GIULIO II E RAFFAELLO. Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna

Raffaello Sanzio
(Urbino, 1483 – Roma, 1520)
Ritratto di papa Giulio II, 1511-1512
Tavola, cm 108×80,7, Londra, National Gallery

08 Ottobre 2022 – 05 Febbraio 2023

Bologna, Pinacoteca Nazionale

GIULIO II E RAFFAELLO.
Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna

Mostra a cura di Daniele Benati, Maria Luisa Pacelli e Elena Rossoni.

Il Giulio II di Raffaello torna eccezionalmente in Italia.
Sarà il protagonista della mostra
sul Rinascimento Bolognese
alla Pinacoteca Nazionale del capoluogo emiliano.

Il Ritratto di Papa Giulio II della Rovere, uno dei capolavori di Raffaello, sarà – ed è un evento del tutto eccezionale – esposto alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, opera clou della mostra “Giulio II e Raffaello. Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna”, aperta dall’8 ottobre al 5 febbraio prossimi, a cura di Daniele Benati, Maria Luisa Pacelli e Elena Rossoni.

Giulio II fu il Pontefice che assoggettò Bologna allo Stato della Chiesa cambiando profondamente il corso della storia cittadina e avviando, anche grazie alla presenza di artisti come Bramante e Michelangelo, una nuova stagione del Rinascimento in città.

Il celeberrimo ritratto è stato concesso alla mostra bolognese dalla National Gallery di Londra che, a sua volta, aveva ottenuto dall’istituzione bolognese il dipinto “Estasi di Santa Cecilia” del maestro urbinate, per una esposizione londinese di grande successo. 

Il Ritratto di Giulio II è un dipinto a olio su tavola (108,7×80 cm) commissionato da Papa della Rovere a Raffaello e realizzato a Roma intorno al 1511-1512. Oltre alla versione conservata alla National Gallery di Londra, se ne conoscono diverse copie, alcune anonime, altre di importanti artisti come quella attribuita a Tiziano, conservata alla Galleria

Palatina di Firenze. Si tratta di esemplari che testimoniano l’interesse per il personaggio effigiato e per il modello interpretativo raffaellesco, che rimane dominante nella ritrattistica dei papi per la gran parte degli artisti nei secoli successivi.

Vasari e Lomazzo parlano di un ritratto del Papa realizzato da Raffaello presente nella basilica di Santa Maria del Popolo a Roma. L’opera, passata nella collezione Borghese nel 1608, era stata in seguito venduta all’imperatore Rodolfo II e da allora se ne erano perse le tracce.

Nel 1976 uno studioso della National Gallery di Londra sciolse l’enigma del dipinto, che era stato acquistato nel 1824 dal museo e che si trovava in Inghilterra dalla fine del Settecento. Fu ritrovato infatti sulla tavola un numero d’inventario, il 118, che si scoprì corrispondere con quello della Galleria di Scipione Borghese al 1693.

Le analisi scientifiche hanno poi confermato l’autografia raffaellesca e un restauro ha restituito la qualità pittorica dell’opera, fino ad allora nascosta sotto strati di vernice ingiallita.

“A colpire nel ritratto è l’interpretazione che l’Urbinate propone del Pontefice e l’attenzione alla sua psicologia. Si tratta di un modello compositivo che rompe con la tradizione: qui Raffaello coglie Giulio II a mezza figura, un po’ curvo e girato verso destra, presente, sebbene assorto e affatto ieratico. Il Papa sembra essere perfettamente a suo agio tra i simboli della sua funzione, ma come distaccato da essi. Un uomo di Dio e di potere, ma perfettamente conscio delle difficoltà del suo regno terreno. Non dimentichiamo, infine, che la figura di Giulio II ebbe grande impatto sulla società e sull’arte bolognese, mentre l’influenza dell’opera di Raffaello lasciò un segno assai duraturo sugli artisti cittadini”, evidenzia Maria Luisa Pacelli, Direttrice della Pinacoteca Nazionale e co-curatrice della mostra bolognese.


INFO

Info: www.pinacotecabologna.beniculturali.it

Ufficio Stampa Pinacoteca Nazionale di Bologna
Chiara Pilati
pin-bo.stampa@cultura.gov.it

In collaborazione con:
Studio ESSECI – Sergio Campagnolo
Rif. Simone Raddi simone@studioesseci.net

Genova celebra il movimento d’avanguardia Fluxus in occasione dei 60 anni dalla sua fondazione

AY-O, Gatto bianco, 2002, serigrafia su cartoncino, cm. 75×55,5

Fluxus 1962-2022. Sixty Years in Flux

a cura di Caterina Gualco, Leo Lecci e Francesca Serrati

Fluxus
compie 60 anni!

dal 15 settembre al 20 novembre a Genova

Segnaliamo la mostra diffusa con la quale Genova celebra il movimento d’avanguardia Fluxus in occasione dei 60 anni dalla sua fondazione, che apre il 15 settembre in più spazi espositivi a Genova.

Fluxus è un movimento importante ancora “attivo” e Genova aveva già celebrato un grande evento per i 50 anni, nel 2012, e in quell’occasione tre artisti avevano donato a Villa Croce tre opere per la collezione permanente, che saranno in mostra, oltre ad altre opere della collettiva, a materiali diversi e ad un ciclo di performances in più location e gallerie.

Per ulteriori informazioni cliccare
Fluxus 1962-2022. Sixty Years in Flux

Genova festeggia questo anniversario con una manifestazione che celebra l’importanza e la vitalità inesauribile di una delle più importanti avanguardie nate nel secondo Novecento. Un omaggio che, attraverso molteplici iniziative, ne farà conoscere la caratteristica fondamentale, comune ai suoi artisti di differenti nazionalità: l’aspirazione a superare la tradizionale divisione dei campi estetici attraverso la fusione di linguaggi diversi per consentire all’operare artistico di immergersi nel ‘flusso’ della vita quotidiana con la massima libertà espressiva.

Ecco il diversificato programma che coinvolgerà più realtà cittadine

14 SETTEMBRE 2022 – ore 17:00 – Museo d’arte contemporanea di Villa Croce inaugurazione mostra collettiva Fluxus 1962-2022. Sixty Years in Flux, a cura di Caterina Gualco, Leo Lecci e Francesca Serrati (fino al 20 novembre).

15 SETTEMBRE 2022 – ore 14:00 – Palazzo Ducale, sala del Munizioniere
The New Golden Age of Fluxus
, rassegna di performance a cura di Mauro Panichella con la partecipazione degli artisti Eric AndersenPhilip Corner Phoebe NevilleCharles DreyfusBibbie Hansen Sean CarilloSean Miller Craig ColemanBen Vautier.

15 SETTEMBRE 2022 – ore 18:00 – Biblioteca universitaria
Fluxus Cardboard, 
concerto di Agnese Toniutti: piano e toy piano, musiche di Giancarlo CardiniPhilip CornerDick HigginsLa Monte YoungMieko Shiomi.

SETTEMBRE 2022 – date varie: iniziative Fluxus in alcune gallerie genovesi Guidi&Schoen: mostra collettiva Purge the World of Bourgeois Sickness Prisma Studio: performance omaggio a Josef Beuys di Eleonora Chiesa Spazio Unimedia: mostra personale di Philip Corner

Stella Rouskova: mostra personale di Dick Higgins
Stupendo Gallery
: mostra collettiva Fluxus e installazione di Mauro Panichella

Accompagnerà gli eventi un volume/catalogo edito dalla Fondazione De Ferrari in collaborazione con l’Università di Genova.


INFO

Melina Cavallaro 
Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma, Media Relations per la Città di Genova 
Valerio de Luca –  resp. addetto stampa

Blera (VT), Grotta Giardini di Jos: Senso – Installazione di Monica Pennazzi | A cura di Roberta Melasecca

Senso di Monica Pennazzi in collaborazione con Ivan Macera – Dettaglio dell’installazione

Terra-Arte 2022
Senso
Installazione di

Monica Pennazzi

Con Ivan Macera
A cura di Roberta Melasecca
Promossa dall’Associazione Terra-Arte

Il giorno 10 settembre 2022, alle ore 16.00, Terra-Arte presenta, all’interno dell’edizione 2022, nella grotta dei Giardini di Jos, l’installazione Senso di Monica Pennazzi in collaborazione con Ivan Macera, a cura e con un testo di Roberta Melasecca, con il supporto di blowart e Interno 14 next

Dal testo critico della curatrice: 

“[…] Monica Pennazzi realizza l’installazione Senso, all’interno della grotta dei giardini di Jos, con la decisa volontà di moltiplicare all’infinito il portato metaforico dell’indagine architettonica e artistica: un corpo, tessuto e attraversante, contenuto all’interno di un altro corpo -ventre scavato dall’opera dell’uomo e della natura- esperito attraverso il medium di un ulteriore corpo -il nostro- spinto oltre i limiti del sensibile e attivato in tutte le diverse modalità di attenzione. Il risultato è semplice e risiede nella vera natura dell’arte che, come affermava Maurice Merleau-Ponty, è quella di superare con un balzo qualunque forma di conoscenza che l’artista possa incontrare e di sognare un nuovo mondo nascente. Entrare nella grotta di Jos produce, dunque, un corto circuito mentale fra un incontro emotivo vissuto e una comprensione intellettuale (cit. Juhani Pallasmaa). Il percorso esplorativo avviene attraverso un corpo labile, evanescente, quasi non-corporeo che si rivela non improvvisamente e nella sua interezza ma attraverso differenti e variabili punti di osservazione visiva e uditiva. Senso è una creatura generata da proprietà solide e tangibili in un ordine di segni e volumi, fissata da principi armonici, frantumata da componenti incorporee, fluide e transitorie, influenzate dalle alterazioni ambientali. È un luogo fenomenologico scandito e modellato da eventi statici e dinamici che si modificano con il respiro, le presenze e le assenze, liberando una rarefatta aura sonante, voce viva umanizzata costitutiva di un temporaneo paesaggio sonoro all’inverso, perchè risultato di fattori non involontari ma di forme, materiali, gesti determinati dalla scelta artistica. Senso è un habitat ampliato nel quale si realizza un passaggio osmotico costante di energia e informazioni alla conquista di nuovi status e punti di equilibrio e dove la materia, materiale e immateriale, possiede quelle caratteristiche intrinseche che permettono di trasformare, convertire e codificare i moti vibratori e le onde acustiche in un continuum “dentro” e “fuori” i corpi, i territori abitati dai corpi, i luoghi-non-luoghi dimore del sogno, del desiderio, dell’ispirazione, del pensiero. I confini stabiliti dalle assertività spaziali e temporali chiamano, così, all’esplorazione dello sguardo, all’ascolto del canto delle colonne, alla figurazione nel cielo del monumento di una melodia (cit. Paul Valéry). L’artista, dunque, apre ad uno spazio di comunicazione inter-soggettivo ed instaura un dialogo non apparente, silente ma non silenzioso, tra differenti inter-corporeità che procedono per impreviste e susseguenti relazioni tra figurazioni incarnate e visioni evocate da mondi immaginati. Allora, “il contenuto e il significato dell’arte diventa epico nel senso che rappresenta una metafora vissuta dell’esistenza umana nel mondo.”(cit. Juhani Pallasmaa)

Terra-Arte 2022 è promossa dall’Associazione Terra-Arte e si avvale del patrocinio del Comune di Blera, della collaborazione di Cittadellarte Fondazione Pistoletto, del Comune di Salisburgo e del Forum Austriaco di Cultura a Roma. 

Monica Pennazzi

Monica Pennazzi nasce ad Ancona nel 1972. Dopo la formazione in Progettismo di moda presso l’Università di Urbino, inizia a lavorare per diverse aziende affermate di moda come Tombolini e Fornarina. Nel 2002 decide di dedicarsi a tempo pieno alla sua vera vocazione: l’arte plastica. La sua ricerca si esprime attraverso opere a carattere scultoreo e installativo che privilegiano l’utilizzo di fibre sintetiche come poliuretano e silicone fino ad arrivare nei lavori attuali alle corde musicali. Partecipa a numerose esposizioni collettive e Biennali di scultura in Italia (Biennale di Scultura di Piazzola sul Brenta) e all’estero (TRIO Biennal de arte contemporanea di Rio de Janeiro). Nel 2009 vince il concorso “Massenzio arte” XIII premio internazionale Massenzio Arte per giovani artisti emergenti; nel 2013 si trasferisce in Brasile a Rio de Janeiro dove resterà, alternando Brasile e Italia, fino al 2019 e sviluppando e partecipando a numerosi progetti artistici e fiere d’arte contemporanea come Artigo Rio, Fiera di arte contemporanea di Rio de Janeiro. Concretizza alcune mostre individuali sia in Italia, “Cunauta”, esposta sia a Roma alla Storia Fornace del Canova nel 2015, ad Ancona alla Pinacoteca Civica Francesco Podesti nel 2016. A Rio de janeiro, “Horizontes” presso la galleria VGgard, Cassino Atlantico, Copacabana nel 2016, in Portogallo “Permutazioni Lineari” Museo del Vino di San Joan da Pequeira nel 2017, allo studio Mo.c.a Gallery, studio di Architettura di Cinzia Bonamoneta nel 2020. Presenta nel 2021 la sua prima scultura sonora nello studio Pisani di Sara Bernabucci, Roma. Dal 2017 partecipa a diverse residenze artistiche in Italia e all’estero: BoCs Art, residenze artistiche a Cosenza, il progetto DO.C Douro Contemporaneo, Portogallo, il Festival del Tempo a Sermoneta nel 2020, “IlluminAmatrice” ad Amatrice nel 2021, “Endecameron 21” al Castello di Rocca Sinibalda, Rieti e Todi Opendoors. 

Ivan Macera

Ivan Macera. Percussionista e sound artist, basa i suoi studi su un approccio personale dove la radice è la sperimentazione e l’improvvisazione terreno fertile per la continua e necessaria evoluzione della sua ricerca. Impegnato nell’osservazione e nell’analisi del suono come mezzo per lo sviluppo di un ascolto consapevole, in parallelo a lavori di natura prettamente concertistico/strumentale, nel corso degli anni si è dedicato all’elaborazione e alla realizzazione di oggetti sonori, sculture cinetiche e strumenti musicali. Ha suonato ed esposto in gallerie d’arte, teatri e festival tra cui: Teatri di Vetro 15 – Oscillazioni, Teatro India (Roma); Giornata del Contemporaneo – Fondazione Alfonso Gatto; Tarek Atoui “Cycle in 11”, Sharjah Art Foundation (EAU); CADAF New York e Miami; Bangalore International Centre, Science Gallery India; Festival Internazionale di Poesia di Genova; Music&Miles, Underdog USA Tour; Concerto del Primo Maggio Bologna; Etnodramma, Festival Documentario Etnografico; Opera Kantika; Poiesis Festival; Atina Jazz Festival; Festa Europea della Musica; Festival Opera Kantika; Auditorium Parco della Musica di Roma; Casa Cava di Matera. Come percussionista prende parte a molti progetti, collaborando con vari artisti della scena nazionale e internazionale. 

Programma 10 settembre 2022
ore 16.00: inaugurazione installazione ai Giardini di Jos – Blera (VT)
ore 19.00: degustazione prodotti locali nel Parco Terra-Arte e visita alle opere dell’edizione 2022. 


INFO

Terra-Arte 2022
Promosso dall’Associazione Terra-Arte
Con il patrocinio del Comune di Blera, in collaborazione con Cittadellarte Fondazione Pistoletto, Comune di Salisburgo, Forum Austriaco di Cultura a Roma
In collaborazione e con il supporto di blowart e Interno 14 next
Con il sostegno di Banca Lazio Nord

Contatti
Parco Terra-Arte
Località Pariano snc – 01010 Blera (VT)
Sandro Scarmiglia: +39 347 1915685 – terraarte3@gmail.comwww.terraarte.it

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next – blowart
tel 3494945612 – roberta.melasecca@gmail.com
www.melaseccapressoffice.itwww.interno14next.it

Al Palazzo delle Arti Napoli un’ampia retrospettiva sul grande cantante inglese David Bowie

David Bowie The Passenger by Andrew Kent

David Bowie a Napoli dal 24 settembre

Al Palazzo delle Arti Napoli un’ampia retrospettiva sul grande cantante inglese,

 mito di 50 anni di musica e arte, in programma dal 24 settembre a gennaio 2023

Napoli, 2 settembre 2022

Sarà David Bowie – The Passenger ad aprire la nuova stagione autunnale di mostre a Napoli, dal 24 settembre al 29 gennaio 2023, al PAN Palazzo delle Arti.

Dopo il successo della mostra su Andy Warhol conclusa lo scorso luglio, la società Navigare Arte e Cultura  presenta l’importante esposizione dedicata al Duca Bianco, a cura di Ono Arte Contemporanea, realizzata con una raccolta di documenti fotografici di eccezione firmati dal fotografo statunitense Andrew Kent, che instaurò con Bowie un rapporto di fiducia e lo seguì in un intenso periodo, tra il 1975 e il 1978, durante i frenetici viaggi in treno e in nave, in occasione dei suoi tour nelle principali capitali europee.

La retrospettiva, che si compone di 60 fotografie ma anche di documenti, cimeli, abiti, manifesti dei tour e ricostruzioni di ambienti, provenienti dall’archivio di Kent e di collezionisti privati, testimonia l’importante periodo che segnò il ritorno di Bowie in Europa e, al contempo, uno sguardo su un continente all’epoca diviso dal Blocco Sovietico.

Da Parigi a Helsinki, da Berlino a Mosca, lo straordinario artista britannico attraversò l’Europa e la osservò, traendone continua ispirazione e trovandovi rifugio in un momento decisivo della sua carriera e della sua vita. Proprio il suo ritorno in Europa sarà l’incubatore per la sua celebre trilogia berlinese: gli album Low e Heroes, del 1977 e Lodger, del 1979.

Noto per aver realizzato anche le immagini più iconiche di altri grandi artisti come Freddie Mercury, Iggy Pop, Frank Zappa, Elton John e molti altri, Andrew Kent ha reso possibile un progetto straordinario che sicuramente sarà amato dai fan di David Bowie – spiega Salvatore Lacagnina produttore della mostra – ma anche dal pubblico che ancora non si è mai avvicinato all’eclettico artista, protagonista indiscusso della scena musicale contemporanea, attore, pittore, fotografo, capace di influenzare linguaggi artistici ed estetici e di conquistare l’immortalità“.


David Bowie – The Passenger è realizzata in collaborazione con il Comune di Napoli, il PAN Palazzo delle Arti Napoli e Diffusione Cultura e sarà visitabile tutti i giorni da sabato 24 settembre a domenica 29 gennaio 2023. Informazioni su ingressi e orari: https://www.navigaresrl.com/

UFFICIO STAMPA – KÜHNE & PARTNERS
Fabrizio Kuhne – Brunella Bianchi
E-mail –  comunicazione@fabriziokuhne.com

Bunker di Caldogno (VI): Il nuovo capitolo del progetto #LASCIAMIANDARE di Monica Marioni

Monica Marioni – #lasciamiandare, diario giorno 5 –
55×42 cm – digital painting – 2022

BUNKER DI CALDOGNO (VI)
8 – 28 settembre 2022

MONICA MARIONI
#LASCIAMIANDARE

a cura di MARIA ROSA SOSSAI

Il nuovo capitolo del progetto #LASCIAMIANDARE nasce da esperienze autobiografiche dell’artista e si articola attorno al tema delle relazioni tossiche e delle dinamiche psicologiche della dipendenza affettiva.

Dall’8 al 28 settembre 2022, il Bunker di Caldogno (VI), struttura militare tedesca costruita nel 1943 poi convertita in spazio espositivo, ospita il nuovo appuntamento di #LASCIAMIANDARE,il progetto/contenitore di Monica Marioni, a cura di Maria Savarese, in collaborazione con Maria Rosa Sossai, e Igor Zanti, ed il contributo dello psicologo Stefano Di Carlo.

#LASCIAMIANDARE racconta della progressiva riconquista del proprio giudizio, della corretta prospettiva di sé e del mondo, alla fine di una relazione tossica. Partendo da un’esperienza personale, il progetto si articola in un corpus di opere che hanno come tema le dinamiche psicologiche emblematiche della dipendenza affettiva.

La tappa vicentina di #LASCIAMIANDARE, curata da Maria Rosa Sossai, trasforma il bunker in una casa-prigione nella quale la violenza fisica e psicologica esercitata dall’uomo nei confronti della donna durante la pandemia, viene ritratta in un’articolazione di opere quali video, installazioni, fotografie e disegni.

Il percorso si apre nel primo spazio, all’ingresso del bunker, dove è allestita una sorta di wunderkammer composta da disegni, foto di piccolo formato, oggetti e brevi video realizzati durante il periodo della segregazione.

L’architettura dello spazio riproduce in modo allegorico la realtà quotidiana così come è stata vissuta e percepita dalla preda. Ogni ambiente diventa il simbolo di una diversa forma di prevaricazione: un telefono che squilla ininterrottamente, un metronomo che scandisce il tempo, un banco di scuola, una brandina, un frigorifero vuoto, una colonna doccia da cui scende di continuo l’acqua. Completa l’esposizione l’opera video Olia che è la rappresentazione in chiave universale di ogni tipo di conflitto tra predatore e preda.

“Riconoscere l’altro per quel che è e fa realmente, nei confronti propri e degli altri – precisa Monica Marioni – è il livello di consapevolezza che rende possibile analizzare il ‘mostro’, guardandolo dritto in faccia con l’obiettività di chi conosce nel dettaglio le sue responsabilità. È un punto di arrivo altissimo a cui esortare ogni vittima, è il vero e proprio appello che questo progetto vuole lanciare a chiunque, uomo o donna, abbia vissuto personalmente esperienze di questa natura.

Rendere visibile, o meglio ‘sensibile’ ciò che un individuo prostrato dalla strategica violenza interpersonale attraversa – prosegue l’artista – è lo slancio ulteriore, il passo in più che l’arte vuole compiere per amplificare e diffondere questa profonda e dolorosa consapevolezza raggiunta”.

Il catalogo in cui confluirà l’intero racconto artistico ed espositivo, è dedicato a Vittorio Carità.

Il prossimo appuntamento in programma nel mese di novembre 2022 si terrà al Complesso Conventuale di San Domenico Maggiore, a Napoli (ora museo DOMA)

Monica Marioni

Note biografiche

Monica Marioni nasce a Conegliano Veneto (TV) nel 1972 ma si trasferisce giovanissima nel vicentino dove tuttora vive alcuni mesi all’anno. Artista multidisciplinare, Marioni fa dell’arte una professione a seguito dell’incontro con Antonina Zaru, gallerista, mecenate, già amica e complice di artisti di fama internazionale quali Nam June Paik, Luca Pignatelli, Giovanni Frangi, Velasco, Salvatore Garau. È lei a riconoscere per prima il potenziale di Monica, spingendola a muovere i primi passi partendo da Napoli, con una collettiva a palazzo Crispi. La collaborazione pluriennale culmina con l’invito a realizzare un’opera monumentale nell’ambito di un evento collaterale alla 53^ Biennale d’Arte di Venezia. Ècosì che crea “Ego”, installazione e videoarte unite in un unico lavoro. Nel muoversi dall’astrattismo verso la figurazione, e dal quadro alle altre forme approda alla “pittura digitale” con il progetto “Ninfe”, presentato a Vicenza per iniziativa della Fondazione Vignato per l’Arte, e in “IO SONO”, allestito a Milano alla Fondazione Stelline, con la curatela di Oliver Orest Tschirky, durante il quale incontra per la prima volta la performance, ospitando il danzatore Butoh tedesco Imre Thormann.

Con “REBUS” del 2013, Monica Marioni torna al materico in tecnica mista per dare corpo a una narrazione eterea ed enigmatica, preludio alla iconicità delle successive opere di “FAME!”, progetto pensato per EXPO 2015 – Feed the planet, ma presto svincolatosi per raccontare tutte le «fami» proprie dell’individuo contemporaneo, attraverso la compresenza di quadri, foto, installazioni e momenti performativi. Con FAME! al PAN di Napoli, inizia la collaborazione con la curatrice Maria Savarese attraverso il progetto filmico LE UMANE PAURE: partendo da una serie di performance dell’artista, il regista Nicolangelo Gelormini ha girato un film d’arte di 14 minuti. 

L’ultimo progetto, “HOTEL MO.MA”, curato da Maria Rosa Sossai e presentato nel febbraio 2019 a Vicenza, ha segnato un avvicinamento deciso verso un’arte più minimale e concettuale, installativa e performativa, legata a stretto filo ad una figura fondamentale dell’architettura italiana quale Carlo Scarpa. 

In ogni sua forma, l’attenzione artistica di Monica Marioni è sempre concentrata sulla figura umana, che rappresenta con una vasta e varia gamma espressiva atta a raccontare le paure, ansie e nevrosi dell’individuo contemporaneo.


INFO

MONICA MARIONI. #LASCIAMIANDARE
Caldogno (VI), Bunker Caldogno – Complesso di Villa Caldogno, via G. Zanella 3
8-28 settembre 2022

Opening: giovedì 7 settembre 2022, dalle ore 18.00

Orari: tutti i giorni dalle 11.00 alle 14.00 e dalle 17.00 alle 20.00

Ingresso: intero €5,00; ridotto (under 20 – over 65) €3,00; gratuito under 14

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco | T +39 02 36755700; M +39 349 6107625
anna.defrancesco@clp1968.it
www.clp1968.it

Taormina, A-HEAD Art Project: Consegnati i Premi alla ricerca artistica under 35 | Premio “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”

Consegna dei Premi – Foto: Giulia Fraticelli

Consegnati a Taormina i Premi alla ricerca artistica under 35 
del Premio Internazionale
“Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”
promosso da A-HEAD Project di Angelo Azzurro ONLUS

Si è svolta sabato 3 settembre 2022, nella splendida cornice del Palazzo Duchi di Santo Stefano a Taormina, la cerimonia di premiazione della prima edizione del Premio Internazionale “Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”, dedicato alla valorizzazione di artisti under 35 e promosso da A-HEAD Project di Angelo Azzurro ONLUS, fortemente voluto dal suo curatore Piero Gagliardi e presieduta dalla  dottoressa Stefania Calapai

Taormina, Palazzo dei Duchi di Santo Stefano

La cerimonia, moderata dal giornalista Alessio Morganti, ha visto l’intervento della dottoressa Roberta Melasecca che ha coordinato la Giuria per la selezione delle due artiste vincitrici, e successivamente l’intervento della Dottoressa Stefania Calapai che ha anticipato la seconda Edizione del Premio alla quale si lavora già con grande intensità. 

Il “Premio Giovan Battista Calapai“, avente valore netto di € 1000,00 e comprensivo di una pubblicazione A-HEAD Edizioni, è stato assegnato a Camilla Gurgone, giovane promessa dell’arte di origine toscana ma residente a Milano. 

La “Menzione Speciale Theodora van Mierlo Benedetti“, del valore netto di € 500,00 e comprensiva di una pubblicazione A-HEAD Edizioni, è stata assegnata a Gisella Chaudry residente a Torino dove opera, ma di origini in parte pakistane e in parte siciliane.

Ad entrambe le artiste la Onlus Angelo Azzurro ha voluto consegnare due opere della serie “White Flower” dell’artista Luca Guatelli. Infine ha accompagnato la cerimonia una degustazione di pregiati vini dell’azienda laziale Casale del Giglio.

Il Premio Internazionale è dedicato alla memoria di Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti, due figure centrali che hanno contribuito in modo determinante alla connessione tra la Angelo Azzurro – costituita nel 2008 dalla presidente e psichiatra Stefania Calapai, sempre attiva nella lotta contro lo stigma dei disturbi mentali – e il settore dell’arte, con la nascita nel 2017 del progetto A-HEAD per volere delle famiglie Calapai e Lo Giudice in collaborazione con artisti e dj di respiro internazionale, artefici dei vari laboratori che da anni la Onlus svolge accanto alle attività di psicoterapia più tradizionali. Con A-HEAD la cultura diviene un motore generatore di sanità perché i ricavati sono devoluti a favore di progetti riabilitativi della Onlus Angelo Azzurro, legati alla creatività, fondamentale per lo sviluppo di una sana interiorità. Lo scopo globale del progetto è quello di aiutare i giovani che hanno attraversato un periodo di difficoltà a reintegrarsi pienamente nella società, attraverso lo sviluppo di nuove capacità lavorative e creative.


INFO

Cerimonia di premiazione Premio Internazionale
“Giovan Battista Calapai e Theodora van Mierlo Benedetti”
Con il patrocinio del Comune di Taormina
Promosso da A-HEAD Project di Angelo Azzurro ONLUS
Con il contributo di Casale del Giglio
Foto: Giulia Fraticelli
Palazzo Duchi di Santo Stefano
Via De Spuches – Taormina (ME)

Segreteria organizzativa
Roberta Melasecca
premiocalapai@gmail.com

Angelo Azzurro ONLUS
infoangeloazzurro@gmail.com
https://associazioneangeloazzurro.org

Ufficio Stampa Angelo Azzurro
Alessio Morganti
alessio.mrg@hotmail.it
Barbara Speca
barbaraspeca@libero.it

Ufficio stampa A-HEAD
Roberta Melasecca_Interno 14 next – Melasecca PressOffice
roberta.melasecca@gmail.com
www.melaseccapressoffice.it

Alessandria: “APERTO PER CULTURA” il format per la rinascita di città e comunità

APERTO PER CULTURA

il format per la rinascita di città e comunità torna ad Alessandria sabato 10 settembre dalle ore 17 alle 24

“La cultura in tutti i sensi – Quando la cultura si fa guardare, sentire e gustare”

Teatro, musica live, museimonumenti aperti gratuitamente uniti alla sapiente arte della ristorazione 

Aperto per Cultura torna ad Alessandria sabato 10 settembre 2022, l’innovativo format evento ideato dalla Confcommercio tornerà ad illuminare e animare piazze, vie, cortili e balconi della città piemontese.

La trasformazione di luoghi abbandonati ed in disuso in luoghi di cultura: ecco la cifra vincente di questa manifestazione.

Aperto per Cultura è un format di “city management” nato per riqualificare e rilanciare i centri storici delle città abbinando cultura ed enogastronomia. E’ nato nel 2016 riaprendo i negozi sfitti, che sono diventati palcoscenici per spettacoli teatrali, trasformandosi, per una sera, da luoghi abbandonati a luoghi di cultura.

I balconi dei palazzi ospitano musica dal vivo e i ristoratori allestiscono scenografiche tavole a cielo aperto. Il tratto distintivo di questa manifestazione è la capacità di coinvolgere l’intero tessuto urbano, sia fisico che sociale, in una grande operazione culturale: la cultura invade la città, ne occupa gli spazi anche più insoliti, svolgendo una forte azione rigeneratrice e riqualificatrice, che non esaurisce i propri effetti nella sola serata dell’evento. In tutto questo, la componente enogastronomica, altra grande espressione culturale del territorio, fa da collante agli eventi diffusi. 

Aperto per Cultura, insomma, offre un connubio inscindibile di spettacoli teatrali che si ripetono a ciclo continuo, per tutta la durata dell’evento in insolite e originali location, di concerti di musica jazz e classica, con musica che proviene da balconi e cortili, di musei aperti e visite guidate per la città e le sue bellezze artistiche e architettoniche, il tutto unito alla miglior offerta enogastronomica del territorio, elaborata con particolare cura ai dettagli estetici dei buffet allestiti. 

Fra gli ospiti attesi: Antonio Ornano, Maurizio Lastrico, Paolo Fresu, Gualtiero Burzi, Davide Iacopini, Dino Rubino

Oggi Aperto per Cultura è un positivo esempio di partnership pubblico-privato esportato anche in altre città (Siracusa, fra le altre). L’ultima edizione alessandrina ha proposto 50 punti culturali con oltre 9.000 spettatori per le sole performance teatrali, ha coinvolto 62 imprenditori dell’area food e ha generato oltre 9 milioni di interazioni sui profili social. E’ diventato un termine di paragone con il quale “misurare” la qualità degli eventi ed è una squadra che raccoglie sempre più “giocatori”. 

L’edizione 2022, il ritorno

Dopo 2 anni di pausa forzata, causa le regole anti-Covid imposte nel periodo pandemico, Aperto per Cultura torna con ancora più forza, perché la riscoperta dei luoghi e delle loro eccellenze è, oggi, ancora più sentita. Il richiamo è a tutti i sensi che coinvolge e a tutti i significati che esprime la cultura all’interno della vita di una città e di una comunità. 

La vista, perché ci sarà molto da vedere: 

  • 15 spettacoli teatrali, dislocati per il centro città, fra i quali le performance di Maurizio Lastrico, Antonio Ornano, dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa, di Gualtiero Burzi e Massimo Iacopini, le performance dirette dal direttore artistico Daniel Gol e numerosissimi altri; 
  • Mostre, sale d’arte, chiese, musei e monumenti della città saranno aperti per tutta la serata dell’evento, con visite guidate e con performance teatrali e musicali all’interno; 
  • 3 conferenze e workshop di approfondimenti su letteratura, cinema e comunicazione, anche a cura dell’Università del Piemonte Orientale; 
  • Tour dell’Alessandria Massonica, con una visita guidata a tema, realizzata appositamente per la serata dell’evento. 

L’udito, perché ci sarà molto da ascoltare: • 28 concerti di musica jazz e classica, diffusi per i balconi, le vie, le piazze ed i cortili della città, con la partecipazione di musicisti come Paolo Fresu, Dino Rubino, Rino Cirinnà, degli allievi del Conservatorio Vivaldi di Alessandria e di moltissimi altri professionisti di caratura internazionale;  

Il gusto, perché ci sarà molto da assaggiare: • 35 buffet enogastronomici, allestiti a cielo aperto con gusto, eleganza e raffinatezza. 

Altra peculiarità di Aperto per Cultura è la gratuità di tutti gli eventi teatrali, musicali e culturali, fruibili per tutto l’arco della serata, a ciclo continuo, per permettere ai visitatori di realizzare un percorso virtuoso tra teatro e musica, letteratura e arte.  

Tutto il programma culturale ed enogastronomico dell’edizione 2022 di Aperto per Cultura, è consultabile sul sito www.apertopercultura.net e sulla App Aperto per Cultura. 

https://www.apertopercultura.net – info@apertopercultura.net  – visitalessandria.it


INFO
Melina Cavallaro

Uff. stampa & Promozione FREE TRADE Roma 
Valerio De Luca resp. addetto stampa  
Via Piave 74 – 00198 Roma – 
www.freetrade.it  Skypecavallaro.melina 

Roma, Curva Pura: “Quel che resta del fuoco” – Elena Bellantoni-Arianna De Nicola-Delphine Valli | A cura di Nicoletta Provenzano

Quel che resta del fuoco
Elena Bellantoni – Arianna De Nicola – Delphine Valli

A cura di Nicoletta Provenzano

Inaugurazione 9 settembre 2022 ore 18.30 – 21.30

Curva Pura | Via Giuseppe Acerbi, 1a – Roma

Il giorno 9 settembre 2022 alle ore 18.30, Curva Pura è lieta di presentare la tripersonale di Elena BellantoniArianna De NicolaDelphine ValliQuel che resta del fuoco, a cura di Nicoletta Provenzano: un dialogo tra ciò che rimane sotteso nell’ardore trattenuto sotto la cenere, ciò che si forgia nel fuoco e serba le tracce della fiamma, ciò che si consuma e si perde nella propria dissoluzione e fine, nella sfumatura e somiglianza con un passato fuggevole che perdura racchiuso in resistenze, ricordi e spoglie incenerite.

Le artiste, artefici di un fuoco che è axis mundi tra assenza e presenza, danno forma alla condizione di possibilità di un resto inafferrabile e disperso, nel mutamento e passaggio di sopravvivenze ed estinzioni. 

Elena Bellantoni, nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, delinea una illuminata osservazione lungo le accorate, sperse e forse spente trepidazioni di coscienze e credi civili, rischiarate e personificate nella diacronia storica, sulle salde orme cineree di un fremito letterario e politico, riconosciute e sedimentate tra i quartieri di Testaccio e Ostiense nei silenzi e nelle malinconie, nelle grida e nei brusii di una vita che scorre istintiva e inconsapevole. 

Arianna De Nicola, nella dispersione e sparizione inevitabile della materia, sutura e unifica in una trama fragile e tenace frammenti e cicatrici dell’addio, tramutando il dolore in una intima e struggente permanenza mnestica e sostanziale, ricomposta e rianimata, moltiplicata e disseminata in ogni elemento residuale, il ri-torno di un tutto dissipato nel nulla, tra ascesa e discensione, come azione medianica che sottrae le spoglie dallo spargimento e dalla desolazione luttuosa. 

Delphine Valli, tra le fiamme della fucina, modella e tempra la traccia di un vuoto nell’esistenza, di una sospensione della percezione sensibile. L’artista, nella feroce saturazione irriflessa di un perdurare meccanico, conforma una spazialità geometrica, inserita e presenziata nell’oggettività della quotidianità di una dimensione esperienziale, che è flusso parcellizzato e sfumato nell’identità in-cosciente, custodita e innalzata ad assioma. Una fine che lentamente scompare e si spoglia del dicibile, diviene rinnovata combustione feconda, voce poetica che, pregnante, ma enigmaticamente silente, si rivela sussulto di persistenza. 

La mostra è un incontro di potenze e conformazioni elegiache trasformate nella vampa del tempo vissuto, di ideali e di edificazioni semantiche riflesse nelle perdite, unioni e separazioni di storie, nell’inquietudine della memoria e dell’oblio. 


INFO

Quel che resta del fuoco
Elena Bellantoni – Arianna De Nicola – Delphine Valli
a cura di Nicoletta Provenzano

Inaugurazione 9 settembre 2022
ore 18.30-21.30
Fino al 9 ottobre 2022
Orari: su appuntamento –
prenotare via mail curvapura@gmail.com o whatsapp 3314243004

Curva Pura 
Via Giuseppe Acerbi, 1a – Roma
curvapura@gmail.com

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca
Melasecca PressOffice – Interno 14 next
tel 3494945612 – roberta.melasecca@gmail.com
www.melaseccapressoffice.itwww.interno14next.it

Todi (PG): il Festival delle Arti ospita Fabrizio Plessi, il pioniere della video arte italiana

Fabrizio Plessi, Todi Today, 2022 (disegno)

TODI (PG)

FINO AL 25 SETTEMBRE 2022

IL FESTIVAL DELLE ARTI
OSPITA

FABRIZIO PLESSI

Numerose iniziative rendono omaggio al pioniere della video arte italiana:

il 26 agosto, Piazza del Popolo ha accolto Todi Today una fontana digitale di 12 metri di altezza;

dal 27 agosto al 25 settembre, nella Sala delle Pietre di Palazzo del Popolo, si terrà la mostra di dipinti Progetti del mondo.

Alle Cisterne romane sarà allestita in permanenza Secret Water, la scultura composta da quattro colonne di acqua elettronica, che diventerà patrimonio della città.

A cura di Marco Tonelli

Il Festival delle Arti, giunto alla sua terza edizione, curato da Marco Tonelli, promosso e organizzato dalla Fondazione Progetti Beverly Pepper, in collaborazione con il Comune di Todi e il Todi Festival, con il patrocinio del MiC – ministero della Cultura, della Regione Umbria, della Provincia di Perugia, della Fondazione Perugia e di ETAB, celebra uno degli artisti più conosciuti e apprezzati a livello internazionale con una serie d’iniziative che coinvolgerà il centro storico della cittadina umbra.

“Giungiamo a questa terza edizione del Festival delle Arti con grande orgoglio – afferma Michele Ciribifera, presidente Fondazione Progetti Beverly Pepper. Sebbene giovane, il Festival ha portato di anno in anno a Todi artisti di fama internazionale nonché eventi di elevata qualità. Questi eccezionali risultati sono stati raggiunti grazie alla preziosa collaborazione del Comune di Todi e all’intenso lavoro messo in campo dalla nostra Fondazione che ha sempre agito con enorme passione e dedizione nel nome di Beverly Pepper e del suo legame con la città di Todi”.

“Artisti di eccellenza, installazioni permanenti e un museo a cielo aperto di arte contemporanea: questi continueranno – prosegue Michele Ciribifera – a essere i nostri obiettivi per la crescita, la valorizzazione e lo sviluppo del patrimonio culturale e turistico della città di Todi e della nostra meravigliosa regione”.

Secret Water, Todi Today e Progetti del mondo – ricorda Marco Tonelli – è un’unica grande mostra di Fabrizio Plessi suddivisa in tre luoghi differenti di una stessa città, in un avveniristico e visionario dialogo tra storia e contemporaneità, flussi elettronici e pietre, scenari dal mondo e identità culturali”.

“Per Plessi – continua Marco Tonelli – l’attraversamento dei generi, l’ibridazione dei materiali, l’esaltazione del segno grafico come sismografo dei tempi sono elementi caratterizzanti la sua idea di arte, pensiero e creatività, in un continuo scambio di energia che dagli anni Settanta ad oggi lo vede protagonista della scena internazionale in quanto video artista e video scultore che ha saputo aggiornare la strumentazione tecnologica senza cambiare la concezione poetica del mondo”.

“Quando qualche anno fa ha iniziato a prendere forma il progetto di fare di Todi una piccola grande capitale dell’arte contemporanea – ricorda il Sindaco di Todi – neppure i più visionari avrebbero potuto immaginare che la città arrivasse in così poco tempo ad avere un Festival delle Arti in grado di vantare la presenza delle opere di Beverly Pepper, di Arnaldo Pomodoro ed ora, nel 2022, quelle di Fabrizio Plessi, protagonista in contemporanea di tre diversi straordinari eventi. Negli anni a venire non sarà facile tenere il passo di un così eccezionale “trittico” ma Todi è in grado di riuscirci grazie ad un humus culturale e artistico che, proporzionalmente alle sue dimensioni, ha pochi eguali nel nostro Paese. Ne sono testimonianza i grandi nomi che hanno onorato la città in passato e quelli che lo fanno ancora oggi, in un continuo passaggio di testimone che vivifica la storia millenaria dei suoi palazzi, delle sue chiese, della sua comunità.

Altre sfide attendono Todi in futuro. Il Festival delle Arti ci aiuterà a raccoglierle, alzando lo sguardo per guardare ammirati alla bellezza e al futuro”.

Il programma espositivo si apre venerdì 26 agosto, con l’inaugurazione, in Piazza del Popolo, dell’opera monumentale dal titolo Todi Today, una fontana digitale che rimarrà in loco fino al 25 settembre.

Si tratta di un vero e proprio monolite elettronico bifacciale che si accenderà ogni giorno, una scultura alta 12 metri in cui scorre acqua digitale – uno degli elementi primari della cifra espressiva di Fabrizio Plessi – che si solleva dal basso per raggiungere il culmine della colonna e poi ricadere, ricominciando senza sosta il suo ciclo di ascesa e caduta. L’opera, inoltre, si ricollega alla verticalità delle torri di Todi, alle Colonne di Beverly Pepper e alle Steli di Arnaldo Pomodoro, installate negli anni passati in occasione del Festival delle Arti.

Il 26 agosto alle Cisterne romane saranno inaugurate quattro sculture realizzate appositamente per lo spazio sotterraneo, oggetto di un importante intervento di ampliamento e di riqualificazione, che rimarranno in permanenza, diventando parte del patrimonio culturale della città.

In questo lavoro, composto da quattro grandi ledwall verticali, il tema dell’acqua ritorna secondo un intento di ricostruzione storica dell’antico suo tragitto per l’approvvigionamento della città. L’arte contemporanea si fa allora ponte tra passato e futuro, tra le sopravvivenze storiche e i linguaggi del domani poiché determinata da un forte radicamento in ciò che è arcaico e ancestrale.

Sabato 27 agosto sarà inaugurata alla Sala delle Pietre di Palazzo del Popolo, la personale di Fabrizio Plessi, Progetti dal mondo, che rimarrà aperta fino al 25 settembre.

La mostra, presentata in contemporanea con l’apertura di Todi Festival, includerà dipinti di grandi dimensioni realizzati nel 2013 e mai esposti in Italia. Questi ultimi, ispirati a città come Roma, Bombay, Nagoya, Kyoto, Maiorca, rappresentano una sorta di collage di schizzi, progetti, appunti evocativi e non descrittivi di video installazioni realmente realizzate o solo immaginate. Vicini alle suggestioni delle Carceri di Piranesi, in bianco e nero con solo poche e flebili sfumature di colore, i dipinti sono dunque la proiezione di sogni e fantasie di un artista che ha sempre legato la pratica del disegno all’umore dei luoghi, delle luci, della storia e degli odori in cui avviene.

La Fondazione Progetti Beverley Pepper realizzerà un catalogo che documenterà la presenza di Plessi a Todi.

Durante il Festival è in programma una serie di visite guidate e di laboratori gratuite per famiglie, come l’Urban Art Tour (sabato 27 agosto e sabato 3 settembre), in cui guide esperte accompagneranno i partecipanti in un viaggio urbano alla scoperta dell’arte contemporanea, partendo dal Parco di Beverly Pepper per giungere nel centro di Todi per ammirare le installazioni di Fabrizio Plessi. O come il Kids Art Day (domenica 28 agosto e domenica 4 settembre) che si terrà nel Parco di Beverly Pepper; qui, immersi nell’arte contemporanea, nella storia e nella natura, bambini e famiglie saranno invitati a partecipare ad attività laboratoriali in presenza di educatori professionisti.

Note biografiche

Fabrizio Plessi è nato a Reggio Emilia nel 1940. Vive e lavora a Venezia.

È uno dei pionieri della video arte in Italia e sicuramente il primo ad aver utilizzato il monitor televisivo come un vero e proprio materiale fin dagli anni Settanta. Ha insegnato per dieci anni “Umanizzazione delle tecnologie” e “Scenografia elettronica” alla Kunsthochschule für Medien di Colonia. Al Passo del Brennero è stato inaugurato nel novembre del 2013 il Plessi Museum, opera di architettura, scultura e design che si integra perfettamente con il paesaggio naturale circostante.

In ambito nazionale e internazionale non si contano le sue partecipazioni a importanti rassegne come la Biennale di Venezia, Documenta di Kassel o mostre personali tenute in vari musei del mondo: dal Centre Pompidou di Parigi al Guggenheim di New York e Bilbao, dal Museo Civico di Reggio Emilia alle Scuderie del Quirinale di Roma, dal Martin Gropius Bau di Berlino all’IVAM di Valencia, dal MoCA di San Diego al Museo Ludwig di Budapest e Koblenz, dal Kestner Gesellschaft di Hannover al Museo d’Arte Moderna di Maiorca, dal Kunsthistorisches di Vienna alla Fondazione Mirò di Barcellona o al Fondaco dei tedeschi a Venezia. Nel 2011 il Padiglione Venezia della Biennale di Venezia ha riaperto dopo anni di chiusura con una sua imponente installazione dal titolo Mari Verticali.

Suggestive le sue opere site specific create per spazi antichi e classici come Piazza San Marco a Venezia, la Valle dei Templi di Agrigento, la Lonja di Palma de Maiorca, la Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova o le Terme di Caracalla a Roma. Nel 2015 ha rappresentato con una monumentale scultura elettronica il Padiglione della Bielorussia per Expo Milano e a Venezia si è tenuta la mostra Liquid Life/Liquid life nelle sedi espositive dell’Arsenale e della Galleria G. Franchetti Ca’ d’Oro.

Dopo aver realizzato a partire dal 1989 scenografie teatrali per spettacoli di danza e teatro come Ex Machina, Icarus, Titanic, Romeo and Juliet, Vestire gli Ignudi, L’Opera da tre soldi, nel 2017 ha ideato per il Teatro La Fenice di Venezia Fenix DNA, una suggestiva opera d’arte totale, immersiva e multisensoriale, mentre nel 2018 ha tenuto una mostra personale presso il Museo Pushkin di Mosca.

Nel 2022 sono state inaugurate l’installazione I mari del mondo – Omaggio a Zaha Hadid presso le TorriGenerali di Milano e la mostra sulle sue scenografie elettroniche Pagine di Luce presso Palazzo Collicola di Spoleto.

www.fabrizioplessi.net

Il Festival delle Arti di Todi

Concepito dalla Fondazione Progetti Beverly Pepper, il Festival delle Arti gode della collaborazione del Comune di Todi e del Todi Festival.

Del resto, il suo scopo primario è di contribuire attivamente allo sviluppo e alla crescita del turismo culturale consapevole, attraverso la costituzione e l’organizzazione di una rete di valorizzazione fra le istituzioni pubbliche e private del territorio, con servizi dedicati, in uno scambio innovativo che valorizzi l’utilizzo degli spazi pubblici attraverso l’arte.

Ad ispirarlo di fatto, è il principio secondo cui l’artista americana – di cui la Fondazione porta il nome – ideò il proprio parco sculture nella città di Todi: la vicinanza dell’arte al pubblico attraverso progetti in cui perfetta sia l’integrazione tra patrimonio storico e linguaggi del presente.

Per tale ragione, obiettivo principale della Fondazione Progetti Beverly Pepper nell’ambito del Festival delle Arti è portare artisti di caratura nazionale e internazionale ad intervenire nel contesto urbano di Todi con installazioni, oltre che temporanee, soprattutto permanenti, da lasciare cioè alla città. Ciò coerentemente a quell’idea di museo a cielo aperto che ha origine presso il Parco di Beverly Pepper.

A riprova di tale scopo, le due precedenti edizioni: la prima (2019), dedicata all’artista americana, ha visto installate in Piazza del Popolo, dopo il 1979, le sue Todi Columns, ora svettanti al Parco; la seconda, sulla scia di Pepper, ha visto protagonista il celebre Arnaldo Pomodoro con le sue Quattro Steli in Piazza e i suoi Scettri presso i Giardini Oberdan, questi ultimi lasciati in maniera permanente alla città di Todi.


INFO

FABRIZIO PLESSI AL FESTIVAL DELLE ARTI
Todi (PG), Piazza del Popolo; Cisterne romane; Sala delle Pietre- Palazzo del Popolo
26 agosto – 25 settembre 2022

Biglietti
Cisterne romane
Intero 2€; Ridotto (over 60, under 25) 1€; Gratuito bambini sotto i 6 anni
Sala delle Pietre – Palazzo del Popolo
ingresso gratuito

Orari cisterne romane
Mercoledì e giovedì 15.00-18.00
Venerdì, sabato e domenica 10.00 – 13.00 / 15.00 – 18.00
Dal 27 agosto al 4 settembre: apertura serale 21.30 – 23.30

Orari Sala delle Pietre – Palazzo del Popolo
Dal 27 agosto al 4 settembre: dal lunedì alla domenica 10.30 – 12.30 / 16.00 – 19.30
Dal 5 al 25 settembre: dal venerdì alla domenica 10.30 – 12.30 / 16.00 – 18.30

Per info: 346.5147236 (anche whatsApp)

Sito internet:  www.fondazioneprogettibeverlypepper.com 

Social:
Facebook: @ProgettiPepper
Instagram: @fondazionep_beverlypepper

Staff Sindaco di Todi
Gilberto Santucci | tel. 0758956212, 366 4139571 | ufficio.stampa@comune.todi.pg.it

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Clara Cervia | tel. 02.36755700 | clara.cervia@clp1968.it | www.clp1968.it

Sabrina Rastelli – Re-emerging from underground: The great achievements of the Yaozhou kilns through their archaeological investigation

VIVACI TRASPARENZE 
Ceramiche di Yaozhou dalla collezione Shang Shan Tang 

A cura di Sabrina Rastelli 

07.09>23.10.2022

MAOV Museo di Arte Orientale di Venezia
Ca’ Pesaro, S.Croce 2076, Venezia 

Vivaci Trasparenze: ceramiche di Yaozhou dalla collezione Shang Shan Tang è una mostra di ceramiche interamente dedicata alle manifatture di Yaozhou, situata a circa 100 km a nord di Xi’an, nella Cina settentrionale (dove si trova il celeberrimo esercito di terracotta del Primo Imperatore), che si terrà al Museo d’Arte Orientale di Venezia dal 7 settembre al 23 ottobre 2022, con l’organizzazione di Fondazione Università Ca’ Foscari e MAOV.

Università Ca’ Foscari Venezia, con il suo Dipartimento di Studi sull’Asia e Africa Mediterranea, e Museo d’Arte Orientale della Direzione regionale Musei Veneto tornano ancora una volta a collaborare per la realizzazione di eventi di elevato profilo scientifico e insieme divulgativo, in una sinergia di intenti utile e necessaria per la diffusione della conoscenza delle culture extraeuropee.

Saggio di Sabrina Rastelli

Introduction

“Yaozhou ware” is associated with a type of blue/green ware (qingci in Chinese or celadon, to use an old French term) characterised by vivid designs carved or impressed under a transparent, olive green glaze (fig. 1). This variety was indeed the flagship product of the manufacture at Huangbuzhen (also pronounced “Huangpuzhen”), Tongchuan, Shaanxi province, but not the only one nor the first. The association of this style with the Yaozhou kilns and the identification of the Huangbuzhen factory as the leading one (rather than the manufacture at Linru, Henan province) were put forward only at the end of the 1950s. Before then, this type of Yaozhou blue/green ware was broadly classified as “northern celadon”.  The term “Yaozhou” was not lost, it appeared in a few of the many written sources compiled at least since the Song dynasty (960-1279), but nobody knew what Yaozhou ware looked like and the interest of scholars and collectors mainly concentrated on the so-called “five famous wares of the Song dynasty”, Longquan blue/green ware and of course Jingdezhen porcelain. However, by the very end of the 20th century, the Yaozhou site was the best excavated kiln in China, thanks to its completeness and good archaeological practice. This has allowed to piece together the development of the ceramic centre from its establishment in the Tang dynasty (618-907) to its demise under the Mongol regime (1234-1368) and, more importantly, to demonstrate the great technological achievements of the Yaozhou potters, which were truly groundbreaking.

The first surveys

The archaeological history of the Yaozhou kilns starts with two discoveries occurred far away from Huangbuzhen. The first, in 1951, was the finding of a stele at the Dangyangyu kiln site (Xiuwuxian, Henan province) (fig. 2) by Chen Wanli (1892-1969), the father of ceramic archaeology in China. The stele, dated 1105, clearly states that the temple to kiln divinities in Dangyangyu had been built in imitation of the one in Yaozhou, but presumably because no ceramic type had at that time been associated with the Yaozhou kilns, this important piece of information was ignored. The second, in 1953, was the unearthing of a hoard of about three hundred blue/green shards at Guang’an men in Beijing (fig. 3), capital of the Jin empire (1115-1234) from 1153 to 1214, but again no connection with Yaozhou ware was made for the same reason.

The first survey at Yaozhou was carried out in 1954, when Chen Wanli decided to visit the site after noticing blue/green shards collected in Shaanxi province and held in the Shaanxi History Museum, that appeared remarkably similar to Linru ware (then better known than Yaozhou). The inspection confirmed that the Yaozhou kilns were specialised in blue/green ware whose quality was not superb, but not inferior to Linru ware either. Remembering the content of the Dangyangyu stele, Chen searched for the Yaozhou one and found it utilised as a table for the pupils in the school housed in the building that used to be the Eastern Mountain temple (fig. 4). The stele is dated 1084.

In the Summer of 1954 another important (and again overlooked) discovery was made: after a ruinous flooding of the local river in the nearby Bin county, a black vat containing complete blue/green specimens came to light (fig. 5). Despite their excellent quality and state of preservation, the beautiful objects did not stimulate much curiosity.

The situation began to change, albeit slightly, when, after a field investigation at Huangbuzhen in 1957, Feng Xianming (1921-1993) connected the Guang’an men shards (housed in the Palace Museum, Beijing, where he was working) with the Yaozhou kilns. The only puzzling aspect was that the Guang’an men fragments were decorated with designs of dragons and phoenixes, while those collected at Huangbuzhen showed floral motifs. Maybe because of this reason and because of blue/green samples found at the Chenluzhen kiln site (23 km east of Huangbuzhen), in 1957 Huangbuzhen had not yet been recognised for what it really was, that is, the main kiln centre in Yaozhou. However, at least Feng Xianming was convinced that Yaozhou ware was not a provincial product, on the contrary it was appreciated in the Song dynasty and, as reported in the Song shi (History of the Song dynasty), even accepted as tribute by the imperial court. This is probably what stimulated Feng to continue his research, as in China written records play a crucial role in the interpretation of archaeological remains.

The first archaeological excavation in 1958

In autumn 1958 a major archaeological campaign was organised to excavate the Yaozhou kilns at Huangbuzhen, Lidipo and Shangdiancun. The final report was published as a monograph in 1965 (fig. 6), but before then two preliminary reports appeared in 1959 and 1962. Because of later, more thorough explorations, the 1958-59 campaign is often overlooked, but when put in context, it appears as a major breakthrough in the understanding of Yaozhou ware. If one pauses to think that until a few years earlier the concept of Yaozhou kilns was virtually non-existent and the vessels there produced were at best attributed to another ceramic centre, i.e. Linru, it is very significant that a full-scale investigation of the area was approved and carried out with the best means available at the time. 

The finds were impressive and proved that what Chinese scholars had classified as Linru ware since Harada Gentotsu’s (dates unknown) discoveries at Linru county in 1931, was actually Yaozhou ware. They also demonstrated that the main kiln centre in Yao prefecture was Huangbuzhen, while  Chenluzhen, Lidipo and Shangdian where later and subsidiary sites; that the first factories commenced production at Huangbuzhen in the Tang dynasty and were still active under the Mongols; that this kiln centre was specialised in the production of blue/green ware, but also manufactured other types, and that technologically the Yaozhou kilns were very advanced.

The analysis of the stratigraphic sequence of the excavated trenches allowed archaeologists to establish a relative chronology for the artefacts, which included three main cultural levels: lower, middle and upper, respectively attributed to the Tang, Song and Jin-Yuan periods, on the basis of stylistic features, a few dated pieces and coins.  

The excavations revealed that in the Tang dynasty the Huangbuzhen kilns produced mainly black and white wares followed by green and yellow wares, whilst blue/green ware was a very small part of the whole output. In the Song dynasty, the production line was totally changed with the specialisation in blue/green ware. Moreover, if at the beginning of the dynasty, the decoration was still very restrained in both subjects and extension and usually appeared in the form of lotus petals carved on the outside, in a later phase decorative motifs extended to both the inside and outside of open vessels and the style became more and more flamboyant. 

A layer of white matter between body and glaze was noticed in Song samples and identified as slip. This was regarded as a sign of refinement, while its absence in Jin-Yuan specimens was considered as confirmation of the decline in quality together with the yellow colour of the glaze and the firing in stacks which required a ring to be wiped clear of glaze on the bottom of open vessels. Subsequent studies will prove that it is a layer of anorthite crystals, developing during high-temperature firing, but this was not known in the late 1950s (see below).

The discovery of workshops and kiln utensils gave an idea of the manufacturing and firing methods. For example, saggars were already in use during the Tang period, albeit not regularly, judging from their quantity which, on the contrary, increased remarkably in the Song period, thus showing that firing objects singly in protective boxes became common; in the Jin-Yuan period saggars were predominantly tall cylinders able to accommodate a stack of bowls or plates. Most of the architectural remains were badly damaged, but the discovery in the Jin-Yuan layer of a group of four workshops opposite three kilns still partially standing and furnished provided a great deal of unexpected information about how kilns were operated.  The workshops were identified as such on the basis of the utensils found in them, which demonstrated that ingredients were pulverised with treadle-operated hammers and refined in decanting pools, and that the glaze was prepared in large ceramic vats.  The kilns were of the so-called mantou type with a horseshoe plan that included an ash pit to collect ash and cinders (fig. 7). 

The ceramic samples unearthed at Lidipo and Shangdiancun showed characteristics very similar to those observed on specimens excavated from the upper cultural layer at Huangbuzhen. The same situation applied to Chenluzhen, which was only superficially investigated, but the quality and style of the shards there collected suggested that ceramic production at Chenluzhen commenced in the Ming dynasty. This invalidated Feng Xianming’s initial theory that the Chenluzhen kiln centre was activated in the Five Dynasties. 

The explored area extended approximately 5 km from Nichi to Xincungou, thus testifying that Yaozhou was definitely not a secondary kiln site, indeed it was a big ceramic centre.

The information on Yaozhou kilns supplied by the 1958-59 excavations was of so great a relevance that one would have expected an immediate reconsideration of the position of this kiln centre, but recognition was slow to be acknowledged. In China Feng Xianming recognised the superiority of Yaozhou over Linru and, backed by tangible archaeological evidence, supported the theory that the Yaozhou kilns indeed provided tribute ware to the Song court. In Japan scholars realised that what they had so far labelled “Ru yao” was actually “Yaozhou yao” and promptly amended it, thus demonstrating that the 1958-59 finds were so self-evident as to revolutionise previous interpretations. In the West the impact of the astonishing results obtained at Huangbuzhen and environs were instead far from immediate. The first full acknowledgement of the importance of those discoveries dates back to as late as 1972 when Gray and Neave-Hill wrote: “One of the major elucidations of Chinese ceramic history in the post-T’ang period during the past fifteen or twenty years, has been the recognition of the long activity and superior quality of the wares of kilns at Yaochou in Shensi”.  Nonetheless, nobody addressed the question of Yaozhou kilns supplying tribute ware to the Song court and the general feeling that one has when reading western sources is that Yaozhou ware was never considered in the same league as Ding.

The 1973 excavation 

The Shaanxi Provincial Institute of Archaeology resumed excavations at Huangbuzhen in 1973 under the leadership of Zhuo Zhenxi, but no report of the finds appeared until 1980.  The new expedition revealed three Song dynasty kilns, several workshops, kiln furniture and shards of all sorts. Among these was a considerable amount of blue/green specimens with characteristics that clearly set them aside from the typical Tang and Song output (fig. 8). Geng Baochang and Li Huibing from the Palace Museum in Beijing assigned them to the Five Dynasties period. 

This discovery was of primary importance, as it demonstrated that from a ceramic point of view, despite its shortness, the Five Dynasties was a prosperous period with its own characteristics, and it was at this time that the Yaozhou kilns specialised in the production of blue/green ware. Some of the specimens had a yellowish glaze which betrayed the difficulty of controlling reduction firing, but in comparison with Tang samples, the greyish Five Dynasties glaze was more even in both colour and thickness. The Five Dynasties also appeared to be responsible for a major change in the method of firing: during the Tang dynasty, open vessels were fired in stacks separated by three-spurred spacers placed inside which left three marks in the well, but in the Five Dynasties potters started to fully glaze their vessels and, in order to prevent them from sticking to the bottom of the saggar in which they were individually fired, placed them on either three-armed or three sandy setters (fig. 9). This piece of evidence should have convinced scholars that the technique of fully glazing and firing on small spurs so much praised on Ru ware had in fact been invented by Huangbuzhen potters. The fact that nobody noticed it confirms the general attitude towards Yaozhou, perceived as less noble than the famous wares of the time and certainly not comparable to Ru ware. 

Besides Five Dynasties celadon, other ceramic types were unearthed for the first time: white vessels with green (fig. 10) or brown decoration, vessels with decoration painted under the glaze and vessels with black decoration painted directly on the plain body (fig. 11), all attributed to the Tang dynasty on the basis of their style. Black pieces with rusty speckles (fig. 12) and those with sgraffiato decoration were added to the Song repertoire. 

The new discoveries, especially those concerning ceramic activity at Yaozhou during the Five Dynasties, were of great significance, nevertheless they did not stimulate the publication of researches into the matter and the few papers that appeared on Yaozhou kilns were not affected by the recent, groundbreaking finds.

The large scale archaeological campaign of 1984-1997

In summer 1984, after the accidental discovery of the remains of a late Song kiln, the Shaanxi Provincial Institute of Archaeology launched a full-scale investigation (seven areas with a total of 191 trenches), destined to last over ten years. The results were astonishing in both quantity and quality, and provided invaluable fresh information on ceramic manufacture at Huangbuzhen, from which a new picture of the Yaozhou kilns emerged. 

For the Tang dynasty, the discovery of the kilns and workshops to produce low-temperature ceramics proved beyond doubt that in that period Huangbuzhen manufactured sancai ware (fig. 13). Before the 1984 excavation, archaeologists had found lead-glazed specimens, but because the production of sancai ware had always been thought of as exclusively belonging to kilns in Henan province, the evidence was regarded as inconclusive and Henan kilns continued to be considered the sole manufacturers of low-fired ceramics.  Whilst examining low-temperature samples, archaeologists also realised that what their predecessors had defined as “yellow-glazed” was actually lead-glaze ware, that is, low rather than high-fired ceramic. Besides sancai vessels and figurines, Huangbuzhen kilns also made tiles, both flat and cylindrical. According to Zhuo Zhenxi, all low-temperature wares made at Huangbuzhen were fired twice, the first at a higher temperature without the glaze, the second at low temperature to fix the glaze.  

As to white wares, it became clear that the Huangbuzhen kilns fired both a coarse type and a better one, which, however, could not compare with the fineness of Xing or Ding specimens. 

Vessels decorated in black glaze on a plain or white-slipped background had been found in the 1950s and 1970s, but at the time the white ground had been mistaken for glaze, whilst it is actually slip. A variation of black ware, characterised by milky bluish splashes over the black glaze (fig. 14), previously thought to have been made at kiln centres in Henan province, was found at Huangbuzhen, thus indicating that this so-called huayouci (black-glazed ware with milky splashes) was not exclusive of Henan manufactures.  Moreover, its quality was not inferior to that of its Henan counterpart, thus demonstrating that although Henan kilns produced better sancai wares than Huangbuzhen, the latter could master other types of ceramics.

During the 1958-59 campaign, archaeologists had unearthed a few samples covered with an opaque yellowish green glaze which were classified as either yellow or green ware. The many more samples retrieved in 1984 demonstrated that this was a ceramic category in its own right, now commonly known as “tea dust” (fig. 15). 

Previous excavations had yielded blue/green specimens, but not in sufficient quantity to understand the nature of Tang qingci. Now it appeared that at the beginning, the transparent blue/green glaze was directly applied on the speckled body, whilst later, in order to hide iron impurities in the body, the latter was first coated with white slip and then with the transparent blue/green glaze.  A variation of this category, unique to the Huangbuzhen kilns, is that with decoration painted in white slip under the blue/green glaze, two specimens of which had been found in 1973 (fig. 16).  This type of ware shows the versatility of Huangbuzhen potters who turned the glassy nature of their blue/green glaze to their advantage by at least partially covering the impurities in the body with floral designs painted in white slip.

That the Five Dynasties was an important phase in the development of Yaozhou celadon had been perceived in the 1973 campaign, but the new finds were crucial not only because more specimens were unearthed and therefore the nature of the ceramics of the period could be understood, but also because the archaeological stratum related to the Five Dynasties was clearly identified.  With the 1984 excavation it became evident that the great Song evolution was not accidental, indeed it would have been impossible without the solid foundations laid in the Five Dynasties period. 

Song dynasty qingci had always been retrieved in abundance, but whilst the development of this genre was rather clear, the production of russet and black wares had not been considered relevant. The new archaeological campaign demonstrated that although blue/green ware was definitely the main product in the Song dynasty, Huangbuzhen kilns also produced high quality russet-glazed vessels (fig. 17) (comparable with those from the Ding kilns), black wares of the oil-spot, hare’s fur (fig. 18) and partridge feather varieties, and even a few white samples.  

Although the excavations were conducted according to the stratigraphic method, the interpretation and grouping of the layers did not strictly follow a scientific approach. The Northern Song strata were not distinguished from the Jin ones, a part of which was sorted as Song. This is perhaps due to the fact that in the 1990s the foreign domination of the Jurchen over northern China was still seen as a period of decline in all arts. The final archaeological report was published in three instalments: on finds related to the Tang dynasty in 1992 (two volumes), to the Five Dynasties period in 1997 and to the Song dynasty in 1998, while the volume concerning the Jin dynasty was never printed. However preliminary reports and a great many papers were published over the years on different aspects of production at the Huangbuzhen kiln centre. 

Interpretation of the Huangbuzhen finds

Once again, full recognition of the importance of this manufacture was very slow, despite the archaeological evidence and the research I conducted with Nigel Wood and Chris Doherty from the Research Laboratory for Archaeology and History of Art, University of Oxford. By closely analysing the archaeological remains and macrostructure, microstructure and chemical compositions of shards excavated at the site, it was possible to reconstruct the entire development of the Huangbuzhen kiln centre. For reasons of space, I will only summarise the evolution of the blue/green type here, which indeed derived from white ware (fig. 19), or rather from unsuccessful white pieces. In fact, it seems that it was the disappointing results of the white genre that prompted Yaozhou potters to experiment with blue/green wares: celadon glazes do not need to be applied on pure bodies, although they do require to be fired in a reducing atmosphere, a method previously unknown to Yaozhou potters and much more difficult to control than oxidation (fig. 20). Because of reduction firing, the body of Tang Yaozhou blue/green wares resulted unevenly grey, similar to a mixture of light- and dark-burning clays (the first purer than the second) poorly ground and mechanically mixed, scattered with black spots caused by particulate iron. Had it been fired in oxidation like sancai, black and white wares, the iron impurities in the clays would have not reacted with and diffused into the bodies. To conceal these impurities, vessels were coated with a layer of white slip, already used on some sancai, “imitation white” and even some black wares. From the chemical compositions available at present, it seems that the bodies of Yaozhou black, some sancai, “imitation white” and blue/green wares were very similar, thus suggesting that their original recipes were very much the same; the slip recipe was also relatively constant. Tang Yaozhou celadon glazes are of the lime type, chemically very similar to those of Yue ware, except for the content of titanium dioxide which is extremely low in the Yaozhou recipe. This implies that the Yaozhou glaze technology remarkably differed from Yue: Yaozhou potters did not include any significant portion of body or white slip clays in the glaze recipe, thus opening the way for making northern high-quality blue/green glazes, such as Ru. A comparison of the chemical compositions of Yaozhou “imitation white” and qingci shows very close similarities, which confirms that the technology of Yaozhou blue/green ware developed directly from local oxidised ceramics. The phosphorous pentoxide content in the glaze suggests that wood-ash may have been included as flux.

Although the first Yaozhou celadon samples were not very effective, presumably because workers were not familiar with reduction firing, they eventually mastered the technique, which in turn led to the production of beautiful bluish-green, translucent glazes in the Five Dynasties period (fig. 21) and to the Yaozhou kilns specialising in celadon at this time. The specialisation in qingci may have also been influenced by political circumstances: during the Five Dynasties, communication between north and south China became less straightforward, thus the demand for celadons in the north could no longer be met by the Yue kilns. This, in conjunction with the fact that sancai ware was no longer required, and that Yaozhou white ware was really a white-slipped stoneware that could not compare with the great traditions of Gongxian, Xing and Ding, stimulated Huangbuzhen potters to master their reduction firing technique and thus improve their qingci output.

The body of Five Dynasties Yaozhou blue/green wares appears very dark, almost black, and more uniform in comparison with its Tang counterpart (figs. 22a and 22b), but microscopic analysis shows that the improvement was not due to a better paste, but to better firing conditions (higher temperature and/or longer soaking) which produced a more mature fabric. From a chemical standpoint, there are some differences between Tang and Five Dynasties bodies, but they are negligible. Like in the Tang dynasty, Five Dynasties bodies were coated with a layer of white slip in order to prevent particulate iron in the body from showing through, but the titania-rich slip often caused the glaze to assume an undesirable yellowish tinge. To avoid this defect, Yaozhou potters started to fully-glaze their celadon pieces (fig. 8b), but this method presented them with the problem of handling and firing the objects without having them stick to the saggars in which they were placed for firing. The first “anti-adhering” method developed by Yaozhou potters consisted of three piles of granular quartz placed on the bottom of the saggar by the foot rim of the specimen to be fired (fig. 21b). This technique had the drawback that the grit adhering to the foot rim made it rough in places. Attempts to minimise the extent of the adhesions were made until the Yaozhou craftsmen re-adapted the three-armed spacers used in the Tang dynasty to fire vessels in stacks, only this time, they were placed with the spurs turned up under the foot of the objects. In this way, only three small scars were left on the foot. The technique was further refined by placing the setter under the base (fig. 8b), so that a fully glazed and perfectly smooth foot was accomplished, and by sharpening the spurs, so that only tiny scars were visible. In this way, the Yaozhou potters anticipated by at least 150 years their Qingliangsi colleagues (fig. 23), who have always been acknowledged with the invention of this technique.

The chemical composition of the glazes of Five Dynasties blue/green samples shows that craftsmen experimented with the recipe: they are all low in titanium dioxide, but while some are lime glazes (like Tang ones), other are lime-alkali. The low titania content guaranteed a fine, bluish-green colour – when reduction firing was managed correctly – and the lime-alkali nature allowed thicker application of the glaze which, as a consequence, resulted more unctuous and smooth, just like jade (figs. 8, 21 and 22). Although the amount of calcium oxide varies greatly in the chemical composition of Five Dynasties qingci samples, the phosphorous pentoxide content is always proportional to that of calcium oxide, thus corroborating the argument that wood-ash may have been a significant ingredient in the glaze recipe. 

Despite their brief experience, in the Five Dynasties Yaozhou potters accomplished a product high enough in quality to attract the attention of the government: Yaozhou blue/green ware was one of the very few ceramics (together with Yue, Xing and Ding) selected to enter the tribute system. This is demonstrated by the mark guan (official) engraved through the glaze on the base of some objects evidently destined for this purpose (fig. 24). To the author’s knowledge, no written source (either from the tenth century or later) reports that during the Five Dynasties period the Yaozhou kilns were included in the tribute system, therefore the discovery of guan-marked shards is all the more crucial in the understanding of the use of Yaozhou qingci. Regarding the Song dynasty, there are two contemporary records stating that the kiln centre provided tribute vessels. The quality of eleventh century Yaozhou celadon is as high as that of Ding ware, and although no piece marked with the character guan has been retrieved, there is no doubt that the Yaozhou kilns could have served the court.

Fully glazed vessels are aesthetically very pleasing, nevertheless the technology behind them is very complex and their failure rate was high (with considerable economic loss). A more refined body paste would have permitted the elimination of slip-coating and would have allowed full-glazing. From archaeological evidence, it appears that this was achieved before the end of the Five Dynasties period and continued into the early Northern Song dynasty (fig. 25). Yaozhou potters improved their body pastes by crushing the clays to fine powder, reducing them to slip consistency and screening them through a small-mesh sieve. This yielded very homogeneous, pale grey and well matured bodies which no longer required the application of a layer of white slip, therefore vessels could be fired standing on their glaze-free foot rim. Better refinement of raw materials had direct positive consequences on firing efficiency: at equal temperature (and refractoriness), a more refined body matured more easily than a coarse one. But another change was about to transform the visual appearance of Yaozhou qingci: the introduction of coal as fuel. 

Since the establishment of factories at Huangbuzhen in the eighth century, furnaces had been fuelled with wood, which sometime in the eleventh century was replaced by coal, presumably because of a shortage of wood balanced by huge local deposits of coal. Coal is characterised by a short flame and burns slowly, which required alterations to the kiln structure. An ash pit was dug in the ground of the firebox and covered with a grating to let the coal ash fall down and thus not hamper the combustion of the remainder. A ventilation duct running underground from a (optional) shallow pit outside the kiln to the ash pit was added to maximise the ventilation system, to remove clinker from the ash pit during firing and contemporarily warm up the air entering the kiln through the ventilation channel lined with hot ash and cinder (fig. 26). In order to even out the temperature in the kiln at the height of the firing, coal-burning mantou furnaces required very long high-temperature soaks during which the glaze came to full maturity. Deliberate fast cooling, perhaps encouraged by allowing air into the white-hot kiln-chamber at the end of the firing, prevented devitrification, thus creating transparent glazes. During the long high-temperature soaks secondary anorthite crystals precipitated at the body-glaze boundary (fig. 27) thus guaranteeing an overall white background that enhanced the transparency and colour of the glaze, just like a layer of white slip (with which anorthite crystals had been confused in the analysis of the 1958 excavation). 

Initially I hypothesized that the transparent nature of the glaze may have been at the basis of the introduction of carved (and later impressed) patterns on the body: once that the jade-like effect was no longer achieved and the transparent olive green glaze produced a rather dull effect on a plain background, Yaozhou potters re-invented their main product by embellishing it with bold carved patterns. However, upon further research it seems that in the eleventh century embellishing vessels with ornamental motifs had become a trend shared by the leading manufactures of the time, that is, Yaozhou, Ding, Cizhou, Yue and Jingdezhen. Therefore, deliberate fast cooling to prevent devitrification may have been caused precisely to obtain a transparent glaze that would allow the underlying designs to show through. Boldly decorated vessels coated with transparent olive-green glaze were so successful that production grew enormously, and Yaozhou was the first kiln centre whose ceramic divinities were granted the official title of “marquis”. The beauty of this new genre of Yaozhou blue/green ware was also recognised by the Song court who accepted it as tribute.

As to the olive green tone, we wondered whether the burning of coal might interfere with the colour of the glaze and cause it to turn yellow (fig. 28). From more recent chemical analyses, it appears that roughly at the same time as coal was introduced, a change in the glaze recipe increased the level of titanium dioxide, causing the glaze to assume the typical Yaozhou olive green hue.

Judging from archaeological evidence, the manufacture at Huangbuzhen was not deeply affected by the fall of northern China into the hands of the Jurchen in 1126. Not only production was resumed soon after the establishment of the Jin dynasty, but the kilns maintained the high standards of the Song period (fig. 29), and the so-called “moon white” glaze (experimented with at the very end of the Northern Song period) was perfected (fig. 30). Yaozhou “moon white” ware is characterised by shiny and soft glazes with a jade-like appearance that echo Five Dynasties Yaozhou blue/green ware or more contemporary sky blue, translucent glazes. These were developed at the end of the eleventh century by potters at Qingliangsi – the Ru ware kiln site – and set a new trend in ceramic aesthetics, fashionable among the literati and the imperial court. By the very end of the Northern Song dynasty, other kilns, among which those at Shenhouzhen in Yuzhou, Henan province, which formulated the Jun glaze, and Yaozhou, responded to the new style by developing translucent glazes of their own. Decline at the Huangbuzhen manufacture only started at the end of the Jin dynasty with the production of lower quality wares for a less demanding market: vessels were thickly potted, decorated with stiff and repetitive moulded patterns, and coated with dull, brownish-green glazes (fig. 31). This tendency was further accentuated in the Yuan dynasty, when the kilns fired little, low quality celadon characterized by a markedly ginger-yellow tone (fig. 32). In the Ming dynasty, the Huangbuzhen kilns were shut down; production and the temple to kiln divinities were set up in nearby Chenluzhen, but the essence of the Yaozhou ceramics was irreparably lost. 

The reputation of the Yaozhou kilns, that Southern Song literary sources had already damaged by reporting first contradictory and then negative comments, was irremediably compromised by Yuan intellectuals who labelled Yaozhou ceramics as second-rate imitations of Ru ware. When Ming and Qing scholars did not ignore the Yaozhou kilns altogether, they perpetuated the negative perception inherited from their predecessors, despite the different account supplied by local gazetteers. By the twentieth century, the connection between specimens with vivid motifs carved or impressed under a transparent, olive-green glaze and Huangbuzhen was lost. It took an impressive, full-scale archaeological campaign and Zhuo Zhenxi’s team’s painstaking collection and generous publication of data to attract the attention of contemporary scholars on the importance of the Yaozhou kilns in the history of Chinese ceramics. 

In the past twenty years, ceramic experts have slowly re-evaluated the reputation of the Yaozhou manufacture, realizing that it was not inferior to Ding or Jun, nonetheless, the unique position that it held as a true ancestor to magnificent Ru and consequently Guan and Longquan wares has not yet been widely recognised. 


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SCHEDA INFORMATIVA

VIVACI TRASPARENZE
Ceramiche di Yaozhou dalla Collezione Shang Shan Tang
07.09.2022 > 23.10.2022

INAUGURAZIONE
dalle ore 17 alle ore 19 con presentazione e visita alla sala espositiva. Entrata libera

A CURA DI
Prof. Sabrina Rastelli Phd
Professore ordinario di Archeologia e Storia delle Arti e filosofia dell’Asia orientale presso l’Università Ca’ Foscari Venezia
Curriculum Vitae

DOVE
MAOV Museo d’Arte Orientale di Venezia
Ca’ Pesaro, Sestiere di Santa Croce n. 2076, Venezia

ORARI DI VISITA
Dal martedì alla domenica
10.00 > 18.00  La mostra è compresa nel ticket d’ingresso al Museo

ORGANIZZAZIONE
Fondazione Università Ca’ Foscari – MAOV Museo d’Arte Orientale di Venezia

UFFICIO STAMPA
FG Comunicazione – Venezia 
Cristina Gatti 
cristina.gatti@fg-comunicazione.it

Per ulteriori informazioni

Università Ca’ Foscari Venezia
Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo
Settore Relazioni con i media
Paola Vescovi (Direttrice): Tel. 366 6279602
Federica Ferrarin (Referente di settore): Tel 366 6297904
Enrico Costa (Senior Media Relations Officer): Tel. 337 1050858
Email: comunica@unive.it
Le news di Ca’ Foscari: news.unive.it

Direzione regionale Musei Veneto – Museo di Arte Orientale di Venezia
Ufficio Comunicazione Direzione
Vincenza Lasala
0412967627
vincenza.lasala@cultura.gov.it

Direzione Museo
Dott.ssa Marta Boscolo Marchi
0412967628 – 0415241173
marta.boscolo@cultura.gov.it