprire un dialogo con l’esperienza del fruitore stesso, condividendo – dal buio verso la luce – il momento dello scambio e dell’intimità che racchiude tutta l’umanità di un “sentimento collettivo”.

Una mostra immersiva – in cui le fotografie si raccontano in una antica cripta risalente all’XI secolo, suddivisa in tre navate con tre absidi e due file di colonne in una Chiesa ancora in uso – credo possa essere di grande supporto nella creazione di una consapevolezza del prendersi il proprio tempo.

Alessia Locatelli

[1] Per approfondire: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Perfect_Moment ; https://www.theguardian.com/artanddesign/2015/nov/17/robert-mapplethorpe-theperfect-moment-25-years-later

Mostra fotografica di Anna Caterina Masotti
A cura di Alessia Locatelli

In occasione di ARTE FIERA 2024

Opening: 30 Gennaio 2024 ore 18.00

Fino al 4 Febbraio 2024

Cripta di San Zama
Via dell’Abbadia, 3, Bologna

In occasione di ARTE FIERA 2024, Anna Caterina Masotti presenta per la prima volta le sue fotografie nella mostra “A Single Moment”. L’esposizione, a cura di Alessia Locatelli, è allestita presso la Cripta di San Zama nel pieno centro storico di Bologna, dal 30 gennaio al 4 febbraio 2024,in collaborazione con Laura Frasca, Art Manager di Green Whale Space, e l’Associazione Succede Solo a Bologna.

In un percorso installativo, immersivo e multimediale saranno esposte circa trenta fotografie inedite in bianco e nero di differenti formati e dei video dove il tema ricorrente è l’istante, concetto da cui parte l’intera indagine fotografica di Anna Caterina Masotti. La fotografa bolognese immortala il qui e ora nel quotidiano, nei paesaggi naturalistici, negli elementi architettonici. L’ispirazione per questo progetto nasce infatti dalla profonda riflessione sul presente, un momento di pura esistenza. La fotografia diventa lo strumento in grado di catturare l’effimero e renderlo eterno. Anna Caterina Masotti incanta gli spettatori con fotografie che esaltano la natura in tutte le sue forme, con le tecniche della macrofotografia e della Landscape Photography. La luce gioca un ruolo centrale, filtrando negli interni e creando pattern e contrasti, riflettendosi nell’acqua e delineando delicati ornamenti floreali sui muri da lei immortalati. Un percorso sia materico che visivo, dal buio verso la luce.

ANNA CATERINA MASOTTI

Anna Caterina Masotti nasce negli anni ‘70 a Bologna, dove attualmente vive. Dall’età di 10 anni inizia ad appassionarsi di fotografia: passione trasmessa dalla madre Olga, stilista innovativa che amava fotografare, nel tempo libero, fiori e paesaggi. Nel 2004 ritira assieme al padre Alberto il premio La Kore, Oscar della Moda. Nel 2010, le viene diagnosticato un problema agli occhi per il quale ha dovuto subire diversi interventi chirurgici. Da quel giorno i suoi sensi si modificano e la sua vita ha un inaspettato cambio di percorso. È da questo momento che fotografare diventa una priorità, attraverso una nuova visione che la porta ad esplorare modalità alternative di percezione della luce.


INFORMAZIONI UTILI
 
TITOLO: A Single Moment
DI: Anna Caterina Masotti
A CURA DI: Alessia Locatelli
DOVE: Cripta di San Zama, Via dell’Abbadia 3, Bologna
PREVIEW PER LA STAMPA: 30 gennaio 2024 ore 17.00
OPENING: 30 gennaio 2024 ore 18.00
DATE: Dal 31 gennaio al 4 febbraio 2024
ORARIO CRIPTA: Da mercoledì 31 gennaio a domenica 4 febbraio dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00. Sabato 3 febbraio dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 22.30
In occasione di ARTE FIERA 2024
IN COLLABORAZIONE CON: Laura Frasca Art Manager di Green Whale Space e l’Associazione Succede Solo a Bologna

INGRESSO GRATUITO

CONTATTI
SITO: www.annacaterinamasotti.com
INSTAGRAM: Anna_Caterina_Masotti
LINKEDIN: Anna Caterina Masotti
FACEBOOK: Anna Caterina Masotti Photographer

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Trieste La mostra “Histri in Istria” e gli eventi collaterali

Allestimento della mostra

Prima conferenza dedicata a “Nesazio. Dalle fonti ai primi scavi”
martedì 16 gennaio 2024 a Palazzo Gopcevich – Trieste
con Gino Bandelli e Marzia Vidulli Torlo

“Nesazio. Dalle fonti ai primi scavi” è il tema del primo dei sei eventi collaterali alla mostra “Histri in Istria”, realizzata dalla Comunità Croata di Trieste/Hrvatska Zajednica u Trstu insieme al Museo Archeologico dell’Istria/Arheološki Muzej Istre u Puli, in coorganizzazione con il Comune di Trieste, allestita al Museo di Antichità “J.J. Winckelmann” di Trieste e aperta al pubblico fino al 1 aprile 2024, da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 17.00. Incentrata su storia, usi e costumi degli Istri, è un viaggio attraverso oltre 200 reperti archeologici alla riscoperta del popolo che ha dato il nome alla penisola Istriana e che ne ha abitato le terre fino alla caduta del centro fortificato di Nesazio nel 177 a.C. Una preziosa esposizione realizzata con il sostegno della Regione Friuli Venezia Giulia, della Fondazione CRTrieste e di diverse Istituzioni croate.

Martedì 16 gennaio 2024, alle ore 17.30, alla sala Bobi Bazlen di Palazzo Gopcevich, via Rossini 4, i relatori Gino Bandelli e Marzia Vidulli Torlo si soffermeranno sull’insediamento di Nesazio, importante per il controllo delle dinamiche territoriali e commerciali dell’Istria interna. I ricchi ritrovamenti hanno dimostrato come, soprattutto Nesazio, rientrasse nel circuito adriatico di scambi e di traffici commerciali, ricoprendo un ruolo centrale in una rete di contatti che permetteva l’acquisizione di beni di prestigio volti alla legittimazione del rango di alcuni personaggi o di alcune famiglie, certamente aristocratiche, in rapporto con il mondo italico centro meridionale e poi con l’area del Caput Adriae.

Allestimento della mostra

Gino Bandelli è stato professore ordinario di Storia romana prima nell’Università di Verona, poi nell’Università di Trieste. Ha diretto il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste, ed è stato membro del Senato accademico dell’Università di Trieste, come rappresentante dell’Area 9. Attualmente è Vice-Presidente della Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia.

È condirettore della collana Studi e Ricerche sulla Gallia Cisalpina, inaugurata nel 1988 e giunta nel 2019 al ventottesimo volume. È condirettore della sezione Studi di Storia romana di Polymnia, collana di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste, inaugurata nel 2011 e giunta nel 2017 al sesto volume. Ha tenuto relazioni a convegni nazionali e internazionali e corsi di dottorato, seminari e lezioni in Università italiane, spagnole, francesi, svizzere, tedesche, canadesi.

Allestimento della mostra

Marzia Vidulli Torlo è funzionario direttivo conservatore del Civico Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann”.
Diplomata Maestro d’Arte all’Istituto statale d’Arte “E. e U. Nordio” nella sezione Decorazione navale, ha conseguito la Maturità d’Arte Applicata. Ha frequentato la facoltà di Storia dell’Arte dell’Ateneo di Trieste laureandosi in archeologia cristiana con una tesi sulla Basilica Eufrasiana di Parenzo, come allieva del professor Mario Mirabella Roberti.
Subito dopo la laurea è iniziata la collaborazione con i Civici Musei di Storia ed Arte: la sua attività si è articolata tra studio, schedatura, cura scientifica delle collezioni, di mostre e allestimenti di sedi museali, con stesura di testi scientifici e il coordinamento di cataloghi e monografie.
In particolare, ha seguito i riallestimenti del Civico Museo Sartorio e delle sue diverse sezioni, il progetto di allestimento del Civico Museo d’Arte Orientale, ma soprattutto si è occupata della progettazione scientifica e del coordinamento dei lavori di sistemazione del Lapidario Tergestino al Castello di San Giusto, dell’Orto Lapidario e del Giardino del Capitano, delle sale romane, di quelle egizie, cipriote, greche, magnogreche, tarantine, Maya e della preistoria locale del Civico Museo di Storia ed Arte, l’odierno Museo d’Antichità Winckelmann.
Ha collaborato inoltre con la Soprintendenza, la Provincia di Trieste, altri enti regionali ed editori locali; ha al suo attivo una ventina di volumi e un numero considerevole di articoli su riviste specializzate.  Ha tenuto conferenze e centinaia di visite guidate per il servizio didattico dei Civici Musei e per il pubblico, in particolare nelle manifestazioni “Musei di Sera” e organizzando “Archeologia di Sera”.
La sua appassionata attività ha come fulcro principale la divulgazione dei beni conservati nei musei e nella città promuovendone la conoscenza ad un pubblico sempre più vasto sia attraverso il linguaggio verbale che quello grafico e dell’arredamento museale.


Le più antiche fonti letterarie risalenti all’inizio del V secolo a.C. (Periegesis di Ecateo di Mileto datata tra 560 e 480 a.C.) ricordano che la penisola istriana era un territorio abitato dagli Istri e che, venendo da ovest, dopo i Veneti viene il popolo degli Istri e ancora dopo quello dei Liburni, e lo storico romano Strabone (che scrive al passaggio all’era volgare) ricorda che dietro al Timavo c’è il Litorale Istrico fino a Pola, e che rientra nel territorio amministrativo dell’Italia imperiale.

Dalle fonti, si desume quindi che quello degli Istri era un gruppo culturale unitario, insediato tra il fiume Risano, a nord ovest, mentre verso nord e nord-est era limitato dal massiccio della Ciceria (dalle pendici orientali del Monte Maggiore e dal fiume Arsa).

In base agli studi recenti, gli Istri appaiono divisi in diverse stirpi, una comunità di tribù autonome, che solo per l’ultima vana difesa, nel 177 a.C., si arroccano in un unico centro: infatti Tito Livio scrive che i principi istri e lo stesso re, il regulus Epulone, si rifugiarono nell’oppido di Nesazio, assediato e conquistato da Roma. Questa circostanza evidenzia tra l’altro come il sito ancora nel II secolo a.C. mostrava una preponderante immagine di sicurezza e prestigio.

Scavi di Nesazio

Di Nesazio però si erano perse del tutto le tracce e a partire dal XVI secolo gli studiosi si chiedevano quale fosse la sua posizione. Solo dalla metà dell’800 Pietro Kandler lo segna al margine dell’agro centuriato di Pola, presso Altura, ad appena sei miglia (circa 9 chilometri) da Pola stessa, nel luogo detto Visazze/Vizače, in un paesaggio arrotondato di colline, con il ripido declinare dei versanti verso il mare, all’imboccatura del porto canale di Badò sul Quarnero; una insenatura naturalmente riparata, dove, con caratteri tipicamente carsici, scaturiva in mare una polla di risorgenza che garantiva l’approvvigionamento di acqua dolce.

Su incarico della Società Istriana di Archeologia e Storia Patria, con finanziamento della Provincia dell’Istria, nel 1900 vennero intrapresi i primi scavi archeologici condotti da Alberto Puschi e Piero Sticotti, ambedue in successione direttori del Museo d’Antichità di Trieste. Le campagne di scavo, che si svolsero nei primi due decenni del secolo, misero in luce resti di abitazioni, terme, templi e mura romani, così come una ricca necropoli protostorica. Il ritrovamento di un’iscrizione dedicata all’imperatore Gordiano III da parte della Res Pu­blica Nesactiensium diede allora la conferma che proprio sulla collinetta di Visazze, presso Altura, era lo storico oppido di Nesazio ricordato da Tito Livio.

L’archeologia in Istria ha restituito numerosi siti abitativi e necropoli tali da fornire il panorama di un territorio popolato dagli Istri tra l’età del bronzo finale e la prima età del ferro, caratterizzato da insediamenti anche di considerevole importanza, posti in posizioni strategiche, tanto a dominare la linea costiera, quanto come Nesazio anche al controllo delle dinamiche territoriali e commerciali dell’Istria interna. I ricchi ritrovamenti hanno dimostrato come soprattutto Nesazio rientrasse nel circuito adriatico di scambi e di traffici commerciali, ricoprendo un ruolo centrale in una rete di contatti che permetteva l’acquisizione di beni di prestigio volti alla legittimazione del rango di alcuni personaggi o di alcune famiglie, che potremmo definire certamente aristocratiche, in rapporto con il mondo italico centro meridionale e poi con l’area del Caput Adriae.


Ufficio stampa Comune di Trieste
Aps comunicazione 040410910 | Federica Zar zar@apscom.it

Ufficio stampa Comunità Croata di Trieste
Area Croazia – Luisa Sorbone sorboneluisa@gmail.com
Area Italia – Cristina bonadea66@gmail.com
 
Aps comunicazione
Snc di Aldo Poduie e Federica Zar
viale Miramare, 17 • 34135 Trieste
Tel. e Fax +39 040 410.910
zar@apscom.it

Genova, Palazzo Ducale: Due nuovi capolavori alla mostra “ARTEMISIA GENTILESCHI. Coraggio e passione”

Ad arricchire il percorso della mostra
“ARTEMISIA GENTILESCHI. Coraggio e passione”
dal 10 gennaio saranno esposte l’appena restaurata “Allegoria dell’Inclinazione” e la “Conversione della Maddalena”

Da mercoledì 10 gennaio la mostra “Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione” in corso a Palazzo Ducale nell’Appartamento del Doge e nella Cappella Dogale si arricchisce di due grandi capolavori e prestiti eccezionali: l’appena restaurata “Allegoria dell’Inclinazione” proveniente da Casa Buonarroti ed esposta per la prima volta in assoluto fuori dalla sua sede dal 1616 e la “Conversione della Maddalena” delle Gallerie degli Uffizi – Palazzo Pitti, entrambe di Firenze.

L’ “Allegoria dell’Inclinazione” (1615-1616) presenta una fanciulla con le nudità coperte da panneggi e veli, seduta su nuvole e recante una bussola nelle mani levate in alto, rivolte verso una stella a otto punte che rifulge nel cielo azzurro. L’opera è una delle otto “Allegorie di Virtù” dedicate al grande Michelangelo Buonarroti e dipinte da vari artisti: nasce presumibilmente come un autoritratto senza veli proprio di Artemisia Gentileschi (unica donna nell’équipe attiva per il pronipote dell’artista, Michelangelo Buonarroti il Giovane) che successivamente verrà coperto da un drappo dipinto da Baldassarre Franceschini detto il Volterrano.
Qui la pittrice si rappresenterebbe come l’ispirazione che ha guidato l’intera opera di Michelangelo.
A Genova l’opera potrà essere ammirata da vicino per apprezzare uno dei momenti più alti della tecnica di Artemisia, genio assoluto della pittura barocca.

“Conversione della Maddalena” (1613-1615) fu commissionata ad Artemisia da Cosimo II e destinata alle stanze della consorte del granduca, Maria Maddalena d’Austria, omonima e grande devota della santa. In questa versione di Artemisia, la santa pentita – una fanciulla moderna agghindata con una veste di un brillante colore oro – non è colta nel momento della contrizione per i peccati commessi, ma nell’attimo esatto in cui, prendendo improvvisa coscienza della sua condizione immorale, prova un tale disgusto da allontanare da sé lo specchio, simbolo della vanità che fino a quel momento ha caratterizzato la sua esistenza. Nel pennello di Artemisia, Maddalena diventa un’eroina femminile, capace di ribellarsi a una condizione che non sente più sua e che non vuole più le appartenga, per cercare una nuova dimensione salvifica.

La mostra è promossa e organizzata da Arthemisia con Palazzo Ducale Fondazione per la CulturaComune di Genova e Regione Liguria e rientra nell’ambito delle iniziative di Genova Capitale Italiana del Libro 2023.
La mostra vede come sponsor Generali Valore Culturaspecial partnerRicola, media partnerIl Secolo XIX e mobility partnerFrecciarossa Treno Ufficiale.
La mostra rientra nel progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato da Arthemisia con Komen Italiacharity partner della mostra.


Informazioni e prenotazioni
T. +39 010 8171600
www.palazzoducale.genova.it
www.arthemisia.it

Hashtag ufficiale
#ArtemisiaGentileschiGenova

Biglietti
Intero € 16,00
Ridotto € 15,00

Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso
sam@arthemisia.it 
press@arthemisia.it | T +39 06 69380306

Venezia, Ca’ Pesaro, Sale Dom Pérignon: MAURIZIO PELLEGRIN. Me stesso e io

Maurizio Pellegrin, Head 4, 2022,
acrilico su legno, 25×20 cm acrylic on wood, 25×20 cm

Maurizio Pellegrin
l’inesausta ricerca per costruire la propria identità,
nello scollamento tra Sé reale e Sé ideale

Fino al 1 aprile 2024 

a cura di Elisabetta Barisoni 
in collaborazione con Marignana Arte e Galleria Michela Rizzo
con il sostegno di Banca Prealpi

The Others è un film del 2001 con protagonista Nicole Kidman: la trama è semplice quanto geniale e tiene lo spettatore sul filo della suspence e del mistero per 104 minuti. I protagonisti, che per tutta la pellicola si pensa siano disturbati e ossessionati dai fantasmi e dalle creature dell’aldilà, si scoprono alla fine essere loro i morti, i disturbatori del mondo dei vivi, gli altri. Il titolo dell’opera site-specific che Maurizio Pellegrin ha realizzato per Ca’ Pesaro, The Others, è non solo efficace ma anche molto utile per interpretare l’intera rassegna che presentiamo oggi a Venezia. Gli altri sono gli uno- nessuno – centomila dell’impossibile autoritratto che egli cerca di portare a compimento, circondandosi di volti e di vite, perlopiù appartenenti a figure anonime della Storia.

L’esposizione è concepita in occasione e in dialogo con Il Ritratto veneziano dell’Ottocento che abbiamo inaugurato lo scorso 21 ottobre nelle sale del secondo piano del Museo. La rassegna ricostruisce un’esposizione storica, realizzata nel 1923, un secolo fa, dal primo direttore di Ca’ Pesaro, Nino Barbantini. Genere pittorico che, come ricorda lo stesso Pellegrin, attraversa la storia dell’arte occidentale fin dall’età greco- romana e attiene alla formazione del nostro universo archetipico, il ritratto è legato al tema dell’identità ma si pone in relazione anche con la collettività che lo genera. Il ritratto nell’Ottocento parte da premesse molto diverse da quelle che abbiamo noi oggi. Sempre legato al tema dell’identità, si accompagna tuttavia al senso della morte, alla contiguità tra il mondo dei morti e dei vivi ripresi sulla tela. Come per la fotografia, laddove alcuni autori si specializzarono nel genere dello scatto post-mortem, così in pittura sono numerosi i casi di coppie o gruppi familiari che prevedono e comprendono persone già scomparse al tempo in cui l’opera venne realizzata. Per l’Ottocento il ritratto non è la documentazione del qui e ora che invece ha per i nostri tempi, testimonianza di qualcosa che accade davvero, della perenne connessione con il mondo dell’attualità; il ritratto nel XIX secolo è piuttosto una celebrazione, un atto di amore che unisce le dinastie familiari, consacra all’eternità gli appartenenti al nucleo di affetti, che siano questi i figli scomparsi prematuramente o gli avi di cui si desidera mantenere viva la memoria. Pellegrin instaura un dialogo con l’interpretazione ottocentesca del ritratto e non a caso cerca di costruire la propria identità raccogliendo, ed esponendo, non volti di suoi contemporanei ma di persone del XVIII e XIX secolo. Sono dipinti collezionati e accumulati in modo quasi ossessivo e ripetitivo, che lo accompagnano nella sua ricerca del Sé. Non dialogano tra loro ma parlano in modo quasi esclusivo con l’artista e rappresentano ai suoi occhi una moltitudine di solitudini, di storie e vicende che si affiancano o si accavallano sulla parete.

L’inesausta ricerca di Pellegrin per costruire la propria identità, nello scollamento tra Sé reale e Sé ideale, passa anche attraverso le immagini della testa e della testa- memoria dell’artista che è la città di Venezia. Anche i numeri, i simboli e le cifre che accompagnano i suoi autoritratti fanno parte di un alfabeto personale che diventa geroglifico del presente e del futuro, sostanza archeologica delle macerie su cui l’artista ragiona ogni giorno. Alle teste e alle immagini di Venezia si affiancano i lacerti, reperti di un’umanità che ha lasciato sul muro le tracce del proprio passaggio privato, nella serie dei Corsets. Sono opere in cui emerge il tema del ritratto come assenza mentre il cortocircuito tra presente e passato si vivifica attraverso il confronto tra i corsetti e i bustini appesi a muro, biancheria intima di donne del passato, e le delicate e preziose stoffe che abbigliano le splendide immagini femminili nella contigua mostra dell’Ottocento.

Mi auguro che il pubblico, come noi adesso, possa giungere a riflessioni e nuove questioni grazie al dialogo che si instaura tra le due esposizioni, messe a disposizione di una contemporaneità che ha fatto dell’iper-presenza e della ricerca identitaria la propria forza e al contempo la propria dannazione; augurandoci di non capire, arrivati ai titoli di coda, che in realtà eravamo già andati e che in fondo gli altri eravamo noi.


Contatti per la stampa
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
In collaborazione con 
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Ref. Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
Santa Croce 2076
30135 Venezia
Tel. +39 041 721127
capesaro.visitmuve.it

Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria: Il Maestro di San Francesco e lo stil novo del Duecento umbro

Maestro di San Francesco, Dossale bifacciale, 1272

PERUGIA | GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA

DAL 9 MARZO AL 9 GIUGNO 2024

Per la prima volta, 60 opere provenienti dai maggiori musei mondiali ricostruiscono la vicenda artistica di uno dei più importanti autori del Duecento.

La mostra si tiene in occasione delle celebrazioni per l’800° anniversario dall’impressione delle stigmate a san Francesco.

A cura di Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi, Veruska Picchiarelli

Dopo la grande mostra dedicata a Pietro Vannucci detto il Perugino a 500 anni dalla sua scomparsa, la Galleria nazionale dell’Umbria di Perugia ospita, dal 9 marzo al 9 giugno 2024, un’altra prestigiosa iniziativa che farà riscoprire, cosa mai successa finora, la figura del Maestro di San Francesco, uno degli artisti più importanti del Duecento, dopo Giunta Pisano e prima di Cimabue, con cui può paragonarsi direttamente per il livello delle idee e della pittura.

La retrospettiva, curata da Andrea De Marchi, Emanuele Zappasodi e Veruska Picchiarelli, che si tiene in occasione delle celebrazioni per l’800° anniversario dall’impressione delle stigmate a san Francesco, presenta, per la prima volta riuniti, 60 capolavori provenienti dalle più prestigiose istituzioni museali, dal Louvre di Parigi alla National Gallery di Londra, dal Metropolitan Museum di New York alla National Gallery di Washington.

Dalla Galleria nazionale dell’Umbria, che conserva il 60% delle opere su tavola del Maestro di San Francesco, il percorso si estende al ciclo con Storie del Cristo e storie di san Francesco eseguito dal pittore nella chiesa inferiore della Basilica di Assisi, anche in virtù dell’accordo di valorizzazione che lega il Sacro Convento al museo perugino.

Il Duecento fu un secolo di grandiosi sommovimenti, sociali, economici e culturali. L’Umbria fu la regione che meglio seppe assorbire e trasformare in energia positiva lo scossone provocato dalla nascita degli ordini mendicanti, di quello francescano in particolare. Non è un caso che proprio l’Umbria e Assisi divennero il nuovo fulcro nel sistema delle arti europee, dove furono create alcune delle opere pittoriche più singolari dell’epoca; in questo panorama, si stagliò la misteriosa figura del Maestro di San Francesco, un autore ancora anonimo, così chiamato dalla tavola con l’effigie del Santo dipinta sulla stessa asse su cui spirò, conservata a Santa Maria degli Angeli ed eccezionalmente esposta nella mostra perugina.

Ed è proprio a lui che i frati minori si rivolsero, dapprima per lavorare alle vetrate della chiesa superiore della Basilica, a fianco di maestri tedeschi e francesi, quindi per decorare l’intera chiesa inferiore. Fra mille fregi diversi, emuli dell’oreficeria e degli smalti, il Maestro aveva incastonato nella navata ad aula unica il primo ciclo delle storie di Francesco, narrate in parallelo con quelle di Cristo, secondo le indicazioni di Bonaventura da Bagnoregio, allora generale dell’ordine, che identificava il Santo come Alter Christus, piegando le sigle bizantineggianti di Giunta a ritmi flessuosi e a una dolcezza di sensi patetici, di note più naturalistiche, di una più esplicita espressione sentimentale, del tutto inedita.

Per questo appuntamento, sono stati acquisiti rilievi con laserscanner 3D sulle pitture murali della chiesa inferiore di Assisi, per documentare le sperimentazioni tecniche e restituire virtualmente, attraverso una ricostruzione digitale, l’assetto, gravemente modificato a causa dell’apertura delle cappelle laterali, del ciclo dipinto verso il 1260.

Il percorso ordinato nella Galleria nazionale dell’Umbria avrà come cardine la Croce datata 1272, proveniente dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato, uno dei pezzi in assoluto più importanti del museo, attorno cui ruoteranno gran parte delle opere del pittore, sparse in vari musei del mondo. In una vetrina climatizzata verrà collocata la sezione superstite del dossale opistografo che sull’altare maggiore di San Francesco al Prato integrava visivamente la grande Croce e di cui la GNU conserva il maggior numero di frammenti.

Maestro di San Francesco, Dossale bifacciale, 1272, particolare

Si cercherà inoltre di offrire una documentazione articolata e per quanto possibile sistematica dell’intera produzione pittorica in Umbria negli anni di attività del Maestro di San Francesco, dalla metà del secolo all’avvio del cantiere pittorico della chiesa superiore della Basilica di Assisi con papa Niccolò IV. Punto di partenza emblematico sarà comunque l’opera umbra di Giunta Pisano, rivalutando con una data più alta, verso il 1230, il dossale con San Francesco e quattro miracoli post mortem del Museo del Tesoro della Basilica papale di San Francesco in Assisi, uno dei capolavori del secolo, a confronto con l’altra versione della Pinacoteca Vaticana e con la Croce firmata della Porziuncola. Non meno rilevante la possibilità di apprezzare le opere del probabile Gilio di Pietro da Pisa, attivo alla metà del secolo, a Siena e Orte.

A lato del Maestro di San Francesco verranno ricostruite le figure di comprimari come il Maestro delle Croci francescane e il Maestro della Santa Chiara, grazie all’eccezionale presenza, per quest’ultimo, della pala agiografica proveniente dalla Basilica della santa, datata 1283, e della monumentale croce dipinta del Museo Civico Rocca Flea di Gualdo Tadino. La produzione del Maestro del Trittico Marzolini, che mostra singolari affinità con la miniatura armena, sarà una testimonianza eloquente della straordinaria polifonia di opere e artisti dell’Umbria del secondo Duecento, cresciuta all’ombra del cantiere internazionale di Assisi.

La regione è infatti un osservatorio privilegiato per comprendere la natura degli scambi fittissimi che in quegli anni solcarono le rotte del Mediterraneo, fra la Terra Santa e l’Italia centrale, culla del francescanesimo e di rivolgimenti artistici epocali che non sarebbero immaginabili senza il clima che si era creato nella Basilica di San Francesco.

La mostra è frutto della collaborazione fra la Galleria nazionale dell’Umbria, il Ministero della Cultura, la Basilica papale e Sacro Convento di San Francesco in Assisi e la Provincia Serafica “San Francesco d’Assisi” dei Frati Minori dell’Umbria, con il supporto della Fondazione Perugia e in sinergia con la Regione Umbria.


Il Maestro di San Francesco e lo stil novo del Duecento umbro
Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria (corso Pietro Vannucci, 19)
9 marzo – 9 giugno 2024
 
Informazioni: T +39 075.58668436; gan-umb@cultura.gov.it
 
Sito internet:    www.gallerianazionaledellumbria.it
 
Ufficio Promozione e Comunicazione
Ilaria Batassa | M +39 3319714326 | ilaria.batassa@cultura.gov.it
 
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Brescia, sedi varie: BRESCIA PHOTO FESTIVAL. VII edizione TESTIMONI

Mariangela Melato, Courtesy Archivio Carlo Orsi

BRESCIA PHOTO FESTIVAL – VII edizione

Brescia, Museo di Santa Giulia e Mo.Ca. – Centro per le Nuove culture

Altre sedi varie

Dall’8 marzo 2024

Tra gli appuntamenti più attesi, un’importante monografica dedicata a Franco Fontana, in occasione del suo novantesimo compleanno.

A marzo 2024 torna il Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana, con la curatela artistica di Renato Corsini, che porterà nei luoghi espositivi più prestigiosi della città e della provincia un programma articolato di mostre con alcuni dei nomi più importanti e celebrati della fotografia italiana contemporanea.

Il titolo scelto per questa settima edizione è Testimoni, un termine che sottolinea la capacità dei fotografi di documentare il presente favorendo la lettura della storia attraverso il racconto che ne fanno le immagini.

Anche per quest’anno, il fulcro del Brescia Photo Festival sarà il Museo di Santa Giulia che ospita, dall’8 marzo al 28 luglio 2024, un’importante mostra monografica dedicata a Franco Fontana, uno dei pionieri della fotografia a colori, in occasione dei suoi novant’anni.

La grande rassegna, dal titolo Franco Fontana. Colore, curata dallo Studio Fontana, promossa dalla Fondazione Brescia Musei e co-prodotta con Skira, presenterà 122 immagini realizzate dal 1961 al 2017.

Il percorso espositivo, suddiviso in 4 sezioni, documenta la ricerca di Franco Fontana sui temi “paesaggio”, “paesaggio urbano”, “presenza assenza”, “people”, “luce americana”, “frammenti”, “autostrade” e “asfalti”: per l’autore, tutto è o diventa paesaggio.

Accompagna la mostra un ricco catalogo Skira per Fondazione Brescia Musei, con un testo di Caterina Mestrovich e un’introduzione di Nicolas Ballario.In contemporanea, sempre dall’8 marzo al 28 luglio 2024, il Museo di Santa Giulia accoglie una mostra che ricorda, in occasione del suo cinquantesimo anniversario, la strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974, nella quale persero la vita 8 persone.

Partendo da alcune delle fotografie del portfolio di Renato Corsini, una delle più lucide testimonianze di quei tragici giorni, Maurizio Galimberti realizzerà, seguendo lasua grammatica compositiva, una grande installazione, nata da un’idea di Paolo Ludovici, con 40 composizioni e una serie di Polaroid 50×60 cm, nella quale scomporrà e risemantizzerà, secondo la sua cifra espressiva più caratteristica, le immagini di quel reportage d’epoca, oltre a manifesti, articoli di giornale, disegni e consentendo così al pubblico di riflettere, anche attraverso il medium fotografico, sulla portata e sulla drammaticità di quel tragico e gravissimo evento.

Anche per questa edizione, il secondo polo di attrazione del Brescia Photo Festival in città si conferma essere il Mo.Ca. – Centro per le Nuove Culture.

Federico Garolla, Moda, Roma, 1958

Dal 16 marzo al 12 maggio 2024 ospiterà una retrospettiva dedicata a Federico Garolla (1925-2012), che documenterà uno stile che, tra gli anni ’50 e ’60, ha illuminato il percorso di molti altri fotografi.

La mostra, curata da Isabella Garolla e Margherita Magnino, dal titolo Saper leggere il tempo, presenterà una serie di fotografie, tra cui una decina di inediti, in cui grandi attori teatrali, stelle nascenti della televisione, modelle, artisti ma anche persone comuni prendono parte, come attori sul palcoscenico, del set di uno studio cinematografico.

Garolla è stato tra i primi a portare gli abiti degli atelier più prestigiosi nelle strade al mattino presto, nelle periferie urbane ancora libere dal traffico automobilistico, sulle scalinate di una Roma deserta, e anche in contesti inaspettati. La sua idea di glamour si basa sul confronto tra immagini dissonanti, su antitesi estetiche e su divisioni di classe inequivocabili. Nulla è lasciato al caso, ma tutto appare disinvolto, sofisticatamente casuale e perfettamente orchestrato. L’opera di Garolla si colloca in una dimensione, in linea con Cartier-Bresson e Avedon, in cui il soggetto riflette il “mondo di un’epoca” e lo stile distintivo del suo autore.

In contemporanea, sempre dal 16 marzo al 12 maggio 2024, il Mo.Ca. accoglierà Dentro il cinema, la personale di Chiara Samugheo (1935-2022), artista che ha rivoluzionato la fotografia legata al mondo delle celebrità con il suo approccio innovativo, dando vita al reportage cinematografico. L’esposizione, curata da Mauro Raffini, dimostra come Chiara Samugheo abbia sempre concentrato la sua attenzione esclusivamente sui protagonisti che contribuirono a rendere il cinema una delle forme espressive più popolari e amate del mondo del cinema. La sua fama divenne rapidamente globale, tanto che fu chiamata a collaborare con le principali riviste di cinema, moda e costume, tra cui Cinema Nuovo, Epoca, Stern, Vogue, Paris Match, Life e Vanity Fair.

Il suo sguardo femminile ha contribuito significativamente al movimento di liberazione sessuale che caratterizzò gli anni ’60 e la mancanza di premeditazione, dalla sintesi tra la foto “posata” e l’istantanea catturata al volo, la portò a creare servizi fotografici molto apprezzati.

Dal 18 maggio al 30 giugno 2024 il Brescia Photo Festival renderà omaggio a un altro maestro della fotografia italiana, Carlo Orsi (1941-2021), autore capace di spaziare dalla moda al reportage, dal ritratto alla ricerca e dal glamour alla sperimentazione, mantenendo iconico e immediatamente riconoscibile il suo stile. La mostra PercORSI, curata da Margherita Magnino e Silvana Beretta, si concentrerà sui ritratti che l’artista ha realizzato nel mondo dell’arte, del cinema, dello sport, della musica, della moda e della cultura, attraverso 80 immagini capaci di raccontare l’evolversi di una società attraverso gli sguardi e le pose dei suoi interpreti.

Tra le novità della VII edizione del Brescia Photo Festival vi è la collaborazione con la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS). Il complesso monumentale ospiterà infatti nell’estate del 2024 una collettiva di 10 fotografe italiane a cura di Renato Corsini – tra le quali Maria Vittoria Backhaus, Silvia Camporesi e Antonella Monzoni – che offriranno al visitatore, ognuna con la propria cifra, 10 diversi modi diinterpretare gli spazi della storica residenza di Gabriele d’Annunzio, in un progetto espositivo dal titolo evocativo Il Vittoriale delle Italiane a cui si affiancherà un ciclo di incontri, Testimonianze, che si terrano da marzo a giugno a Brescia, presso il Museo di Santa Giulia, il Ma.Co.f e a Gardone, presso Il Vittoriale degli Italiani.


La Fondazione Brescia Musei è una fondazione di partecipazione pubblico – privata presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov. Fanno parte di Fondazione Brescia Musei anche: Museo di Santa Giulia, Brixia. Parco Archeologico di Brescia romana, Museo delle Armi Luigi Marzoli, Museo del Risorgimento Leonessa d’Italia e il Cinema Nuovo Eden.

Fondazione Brescia Musei è con la Pinacoteca Tosio Martinengo l’ente capofila della Rete dell’800 lombardo, il network fondato nel 2004 e ricostituitosi nel 2019 con il supporto di Regione Lombardia.

Fortemente voluto dal Comune di Brescia, il Macof – Centro della fotografia italiana, è lo spazio espositivo dedicato alla fotografia italiana, aperto nel maggio 2016 nell’importante sede del palazzo barocco Martinengo Colleoni. È affidato alla direzione artistica di Renato Corsini e si avvale della consulenza di un comitato scientifico formato da due indiscussi protagonisti della fotografa italiana, Gianni Berengo Gardin e Uliano Lucas, e dalla storica della fotografia Tatiana Agliani. È un luogo di informazione, studio e ricerca sulla fotografia italiana e sulla sua storia, uno spazio aperto alla discussione sul linguaggio visivo, sulle tendenze che caratterizzano oggi la fotografia italiana e sulle sue prospettive future.ì


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Padova, Centro Culturale Altinate | San Gaetano: Arthemisia presenta la mostra “MONET”

Claude Monet, il padre dell’Impressionismo e uno degli artisti più amati di sempre, sarà celebrato con una straordinaria mostra a Padova, a partire dal prossimo 9 marzo.
Arthemisia, con il Comune di Padova e il Musée Marmottan Monet, darà vita ad un racconto emozionante, attraverso l’esposizione di oltre 50 capolavori iconici – tra cui le Ninfee, gli Iris, i Paesaggi londinesi e molti altri ancora – arricchiti da sale spettacolari, tantissimi contenuti, video, testimonianze e atmosfere magiche.

Una mostra che non si può perdere, tanto più che per diversi anni le opere di Monet non saranno più disponibili per un’esposizione in Italia.

Le opere esposte nella mostra sono quelle conservate al Musée Marmottan Monet, donate dal figlio dell’artista, che custodisce la più grande e importante collezione di dipinti dell’artista francese, frutto della generosa donazione fatta dal figlio Michel nel 1966.

Sono le opere a cui Monet teneva di più, le “sue” opere, quelle che l’artista ha conservato gelosamente nella sua casa di Giverny fino alla morte, da cui non ha mai voluto separarsi.
La mostra è quindi anche un viaggio nel mondo intimo di Monet, nella sua casa e nella sua anima.

A Padova saranno esposti capolavori quali Ritratto di Michel Monet con berretto a pompon (1880), Il treno nella neve. La locomotiva (1875), Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905), oltre a tutte le opere di grandi dimensioni come le eteree Ninfee (1917-1920) e gli evanescenti Glicini (1919-1920).

La mostra, promossa dal Comune di Padova, è prodotta ed organizzata da Arthemisia in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi ed è curata da Sylvie Carlier, curatrice generale del Musée Marmottan Monet, con la co-curatela della storica dell’arte Marianne Mathieu e l’assistente alla curatela del Musée Marmottan Monet Aurélie Gavoille.


Ufficio Stampa Arthemisia
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
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Venezia, Museo Fortuny: Joan Fontcuberta. Cultura di polvere

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere – Trauma #3227, light box 100×150 cm, stampa INK JET su pellicola Backlight montata su plexiglass 3mm in scatola di legno nero (profilo 3 x 7 cm), 2022 –  © ICCD Roma

Venezia, Museo Fortuny
24 gennaio – 10 marzo 2024

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere inaugura la stagione espositiva al Museo Fortuny di Venezia, ospitando dal 24 gennaio al 10 marzo 2024 le dodici light box realizzate da Joan Fontcuberta: esito del dialogo dell’artista catalano con le straordinarie collezioni storiche dell’ICCD di Roma, Istituto nato a fine Ottocento come Gabinetto Fotografico per documentare il patrimonio culturale con fini di tutela e catalogazione.

Una mostra che, riproposta a Venezia, a Palazzo Fortuny, rievoca non solo la comune nazionalità tra l’artista e il “padrone di casa” ma, soprattutto, il profondo legame di questo luogo con la fotografia, dalle sperimentazioni di Mariano Fortuny y Madrazo al suo ricchissimo archivio qui custodito, poi centro d’avanguardia della fotografia negli anni Settanta e Ottanta.  

Tra le manifestazioni più importanti legate al Museo Fortuny non si può non ricordare Venezia ’79. La Fotografia, nata dalla collaborazione tra International Center of Photography di New York, UNESCO e comune di Venezia. Un evento mediatico senza eguali, unico in Europa per genere e dimensioni, con venticinque mostre in città, seminari, conferenze, laboratori e workshop, che aveva come centro dell’attività formativa Palazzo Fortuny. A questo appuntamento epocale prende parte anche Joan Fontcuberta che, appena ventiquattrenne, è tra i protagonisti della mostra Fotografia europea contemporanea ai Magazzini del Sale, curata da Sue Davis, Jean-Claude Lemagny, Alan Porter e Daniela Palazzoli.

L’esposizione al Museo Fortuny riporta così l’eco di un sentimento che si aggiunge al lavoro dell’artista come uno strato di storia e di memoria.

Joan Fontcuberta. Cultura di polvere è nato nell’ambito del programma ICCD Artisti in residenza a cura di Francesca Fabiani, in cui Fontcuberta ha scelto di operare su alcune lastre fotografiche deteriorate provenienti dal Fondo Chigi, punto di partenza per una serie di sperimentazioni visive e linguistiche. Rampollo di una delle casate nobiliari più ricche e potenti della storia, il principe Francesco Chigi Albani della Rovere (1881-1953), naturalista e fotografo amatoriale, nel corso delle sue sperimentazioni approda spesso a soluzioni sorprendenti che ben dialogano con l’intelligenza provocatoria e ironica di Fontcuberta. Un incontro di personalità che dalla polvere d’archivio – evocata dal titolo che rimanda alla celebre opera di Marcel Duchamp e Man Ray del 1920 Élevage de poussière – ha prodotto nuove opere in una prospettiva contemporanea.

Attraverso un procedimento di tipo surrealista che consiste nel prelievo/appropriazione di elementi già dati – in questo caso un frammento della lastra – Fontcuberta ha compiuto il suo atto creativo, restituendo immagini quasi astratte eppure reali; paesaggi poco plausibili, assolutamente non manipolati, che appaiono nel display delle light box. I materiali su cui ha lavorato l’artista, se da un lato perdono memoria, dall’altro acquisiscono nuova fisionomia attraverso i tanti segni che il passare del tempo vi ha lasciato: graffi, lacune e, talvolta, batteri e funghi proliferati grazie all’ambiente chimicamente accogliente dell’emulsione di gelatina ai sali d’argento. Nuovi paesaggi che si sommano al soggetto originario della fotografia, visibile in controluce.

Come spiega l’autore: Questo lavoro analizza l’agonia materiale della fotografia. La fotografia è un dispositivo di memoria legato alla materia. Il suo deterioramento materiale genera una fotografia paradossalmente “amnesica”, senza più memoria.

La mostra è promossa dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia.

Il progetto è vincitore del PAC2021 – Piano per l’Arte Contemporanea promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Le opere in mostra sono entrate a far parte delle collezioni di fotografia contemporanea dell’ICCD e sono presentate nell’omonimo libro d’artista Joan Fontcuberta. Cultura di polvere, edito da Danilo Montanari Editore con testi di Francesca Fabiani, David Campany e Joan Fontcuberta e con la grafica di TomoTomo.

Joan Fontcuberta (Barcellona, 1955) è tra le figure più autorevoli nel panorama della fotografia contemporanea. Artista, docente, saggista, curatore e scrittore, ha dato avvio alla sua multidisciplinare carriera negli anni ’70 affiancando alla ricerca artistica i diversi impegni in ambito didattico, teorico e curatoriale.

Da sempre pone al centro della propria indagine la presunta veridicità della fotografia, l’ambiguità tra vero e falso, il tema dell’autorialità e dell’autorevolezza, il potere affabulatorio delle immagini e la loro proliferazione, con un approccio critico e sperimentale e con un’attenzione particolare al tema dell’archivio. L’archivio fotografico come massimo esempio di concentrazione e accumulazione di immagini, ma anche come deposito di materiale, carta, negativi, lastre, album, possibile di nuove riletture (e manipolazioni).

Numerosi i volumi pubblicati, fra cui: Il bacio di Giuda. Fotografia e verità (1997); La (foto)camera di Pandora. La fotografi@ dopo la fotografia (2010); La furia delle immagini. Note sulla postfotografia (2016); Contro Barthes. Saggio visivo sull’indice (2023).

Ha realizzato mostre personali al MoMA di New York, all’Art Institute di Chicago, alla MEP di Parigi, allo IVAM di Valencia, al London Science Museum, al Museum Angewandte Kunst di Francoforte per citarne alcuni. Le sue opere sono presenti nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York, del MoMA di San Francisco, del Museum of Fine Arts di Houston, della National Gallery of Art di Ottawa, del Folkwang Museum di Essen, del Centre Pompidou di Parigi, dello Stedelijk Museum di Amsterdam. 

In Italia ha realizzato il progetto di arte pubblica Curiosa Meravigliosa per il Palazzo dei Musei di Reggio Emilia (2022). Promotore e fondatore di numerose iniziative fotografiche, nel 1979 ha curato la Conferenza Catalana di Fotografia e nel 1982 ha co-fondato la Primavera fotografica di Barcellona. Nel 1996 è stato direttore artistico del festival Les Rencontres de la Photographie d’Arles e nel 2015 curatore del Mois de la Photo a Montreal. 

Molti i riconoscimenti tra cui: Medaglia David Octavious Hill dalla Fotografisches Akademie GDL in Germania, 1988; Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres in Francia, 1994; premio UK Year of Photography and Electronic Image Grant Award dall’Arts Council of Great Britain, 1997; Premio Nazionale della Cultura della Generalitat de Catalunya nel 2011, Premio Hasselblad nel 2013; Dottorato Honoris Causa alla Sorbonne Université nel 2022.

Da oltre 30 anni attiva nel mondo della promozione culturale, soprattutto in ambito fotografico, è oggi coordinatrice dell’Area Fotografia e curatrice dei progetti di fotografia contemporanea dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la documentazione a Roma. È stata responsabile per la fotografia al MAXXI, avviando la costituzione delle collezioni e curando la programmazione del museo sulla fotografia. Dal 1989 ha curato e/o organizzato mostre presso istituzioni come il MAXXI, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, la Biennale di Venezia, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro a Venezia, il Festival di Spoleto, il CIVA di Bruxelles, l’Istituto italiano di Cultura di Parigi, l’Accademia di Francia a Roma-Villa Medici, l’Istituto Moreira Salles di Sao Paulo e Rio de Janeiro, il Centro Culturale Recoleta di Buenos Aires, il Centro RossPhoto a San Pietroburgo, il MMAM di Mosca, l’IIC di Los Angeles. Ha curato numerose pubblicazioni e ha fatto parte di giurie e comitati tra cui Photo London; Prix Carmignac a Parigi; Prix Pictet, London; Visible White Photo Prize; Premio Fondazione Fotografia, Modena; Premio Internazionale Gabriele Basilico, Milano. È invitata come lettrice di portfolio in festival come Les Rencontres de la Photographie d’Arles o il SiFEST a Savignano. Insegna a Fondazione Modena Arti Visive ed è membro del Consiglio Direttivo della SISF_Società Italiana per lo Studio della Fotografia.


INFORMAZIONI MOSTRA
 
Titolo: Joan Fontcuberta. Cultura di polvere
A cura di Francesca Fabiani
Date: 24 gennaio – 10 marzo 2024
Anteprima stampa: martedì 23 gennaio 2024, ore 10.00-14.00
Opening su invito: 23 gennaio 2024 dalle 15.00 alle 22.00 (ultimo ingresso ore 21.00)
Sede espositiva: Museo Fortuny, S. Marco 3958, Venezia
Orari: 10.00 – 18.00 (chiuso martedì)
 
UFFICIO STAMPA
Fondazione Musei Civici di Venezia
press@fmcvenezia.it
www.visitmuve.it/it/ufficio-stampa
 
ICCD_Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione – ICCD
Roberta Cristallo
ic-cd.ufficiostampa@cultura.gov.it
 
Con il supporto di
Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
Referente Roberta Barbaro: roberta@studioesseci.net

Carpi, Musei di Palazzo dei Pio: Il rumore della memoria. Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato

CARPI (MO)
27 GENNAIO – 1° MAGGIO 2024

MUSEO MONUMENTO AL DEPORTATO POLITICO E RAZZIALE

INAUGURA LA STAGIONE ESPOSITIVA 2024
DEI MUSEI DI PALAZZO DEI PIO

A cura di Ada Patrizia Fiorillo e Lorenza Roversi

Sabato 27 gennaio 2024, proprio nel Giorno della Memoria che commemora le vittime dell’Olocausto, al Museo Monumento al deportato politico e razziale, al primo piano di Palazzo dei Pio, a Carpi (MO) s’inaugura una mostra che presenta una serie di autori, da Picasso a Carrà, da Manzù a Vedova, da Guttuso a Cagli che, con i loro lavori hanno scelto di risvegliare le coscienze umane di fronte alla sconsiderata follia dei campi di sterminio.

Si tratta di una iniziativa che vuole portare ancora una volta all’attenzione collettiva la tragica storia della segregazione razziale in Italia, di cui Carpi è stata testimone. A pochi chilometri dal centro cittadino infatti, in località Fossoli, sorgeva il campo di concentramento per ebrei, voluto dalla Repubblica Sociale Italiana, successivamente trasformato in campo poliziesco e di transito, utilizzato dalle SS come anticamera dei lager nazisti.

L’esposizione, dal titolo Il rumore della memoria. Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato, curata da Ada Patrizia Fiorillo e Lorenza Roversi, allestita fino al 1° maggio 2024, si apre con i bozzetti originali di artisti quali Renato Guttuso e Corrado Cagli che, attraverso segni e graffiti sulle pareti, hanno prestato la propria opera nella costituzione del Museo del Deportato, concepito negli anni Sessanta su progetto dello studio di architetti milanesi BBPR su iniziativa dell’Amministrazione comunale.

A questi si aggiungono le opere di Pablo Picasso e di altri pittori e scultori quali Mirko Basaldella, Giacomo Manzù, Emilio Vedova che, durante il secondo conflitto mondiale o negli anni successivi alla sua fine, hanno sentito forte il richiamo dell’‘esserci’ come scelta civile, convinti che l’arte quale espressione di un linguaggio universale potesse e dovesse intervenire a sollecitare i “sensi capaci dell’uomo”.

Una seconda sezione della mostra sarà dedicata ai disegni di Aldo Carpi, di proprietà dei Musei di Carpi, realizzati in gran parte durante la sua prigionia a Mauthausen e Gusen.

In questo importantissimo corpus grafico di 150 pezzi, Aldo Carpi descrive una lenta e implacabile discesa nell’inferno, dal quale riesce a sopravvivere grazie al suo talento artistico, presto riconosciuto dalle alte gerarchie naziste. Dipinge molti quadri per i tedeschi, principalmente paesaggi e ritratti, a cui alterna le immagini di un quotidiano devastante, documentando la vita del lager per lo più a matita su fogli di spartito o su quelli recuperati nell’infermeria: i compagni, l’indicibile sofferenza del muselmann, il prigioniero già in fase di pre-agonia, qualche esterno e anche ‘lampi’ di normalità e speranza.


IL RUMORE DELLA MEMORIA.
Arte e impegno civile per i 50 anni del Museo al Deportato
Carpi (MO), Museo Monumento al Deportato politico e razziale – Palazzo dei Pio
27 gennaio – 1°maggio 2024
 
MUSEI DI PALAZZO DEI PIO
Carpi (MO), piazza dei Martiri, 68
Info: tel. 059/649955 – 360
Palazzodeipio.it/imusei
 
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Mamiano di Traversetolo (Parma): Alla Magnani-Rocca tutto Bruno Munari

Fondazione Magnani-Rocca
Mamiano di Traversetolo – Parma

16 marzo – 30 giugno 2024

Alla Fondazione Magnani-Rocca la più grande mostra italiana su una delle più iconiche figure del design e della comunicazione visiva del XX secolo – BRUNO MUNARI – realizzata dopo le memorabili esposizioni della Rotonda della Besana (2007) a Milano, e dell’Ara Pacis (2008) a Roma.
Nella celebre Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo presso Parma, a pochi passi dalle sale che ospitano opere capitali di Tiziano, Dürer, Van Dyck, Goya, Canova, Renoir, Monet, Cézanne, de Chirico, Morandi, Burri e molti altri, dal 16 marzo al 30 giugno 2024 viene così celebrato uno dei più grandi geni creativi del Novecento, l’ ‘inventore’ Bruno Munari (Milano 1907-1998), definito da Pierre Restany il Leonardo e il Peter Pan del design italiano.

Nella mostra sono concentrati settant’anni di idee e di lavori – Munari aveva iniziato la propria attività durante il cosiddetto Secondo Futurismo, attorno al 1927 – in tutti campi della creatività, dall’arte al design, dalla grafica alla pedagogia: proprio per la difficoltà di dirimere chiaramente i territori linguistici da lui affrontati nel corso del tempo, la rassegna non sarà suddivisa per tipologie o per cronologia, ma per attitudini e concetti, in modo da poter mostrare i collegamenti e le relazioni progettuali tra oggetti anche apparentemente molto diversi l’uno dall’altro.

Grafica, oggetti, opere d’arte, TUTTO risponde a un metodo progettuale che si va precisando con gli anni, con i grandi corsi nelle università americane e con il progetto più ambizioso, che è quello dei laboratori per stimolare la creatività infantile, che dal 1977 sono tuttora all’avanguardia nella didattica dell’età prescolare e della prima età scolare.

Il lavoro di Munari negli ultimi anni è stato oggetto di una rinnovata attenzione, finalmente anche in campo internazionale, dopo i riconoscimenti ottenuti in vita, soprattutto in Paesi quali il Giappone, gli Stati Uniti, la Francia, la Svizzera e la Germania, oltre naturalmente all’Italia.

“Munari – spiega Marco Meneguzzo insigne studioso munariano e curatore della mostra – è una figura molto attuale nella società liquida odierna, nella quale non ci sono limiti fra territori espressivi. È un esempio di flessibilità, di capacità di adattamento dell’uomo all’ambiente. Il suo metodo consiste nello scoprire il limite delle cose che ci circondano e di volerlo ogni volta superare”.

Un ricco catalogo con un saggio del curatore Meneguzzo (insieme a Stefano Roffi, direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca), con inediti contributi critici centrati su singoli “casi-studio” dei più importanti studiosi di Munari, oltre alla pubblicazione di tutte le circa 250 opere esposte, verrà edito da Dario Cimorelli Editore.


BRUNO MUNARI. TUTTO
Fondazione Magnani-Rocca, via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma).

Dal 16 marzo al 30 giugno 2024. Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperto anche 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno. Lunedì chiuso, aperto Lunedì di Pasqua.

Ingresso: € 14 valido anche per le Raccolte permanenti e il Parco romantico – € 12 per gruppi di almeno quindici persone – € 5 per le scuole e sotto i quattordici anni. Il biglietto comprende anche la visita libera agli Armadi segreti della Villa. Per meno di quindici persone non occorre prenotare, i biglietti si acquistano all’arrivo alla Fondazione.
Informazioni e prenotazioni gruppi: tel. 0521 848327 / 848148   info@magnanirocca.it   www.magnanirocca.it   

Il sabato ore 16.30 e la domenica e festivi ore 11.30, 16, 17, visita alla mostra ‘Munari’ con guida specializzata; è possibile prenotare a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 19 (ingresso e guida).

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Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
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Referente Simone Raddi: simone@studioesseci.net