Roma, Palazzo Barberini: Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti

Roma Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini
Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti
Mostra a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa
22 febbraio – 16 giugno 2019

Le Gallerie Nazionali di Arte Antica presentano dal 22 febbraio al 16 giugno 2019, nella sede di Palazzo Barberini a Roma, la mostra Il trionfo dei sensi. Nuova luce su Mattia e Gregorio Preti, a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa. L’esposizione, che esamina la prima attività di Mattia Preti e la sua formazione nella bottega romana del fratello Gregorio, ruota attorno all’Allegoria dei cinque sensi delle Gallerie Nazionali, una monumentale tela d’impronta caravaggesca, rimasta per anni in deposito presso il Circolo Ufficiali delle Forze Armate.

Realizzata dai due fratelli negli anni Quaranta del Seicento, è ricordata nel 1686 nella collezione di Maffeo Barberini junior come “un quadro per longo con diversi ritratti: chi sona, chi canta, chi gioca, chi beve e chi gabba il compagno”, una descrizione che sottolinea la complessa articolazione del dipinto dove, secondo un modello molto in voga nel Seicento, diversi gruppi di personaggi intenti in attività quotidiane diventano immagine allegorica dei cinque sensi. Il quadro è stato restaurato per l’occasione da Giuseppe Mantella, da anni impegnato sulle opere di Mattia Preti a Malta e in Calabria, grazie al generoso finanziamento dello studio legale Dentons che ha sponsorizzato l’intervento e l’approfondita serie di indagini diagnostiche permettendo di comprendere meglio la pratica esecutiva dei due fratelli, attivi a quattro mani sulla stessa tela.

Saranno presenti in mostra altre undici opere che raccontano lo stretto legame esistente tra i due artisti calabresi: da un lato Gregorio, legato a esiti di stampo ancora accademico, e dall’altro il più giovane e talentuoso Mattia, suggestionato dall’universo caravaggesco e già cosciente dei nuovi sviluppi guercineschi e lanfranchiani del barocco romano. L’Allegoria dei cinque sensi di Palazzo Barberini sarà esposta al pubblico per la prima volta assieme al Concerto con scena di buona ventura, suo ideale pendant proveniente dall’Accademia Albertina di Torino e ad altri quadri frutto della collaborazione dei due artisti, come il Cristo davanti a Pilato di Palazzo Pallavicini Rospigliosi e il Cristo che guarisce l’idropico di collezione privata milanese.

In mostra saranno presentati anche importanti dipinti inediti di Mattia: primo fra tutti il monumentale Cristo e la Cananea, in origine nella collezione dei Principi Colonna, opera capitale del periodo romano del pittore, databile su base documentaria al 1646-1647. La scoperta dello straordinario dipinto – il primo dell’artista fornito di una data certa – ha permesso di precisare la cronologia della sua prima produzione. Saranno esposti al pubblico per la prima volta anche l’Archimede, oggi a Varese, e un Apostolo di collezione privata torinese, che documentano la precoce riflessione di Mattia sulla pittura di Caravaggio e di Jusepe de Ribera. Chiude il percorso espositivo un’ulteriore nuova proposta per gli anni romani dell’artista: una mirabile Testa di bambina, ritrovata nei depositi della Galleria Corsini.

Molte le attività collaterali previste: occasione straordinaria per i visitatori saranno le visite guidate gratuite dei curatori in programma ogni mercoledì alle ore 17.00 (escluso il 1° maggio). In programma, inoltre, un ciclo di conferenze (16 aprile, 7 maggio, 21 maggio, 11 giugno) su Mattia e Gregorio Preti, con interventi di Luca Calenne, Alessandro Cosma, Francesca Curti, Riccardo Lattuada, Giuseppe Mantella, Gianni Papi e Yuri Primarosa. Il catalogo, pubblicato da De Luca Editori d’Arte, raccoglie i risultati delle ricerche di Tommaso Borgogelli, Luca Calenne, Alessandro Cosma, Francesca Curti, Riccardo Lattuada, Gianni Papi, Yuri Primarosa e le note sul restauro e sulle indagini diagnostiche di Sante Guido e Giuseppe Mantella.

IMMAGINE DI APERTURA – (Particolare) Mattia Preti, Negazione di Pietro, 1635-1640 ca., Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica, olio su tela, 126 x 97 cm

Liquirizia di Calabria: qualità superiore con Denominazione di Origine Protetta

Molto probabilmente la pianta della liquirizia venne importata in Calabria dai Greci circa 700 anni prima di Cristo. In questi luoghi la radice di liquirizia trovò un microclima e un  habitat ideale che ne consentì addirittura lo svilupparsi di un diverso ecotipo, come dimostrano le mappature genetiche effettuate e che ne hanno consentito l’individuazione rispetto a liquirizie di altra provenienza. Per comprendere su quali basi era sorta questa attività nella regione e con quali prospettive si era poi sviluppata, bisogna risalire al XIV secolo e alla logica del latifondo. Non a caso la quasi totalità delle ditte produttrici sono state di proprietà di famiglie nobili e feudatarie, le quali con investimenti irrisori e soprattutto senza compromettere l’usuale ciclo agricolo, riuscirono lentamente a consolidare l’ancora incerto mercato della liquirizia.

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LIQUIRIZIA DI CALABRIA

Verona, Museo di Castelvecchio: Bottega, Scuola, Accademia

Verona, Museo di Castelvecchio
Bottega, Scuola, Accademia. La pittura a Verona dal 1570 alla peste del 1630
a cura di Francesca Rossi e Sergio Marinelli
17 novembre 2018 – 5 maggio 2019
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L’esposizione, a cura di Francesca Rossi e Sergio Marinelli, pone l’attenzione sul panorama artistico veronese tra la fine del XVI secolo e l’inizio di quello successivo, un crogiolo ricco di novità. In un contesto che vedeva presenti a Verona figure di rilievo, come Bernardino India Paolo Farinati, e la vicinanza con il vivace ambiente veneziano, la necessaria premessa ai successivi sviluppi fu la presenza in città alla metà del ‘500 della bottega di Domenico Brusasorzi e del figlio Felice, una delle più attive, sia per quanto riguarda la produzione di opere pittoriche sia per la presenza al suo interno di numerosi apprendisti e discepoli.
La mostra propone l’analisi dell’eredità di Felice Brusasorzi raccolta dai suoi allievi, tra i quali vengono ricordati con attenzione Sante CrearaAlessandro TurchiPasquale Ottino Marcantonio Bassetti. I disegni e dipinti esposti evidenziano come il periodo giovanile di questi artisti sia stato molto influenzato dal lessico del maestro, per poi differenziarsi, in seguito, grazie all’influsso di altri autori. 
Questo fondamentale periodo della produzione artistica veronese fu bruscamente interrotto dalla peste del 1630, che portò alla morte di molti pittori e che mutò in maniera radicale la sensibilità di coloro che sopravvissero, aprendo la strada a una stagione dell’arte veronese.
Le opere esposte provengono dalle collezioni civiche e da importanti prestiti concessi dall’Accademia Filarmonica di Verona, dalla Fondazione Cariverona, da Banco BPM, da collezionisti privati a testimonianza dell’importante e consolidata rete di collaborazione territoriale volta alla valorizzazione del patrimonio.

PERCORSO ESPOSITIVO
ALCUNE OPERE IN MOSTRA

Autori: Giuseppe Giacosa, il librettista di Puccini

Giuseppe Giacosa è noto per i suoi drammi di tipo borghese, ma, soprattutto, per il suo lavoro di librettista insieme a Luigi Illica. Infatti, insieme realizzarono i tre testi per le opere liriche di Giacomo Puccini, che compose tra il 1893 e il 1904: La bohème, Tosca e Madama Butterfly.
Ai suoi inizi, probabilmente ispirato dal movimento del Romanticismo, compose drammi di ambiente storico (La partita a scacchi del 1871, e Il marito amante della moglie del 1871). Pur riscuotendo un certo successo (le sue ricostruzioni erano alquanto dubbie), si concentrò sul dramma borghese. Egli, cogliendo un certo disagio nel mondo borghese, si fa portavoce delle inquietudini di quello. Le sue composizioni, dai toni semplici e misurati, sfociano nel dramma per cause piccole e apparentemente banali e si svolgono in ambientazioni, stavolta, attente e minuziose, anche verso i particolari.

Nella sua collaborazione con Puccini ed Illica, si compone un terzetto di grandi qualità. Giacosa si interessa maggiormente delle parti liriche del libretto. Il suo intimismo di stampo naturalista lo rende perfetto per gli approfondimenti psicologici dei personaggi, specialmente femminili. E’ una vita assai stressante, soprattutto per quanto riguarda scadenze e rifacimenti, oltre che impegnativo per le caratteristiche proprie del teatro musicale. Il suo buon carattere, però, lo fa mediatore nelle liti che scoppiano all’interno di esso (Puccini gli dà, scherzosamente,  il nome di “Buddha” per la sua saggezza e per il suo fisico “ingombrante”).
Alla sua morte (avvenuta il 1 settembre del 1906), fatidicamente il gruppo si scioglie, rendendosi impossibile la collaborazione tra Puccini ed Illica. La perfezione delle opere pucciniane che ci sono rimaste, dimostrano tutta la caratura d’artista di Giacosa.

Milano, Civico Museo Archeologico – Il viaggio della Chimera

Milano, Civico Museo Archeologico
Il viaggio della Chimera – Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo
12 dicembre 2018 – 12 maggio 2019
WEBSITE UFFICIALE

Milano e il mondo etrusco: un profondo legame che viene illustrato in una mostra concepita e realizzata dal Civico Museo Archeologico di Milano e dalla Fondazione Luigi Rovati, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Milano.

L’esposizione mette in luce il legame fra Milano e la civiltà degli Etruschi nato dalla metà dell’Ottocento con la costituzione del nucleo più antico delle Raccolte Archeologiche milanesi e rinsaldato nel dopoguerra quando Milano ospitò la grande mostra svoltasi a Palazzo Reale nel 1955. Questa la data spartiacque che segna l’avvio di una feconda stagione per l’etruscologia a Milano: dalla Fondazione Lerici del Politecnico di Milano alle campagne condotte dall’Università degli Studi di Milano a Tarquinia e nell’Etruria padana al Forcello di Bagnolo S. Vito. Un legame solido e virtuoso che continua con i recenti scavi condotti a Populonia e con l’imminente apertura al pubblico del Museo Etrusco della Fondazione Luigi Rovati in Corso Venezia 52.

Anfora etrusca a figure nere – Civico Museo Archeologico Milano 

LA MOSTRA

La mostra si sviluppa in cinque sezioni, con l’esposizione di più di duecento reperti provenienti dai maggiori musei archeologici italiani, dalle collezioni del Civico Museo Archeologico di Milano e dalle collezioni della Fondazione Luigi Rovati.

Sezione 1 – Le origini del collezionismo etrusco a Milano: un contributo all’etruscologia e alle Civiche Raccolte
Il percorso prende inizio dal Cratere Trivulzio, in prestito dai Musei Vaticani, acquistato sul mercato antiquario di Milano nel 1933 a seguito di una sottoscrizione cittadina per essere donato a papa Pio XI che lo destinò al Museo Gregoriano Etrusco. La nascita del collezionismo milanese risale all’epoca napoleonica e preunitaria. Accanto alle raccolte private confluite nelle collezioni del Civico Museo Archeologico quali quelle di Amilcare Ancona (1839 – 1890) e di Emilio Seletti (1830-1913) è esposta parte della collezione di Pelagio Palagi (1775-1860), a lungo attivo a Milano prima di trasferirsi a Bologna dove la raccolta è ora conservata. È inoltre esposta una selezione di oggetti etruschi appartenuti al mercante d’arte Giulio Sambon (1836-1921) confluiti per sottoscrizione cittadina nel 1911 al Museo Teatrale della Scala. I reperti riuniti in questa prima sezione sono legati dal tema della raffigurazione umana nell’arte etrusca e introducono il visitatore all’immagine e all’identità dei defunti.

Sezione 2 – Milano e il dopoguerra. La Grande Mostra del 1955
La riscoperta degli Etruschi nel dopoguerra passa da Milano: nel 1955 Massimo Pallottino apre a Palazzo Reale la “Mostra dell’Arte e della Civiltà Etrusca”, punto di partenza di un rinnovato interesse per lo studio di questa cultura che confluirà in una serie di campagne di scavo scientifiche. La centralità della mostra del 1955 è qui sottolineata dalla presenza di reperti di grande importanza che furono esposti a Palazzo Reale, quali il busto femminile del VII secolo a.C. denominato La Pietrera, proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze, considerata la più antica statua etrusca. La sezione è arricchita da documenti dell’epoca come la rassegna stampa originale proveniente dal Museo Antichità Etrusche e Italiche dell’Università Sapienza di Roma.

Sezione 3 Le università di Milano e le ricerche archeologiche: le prospezioni Lerici, gli scavi a Tarquinia, Capua e Populonia
La sezione è collegata alla precedente attraverso il tema del mondo animale, con le sue creature reali e fantastiche che popolavano l’immaginario che il defunto incontrava nel suo viaggio ultraterreno. Il vaso con raffigurazione della Chimera – che dà il titolo alla mostra – proveniente dal Civico Museo Archeologico di Milano è affiancato ai materiali pertinenti ai corredi delle tombe scavate dalla Fondazione Lerici e ora in deposito presso lo stesso Museo, che diede avvio a un nuovo capitolo dell’archeologia etrusca applicando metodi di indagine geofisica alla ricerca archeologica, in particolare nelle necropoli di Cerveteri. Importanti campagne di scavo, qui rappresentate, sono anche quelle condotte dalle università milanesi a Capua, Populonia e soprattutto a Tarquinia di cui è esposto in mostra l’eccezionale deposito rinvenuto sulla Civita.

Sezione 4 – Una chimera: Etruschi a Milano e in Lombardia
Questa sezione vede protagonisti gli scavi sul territorio regionale, che hanno evidenziato la presenza etrusca in Lombardia. In mostra un piccolo nucleo di materiali proveniente dalle ricerche svolte dall’Università degli Studi di Milano a Forcello di Bagnolo San Vito (Mantova), il principale abitato etrusco-padano a nord del Po, risalente al VI-V secolo a.C.
I contatti tra Etruschi e comunità indigene non furono solo commerciali ma anche culturali come testimonia l’adozione dell’alfabeto etrusco da parte dei gruppi locali, pur modificato nelle varianti regionali. Diverse sono le testimonianze epigrafiche presenti in mostra, tra cui l’indicazione del toponimo Mesiolano in alfabeto celtico cisalpino.

Sezione 5 – Il collezionismo contemporaneo: il futuro Museo Etrusco di Milano
Il ricco percorso espositivo si conclude con l’ultima manifestazione della passione per l’arte e la cultura etrusca: è qui presentata in anteprima una piccola selezione di reperti della Fondazione Luigi Rovati, che confluiranno nel Museo Etrusco presso lo storico Palazzo Rizzoli-Bocconi-Carraro, di prossima apertura. Saranno qui presentate testimonianze di scrittura etrusca come la paletta di bronzo con una dedica a Selvans, divinità dei boschi, dei terreni e anche dei confini, ma anche splendide oreficerie e oggetti di alto artigianato.

Il catalogo della mostra è edito da Johan&Levi editore.

Jon Kabat-Zinn – La scienza della meditazione

La «meditazione consapevole» è una pratica affermata e in costante diffusione di cui Jon Kabat-Zinn è stato precursore, maestro indiscusso e autore di libri fondamentali e illuminanti. Fra questi l’ormai classico Riprendere i sensi che l’autore ha deciso di riproporre in una versione ampliata e rinnovata in quattro libri indipendenti, ognuno relativo a un aspetto della mindfulness. 

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Edward Bullmore – La mente in fiamme

Con La mente in fiamme Edward Bullmore presenta per la prima volta a un pubblico non specialistico una nuova teoria sulla cura della depressione dalle conseguenze potenzialmente dirompenti. Bullmore mette in discussione le terapie finora utilizzate e propone un quadro teorico e sperimentale del tutto innovativo, che mette in relazione la depressione con gli stati infiammatori del corpo e del cervello, legando strettamente questa condizione e altri disordini mentali al funzionamento del sistema immunitario. È un vero e proprio cambio di paradigma nell’accostarsi a questa malattia debilitante e causa di molte sofferenze.

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Paolo Pantani nominato a Napoli Coordinatore dei Macroassessori della Macroregione Mediterranea

La segreteria organizzativa di Napoli della Macroregione Mediterranea comunica la promozione con lode e nomina a MacroAssessore di Paolo Pantani, quale Coordinatore dei MacroAssessori. Il MacroAssessore Paolo Pantani, assumendosi piena responsabilità in merito, ricoprirà il ruolo di Coordinatore dei MacroAssessori. Fra i restanti tre MacroAssessori (Amaddeo, Chiari e Capuano) il ruolo di Primo Assessore va ad Antonello Amaddeo. «È un onore – ha dichiarato Paolo Pantani – e un dovere assumermi, con assoluta e piena responsabilità nel merito, il ruolo di Coordinatore dei Macroassessori della Macroregione Mediterranea. Sarà mia cura coordinarmi con Antonello Amaddeo, Primo Macroassessore e con gli altri Macroassessori, nonché con il nascente Movimento Civicratico, il quale rappresenta il nostro innovativo orizzonte di senso di attuazione della democrazia partecipativa. Occorre la necessità storica di una svolta, visto i fallimenti della democrazia rappresentativa e della democrazia diretta».

FOTO DI APERTURA – Paolo Pantani (a destra) con Giuseppe Fortunato Difensore Civico presso la Regione Campania.

Torino, Museo Civico di Arte Antica – Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino

Torino, Palazzo Madama – Museo Civico di Arte Antica
Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino
Mostra a cura di Clelia Arnaldi di Balme, Maria Paola Ruffino
Dal 20 Dicembre 2018 al 06 Maggio 2019
WEBSITE UFFICIALE

La mostra Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino, voluta da Guido Curto, direttore di Palazzo Madama, e curata dalle conservatrici del museo Clelia Arnaldi di Balme e Maria Paola Ruffino, è allestita nella Sala del Senato dal 20 dicembre 2018 al 6 maggio 2019. Il percorso espositivo documenta la vita e le azioni di due donne che impressero un forte sviluppo alla società e alla cultura artistica nello stato sabaudo tra il 1600 e il 1700: Cristina di Francia (Parigi 1606 – Torino 1663) e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (Parigi 1644 – Torino 1724). Due figure emblematiche della storia europea, che esercitarono il loro potere declinato al femminile per affermare e difendere il proprio ruolo e l’autonomia del loro Stato. Le azioni politiche e le committenze artistiche delle Madame Reali testimoniano la ferma volontà di fare di Torino una città di livello internazionale, in grado di dialogare alla pari con Madrid, Parigi e Vienna.
Con oltre 120 opere, tra dipinti, oggetti d’arte, arredi, tessuti, gioielli, oreficerie, ceramiche, disegni e incisioni, la mostra ripercorre cronologicamente la biografia delle due Madame Reali e racconta le parentele che le collegano alle maggiori case regnanti europee, le loro azioni politiche e culturali, le scelte artistiche per le loro residenze, le feste sontuose, la moda e la devozione religiosa. L’allestimento, progettato dall’architetto Loredana Iacopino, sviluppa un itinerario attraverso la vita di corte in epoca barocca, negli stessi ambienti in cui vissero le due dame, documentate non solo nella loro immagine politica, ma anche in quella più intima e femminile.

Cristina di Francia, le feste, i luoghi delle delizie, la difesa del potere.
Cristina, o più esattamente Chrestienne de France, figlia del re di Francia Enrico IV diBorbone e di Maria de’ Medici, giunge da Parigi a Torino nel 1619 all’età di tredici anni, sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia. La introduce in mostra una splendida serie di ritratti che costituiscono il suo album di famiglia: i genitori, sovrani di Francia; il fratello Luigi XIII, salito al trono nel 1610 in seguito all’assassinio del padre, e la sorella Enrichetta Maria, regina d’Inghilterra sposa di Carlo I Stuart. Il matrimonio rinsalda l’alleanza tra il Piemonte e la Francia, rafforzando la posizione dei Savoia tra le Case reali d’Europa. Amante delle feste, Cristina conserva la tradizione spagnola dello zapato, celebrato nel giorno di San Nicola con lo scambio di ricchi regali, e inaugura a Torino la stagione dei balletti di corte su esempio di Parigi. Autore di molti testi e coreografie è il conte Filippo d’Aglié, presente in mostra in un bel ritratto inedito, cortigiano raffinato, suo amante e suo fedele consigliere. Cristina fa ampliare e arredare due residenze extra-urbane: il grandioso Castello del Valentino, sul Po, e la Vigna in collina (ora nota come Villa Abegg).
Accanto ai putti giocosi di Isidoro Bianchi, ai motti, agli emblemi eloquenti, tema onnipresente è la natura: dipinti di fiori e di animali, parati in cuoio, fiori ricamati e nature morte. Rimasta vedova nel 1637, Cristina assume la reggenza per il figlio minorenne Carlo Emanuele e si scontra con i Principi suoi cognati, Maurizio e Tommaso di Savoia-Carignano, sostenitori degli Spagnoli. La guerra civile si protrae fino al 1642, quando l’accordo fra la duchessa e i cognati è concluso col matrimonio della figlia Ludovica con lo zio, il Cardinal Maurizio. Cristina riesce a mantenere l’indipendenza del Ducato e del proprio potere, che cede formalmente al figlio nel 1648. Di fatto, però, continua a governare fino alla morte nel 1663.

Maria Giovanna Battista, donna di pace, di carità, di grandi committenze.
Nipote di Enrico IV di Francia, Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, dama di corte della regina di Francia, lascia nel 1665 la reggia di Luigi XIV, il Re Sole, per diventare duchessa di Savoia. Vedova dal 1675, Maria Giovanna Battista regge il ducato fino al 1684, quando il figlio Vittorio Amedeo II assume d’autorità il potere. Nel periodo in cui governa si trova a fronteggiare la povertà causata in Piemonte dalle grandi carestie degli anni 1677-1680 e, per aiutare i più bisognosi, istituisce un Monte di Prestito e fonda anche l’Ospedale di San Giovanni Battista nell’area di espansione orientale della città. Sviluppa nel contempo sogni ambiziosi con la speranza di vedere il figlio occupare il trono del Portogallo e promuove la nascita dell’Accademia di Belle Arti di Torino. Per la sua residenza, Palazzo Madama, Maria Giovanna Battista nel 1718 invita l’architetto messinese Filippo Juvarra a realizzare il grandioso scalone d’onore di Palazzo Madama, capolavoro assoluto del Barocco europeo.

La vita a palazzo: regole, piaceri, devozione.
La quotidianità della vita di palazzo è ben presente in mostra con dipinti e oggetti: le conversazioni tra le dame, la tavola, il momento della toeletta con i piccoli oggetti preziosi. La vita a corte è retta da precisi cerimoniali e si svolge in ambienti che rispecchiano il gusto delle duchesse: mobili di gusto francese, come il tavolino in tartaruga e metallo pregiato del famoso ebanista Pierre Gole (Bergen, 1620 – Parigi, 1684), i piani di tavolo in stucco dipinto, i parati in “corame d’Olanda”, gli orologi.
Nel corso dei decenni, a Torino come in Europa, cresce sempre più l’attrazione per l’Oriente con gli arredi “alla China”, le porcellane e i prodotti delle colonie: il thè, il caffè, il cioccolato. Nella vita delle Madame Reali la devozione religiosa ha una parte importante. Cristina promuove l’arrivo degli Ordini Carmelitani a Torino e Maria Giovanna Battista mantiene un proprio appartamento nel Monastero delle Carmelitane. Le icone sacre e i libri di preghiera sono sempre fedeli compagni della brillante vita di corte.

La moda e l’immagine del potere.
Cristina afferma la moda del vestire alla francese, una scelta “politica” che si sostituisce al vestire alla spagnola degli anni di Carlo Emanuele I e di Caterina d’Austria. Mutano le silhouette, la scelta dei tessuti e dei gioielli, con i diamanti e le perle come protagonisti, guidate dalle istruzioni dei ministri a Parigi. Di là vengono i guanti profumati e gli abiti ricamati dei duchi, che si portano con pizzi d’argento e d’oro, di Venezia e di Fiandra, sposando appieno la dilagante passione per il merletto. Come reggenti, Cristina e Maria Giovanna Battista sono ritratte in lutto, sviluppando un’immagine che dà sostegno alla loro autorità e al loro potere.
Le opere esposte provengono da prestiti di collezionisti privati e di importanti musei italiani e stranieri: il Polo Museale del Piemonte, con ritratti dalla quadreria del Castello di Racconigi, i Musei Reali di Torino, la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, le Gallerie degli Uffizi e il Museo degli Argenti di Firenze, il Museo dei tessuti e il Museo di Belle Arti di Lione, il Museo del Rinascimento di Ecouen, il Museo del Prado di Madrid, il Museo del Castello di Versailles. Tra gli artisti in mostra: Anton Van Dyck, Frans Pourbus il giovane, Giovanna Garzoni, Francesco Cairo, Philibert Torret, Giovenale Boetto, Jacques Courtilleau, Charles Dauphin, Pierre Gole, Carlo Maratta, Maurizio Sacchetti, Filippo Juvarra.

Alessandro Barbero spiega Marc Bloch, il più grande fra gli storici moderni

Marc Léopold Benjamin Bloch (Lione, 6 luglio 1886 – Lione, 16 giugno 1944) è stato uno storico e militare francese. Tra 1920 e 1926, con Lucien Febvre, tentò il progetto di lanciare una rivista internazionale di storia sociale ed economica comparata, con l’ambizione di sollecitare la partecipazione e gli scambi scientifici tra gli studiosi europei delle varie discipline. I due, in cerca di un curatore di elevato profilo accademico, si rivolsero nel 1921 a Henri Pirenne. Attraverso Pirenne, nel 1925, Bloch e Febvre contattarono l’American Historical Association, nella speranza di ottenere un finanziamento dal fondo intitolato a Laura Spelman Rockefeller. Il progetto naufragò, in parte per interessi nazionalistici da ambo le parti, ma non da ultimo per la riluttanza da parte di Bloch e di Febvre ad ammettere studiosi tedeschi nel comitato editoriale, nonostante il carattere internazionale della rivista.

Nel 1929, col «gruppo strasburghese» che includeva anche Febvre, Bloch fondò invece la rivista Annales d’histoire économique et sociale (dal 1994 chiamata Annales. Histoire, Sciences Sociales), il cui titolo era già di per sé una rottura con «la storia storicizzante», in auge in Francia grazie al positivismo. Bloch, uno dei primi storici francesi a interessarsi allo studio comparato delle civiltà e alla storia del pensiero (vista anche come storia antropologica), vi pubblicò nel periodo precedente alla guerra importanti articoli, centrati soprattutto sul feudalesimo, e brillanti note di lettura il cui apporto metodologico è rimasto vivo anche dopo la morte dell’autore e sino ai giorni nostri.

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