Quali criteri scientifici hanno indirizzato il Governo nella gestione dell’epidemia di Covid-19?

di Paolo Ferrara

Leggendo il dossier dei Tecnici, si comprende come le decisioni politiche siano dettate dall’elaborazione di una larghissima messe di dati raccolti in periferia dalle Regioni e inviati al Ministero della Salute o al ISS per averne validazione e interpretazione. Dalle pagine del Comitato Tecnico Scientifico traspare chiaramente che, al contrario delle balbettanti comunicazioni in merito del Governo, un metodo e una strategia sono invece presenti.

Dott. Paolo Ferrara

Il passaggio dalla Fase1 alla Fase 2 della pandemia ha scatenato nella popolazione italiana una diffusa sensazione di ansia. Il sogno di una “liberazione” dopo il lunghissimo periodo di lockdown si è infranto contro la realtà di un rischio che non è per niente cessato, mentre al contempo cresce sempre di più la coscienza del disastro economico che progressivamente ci sta franando addosso. Le modalità di comunicazione attuate dal Governo e dal Presidente del Consiglio poi, abbastanza confuse, generiche e piene di accenni ai soli rischi senza però indicare una chiara crono-strategia di uscita, non hanno fatto altro se non aumentare lo stato di ansia e di sgomento.

Leggendo però con attenzione il Dpcm si capisce invece che il Comitato Tecnico Scientifico, che ha studiato e proposto quelle decisioni (poi cosi mal esposte dal Presidente Conte) ha in effetti indicato un preciso percorso capace di garantire una ripresa delle attività produttive entro margini di relativa sicurezza.

La strategia identificata dal Comitato, punta precisamente a due obiettivi: in primis i cittadini ai quali richiede, con un atto di fiducia, un senso di responsabilità di tutti, poiché è obbligo di ogni cittadino contribuire alla non diffusione dell’epidemia, e successivamente responsabilizza le Regioni alle quali viene dato obbligo di “monitorare con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori  e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle Regioni al ministero della Salute, all’Istituto Superiore di Sanità e al Comitato Tecnico Scientifico. Nei casi in cui dal monitoraggio emerga un aggravamento del rischio sanitario, il Presidente della Regione propone tempestivamente al Ministero della Salute le misure restrittive necessarie e urgenti per le attività produttive “.

Si capisce così come siano state istituite per la gestione dell’epidemia e delle sue ricadute sulla vita del Paese due grandi strutture funzionali in strettissimo coordinamento e interazione.  Una Struttura Centrale, costituita dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, con funzione di “Hub”, che sintetizza ed elabora tutti dati raccolti, trasformandoli in indirizzi e proposte operative, e le Regioni, che fungono tutte da “Spot” periferici, cui è devoluto il compito di monitorare in continuo sia l’andamento dell’epidemia nei loro territori, che la “tenuta” dei sistemi sanitari locali.

Il controllo sulle Regioni per stabilire se siano più o meno in linea con la possibilità di una riapertura progressiva e graduale, si fonda essenzialmente sull’elaborazione quotidiana di 5 specifici fattori:

  1. Stabilità di trasmissione del virus
    Basata sull’Indice di trasmissione del virus (Ro) che fornisce una informazione sintetica su quanti casi secondari vengono generati, per trasmissione interpersonale, da un caso primario. Una epidemia si instaura quando per ogni caso primario si generano più casi secondari che, a loro volta genereranno altri casi. Al contrario, se ogni singolo caso non ne contagia più nessun altro, la circolazione dell’infezione si andrà progressivamente estinguendo.  All’inizio dell’epidemia l’Ro in Lombardia era 2.6 e 4.0 (cioè ogni ammalato ne contagiava circa altri 3-4!) ma, nel corso dell’epidemia, tale indice tende a modificarsi sia per l’efficacia delle terapie e sia per l’efficacia dei provvedimenti di distanziamento sociale e di lockdown.  Attualmente il Fattore Re (Fattore riproduttivo virale effettivo) è circa 0.7.  Per poter riprendere una normale circolazione delle persone su tutto il territorio nazionale e avere una quasi completa riapertura di tutte le attività produttive, serve un Fattore Re stabilmente sotto 1.0 (preferibilmente tra 0.2 e 0.4).
  1. Condizione di saturazione dei servizi sanitari
    La soglia massima accettabile di occupazione di posti letto da parte di pazienti Covid19, è stata stabilita nel 30% per le Terapie Intensive, e del 40% per i posti letto totali di Area Medica. Se una Regione dovesse mostrare, all’interno del proprio sistema sanitario locale, il superamento di uno o di entrambi questi valori soglia, allora automaticamente scatterà lo stop del programma di apertura graduale, con un ritorno ai livelli di guardia precedenti.
  1. Attività di readness
    Testa la capacità di riconoscimento ed intervento in caso di rischio mediante il controllo della capacità e della tempestività di reazione.
  1. Abilità di testare tempestivamente tutti i casi sospetti
    Misura essenzialmente la percentuale di tamponi effettuati, nonché la possibilità di aumentare rapidamente tale percentuale, in caso di aumentato bisogno
  1. Capacità di monitoraggio
    Misura la capacità di rilevare tutti i casi sintomatici insieme a tutte le informazioni riguardanti la loro storia clinica: “inizio dei sintomi; storia del ricovero in ospedale; ricovero in terapia intensiva; numero dei casi divisi per Comune di residenza”.

La Regione che non riesce a raggiungere questi requisiti base, torna alla Fase 1, con impossibilità di aprire strutture turistiche o di accettare l’arrivo di non residenti e con l’imposizione di chiusure focali o generali a seconda che presenti dei focolai infettivi localizzati o dipendenti da una circolazione virale generalizzata.

Inoltre, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità, per affinare le proprie capacità di analisi e giudizio dei dati, ha previsto anche l’uso di alcuni algoritmi. Il primo, rivolto all’analisi della probabilità di crescita dei casi positivi si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati nella Regione nuovi casi negli ultimi 5 giorni?
  • C’è evidenza di un aumento di trasmissione virale? (trend di casi in aumento; Re>1; aumento del n° di focolai)
  • C’è evidenza di una trasmissione diffusa, non gestibile con misure locali, cioè “zone rosse”?

Il secondo, rivolto a misurare l’impatto del virus pure si basa su tre domande:

  • Sono stati segnalati negli ultimi 5 giorni, casi di età superiore a 50 anni?
  • C’è sovraccarico dei servizi sanitari?
  • Sono stati segnalati negli ultimi 7 giorni nuovi focolai nelle RSA, Case di Riposo o altre residenze di soggetti fragili?

Se in entrambi gli algoritmi le risposte sono tutte o in maggioranza affermative, allora la probabilità di rischio risulta alta e richiede interventi di chiusura selettiva, mentre di fronte a risposte con profilo di rischio basso o medio si deve solo continuare lo stretto monitoraggio.

È perciò evidente che la risposta dei Tecnici, dopo un primo momento di colpevole sbandamento dovuto ad una generale impreparazione, è stata ampia e incisiva. Gli scienziati hanno dato le migliori evidenze alla politica, che ha preso le sue decisioni e così in due mesi è stato quasi completamente recuperato il gap iniziale sia da un punto di vista organizzativo-gestionale che per quanto riguarda la necessità produttiva dei dispositivi di protezione individuale che, in modo improvvido era stata, in precedenza, tutta completamente delocalizzata. La coscienza che ci siano dei sistemi di monitoraggio e controllo a supporto delle decisioni prese, certamente può aumentare il nostro senso di fiducia, facendoci comprendere come non sia possibile stabilire “a priori” un preciso crono-programma delle progressive aperture, poiché queste decisioni possono unicamente derivare dalla elaborazione dell’enorme messe di dati che le Regioni devono raccogliere sui loro territori.  

In questo momento così complesso, dobbiamo però comprendere che la maggiore quota di responsabilità è proprio quella che ricade su noi stessi!!

Siamo noi cittadini che, riprendendo progressivamente le nostre attività, siamo coinvolti in un numero estremamente maggiore di contatti sociali, per cui dobbiamo in modo cosciente e rigoroso, osservare tutte le norme del distanziamento e della protezione personale.

 Mai come ora il paradigma “aiutando noi stessi, aiutiamo anche gli altri ascoltato all’inizio del lockdown risulta essere attuale. Camminando per strada con la nostra mascherina ben indossata e il giusto distanziamento di almeno un metro dagli altri passanti, non dobbiamo sentire gli altri come i nuovi “nemici” contro cui combattere, o gli “untori” da cui guardarsi, ma come persone che come noi che (considerando che il Covid-19 può anche essere completamente asintomatico )  si stanno proteggendo, e al contempo proteggono anche noi, in una identica lotta contro quello che è il nostro comune nemico. Per “attrezzarci” a convivere con il virus, dobbiamo avviare un cambiamento culturale, consapevoli che ognuno di noi può contribuire a rallentare il contagio, e contemporaneamente contribuisce anche a proteggere le fasce di popolazione più a rischio. Serve una “mappa mentale” per riorganizzare la nostra vita intorno alle nuove priorità che il Coronavirus ci impone. Dobbiamo rifare i nostri percorsi, muovendoci molto di meno ma molto più intelligentemente. Non potremo più stringerci le mani… ma dovremo lavarle molto frequentemente!  L’applicazione rigorosa delle stesse regole di protezione, da parte di tutti, è la comune strategia della lotta contro il virus!  Dobbiamo avere la coscienza che facendo con attenzione un atto di “protezione individuale”, contemporaneamente attuiamo anche una strategia di “protezione collettiva”!

 Speriamo che la coscienza di ciò possa anche spingerci ad aumentare il nostro senso di solidarietà, in questa grande, comune tragedia che è al contempo sanitaria, economica ed umana.

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Yom HaAzmaut: un compleanno molto speciale

di Daniele Coppin

Yom Ha’Azmaut è la festa dell’indipendenza israeliana . Celebra il giorno della proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948), che generalmente cade il 5 di Iyar, ottavo mese del calendario ebraico. A causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut quest’anno si è festeggiato il 29 Aprile.

La settimana che va a concludersi si è celebrato un compleanno molto speciale, Yom HaAzmaut, il giorno dell’Indipendenza di Israele. Lo Stato d’Israele fu proclamato il pomeriggio del 14 Maggio 1948, corrispondente al 5 di Yiar del calendario ebraico, in seguito alla Risoluzione 181 dell’ONU del 29 Novembre 1947 che sanciva la divisione dei territori del Mandato britannico sulla Palestina in due entità nazionali, una araba e l’altra ebraica. Come è noto, gli Ebrei accettarono quella spartizione, pur se assegnava loro una porzione estremamente modesta del territorio che, in base agli accordi della Conferenza di Sanremo del 1920 per il destino dei territori appartenuti alle potenze sconfitte nella I Guerra Mondiale, avrebbe dovuto essere sede del “focolare ebraico”. Infatti, dal 1920 fino al 1947, una serie di decisioni prese soprattutto dalla Gran Bretagna, aveva visto via via ridursi il territorio destinato ad uno Stato ebraico fino al 20 % dell’estensione originariamente prevista.

Ma il popolo ebraico, reduce dalla tragedia dello sterminio nazista, accettò quel residuo territoriale come un naufrago si aggrappa ad un relitto, ma con fede e coraggio incrollabili, sperando in un futuro migliore e con la consapevolezza che vivere nel proprio Stato, per quanto piccolo potesse essere, sarebbe stato sempre preferibile che vivere altrove, spesso considerati come ospiti o, comunque, come cittadini si serie B e, di conseguenza, soggetti a ondate di antisemitismo se non di vere e proprie persecuzioni.

Lo Stato di Israele nacque come un sogno, un sogno di fede, quella fede incrollabile che da duemila anni, a Pesach, fa ripetere ad ogni Ebreo, che sia religioso oppure laico, la frase “L’Shanà HaBahà B’Yerushalaim” (l’anno prossimo a Gerusalemme). Il pomeriggio di un giorno di maggio di 72 anni fa quel sogno diventava realtà e quest’anno, a causa delle differenze tra il calendario ebraico e quello gregoriano, Yom HaAzmaut è caduto il 29 Aprile.

La ricorrenza è stata celebrata come sempre con gioia, in Israele e nelle comunità ebraiche di tutto il mondo, pur nelle limitazioni imposte dalla pandemia del Sars-Cov2. In Italia, tanto l’Ambasciata di Israele quanto le comunità ebraiche hanno organizzato eventi “virtuali” per festeggiare i 72 anni di Israele. Per l’occasione, l’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, ha diffuso un messaggio video in Italiano nel quale, ricordando come l’impegno degli Ebrei nei secoli per il Tikkun Olam, la riparazione del mondo, non abbia rinviato la riparazione di una nazione dispersa e divisa tra i vari Stati del mondo, ha citato la profezia di Ezechiele sulla valle delle ossa secche raffiguranti il popolo ebraico che sarebbe stato ricondotto dal Signore alla terra di Israele e di come la potenza della speranza presente in quella profezia, nel XIX secolo abbia ispirato il poeta Nafatli Herz Imber nella composizione delle parole di HaTikvà, l’inno dello Stato di Israele. Le parole profonde dell’Ambasciatore Eydar riportano al valore miracoloso della nascita di Israele, lo Stato di una nazione vissuta per duemila anni in esilio prima di riuscire a ritornare alla propria terra e creare un proprio Stato.

Come affermò David Ben Gurion, primo premier di Israele, nel discorso con il quale veniva proclamata la nascita dello Stato degli Ebrei, “in Eretz Israel è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri”.

Israele, nel corso di questi 72 anni di vita, si è trasformato in un Paese moderno ed è potenza regionale che crea sviluppo, promuove la ricerca scientifica e tecnologica, sostiene la trasformazione delle idee in attività concrete grazie all’elevato numero di start-up. Grazie anche a questo suo spirito di iniziativa questo piccolo Stato, quanto l’Emilia-Romagna, è riuscito a superare molte di quelle barriere che, in passato, le sono state poste davanti da altri Stati della regione, avviando anche collaborazioni un tempo impensabili e che si spera possano rappresentare la premessa ad un nuovo clima di convivenza e pace nella regione.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Ri Butov da Pixabay

Coronavirus Fase 2: il Decreto che sembra scontentare tutti

di Paolo Ferrara

Il Decreto che in molti aspettavano come una “liberazione”, ha in effetti deluso TUTTI. Lo stesso Giuseppe Conte con il suo discorso televisivo lungo e confuso di domenica sera non ha aiutato a migliorare la situazione, non riuscendo neanche a far capire su quali criteri logico-scientifici fossero basate le scelte che disordinatamente andava raccontando, anche se, proprio per elaborare quelle decisioni, si era avvalso di un “Comitato Scientifico di Esperti” di ben 240 membri!

Paolo Ferrara

In effetti i criteri scientifici in base ai quali il Comitato Tecnico-Scientifico ha suggerito le scelte operative, sono essenzialmente 3:

  1. Il Fattore R0 che indica la capacità infettante del virus sia in base alle sue intrinseche doti di invasività, che in base al numero di persone con cui esso viene in contatto. È ovvio quindi che, in corso di una pandemia, più persone vengono contemporaneamente in contatto tra loro, maggiore sarà il rischio di contagio, con conseguente crescita del Fattore R0. Infatti per i tecnici, l’attuale R0 italiano medio di 0.5, con le sole aperture dei cantieri edili e della fabbriche stabilite per il 4 maggio, potrebbe già aumentare a 0.63. Per questo, per poter mantenere l’R0 il più basso e stabile possibile, le riaperture dovrebbero essere graduali, differenziate per aree, e progressive, e, nel caso si dovessero ripresentare delle nuove impennate dell’R0, oltre il “limite soglia” di 1, immediatamente si dovrebbe ritornare a dei lockdown selettivi. Basti pensare che in Germania che ha allentato il lockdown un po’ prima di noi, l’R0 è già passato da 0.7 a 1.0!
  2. Il criterio analogicico in base al quale si può programmare la riapertura di attività anche molto differenti tra loro, ma che, per analogia, hanno in comune il parametro dell’entità dell’assembramento di persone che possono determinare. Per questa ragione possiamo trovare accomunate in un identico destino attività che non hanno alcun significato o funzione in comune tranne che il fatto di poter “mobilizzare” simili quantità di persone, come per es. i cinematografi e le chiese!
  3. Il grado di necessità di riapertura, che viene applicato ad aziende che sono parte integrata di particolari filiere produttive, di interesse collettivo.

Conte per rendere comprensibile l’apparente totale incomprensibilità di alcune scelte, avrebbe dovuto semplicemente spiegare questi tre punti.  Lui però ha preferito la strada di un discorso nebuloso, pieno di retorica e ripetizioni, con l’effetto finale di aggiungere ansia all’ansia e lasciare una miriade di scontenti.

Sono scontente le famiglie dove frequentemente entrambi i coniugi da lunedì 4 maggio dovranno riprendere il lavoro non sapendo a chi affidare i figli che, visto che non possono più affidarli ai nonni, rischieranno di rimanere soli a casa! Questo è forse il problema sociale di maggior impatto pratico che si sarebbe potuto facilmente “tamponare” con dei turni di lavoro sfalsati tra i due genitori, o, nell’impossibilità di realizzare ciò, con il congedo parenterale per uno dei due.

 Sono scontenti tutti gli operatori delle filiere della ristorazione che non apriranno ancora per parecchio tempo con il concreto rischio di non poter riaprire più, anche quelli che avevano già riorganizzato i loro locali per permettere un corretto distanziamento tra gli avventori. Sono scontenti tutti gli Operatori del Commercio che avrebbero voluto riprendere le loro attività, specie quelli che, con esercizi di dimensioni più grandi, erano riusciti a creare dei percorsi per i loro clienti confacenti con le regole del distanziamento. Ma sarebbe stato corretto fare aprire soltanto gli esercizi più grandi, condannando alla chiusura definitiva quelli più piccoli? E se invece si fosse fatta una apertura totale ed indifferenziata, come da qualcuno invocato in base ad un criterio di “giustizia sociale”, ma questa poi avesse condizionato una forte ripresa della circolazione virale, quale ulteriore rimedio si sarebbe dovuto prendere?

Sono scontenti i Vescovi della CEI che, nonostante Papa Francesco nel corso della Messa mattutina a S. Marta  avesse detto “ Prudenza e obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni ” hanno invece scelto, forse “contagiati” non dal virus ma dallo stile e dai modi dell’attuale mondo politico italiano, la strada dell’urlo e dello sbattimento dei pugni sul tavolo, arrivando addirittura  a minacciare l’annullamento del Concordato qualora le Chiese non fossero state subito riaperte al culto, accusando il Governo italiano di “impedire la libertà di Culto” e di entrare arbitrariamente in questioni non pertinenti alla sua giurisdizione, quasi che le Chiese avessero lo status di luoghi extra-territoriali! Probabilmente questa differenza tra le parole del Pontefice e quelle dei Vescovi dipende dal fatto che il Papa ha un ruolo mondiale, mentre la Conferenza Episcopale Italiana ha un ruolo nazionale, ma purtroppo, in questo modo, i Vescovi italiani, difronte all’immane tragedia di quasi 30000 morti in due mesi, hanno perso una occasione d’oro di dimostrare con un atteggiamento più equilibrato e rassicurante come le vie dello Spirito possono avere una loro forza autonoma immensamente più grande di quelle del piccolo potere delle caste e della politica spicciola! Purtroppo sembra che i Vescovi italiani, abbiano momentaneamente “dismesso” la loro vocazione di Pastori e di Educatori per prendere anche loro le vesti di “guerrieri”, in questa confusa guerra del tutti contro tutti, acuendo in tal modo le ansie e le sofferenze delle persone.

Sta così rapidamente montando nel nostro Paese un clima molto negativo, caratterizzato da polemiche tra il Nord e il Sud, continui scontri di basso sciacallaggio politico tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione, ma anche lotte e divisioni all’interno delle stesse forze di maggioranza e di opposizione, lì dove la condizione di emergenza esigerebbe invece una profonda unità nazionale.

La sensazione complessiva è di sconcerto. L’ansia e l’angoscia della popolazione, estremamente provata da due mesi di lockdown, ora, di fronte allo spettro di anche un collasso economico senza precedenti pur senza aver ancora debellato la pandemia, si sta trasformando in una rabbia sorda, in uno scontento generalizzato. Nella fase dell’emergenza sia il Governo che le Regioni hanno già fatto molti, gravi errori, ma ora, passando alla fase della programmazione di come dovremo per lungo tempo convivere con il virus pur cercando di riattivare almeno una parte delle nostre attività produttive, bisogna sicuramente cambiare metodi e strategie. Servono sia chiarezza sulle norme e sui comportamenti che dobbiamo seguire, che un monitoraggio continuo della mappa dei contagi, pronti a rapide chiusure selettive in caso di risalite dell’R0. Serve quindi una leadership politica con una maggiore capacità di autonomia propositiva e di sintesi, nell’ambito di una ritrovata coesione parlamentare, ma, sulla base delle “inedite” esternazioni degli ultimi giorni, serve anche una leadership spirituale che, forse un po’ meno concentrata sulla sola enfatizzazione della frequentazione liturgica, riprenda con forza la sua vocazione pastorale focalizzandola sulle fragilità, che purtroppo mostrano un costante e continuo aumento.

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L’emergenza Covid19 rafforza solo i poteri esecutivi

di Paolo Pantani

Questa pandemia ci ha colpito a livello sociale, andando oltre alle cifre attinenti ai contagiati, ai morti e ai guariti, e quindi strettamente al settore sanitario, infatti la precarietà ci circonda.
Gli anziani e i malati si sentono sempre più soli e il Covid-19 sembra aver livellato le differenze sociali tra i vari ceti.
Questo virus colpisce tutti, non chiede l’estrazione sociale, né il conto in banca, né l’età.
Sono settimane difficili per tutti.  Inoltre, l’emergenza rafforza tutti i poteri dell’Esecutivo, mentre pone un evidente blocco a tutto il dibattito politico fra le diverse componenti della società. Non possiamo spostarci, non possiamo riunirci, non possiamo interloquire direttamente, solo mediaticamente, ma solo fra chi ne possiede gli strumenti tecnologici e le competenze.  Siamo in un gigantesco “digital divide”, un enorme divario fra chi è “info-ricco” e chi è ” info-povero”.  Infatti, grazie ai poteri della rete avanzati, sono riuscito ad intervistare il dottore Paolo Antonio Ascierto, medico dell’Istituto Pascale, senza muovermi di casa, utilizzando gli strumenti telematici e l’aiuto di persone esperte amiche, ma a quanti giornalisti sarebbe stato possibile?
Le complicazioni burocratiche denotano carenze nell’ambito della pubblica amministrazione, aumentano le persone che si rivolgono al nostro Difensore Civico Campano, il quale diventa sempre di più, giorno dopo giorno, un riferimento essenziale per i cittadini campani. Molte attività commerciali e produttive sono state costrette alla chiusura e la limitazione alla circolazione mette i cittadini a dura prova. Cosa succederà se le strutture sanitarie diventeranno sature se aumenta questa pandemia? I cittadini sentono la necessità di sentirsi più tutelati in questo clima di paura e di sconforto. Intanto sempre più persone fanno ricorso al Difensore Civico Campano per lamentarsi di inefficienze e mancanze della pubblica amministrazione.

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Pasqua? L’immensa processione di persone positive al Coronavirus

Una Pasqua particolare e terribile, quella di quest’anno. Per questo motivo lasciamo la parola a un religioso, che ha scritto un testo doloroso e quanto mai veritiero. Gira sui Social e ve lo proponiamo tradotto dal catalano, quale testimonianza dei nostri giorni, che mai avremmo immaginato.

di Don Miguel Àngel Ferres
Chiesa di Sant Joan Baptista de Tarragona (Spagna). 

«Chi dice che non ci sarà Settimana Santa quest’anno, né Pasqua?… Non avete visto l’immensa Processione di persone risultate positive al Coronavirus? Non vedete la Via Crucis del personale sanitario che risale il Calvario della pandemia, sopraffatto e con l’angoscia nel cuore per la paura di non riuscire a resistere? Non avete visto i medici con il camice bianco portare la croce dolorosa delle persone contaminate? Non vedete tanti scienziati sudare acqua e sangue, come al Getsemani, per trovare un trattamento o un vaccino? Per favore, non dite che Gesù non passa nelle strade quest’anno…mentre tanta gente deve lavorare per portare cibo e medicine a tutti noi. Non avete visto il numero di Cirenei offrirsi in un modo o nell’altro per portare le pesanti croci? Non vedete quante Veroniche, sono esposte all’infezione per asciugare il volto di persone contaminate? Chi può non vedere Gesù cadere a terra, ogni volta che sentiamo il freddo conteggio delle vittime? Non vivono forse la Passione le case di riposo piene di persone anziane e il personale con il fattore di rischio più elevato? Non è come una corona di spine per i bambini obbligati a vivere questa crisi rinchiusi, senza capire troppo bene… senza poter correre nei parchi e nelle strade? Non si sentono ingiustamente condannate, le scuole, le università, e tanti negozi obbligati a chiudere? Tutti i paesi del mondo non sono colpiti, frustati, dal flagello di questo virus! E non manca in questa via di dolore Ponzio Pilato che si lava le mani… chi cerca semplicemente di trarre un vantaggio politico o economico dalla situazione, senza tenere conto delle persone? Non soffrono, impotenti come i discepoli senza il Maestro, altrettante famiglie e persone sole confinate in casa, molte con problemi, non sapendo come e quando tutto finirà? Il volto doloroso di Maria non si rispecchia forse, in quello di tante madri che soffrono per la morte, silenziosa e a distanza, di una persona cara? Non è come strappare le vesti. l’angoscia di tante famiglie e di piccole imprese che vedono le loro economie svanire? L’agonia di Gesù in croce non ci fa pensare alla mancanza di respiratori nelle unità di terapia intensiva?  Per Favore… non dite: Niente Settimana Santa…niente Pasqua quest’anno non ditelo! perché il DRAMMA DELLA PASSIONE non è certo quasi mai stato così reale e autentico e la nostra stessa vita non è mai stata così in attesa e piena di speranza nella Risurrezione!».

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di NickyPe da Pixabay

Ma che sta succedendo…o che è successo in Lombardia?

Dott. Paolo Ferrara

Questa che pubblichiamo è la sintesi dettagliata e documentata della conversazione tra Paolo Pantani, che da Napoli collabora con Experiences, e il dott. Paolo Ferrara. Insieme hanno analizzato quello che tutti noi stiamo dolorosamente vivendo.

di Paolo Ferrara

Stiamo tutti vivendo, in tutto il mondo, un momento difficilissimo, che vede i governi coinvolti in complesse scelte decisionali articolate su due livelli di strategia temporale. Un primo livello di vera e propria resistenza alla fase acuta della pandemia, ancora drammaticamente in corso, ed un secondo livello, terminata la fase acuta, volto sia a prevenire la re-insorgenza di altri focolai, che a permettere una graduale ripresa della produzione economica, attualmente completamente bloccata. Valutando però, attraverso l’analisi dei dati che il Ministero della Salute ci sta quotidianamente fornendo, le risposte del Sistema Italia alla drammatica condizione che stiamo vivendo, risaltano immediatamente degli “esiti” molto preoccupanti perché non solo sono molto peggiori di altre nazioni a noi paragonabili quali la Germania, la Spagna o gli Stati Uniti, ma specialmente perché sono purtroppo evidenti anche delle macroscopiche differenze tra le varie regioni italiane, con i peggiori risultati coinvolgenti proprio la regione Lombardia, da sempre ritenuta “il fiore all’occhiello” della nostra Sanità nazionale. Affrontando innanzitutto i dati che sono più strettamente omogenei e comparabili fra di loro, incomincio con l’analisi di quali potrebbero essere le ragioni delle differenze rilevate tra le varie regioni italiane, che pur dovrebbero rappresentare un campione omogeneo sia per composizione che per esiti, partendo dall’analisi dei dati fornitici oggi (5 aprile 2020) dal Ministero della Salute.

 Vi sono solo 3 regioni che presentano una mortalità “a due cifre” la Lombardia (17.64%) le Marche (12.45%) e l’Emilia-Romagna (12%) mentre tutte le altre regioni, almeno quelle che hanno più di 2000 casi, presentano una mortalità compresa tra 5.5% della Toscana e 9.44% del Piemonte.

Certamente la valutazione della mortalità considerata unicamente come rapporto percentuale tra il numero totale degli ammalati riconosciuti, e il numero dei decessi, senza l’uso di altre variabili di definizione, è abbastanza grossolano, ma, applicando questo medesimo criterio per tutte le regioni, si ottiene in effetti la possibilità di un confronto omogeneo. Inoltre, parlando di mortalità da Corona virus nella Regione Lombardia, non possiamo non ascoltare le tante voci che accusano una mortalità “sommersa” praticamente doppia rispetto a quella dichiarata dal Ministero della Salute, dovuta ai numerosissimi decessi consumatesi tra le mura domestiche che, seppur non suffragati dall’esecuzione di tamponi, mostravano tutte le caratteristiche sintomatologiche del Corona virus. Sono le voci dei Sindaci, dei Medici di Medicina Generale delle provincie di Bergamo e di Brescia, le testimonianze di tantissimi cittadini, insieme alla ampia e documentata inchiesta giornalistica fatta ieri da Isaia Invernizzi per l’Eco di Bergamo.

Ma perché questi dati così contrastanti, e specialmente, perché questi dati così negativi della regione Lombardia? L’ipotesi, da qualche parte prospettata, che la causa fosse attribuibile alla strategia attuata dalla Regione Lombardia di un minor utilizzo dei tamponi diagnostici, è in effetti poco credibile perché esiti nettamente migliori della Lombardia sono presenti sia in regioni che hanno realizzato un maggior numero di test, che in regioni che ne hanno realizzato addirittura molti di meno della stessa Lombardia. Infatti la Lombardia, che ha testato circa l’1.5% dei suoi abitanti, mostra una mortalità del 17.6%, mentre il Veneto con una mortalità del 5.6%, ha testato il 3.3% dei suoi abitanti, e il Lazio, con un dato di mortalità del 5.5%, molto vicino a quello del Veneto, ha testato solo lo 0.75% della sua popolazione. Forse questa ipotesi, pur con le dovute differenze di struttura del campione, sarebbe  possibile solo in una valutazione globale comparativa dei dati nazionali di Italia e Germania (che oggi presenta una mortalità dell’1.3%) visto che quest’ultima ha realmente messo in atto una strategia di tamponi a tappeto, partendo da una fase iniziale di 60.000 tamponi al giorno per arrivare in pochi giorni a 100.000, compreso i cosiddetti “corona taxi”, test fatti a domicilio, che le hanno permesso di testare i contagi in fase iniziale e quindi di intervenire subito sia con le terapie che con le quarantene.

Quindi, scartata l’ipotesi che il basso numero di tamponi eseguiti, possa essere stata la causa di una così alta mortalità alla quale va anche aggiunta quella “nascosta”, sfuggita ai censimenti ufficiali, il tentativo di spiegazione dei disastrosi dati di esito lombardi, va spostato nel campo “strutturale” dell’organizzazione e della risposta sanitaria. Infatti il primo problema che risalta davanti agli occhi è la constatazione che il Sistema Sanitario Territoriale è completamente mancato, mostrandosi distratto e impreparato.  Esempi lampanti di ciò sono l’alto numero di vittime domestiche e quelle dei centri di residenza assistita per anziani, nonché l’alto numero di contagi e vittime tra i Medici di Medicina Generale. Ma in effetti questa mancata risposta del Sistema Sanitario Territoriale, che invece è funzionato certamente meglio in altre regioni quali il Veneto o la Toscana dove le mortalità sono risultate molto più basse, è un problema che ha sicuramente radici più antiche. Il depotenziamento della Medicina Territoriale è progressivamente incominciato subito dopo l’acquisizione dell’autonomia della Regione Lombardia in tema di politica sanitaria. Infatti la Regione Lombardia, scegliendo di puntare su una Sanità di grande “visibilità” che potesse essere un attrattore di pazienti e quindi di flussi economici ( Il Sud….conosce bene questo problema !) ha essenzialmente investito negli ospedali, coinvolgendo molto in questa impresa anche il Privato che, trovando condizioni estremamente favorevoli, è cresciuto a dismisura costruendo degli enormi poli sanitari, che si sono ulteriormente concentrati tra di loro, creando non solo ospedali ad alto volume con poli di eccellenza ( particolarmente nelle specialità con migliore remunerazione) ma anche corsi di laurea in Medicina sia mediante convenzioni con Università Statali e sia costituendo proprie Università private, a loro volta abbinate a Centri di ricerca farmacologica per brevetti di nuove medicine e vaccini. Quindi grandi Ospedali privati che contemporaneamente crescono, trasformandosi anche in Università private e Centri di Ricerca privati, diventando così enormi concentrazioni di potere, spesso con partecipazioni dirette anche nel mondo dei ”Media”, delle grandi testate giornalistiche, del Web e dell’alta Finanza che, tramite questa loro attività “a tutto tondo”, possono condizionare facilmente la politica sanitaria lombarda. Tanto potenti che ben pochi si sono scandalizzati quando, nel pieno della iniziale emergenza, la “influencer” Chiara Ferragni insieme con il marito, il “rapper” Fedez, hanno lanciato una mega raccolta fondia favore del Privato e non a favore della Protezione Civile o di un Ospedale di trincea! Il San Raffaele è stato abilissimo e rapidissimo ad accettare i circa 20 milioni di euro raccolti, trasformandoli subito in nuovi posti super-attrezzati e super-tecnologici di Terapia Intensiva, certamente superiori a quelli che contemporaneamente si andavano attrezzando negli Ospedali Pubblici, ma nessuno si è chiesto a chi sarebbe rimasta la proprietà di tale costosissima tecnologia una volta finita l’emergenza. Allo Stato italiano, coinvolto in una emergenza nazionale? O a un privato che in tal modo, seppur in corso e a causa di una emergenza nazionale, avrebbe sensibilmente aumentato il suo personale patrimonio tecnologico? Tanto più che pure è passata sotto silenzio la notizia che la presidente dell’AIOP quale rappresentante della Sanità Privata Italiana, ha permesso ai suoi associati di accettare malati di Covid-19, lavorando nell’emergenza a fianco del Sistema Sanitario Nazionale SOLO dopo aver trattato con il Governatore della Lombardia la certezza di come e quanto sarebbero stati remunerati per le loro prestazioni.

Così  il Sistema Sanitario Territoriale, di nessun interesse per il privato poiché espressione di missione sociale e non di profitto, non è stato curato neanche dalle politiche sanitarie della Regione Lombardia, che lo ha sotto-finanziato e ridotto essenzialmente ad un sistema di contabilità di cassa per il privato, con la conseguenza che difronte ad una emergenza improvvisa, inattesa e terribile, la popolazione è rimasta completamente sprovvista di assistenza, di controlli, di informazioni certe, ad eccezione del solo impegno dei Medici di Famiglia che, senza mezzi, direttive chiare e specialmente privi di sistemi di  protezione individuale adeguati, sono molto spesso diventati ….delle “vittime sacrificali”. Quindi la tragedia del Corona virus che ha così gravemente flagellato la Lombardia, cancellando quasi completamente l’intera generazione delle persone al disopra dei 75 anni, ha al contempo drammaticamente messo in luce una serie di errori, di disfunzioni, di errate valutazioni politiche, che hanno disastrosamente condizionato, dal primo momento, gli esiti della pandemia in questa regione. Sebbene un giudizio completo si potrà avere solo dopo la fine di questa tragedia, però già adesso si possono indicare quelli che sono i principali punti nei quali il Sistema Sanitario lombardo ha mostrato delle chiare falle funzionali:

  • L’emergenza è stata interpretata come una emergenza intensivologica, mentre si trattava di una emergenza di Sanità Pubblica che, insieme alla Medicina Territoriale, erano state in precedenza, entrambe trascurate e depotenziate. (L’on. Giorgetti, ritenuto “l’anima moderata della Lega” ha recentemente dichiarato di ritenere i Medici di Base… ”un’istituzione di tipo medioevale”)
  • Mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia: tamponi fatti solo ai ricoverati, diagnosi di morte attribuita solo ai decessi ospedalieri
  • Assenza di attività di Igiene Pubblica con mancato mappaggio e isolamento dei contatti, mancato Governo del Territorio con gravi indecisioni nella chiusura di alcune zone ad alto rischio
  • Gestione confusa delle Residenze Sanitarie per Anziani nelle quali sono state spesso allocati, per decreto, dei malati convalescenti da Covit 19 con la creazione così di un ampio fronte di contagio con la popolazione di anziani ricoverati.
  • Eccessivo spazio dato al Privato in assenza di un progetto strategico comune finalizzato al miglioramento globale dell’assistenza sanitaria creando così una pericolosissima frattura tra l’area del profitto e l’area della missione sociale dell’assistenza

Quando tutto sarà finito, speriamo presto, anche se non ci sono concreti segnali in questo senso, si dovrà capire se e come questi errori strutturali potranno essere corretti, per esempio ricostruendo da capo un Sistema di Medicina Territoriale veramente moderno, costituito da una serie di Spot messi in rete con i grandi Hub Ospedalieri di cui la Regione Lombardia è già dotata, riducendo al contempo la eccessiva influenza del Sistema Privato. Certo non sono positivi i messaggi e le continue polemiche che anche in questa fase di emergenza nazionale molti politici lombardi, coinvolti nel governo regionale stanno quotidianamente lanciando. Speriamo che non siano segnali volti a portare il Sistema Sanitario Lombardo ad una completa secessione dal Sistema Sanitario Nazionale Universalistico con anche l’abolizione dell’articolo 32 della Costituzione Italiana.

Certo è che, per il momento, al dolore per il Corona virus, dobbiamo anche aggiungere il dolore di dover tristemente constatare che quello che ritenevamo un modello gestionale virtuoso e da portare ad esempio, si è invece dimostrato, alla nuda prova dei fatti, un modello pieno di negatività.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Syaibatul Hamdi da Pixabay 

La prima risposta del Tolicizumab nel fermare l’infiammazione polmonare è ottimale.

Paolo Ascierto, direttore dell’unità di immunologia clinica del Pascale di Napoli

di Paolo Pantani

“Ora la sperimentazione si è allargata ad oltre 50 pazienti in tutta Italia e nel giro di una settimana avremo un’indicazione più ampia”. Così Paolo Ascierto, direttore dell’unità di immunologia clinica del Pascale, spiega la fase 2 dell’uso dell’anticorpo per fermare la polmonite provocata dal coronavirus. “Stiamo proseguendo – spiega – su due binari paralleli. La situazione di emergenza ci spinge a usare subito il farmaco e lo possiamo fare anche perché la Roche che lo produce lo ha messo a disposizione gratuitamente su richiesta dei medici. E tutti lo chiedono, perché se il paziente risponde vuol dire che chi è in terapia intensiva ne esce presto e se lo prendi prima non ci vai. Siamo in contatto con gli ospedali del Nord Italia che stanno avviandone l’uso su decine di pazienti. Nel giro di una settimana avremo l’effetto su circa 50 pazienti trattati: se anche la metà di essi avrà avuto forti miglioramenti possiamo essere soddisfatti, perché significa avere in prospettiva bisogno della metà dei posti di terapia intensiva che sarebbero serviti. Ci darebbe una enorme speranza”. La prima risposta positiva sul Tolicizumab è arrivata dalla Cina che ha riscontrato netti miglioramenti in 20 dei 21 pazienti intubati e trattati con il farmaco. Il farmaco non cura il coronavirus ma combatte la polmonite da esso causata, spesso letale. La prima sperimentazione napoletana ha visto la ripresa di uno dei due pazienti, mentre sull’altro il team al lavoro sta valutando se provare con un nuovo ciclo del farmaco. Oltre alla sperimentazione per l’urgenza, se ne sta avviando una, con tempi più lunghi, scientifica: “Servono – spiega Ascierto – dei dati che abbiano pieno rigore scientifico e quindi abbiamo organizzato una task force tra Azienda dei colli e Isituto Pascale, coordinata da Franco Perrone che ha prodotto una bozza di protocollo scientifico e lo ha mandato all’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco, ndr) che deciderà gli step successivi”. In attesa della sperimentazione scientifica, però, il Tolicizumab corre: “I colleghi cinesi – spiega il Prof. Paolo Ascierto – stanno continuando ad usarlo gli abbiamo spiegato come lo usiamo e lo stanno facendo. Poi faranno una sperimentazione anche loro ma lo hanno già inserito nelle linee guida mediche del Paese contro il Covid19”. 
A questo punto ci auguriamo tutti che il professore Paolo Antonio Ascierto raggiunga  gli obiettivi terapeutici per fermare l’infiammazione polmonare causata dalla pandemia globale in atto.

#Civicrazia
#DifensoreCivicoCampania
#PresidenteRegioneCampania
#Chiudereicallcentersubito

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di leo2014 da Pixabay

Experiences cambia la sua programmazione

La realtà è sempre poliedrica. Sta a noi scegliere quale faccia guardare, senza dimenticare le altre.

Il ministero dei Beni culturali e del Turismo ha comunicato che in ottemperanza delle nuove misure per il contenimento dell’emergenza epidemiologica COVID-19, in tutta Italia rimarranno chiusi al pubblico, fino al 3 aprile 2020, musei, parchi archeologici, archivi, biblioteche, cinema e teatri. Pertanto, riteniamo utile dedicare le nostre pagine alla lettura e ai tour virtuali dei più importanti musei italiani. Per cominciare, visiteremo alcuni luoghi dell’esperienza culturale di Milano, quale omaggio all’arte e alla storia della Lombardia, la più colpita delle regioni italiane. In alternativa ci immergeremo nella grande letteratura internazionale, che le biblioteche online permettono di conoscere. NOI STIAMO IN CASA. E vi accogliamo sul web.

IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Daniel Nebreda da Pixabay 

Carnevale a Mamoiada: la danza di Mamuthones e Issohadores

A Mamoiada, piccolo comune della Barbagia a 17 chilometri da Nuoro, giovedì e martedì grasso (20 e 25 febbraio) si svolge il celebre Carnevale, che riprende riti ancestrali. L’origine di questo rito è antichissima: «est anticoriu», dicono i Sardi, riferendosi alle tradizioni la cui memoria si perde nel tempo.

Il Carnevale di Mamoiada è “uno degli eventi più celebri del folclore sardo”. Le sue maschere sono:
– I Mamuthones: uomini col viso ricoperto da una maschera nera dai rozzi lineamenti, vestiti col pellicce scure e con campanacci appesi alla schiena. 
– Gli Issohadores: uomini vestiti in corpetto rosso, maschera bianca, Sa Berritta (copricapo), cartzas (o cartzones, pantaloni bianchi) e s’issalletto (piccolo scialle), che scortano i Mamuthones.

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IMMAGINE DI APERTURAFoto di Gianni Careddu del costume tradizionale dei Mamuthones.

La comunicazione nell’era delle fake news – Quarta iniziativa della Scuola della Democrazia

L’Università di Messina – Dipartimento Di Scienze Politiche e Giuridiche e la Fondazione Nuovo Mezzogiorno promuovono la quarta iniziativa della Scuola della Democrazia come previsto nel programma relativo all’Anno 2019 -2020. Tema dell’incontro: LA COMUNICAZIONE NELL’ERA DELLE FAKE NEWS. Relatore: prof. Francesco Pira docente di sociologia della università di Messina. Introducono i professori: Patrizia Torricelli e Mario Calogero. L’incontro si terrà a partire dalle ore 15.30 del 13 febbraio 2020 presso l’aula “A. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche in via XX Settembre n.4 – Messina

Visita il sito web: https://www.scuoladellademocrazia.it/

IMMAGINE DI APERTURA: La Scuola di Atene di Raffaello Sanzio (Fonte Wikipedia)