Autori vari – Musa e getta. I racconti delle lettrici e dei lettori

Tante, troppe, erano le muse rimaste fuori dal coro. Ma un’iniziativa ha accompagnato l’uscita di Musa e getta in libreria: una chiamata rivolta a lettrici e a lettori per celebrare insieme i talenti e la bellezza delle donne. Nasce da lì questa nuova raccolta: undici racconti brevi che salvano dall’oblio altrettante muse ispiratrici. 
Li hanno scritti per Ponte alle Grazie donne e uomini, rispondendo con entusiasmo e generosità all’invito di una redazione che, con piacere e non senza difficoltà, li ha selezionati.
Nella nostra galleria di ritratti (sempre improntata a libertà di scelte, forme e stili) sono così arrivate la scultrice interrotta e la pittrice sacrificata, una virtuosa del violoncello e due poetesse maggiori, la leggenda del rock e il soprano che per prima gridò «Viva Verdi!» E ancora: la regina del fotoromanzo e l’incoronata della Divina Commedia, l’imprenditrice di successo e la nonna che fiera si è ribellata a marito e al superiore.
Anche qui spaziamo fra epoche e luoghi diversi, destini felici e infelici. Anche qui non mancano sorprese ed emozioni. E quello sguardo nuovo sulle relazioni tra i sessi e l’identità femminile, sulla lotta per l’emancipazione e l’autodeterminazione.

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IMMAGINE DI APERTURA – Foto di Mabel Amber da Pixabay



Milano: Esami anatomici hanno condotto alla ricostruzione del volto di Sant’Ambrogio

Giovedì 2 dicembre 2021, nell’Aula San Satiro della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, è stato presentato il busto con la ricostruzione tattile facciale di Sant’Ambrogio, ottenuta sulla base delle reali fattezze del suo volto.

MILANO

PRESENTATA LA RICOSTRUZIONE
DEL VOLTO DI SANT’AMBROGIO

Ricostruzione del volto di Sant’Ambrogio

All’incontro erano presenti mons. Carlo Faccendini, abate parroco della Basilica di Sant’Ambrogio, Stefano Bruno Galli, assessore all’Autonomia e Cultura della Regione Lombardia, Cristina Cattaneo, Ordinario di Medicina Legale dell’Università Statale e direttrice del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LabAnOf) e Davide Porta, responsabile tecnico del Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense (LabAnOf).

L’iniziativa è uno degli esiti dell’ampio programma di studi promosso dalla Basilica di Sant’Ambrogio per i 150 anni dal rinvenimento degli scheletri di Sant’Ambrogio, Protaso e Gervaso, condotto dall’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Milano.

“Sant’Ambrogio – afferma mons. Carlo Faccendini -, la sua figura, i suoi scritti, la tradizione legata alla sua storia, la sua Basilica, rappresentano un tesoro di inestimabile valore che occorre far conoscere e, con umiltà, continuare a conoscere”.

“Tanta gente – prosegue mons. Carlo Faccendini – viene in Basilica! Davvero tanta! Alcuni sinceramente preparati e documentati, altri più bisognosi di essere accompagnati. Tutto quello che concorre a ridurre questa distanza e ad avvicinare Sant’Ambrogio alla sua città ci sta quindi molto a cuore”.

“Sono sinceramente ammirato – sottolinea Stefano Bruno Galli – per l’incredibile risultato di questa ricostruzione del vero volto del Santo Patrono di Milano, Sant’Ambrogio. L’imminente ricorrenza del 7 dicembre – la più sentita da tutta la città e da ogni milanese – quest’anno si arricchisce di un prezioso manufatto e dell’occasione imperdibile ed emozionante di trovarsi letteralmente a tu per tu con il grande e indimenticato Vescovo della Milano del IV secolo. Si tratta di un motivo in più per visitare o per tornare a visitare il Museo della Basilica di Sant’Ambrogio. Regione Lombardia affianca con convinzione e concretezza non solo la valorizzazione del patrimonio ecclesiastico ambrosiano e lombardo, ma anche la realizzazione di quegli interventi strutturali che ne consentono la più ampia e la più agevole fruibilità”.

Proprio gli esami anatomici sul teschio del santo hanno condotto a una ricostruzione facciale tridimensionale del volto di Ambrogio, la più attinente alle reali fattezze del santo.

Queste indagini si fondano sul presupposto che la morfologia dei tessuti duri (il cranio) condizioni quella dei tessuti molli sovrastanti (il volto).

La tecnica di realizzazione, che si è affinata nel tempo fino a giungere a degli ottimi compromessi di successo, si sviluppa posizionando degli spessori in precisi punti del cranio, per guidare l’operatore nella ricostruzione, muscolo per muscolo, del volto del soggetto, dagli strati più profondi a quelli più superficiali. L’area esterna è stata modellata sulla base del profilo biologico ottenuto dall’attento studio dello scheletro.

Particolarmente preziosa è stata la collaborazione con persone con disabilità visiva che hanno aiutato gli operatori a ottenere un manufatto che fosse fruibile anche da un pubblico ipovedente.

“I resti dei santi – ricordano Cristina Cattaneo e Davide Porta -, in particolare quelli della Basilica di Sant’Ambrogio, possono rivelare realtà storiche sconosciute o misconosciute, ed è fondamentale poterlo condividere nella maniera più realistica possibile anche con i non vedenti”.

Il busto di Sant’Ambrogio, prodotto in resina poliuretanica sarà posizionato a breve nella cappella di San Vittore in Ciel d’oro, all’interno della Basilica di Sant’Ambrogio, quasi a suggerire un confronto con il ritratto del mosaico del V secolo. Le varie fasi progettuali sono state documentate in un video realizzato da Stefania Conrieri.

Nel corso della mattinata, sono inoltre stati presentati i lavori di eliminazione delle barriere architettoniche, finanziati dalla Regione Lombardia, che consentono un più agevole visita alla basilica di Sant’Ambrogio e ai suoi spazi interni ed esterni. Gli interventi hanno interessato l’ingresso di destra dal quadriportico alla Basilica e la posa di un ascensore interno che dalla Basilica sale al piano del Museo e consente la visione dei mosaici contenuti nella cappella di san Vittore in Ciel d’oro.

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
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IMMAGINE DI APERTURA Ricostruzione del volto di Sant’Ambrogio

Lucca, Fondazione Ragghianti – Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura

La nuova mostra ideata e organizzata in occasione del quarantennale della Fondazione Centro Studi Ragghianti, che cade nell’autunno del 2021, intende approfondire un tema finora poco considerato dalla storiografia e dagli studi accademici: quello dell’amicizia fra Carlo Ludovico Ragghianti (Lucca, 1910 – Firenze, 1987) e il pittore, scrittore e uomo politico Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975). Realizzata in collaborazione con la Fondazione Carlo Levi di Roma, per la cura di Paolo Bolpagni, Daniela Fonti e Antonella Lavorgna, l’esposizione è aperta dal 17 dicembre 2021 fino al 20 marzo 2022.

Levi e Ragghianti.
Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura

Lucca, Fondazione Ragghianti,
17 dicembre 2021 – 20 marzo 2022

Carlo Levi, Autoritratto bianco e nero, [1930 circa], olio su tela, 101 x 72 cm, Roma, Fondazione Carlo Levi, ph. Riccardo Lodovici

Il rapporto tra Ragghianti e Levi, fondamentale per entrambi, si intensifica a Firenze, durante l’occupazione nazista, attraverso la comune militanza politica nella Resistenza, soprattutto dopo che Levi, nel 1941, trova rifugio clandestino nella casa di Anna Maria Ichino in piazza Pitti, dove scrive il suo più noto romanzo, Cristo si è fermato a Eboli, cui è dedicata una sezione della mostra.

Non è però soltanto la politica – nelle file del Partito d’Azione – a unirli, ma anche l’intenso confronto sulle questioni dell’arte contemporanea e una condivisa sensibilità per il patrimonio artistico del Paese. Va ricordato il loro intervento congiunto, con l’architetto Giovanni Michelucci, dopo che i nazisti avevano fatto saltare cinque ponti a Firenze, per evitare l’abbattimento della Torre di Parte Guelfa a Ponte Vecchio, un “salvataggio” poi messo in atto dal comando alleato.

L’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore è da far risalire al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; nel 1939 ne recensisce sulla rivista «La Critica d’Arte» la mostra a New York. Certamente il momento più forte della loro frequentazione avviene durante i giorni della formazione del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e della direzione del quotidiano «La Nazione del Popolo», e quando Levi, subito dopo la liberazione di Firenze, diventa membro della commissione per la ricostruzione del centro storico della città. Questo intensificarsi del loro rapporto si riflette anche nella condivisione del discorso artistico, tanto che la mostra personale di Levi alla Galleria dello Zodiaco di Roma nel 1946 è presentata proprio da Ragghianti; ed è sempre Ragghianti a proporre la prima storicizzazione della figura di Carlo Levi nel 1948, attraverso la pubblicazione di un “catalogo” dell’opera leviana, nel quale sono datati e repertoriati i dipinti realizzati dal 1923 al 1947. Si tratta di un volume, con presentazione di Ragghianti, che rimane ancor oggi un punto di riferimento imprescindibile per gli studi su Levi. Nel libro, fra l’altro, figura anche il testo di Levi Paura della pittura, tornato di recente all’attenzione degli studiosi così come la riflessione più estesa Paura della libertà, scritta nel 1939, sulla crisi della società europea, oggi quanto mai attuale.

Carlo Levi, Carlo Ludovico Ragghianti, [1944], matita grassa con lumeggiature gialle su carta Fabriano, 350 x 237 mm, Firenze, collezione privata

Negli anni successivi i due non mancano d’incontrarsi, a Roma o a Firenze, non appena le circostanze lo consentano. Ragghianti non perde mai l’occasione per valorizzare la produzione artistica di Levi: ne sono chiari esempi il suo inserimento nella grande mostra del 1967 Arte moderna in Italia 1915-1935 e l’imponente selezione di opere dell’antologica allestita a Firenze dopo la morte dell’artista (Levi si ferma a Firenze, 1977). Si tratta quindi, per la Fondazione Ragghianti, di una mostra fortemente identitaria, ideale per suggellare l’importante anniversario del quarantennale dell’istituzione.

Trattandosi di due personaggi che hanno avuto molti e diversi àmbiti di azione e riflessione, la mostra e il relativo catalogo ricostruiscono, oltre agli eventi e alle circostanze della loro amicizia, i nodi identitari di questo rapporto, le questioni teoriche di carattere storico-artistico, e altri punti d’interesse comuni ai due per un’azione da esplicarsi nel quadro di una politica delle arti. La mostra e il catalogo offrono una testimonianza, attraverso opere d’arte, lettere, documenti, fotografie e filmati, del significato dell’amicizia fra Ragghianti e Levi, anche alla luce della loro formazione culturale.

Un aspetto interessante e nuovo presentato dalla mostra è quello del comune interesse dei due per il cinema: Levi lavora come sceneggiatore e scenografo per alcuni film, disegna il manifesto di Accattone di Pier Paolo Pasolini, e dagli anni Cinquanta in poi, a Roma, diventa un ritrattista ambìto da molti personaggi del mondo del cinema, da Silvana Mangano ad Anna Magnani, da Franco Citti allo stesso Pasolini: tutti questi ritratti sono presenti in mostra, insieme con quelli di Ragghianti e di loro comuni amici, come Eugenio Montale e Carlo Emilio Gadda.

Nell’archivio della Fondazione Ragghianti, così come in quello della Fondazione Carlo Levi di Roma, si conservano documenti che riguardano in special modo la sfera storico-artistica e critica, che fu al centro di questa amicizia. A Lucca si trovano un consistente nucleo di lettere che partono dal 1943 e si protraggono fino al 1971, e testi dattiloscritti di Ragghianti su Levi; nell’archivio romano sono conservati autografi della monografia di Ragghianti, corredati da annotazioni per la stesura del volume destinate da Levi al suo curatore, nonché fotografie inedite. Molti di questi materiali sono esposti nella prima e nell’ultima sala.

Oltre ai documenti, la mostra presenta un nucleo di quasi cento opere di Carlo Levi, atto a ricostruire non soltanto la struttura della monografia del 1948 e delle mostre del 1967 e del 1977 curate da Ragghianti, ma anche la cerchia di intellettuali e amici cui i due appartenevano – Eugenio Montale, Giovanni Colacicchi, Paola Olivetti, Aldo Garosci e altri –, con l’aggiunta dei ritratti di personaggi dei quali entrambi avevano stima, come Italo Calvino e Frank Lloyd Wright.

Nel catalogo, pubblicato dalle Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, sono presenti i testi di Roberto Balzani, Paolo Bolpagni, Maria De Vivo, Daniela Fonti, Antonella Lavorgna e Francesco Tetro.


Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti
Complesso monumentale di San Micheletto
Via San Micheletto 3, Lucca

Ufficio-stampa: Lucia Crespi, tel. 02 89415532 – 02 89401645, lucia@luciacrespi.it

IMMAGINE DI APERTURA Carlo Levi, La madre e la sorella, 1926, olio su tavola, 119 x 98 cm, Roma, Fondazione Carlo Levi, ph. Riccardo Lodovici

Pescara, GArt Gallery: Claudio Di Carlo -Detto Fatto – mostra / installazione / happening

In continuità con I pasticcini li porto io, mostra tenutasi a Roma nel 2020, Claudio Di Carlo, ospite del nuovo spazio espositivo pescarese GArt Gallery diretto da Francesco Di Matteo, presenta Detto Fatto, mostra/installazione/happening a cura di Maria Arcidiacono. 

Claudio Di Carlo
Detto Fatto

mostra/installazione/happening
a cura di Maria Arcidiacono

Inaugurazione sabato 18 dicembre 2021 ore 18.00-21.00

GArt Gallery
Via Piero Gobetti 114 – Pescara

Fino al 15 gennaio 2022

Detto Fatto costituisce il secondo appuntamento di un ciclo che, in questa occasione, vedrà protagoniste ben novantanove opere sulle quali convergono molti dei temi che hanno attraversato il percorso creativo dell’artista, arricchiti da nuovi lavori ispirati a pellicole cinematografiche, alcune delle quali individuate con veri e propri intenti autobiografici. Il tutto servito sui classici vassoi da pasticcini, sapientemente trasformati in supporti solidissimi e parzialmente muniti della propria cornice dorata. 

Per volontà dell’artista, il pubblico si troverà partecipe di un vero e proprio happening orchestrato dallo stesso Di Carlo che predilige da sempre un coinvolgimento collettivo nei suoi progetti espositivi, musicali e culturali: dalle elaborazioni grafiche di Alessandro Gabini alla performance con Francesca Perti e Andrea Buccella, dal contributo di Andrea Moscianese, con una sua composizione, alle riprese video di Enrico Coppola, mentre spetterà al tocco artistico del pasticcere Tony Renzi apporre la classica – e non solo metaforica – ciliegina sulla torta. 

“Capolavori e divi della settima arte hanno invaso lo studio dell’artista, evocati a testimoniare narrazioni simili al reale, selezionati da un regista che ha conferito concretezza pittorica alla loro fragile evanescenza. Tra il luccichio di questi frammenti, trovano spazio quegli attimi ravvicinati di un erotismo svelato e sotteso, dettagli di una sensualità sfrontata, ingigantita e venerata, mentre un autoritratto su tela, il centesimo lavoro in mostra, emerge dal passato, quasi a vigilare sul mantenimento di propositi mai dimenticati che troveranno un’eco nella performance inaugurale. Rinsaldando la propria libertà d’artista, il suo essere viaggiatore instancabile e curioso – anche quando si è fermato stabilmente in una delle città nelle quali ha abitato – Claudio Di Carlo ci apre le porte su un immaginario senza tempo, ricco di latitudini sconosciute con le quali ci invita a familiarizzare. Il suo paesaggio politico percorre un’ampia parabola che va dall’ideale libertario alla realpolitik del tempo presente, con uno sguardo fieramente privo di conformismi e condizionamenti che vuole mantenere viva la propria indipendenza militante.” (dal testo di Maria Arcidiacono)

Sabato 15 gennaio 2022 alle ore 18:00, in occasione del finissage, verrà presentato il catalogo della mostra che conterrà anche un contributo di Germano Scurti.

Claudio Di Carlo nasce a Pescara: pittore, produttore, art director, vive e lavora tra Amburgo, Pescara e Roma. La sua vita d’artista, di natura poliedrica, inizia a Pescara, negli anni ’70, e si dirama fra la comune di Ovada e le strade d’Europa. Arte, politica e poetica sono le sue linee guida: indipendente per vocazione. Punto di riferimento artistico la galleria “Convergenze” a Pescara diretta da Peppino D’Emilio, Claudio Di Carlo ha sempre posto il proprio sguardo sulle forme dello sconfinamento. È un artista proteiforme che ha attraversato la pluralità delle esperienze controculturali e artistiche degli anni Settanta e Ottanta. Cresciuto nell’humus dell’anarchismo etico-politico, si è occupato di musica underground e di teatro di ricerca. Ha progettato spazi culturali, creato gruppi di intervento artistici, spettacoli multimediali, prodotto gruppi rap/rock, inventato e organizzato Festival, happening e performance; si occupa anche di musica elettronica. Il suo lavoro spazia, dunque, dalla fondazione dei gruppi Punk-rock Koma e R.A.F. (Frazione Armata Rock) nel 1977 al suo recente “Omaggio a Rossini – Già la luna è in mezzo al mare”, lavoro esposto a Pesaro in Casa Rossini, alla musica elettronica del suo attuale gruppo “Hypervectorial System”, con il compositore Gabriel Maldonado. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in tutto il mondo e diversi sono i critici che seguono il suo lavoro. Dopo l’esperienza romana dell’Ice Badile Studio con 11 anni condivisi con gli artisti Daniela Papadia, Emilio Leofreddi, Andrea Orsini, Ivan Barlafante, torna a sperimentare la sopravvivenza dell’essere senza uno studio, fino al 2020 dove apre il kKstudio a Pescara. 


INFO

Claudio Di Carlo
Detto Fatto
mostra/installazione/happening
A cura di Maria Arcidiacono
Con: Andrea Buccella, Enrico Coppola, Francesco Di Matteo, Alessandro Gabini, Andrea Moscianese, Francesca Perti, Tony Renzi

Inaugurazione sabato 18 dicembre 2021 ore 18.00-21.00

GArt Gallery
Via Piero Gobetti 114 – Pescara
Tel. +39 349 7913885
info@gartgallery.it
www.gartgallery.it 


Fino al 15 gennaio 2022
Orari: dal lunedì al sabato ore 17:30-20:00

Ufficio Stampa 

Roberta Melasecca Melasecca PressOffice – Interno 14 next

roberta.melasecca@gmail.com
info@melaseccapressoffice.itinfo@interno14next.it

tel. 3494945612
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IMMAGINE DI APERTURA – Locandina

Santa Marinella (Roma) – Habitus. Performance di Barbara Lalle

Sabato 18 dicembre 2021 dalle ore 11.00, presso la spiaggia antistante alla Passeggiata di Santa Marinella, Barbara Lalle presenta la performance Habitus, a cura di Michela Becchis e Roberta Melasecca. L’evento è patrocinato dalla Città di Santa Marinella, promosso da Interno 14 next in collaborazione con la TAG Tevere Art Gallery e blowart, e si inserisce all’interno del progetto “Dante 700” della Biblioteca Civica A. Capotosti realizzato con il sostegno della Regione Lazio per Biblioteche, Musei e Archivi – Piano Annuale 20-21 L.R. 24/2019.

Habitus

Performance di Barbara Lalle

A cura di Michela Becchis e Roberta Melasecca

18 dicembre 2021 dalle ore 11.00 fino al tramonto

Spiaggia della Passeggiata di Santa Marinella
Via Aurelia – Santa Marinella (RM)

Habitus @marco marassi

Dalle ore 11.00 di sabato mattina fino al tramonto, Barbara Lalle darà vita ad una durational performance a cui si potrà assistere dall’alto della Passeggiata e che sarà trasmessa anche in diretta streaming attraverso i canali social. La performance diventerà anche progetto fotografico realizzato attraverso gli scatti di Marco Marassi.

Alle ore 12.00 interverranno il Sindaco Avv. Pietro Tidei, la Consigliera comunale Dott.ssa Maura Chegia e la direttrice della Biblioteca Dott.ssa Cristina Perini; seguiranno letture di alcuni canti della Divina Commedia eseguite da Francesca Antonelli e Alessio De Persio, altra iniziativa organizzata dalla Biblioteca Comunale e curata dall’ITFF International Tour Film Festival.

“[…] La performance di Barbara Lalle è una riflessione che dialoga, in un calibratissimo quotidiano, con un pensiero che non condannò l’eccedente come elemento visibile di un eccesso negli stili di vita, ma ne sottolineò lo statuto di convenzione, consuetudine atta a frapporsi con la libertà di dire, quella che nel mondo greco era la παρρησία. Una libertà di dire che spesso vede il suo riverbero spento dagli oggetti che più ci appartengono, che più sono parte di noi: gli abiti. […] Se il più influente e cogente concetto di habitus del secolo scorso, quello di Piere Bordieu, identificava in quella parola attività e pratiche che concorrono a far sì che un individuo si renda parte di un gruppo, realizzi la sua quotidianità, entri a far parte di un “inconscio collettivo” di classe, si può provare a far scivolare nella materialità degli abiti affidati al fuoco da Lalle questa nozione. Quegli abiti dentro cui ci si ritrova, che ci rendono riconoscibili oppure, più o meno consapevolmente, omologati, dentro cui decidiamo la nostra appartenenza, vanno senz’altro trattati con cura, tenuti da conto perché parte di una vita, di scelte, di affetti ed emozioni che ci hanno connotati e tuttavia, questo dice il gesto silenzioso dell’artista, è necessario far perdere loro la caratteristica dell’oggetto per trasformarli in esperienza. Un’esperienza che disvela, che concede proprio la parresìa, la libertà di dire. Ma quale libertà prende corpo nella consegna al fuoco degli abiti? Non solo la libertà individuale di privarsi dell’habitus, ma quella collettiva di riconoscimento reciproco nelle proprie essenzialità, spogliati di ciò che impaccia, di ciò che nel vissuto di ciascuno, nelle emozioni, nelle gioie, nelle fatiche, nel confronto lascia una sorta di residuo, di peso specifico che irrigidisce e costruisce, produce l’isolamento che la performance disperde come la cenere.” (dal testo critico di Michela Becchis)

“La performance Habitus di Barbara Lalle non è un’accusa contro il consumismo e l’accumulo compulsivo, né una denuncia al materialismo, né l’avallo di una cultura dell’infinitamente poco. È, invece, una riflessione non istantanea sulla pura e semplice ricerca della felicità. Spinti dai desideri, mossi dai sogni, quanto più cerchiamo, più ci allontaniamo da quello che spesso confondiamo e identifichiamo con bisogni e necessità. […] La ricerca della felicità è ricerca senza termine, senza il finale raggiungimento di quanto bramato, utopicamente voluta e inconsciamente desiderata. La felicità è, dunque, concetto temporale che può assumere diversificate forme e aspetti: nostalgia, utopia, illusione, disincanto, astrazione; e nella ricerca della felicità proiettiamo tali sembianze materializzandole in un flusso continuo di oggetti e spazi che si accumulano di pari passo alle esperienze. Barbara Lalle tenta un percorso inverso: la sua ricerca della felicità è l’incarnazione di un singolo momento felice -di tanti e susseguenti momenti felici- nel quale riconsiderare l’essere nella relazione con gli altri esseri animati e inanimati. Ogni azione ed ogni movimento diventano gesti sacrali dell’intimo e sguardi amorosi del fuori che, reiterati in un tempo lungo, si misurano nel corpo del singolo e in quello della comunità. E così ogni abito, prima debitamente e accuratamente ripiegato, diviene testimone di memorie passate e vissute, di felicità esigue e passeggere o indelebili e perenni; ogni abito, vestito e spogliato, è l’invenzione di vite, creatore di felicità che permangono e rimangono insite nella storia personale. Ogni abito è e non è più; è nel presente che immediatamente si tramuta in passato e proiezione del futuro in un sistema ciclico aperto e indeterminato. Ogni abito trasfigura il suo significante, se ne spoglia infondendolo totalmente allo spirito di chi lo possiede e appare, dopo tale procedimento, cosa morta, non più vitale, destinata alla scomparsa della sua materialità. Rimane la pura felicità dell’essere stato e dell’essere ora, il solito di sempre ma casualmente diverso.” (dal testo critico di Roberta Melasecca)

Barbara Lalle, terapista per la riabilitazione neurologica post‐traumatica e docente impegnata quotidianamente nell’integrazione delle disabilità gravi, mossa da una “emergenza di dire”, come artista, attraverso le varie forme delle arti visive (pittura, fotografia, video, ecc) e della performance, esplora le modalità in cui disagio, deprivazione, dolore possano essere compresi, narrati, superati. Sperimenta da anni le diverse modalità di arte partecipata, coinvolgendo altri artisti e le comunità locali dove opera. Finalista Premio Adrenalina 2012; finalista Premio Cascella 2015; Premio Città di Soriano 2015; menzione speciale Bridge Art 2018. Performance: 2015. L’arte dell’errore giudiziario, Il labirinto di Icaro involato, MAXXI; Esodi, MACRO. 2016 Rilevazione-Rivelazione; Contatto; Non è area per voi, RM; Logos in progress, RM. 2017. M-UNO Interno 14, MACRO; Bautta, Millepiani RM; APRIR-SI, Case Romane del Celio RM; 2018. Burning Home, Tevere Art Gallery; Buck up and cry!, MACRO; Realtà Istantanee, MACRO; Punto di Partenza, portici di Piazza Vittorio Emanuele II Roma; Più forte, T.A.G. Roma; Stauros performance itinerante Roma, Ring Giardini di Colle Oppio Roma, Tre cose vuole il campo, Roma.


INFO

Habitus

Performance di Barbara Lalle

A cura di Michela Becchis e Roberta Melasecca
Con il patrocinio della Città di Santa Marinella
Promosso da Interno 14 next
In collaborazione con TAG Tevere Art Gallery e blowart
In collaborazione con Marco Marassi e Daniele Casolino
Iniziativa all’interno del progetto “Dante 700” della Biblioteca Civica A. Capotosti realizzato con il sostegno della Regione Lazio per Biblioteche, Musei e Archivi – Piano Annuale 20-21 L.R. 24/2019


18 dicembre 2021 dalle ore 11.00 fino al tramonto

Spiaggia della Passeggiata di Santa Marinella
Via Aurelia – Santa Marinella (RM)

Contatti
Barbara Lalle
barbix2002@libero.it

Interno 14 next
Roberta Melasecca
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IMMAGINE DI APERTURA – Invito

Roma: OPEN BOX2 – In memoria di te

In mostra, da sabato 18 dicembre 2021 fino al 13 febbraio 2022, OPEN BOX2In memoria di te, a ingresso libero, con le installazioni di Emilio Leofreddi, Giovanna Martinelli, Mauro Magni, Sandro Scarmiglia, Luca Valentino, a cura di AdA-Cultura e Francesca Perti.

La seconda edizione di OPENBOX, ideata da AdA Associazione Amici dell’Aventino e promossa in collaborazione con il Municipio Roma I centro, si svolgerà da sabato 18 dicembre 2021, dalle ore 11.00 nei giardini di Sant’Alessio, per proseguire poi in Piazza Albina e Giardino Romano Radici.

OPEN BOX2
In memoria di te

Installazioni di Emilio Leofreddi, Giovanna Martinelli, Mauro Magni, Sandro Scarmiglia, Luca Valentino
A cura di AdA-Cultura e Francesca Perti

Inaugurazione 18 dicembre 2021 ore 11.00 Giardino di Sant’Alessio – Roma
La mostra prosegue a Piazza Albina e nel giardino Romano Radici – Roma

Fino al 13 febbraio 2022

Invito
ARTISTI – BIOGRAFIE

In concomitanza con il centenario della nascita di Nino Manfredi, attore e illustre residente, che con il regista Luigi Magni strinse un proficuo sodalizio artistico e cinematografico, AdA vuole dedicare questa mostra, In memoria di te, agli illustri personaggi che sono vissuti o hanno lavorato all’Aventino e in particolare agli esponenti del cinema Italiano e ai quali la municipalità di Roma ha intitolato, sul colle Aventino, un giardino, dei viali e un belvedere nel parco Savello. Aventinenses, gli abitanti dell’Aventino. “Mescolando vicende leggendarie e memorie storiche, la storia dell’Aventino si snoda lungo ventotto secoli, durante i quali personalità celeberrime hanno lasciato il segno della loro esistenza e della loro operosità. A partire da Remo, che secondo la tradizione avrebbe scelto il colle per osservare il volo di sei avvoltoi che ne avrebbero decretato la sconfitta e la conseguente morte”. (dal testo di Daniela Gallavotti Cavallero)

Il progetto espositivo è incentrato sul dialogo tra la scultura contemporanea e gli spazi verdi adottati da AdA, e persegue le finalità statutarie dell’Associazione Amici dell’Aventino di custodia e valorizzazione dei luoghi dell’Aventino. Un progetto pilota che, in questi tempi di “chiusure e clausure”, dà il via alla trasformazione dei giardini dell’Aventino in gallerie d’arte all’aperto, in “open boxes”, e che vuole dare la possibilità ad artisti di esporre le proprie opere per un periodo limitato in un contesto paesaggistico e storico unico.

Mauro Magni, In memoria di te

Nel Giardino di Sant’Alessio, Mauro Magni dedica allo zio Luigi, In memoria di te: lettere scritte in negativo su fondo oro in un’installazione composta da 90 sampietrini di selce in forma di ∞, simbolo della ciclicità delle cose, della preziosità e della sacralità della memoria, che incita lo spettatore affinché faccia pratica “del ricordare”, per avere consapevolezza delle proprie origini, per affrontare al meglio il presente in prospettiva del futuro.

Giovanna Martinelli, Spunti di vista

Giovanna Martinelli con suoi Spunti di vista rende omaggio a G.B. Piranesi e alle uniche opere architettoniche da lui realizzate, ambedue sull’Aventino: la piazza dei Cavalieri di Malta e la chiesa di S. Maria del Priorato. Guardando attraverso i foro nei grandi rettangoli tridimensionali “disegnati” con scatolari in ferro, si ammira la Cupola di San Pietro isolata dal panorama circostante e l’immagine della Cupola realizzata da Piranesi in una delle sue “Vedute di Roma”. La Cupola delle Vedute estrapolata dal suo contesto narrativo diviene simbolo e icona.

Emilio Leofreddi, Touching the sky, istallazione

A Piazza Albina, Emilio Leofreddi invita a riunirsi intorno a Touching the sky, un tavolo lungo e stretto con sedie-tronco che si rispecchiano nel cielo. Secondo il Lieh Tzu, testo classico taoista: “il cielo e la terra non compiono tutta l’opera, l’uomo santo non ha tutte le capacità, le creature non hanno tutte le utilità”. L’opera di Leofreddi è come una corda tesa tra terra e cielo, materia e spirito, ci richiede il coraggio dell’equilibrista. Solo affidandoci alla corda possiamo scoprire fatti impercettibili, in equilibrio nel cielo, specchiandoci nell’immenso.

Sandro Scarmiglia, Animalia

Sandro Scarmiglia installa il suo Animalia, una presenza fiabesca, bianco come un fantasma, di forma triangolare con delle lunghe zampe da giraffa, sulla quale appoggia una stele che sembra la testa di Loch Ness. Una voluminosa scultura cherichiama, sia pure alla lontana, le famiglie di personaggi ameboidi e indeterminati di Tanguy. Parlare di mostro non sembra però il modo più opportuno di inquadrarlo. L’elemento distintivo è piuttosto l’ambiguità, ovvero l’impossibilità per chi guarda di stabilire con sicurezza con chi si ha a che fare

Luca Valentino, Presenze Provvisorie

Nel Giardino Romano Radici, Luca Valentino,con Presenze Provvisorie, realizza un’installazione che dialoga con la memoria e il presente: il monumento ai caduti si erge, in silenzio, in mezzo al vivace mosaico di persone che abitano la piazza. Il contrasto tra le due entità lo ha fatto riflettere sul tema della persistenza della memoria e su quello dell’assenza. Disegna sagome tracciate sul terreno a grandezza naturale e cita l’artista F.G. Torres, Portrait of Ross, 199: il vuoto lasciato da un corpo testimonia e perpetua il ricordo della sua presenza. Un ricordo effimero che, come tutte le cose, sparirà per poi mutare in qualcos’altro.


INFO

OPEN BOX2
In memoria di te
Promosso da: AdA, Municipio I.
Un progetto di: AdA-Cultura, Daniela Gallavotti Cavallero / Alessandro Olivieri / Mara van Wees
Opere di: Emilio Leofreddi, Giovanna Martinelli, Mauro Magni, Sandro Scarmiglia, Luca Valentino
A cura di: AdA-Cultura e Francesca Perti
Testi di Francesca Perti e di Daniela Gallavotti Cavallero

Inaugurazione 18 dicembre 2021 ore 11.00 Giardino di Sant’Alessio – Roma
La mostra prosegue a Piazza Albina e nel giardino Romano Radici – Roma
Ingresso libero

Giardino Sant’Alessio
Piazza Albina
Giardino Romano Radici
Roma

Fino al 13 febbraio 2022

Contatti
www.primomunicipioroma.com
www.aventino.org
info@aventino.org

Ufficio Stampa
Roberta Melasecca Melasecca PressOffice – Interno 14 next
info@melaseccapressoffice.itroberta.melasecca@gmail.com
3494945612
www.melaseccapressoffice.itwww.interno14next.it

IMMAGINE DI APERTURA – Locandina

Gustavo Vitali: Il Signore di Notte – Tempo di bilanci per l’appassionate thriller storico

Oltre ai tradizionali festeggiamenti, la fine dell’anno coincide anche con i bilanci e non solo quelli economici. In particolare quello del libro Il Signore di Notte, un libro giallo ambientato nella Venezia del 1605, è insolitamente lungo perché abbraccia un periodo di diciotto mesi, cioè da quando è stato pubblicato. I lettori lo hanno definito appassionante, avvincente, interessante, coinvolgente, di spessore storico e addirittura istruttivo, con riferimento in tal caso alle informazioni storiografiche che contiene. Infatti, pur restando un giallo fitto fitto con una trama di pura fantasia, nel racconto rivivono personaggi realmente esistiti all’epoca e divagazioni su usi e costumi dell’antica Venezia, fatti e fatterelli, aneddoti e perfino favole. Il tutto contestualizza il racconto e aiuta il lettore a calarsi nell’atmosfera della città dei dogi tra la fine del Rinascimento e l’inizio del Barocco. Come la corposa bibliografia in coda al libro testimonia, questo ha comportato un certosino lavoro di documentazione per collocare fatti e interpreti al posto giusto e nel momento giusto. Poi ci sono le recensioni, le segnalazioni e i rilanci delle notizie da parte dei media che hanno sfiorato quota trecento.

La trama scorre agile fin dall’inizio, quando in una misera casupola viene rinvenuto il cadavere di un nobile sull’orlo della rovina. Sul luogo si precipita il protagonista, Francesco Barbarigo, uno dei sei Signori di Notte, magistrati e insieme capi della polizia, tutori dell’ordine pubblico in città. Sulle prime pensa che il caso sia una passeggiata, ma presto le cose si complicano tra scontri, agguati e nuovi omicidi o quelli che riemergono dal passato.

La figura del Barbarigo sta agli antipodi rispetto a quelli di certi investigatori ai quali TV e letteratura gialla ci hanno abituato, quelli che sanno tutto, che capiscono tutto e risolvono tutto. Lui invece è pasticcione, goffo, confusionario, inesperto e pure arrogantello. A volte fa sorridere per i suoi esilaranti fallimenti, altre infastidisce. Indaga a casaccio sull’onda dell’improvvisazione o si lancia in congetture improbabili. È anche un uomo complicato, contorto, sempre indeciso e preoccupato di salvare la faccia, mentre a getto continuo affiorano in lui brutte reminiscenze di un passato che non riesce a buttarsi alle spalle.

Per lo più incappa in una relazione strampalata con una dama tanto bella quanto indecifrabile. Vorrebbe fosse un rapporto disinvolto, giusto per il proprio comodo, ma lo assale la paura dell’innamoramento, situazione che ha già vissuto e con mai assopito dolore. Il timore di perdere la dama da una parte e quello di ripetere la brutta esperienza dall’altro gli procurano nuove angosce oltre a quelle che già lo divorano a causa degli impicci delle indagini nelle quali si è infilato.

In soccorso dell’investigatore improvvisato accorre un capitano delle guardie che ha tutta l’esperienza che a lui manca. Il connubio tra i due porterà alla risoluzione del caso, ma dovranno penare un bel pezzo per arrivarci.

Per ulteriori informazioni sul libro giallo “Il Signore di Notte” contattare l’autore Gustavo Vitali – 335 5852431 – skype: gustavo.vitali – gustavo (AT) gustavovitali.it
sito ufficiale 
– pagina facebook 
– immagini di libero utilizzo

IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica libro

Massimo Bilò – Caratteri funzionali degli edifici

Il libro è nato come sussidio didattico per gli studenti del “Diploma universitario in edilizia” attivato dalla Federico II di Napoli. I diplomi sono stati una grande idea in materia di formazione, idea affondata da politici ed accademici inqualificabili che hanno poi completato l’opera dando un colpo ferale all’università (in particolare alle facoltà di architettura) adottando la formula 3+2.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE ESEGUI IL DOWNLOAD): Caratteri funzionali degli edifici

IMMAGINE DI APERTURA tratta dalla copertina del volume

Massimo Bilò
Caratteri funzionali degli edifici

Edoardo Falcioni: Warhol, colui che si può definire come l’artista più iconico del ‘900

ICONS! è la mostra che – al PALP Palazzo Pretorio di Pontedera fino al 20 marzo 2022 – racconta la storia del più pungente interprete della società di massa, testimone variopinto delle icone del suo tempo: Andy Warhol. Tutto il suo percorso professionale è presentato con 141 capolavori di ogni periodo: partendo dalla coloratissima Liz (1964), arrivando all’immancabile Marilyn (dal 1985 al 1988). E ancora, tre splendide Cow (dal 1966 al 1976), accanto ad altre super icone: Brillo Box (1970), Flowers (1970), Eletric Chair (1971), senza dimenticare le Campbell’s Soup (1968).

Warhol Begins

Testo di Edoardo Falcioni, curatore della mostra

Ogni cosa ripete se stessa. È stupefacente che tutti siano convinti che ogni cosa sia nuova, quando in realtà altro non è se non una ripetizione. Andy Warhol

Il fatto che, stando alle parole del re della Pop Art, “ogni cosa ripete stessa” potrebbe essere un bene, una scoperta per niente banale e, anzi, il preludio e il cuore di una delle più grandi rivoluzioni artistiche. Gli antichi Romani dicevano Repetita iuvant. Se interpretiamo questo celebre proverbio adottando una logica da pubblicitari, di cui l’autore a cui è dedicata questa mostra si è sempre avvalso, e che gli ha permesso di cambiare radicalmente la direzione della storia dell’arte, queste due parole potrebbero essere interpretate semplicemente nel senso che più volte una immagine viene ripetuta, maggiori sono le probabilità che questa entri nella mente dell’osservatore. Collocandoci idealmente nell’immediato dopo-guerra, la locuzione latina ci apparirà estremamente in linea con quelle che erano le novità di quel periodo: sono gli anni della ricostruzione, in cui risorsero e nacquero tantissime imprese, le quali, attraverso nuove tecnologie aziendali all’avanguardia, inaugurarono un nuovo corso dell’economia mondiale, nel quale, per la prima volta, giocò un ruolo di fondamentale importanza la pubblicità commerciale. Questa, assieme a tutte le nuove e spietate tecniche di marketing, conferì a certi prodotti un appeal, un fascino e una forza del tutto inediti: più volte un prodotto era “ripetuto” (nel senso che lo si poteva riconoscere su cartelloni pubblicitari, sui giornali, sulle prime trasmissioni televisive e in tantissime altre situazioni), maggiori erano le probabilità che quello stesso prodotto venisse acquistato, in forza di quell’aurea di sacralità che la pubblicità riusciva a conferirgli.

Un angolo dell’allestimento

In quegli stessi anni di crescente prosperità economica, nei primi anni ’60, un giovane grafico pubblicitario di successo stava per inaugurare una rivoluzione senza precedenti: egli avrebbe trasformato quegli elementi socio-economici, tipici di quell’epoca, in arte. Quel giovane si chiamava Andy Warhol.

Non so se questo timido e ambizioso ragazzo, originario di Pittsburgh, si sia mai imbattuto nell’antico proverbio latino; però, parafrasandolo in termini estetici, possiamo avere una prima e vaga idea di quella che è stata la novità warholiana: ripetere una immagine per migliorare l’esecuzione artistica messa in atto dall’ormai ex grafico, fino ad arrivare a creare un prodotto d’arte del tutto inedito e capace di rappresentare, come nessun altro, il contesto storico di quegli anni.

Questo sconvolgimento non si era però limitato solo ad innovare ciò che veniva rappresentato sulla tela, ma arrivò a modernizzare completamente persino il modo stesso di fare arte, ossia la tecnica con cui venivano realizzati i quadri.
La ripetizione e la rielaborazione delle immagini di beni di consumo industriale e di icone ha infatti comportato l’adozione di tecniche di serializzazione, che resero così Warhol più simile ad una macchina piuttosto che ad un artista, coerentemente a quello che era uno dei suoi desideri. Questo modus operandi, il quale consisteva sostanzialmente in un processo semi-meccanizzato che facilitava enormemente la realizzazione delle opere e riduceva notevolmente i tempi di produzione, non venne accolto in maniera benevola dall’establishment artistico dell’epoca. La filosofia e la tecnica di questo giovane che stava per sfondare la scena artistica newyorchese erano visti infatti quasi come una provocazione all’Espressionismo Astratto, movimento allora preponderante negli USA.

La tecnica della serigrafia, tanto criticata quanto rivoluzionaria, venne utilizzata da colui che venne additato dai suoi critici come “Andy il pubblicitario” già nel 1962, per realizzare la serie Campbell’s Soup Cans, composta da trentadue piccole tele di identiche dimensioni raffiguranti ciascuna gli iconici barattoli di zuppa Campbell’s; queste vennero esposte nello stesso anno alla Ferus Gallery di Los Angeles.

La critica, che bollò le opere come “piatte e provocatorie”, non comprese che il fine non era quello di rappresentare un barattolo di zuppa, ma di comunicare l’idea della ripetizione e dell’abbondanza di questo prodotto, coerentemente a quella che possiamo definire la filosofia consumistica dell’epoca.

Queste lattine, le quali altro non sono che i frutti della produzione di massa che tanto affascinava l’artista, sono state infatti tolte dalla concretezza del consumo per divenire così arte, rendendo opera ciò che era sempre stato accessibile a tutti.

È stata proprio questa democraticizzazione artistica ad aver reso l’uomo dalla parrucca argentata uno degli artisti più rappresentativi del secondo ‘900: aderendo alla cultura di massa e facendola entrare nel mondo concettuale dell’arte figurativa, egli ha saputo elogiare, come nessuno aveva mai fatto, gli Stati Uniti d’America, patria d’eccellenza del consumismo, e tutto ciò che hanno simboleggiato dall’immediato dopo-guerra sino agli anni ‘80.

Sono passati più di trent’anni dalla morte di Andy Warhol, avvenuta nel 1987 a causa di una infezione alla cistifellea.
Ai suoi primissimi seguaci si sono sostituiti e susseguiti negli anni numerosissimi artisti che, ancora oggi, cercano di emulare il loro maestro, attualizzando la sua filosofia in chiave contemporanea.

Le sue icone, i suoi personaggi e i suoi soggetti (potrebbe sembrare erroneo definirli “suoi” in quanto egli, come abbiamo visto, non ha fatto altro che ripetere una immagine, ma è stata proprio questa novità filosofica a cambiare completamente il mondo della cultura e a far sì che i simboli di un intera generazione venissero “consegnati” a lui per essere oggi riconosciuti e considerati come suoi) sono sempre più riprodotti ovunque: su magliette, calzini, matite, posters, piatti, zaini…insomma, ovunque!

Alcune delle sue ossessioni profetiche sono divenute oggi realtà; la più celebre è quella dei quindici minuti di celebrità spettanti a tutti, realizzatasi mediante l’avvento dei social network.
Andy aveva sempre desiderato un programma televisivo tutto suo, oggi gli basterebbe però molto meno: un profilo Instagram sarebbe infatti l’ideale per garantirgli quotidianamente quella visibilità che ha sempre desiderato.

Affermando invece che “ La cosa più Bella di Tokyo è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Pechino e Mosca non hanno ancora qualcosa di veramente bello”, egli ha in qualche modo anticipato, con una sottile ironia, la globalizzazione che ha fortemente caratterizzato gli anni 2000.

Nel tentativo di riflettere sui suoi tempi, Andrew Warhol, autentico nome di colui che si può definire come l’artista più iconico del ‘900, finì per cambiarli.
Ciò basta per poter affermare che egli sia non soltanto più attuale che mai, ma addirittura vivo e vegeto, costantemente presente nelle nostre vite; definendo e anticipando la società contemporanea nella quale viviamo, la sua rivoluzione non è agli sgoccioli, ma è solamente appena iniziata: Warhol begins!


Informazioni

www.palp-pontedera.it
T. +39 0587 468487
M. +39 331 1542017

Orario apertura
dal martedì alla domenica e festivi
ore 10.00 – 19.00
Chiuso il lunedì
(ultimo ingresso ore 18.00)

Biglietti

Intero € 12,00
Ridotto € 10,00

Hashtag ufficiale
#WarholPontedera

Ufficio stampa ARTHEMISIA
Salvatore Macaluso | sam@arthemisia.it
press@arthemisia.it | T. +39 06 69380306

IMMAGINE DI APERTURA Un angolo dell’allestimento

Su Sky Arte IL MIO NOME È LEGGENDA. Terzo episodio: Joaquin Murrieta – Zorro

presenta

IL MIO NOME È LEGGENDA

Terzo episodio: Joaquin Murrieta – Zorro
“Giù la maschera!“

In onda martedì 14 dicembre 2021 dalle 21.15 su Sky Arte
Disponibile anche On demand e in streaming su NOW

Terzo episodio: Joaquin Murrieta – Zorro

Zorro, l’abile spadaccino difensore dei più deboli è stato introdotto nell’immaginario di finzione nel 1919, quando all’interno del fumetto All Story Weekly viene raccontata la prima avventura di Don Diego de la Vega, alias Zorro. Ma se dietro l’invenzione di uno dei personaggi più conosciuti di tutti i tempi si celasse un fuorilegge sanguinario senza scrupoli?

Questo sarà il tema della terza puntata de Il mio nome è Leggenda, la produzione originale Sky Arte con Matilda De Angelis ideata e realizzata da Bottega Finzioni. Il terzo episodio andrà in onda martedì 14 dicembre alle ore 21.15 su Sky Arte, on demand e in streaming su NOWe racconterà, attraverso l’emozionante narrazione di Matilda de Angelis, le vicende di Joacquin Murrieta, famigerato bandito del 1800, che ha ispirato la nascita del personaggio di Zorro.

Joaquin Murrieta nasce a Sonora, nella contea di Tuolumne in Californa, nel 1829, e si unisce presto allo zio Claudio Feliz che, dopo essere fuggito di prigione, diventa il capo di una delle più crudeli bande di fuorilegge dell’epoca. Il famigerato bandito Murrieta, insieme ai compagni, depreda e uccide chiunque si metta tra lui e l’oro: connazionali ispanici, anglofoni e cinesi.

Un corpo speciale di Rangers della California, comandato da Harry Love, viene incaricato della caccia a Murrieta che, scovato, rimane ucciso durante la cattura. Per lungo tempo nelle fiere di paese californiane spopolano le “Teste di Murrieta” anche se non c’è nessuna prova del fatto che Harry Love abbia davvero decapitato il bandito.

Nonostante i fatti storici parlino chiaro, le leggende popolari iniziano a soddisfare l’eterno bisogno d’identificarsi con eroi confortanti e positivi, quindi a ritrarre Murrieta come un uomo pacifico che cerca vendetta solo dopo un’accusa ingiusta. Secondo alcuni Murrieta viene ucciso e decapitato a soli 23 anni dal brutale Harry Love. Per altri il vendicatore riesce a fuggire in Messico. C’è poi chi nel 1986 decide di cercare i suoi resti nel Niles Canyon, ma la spedizione non ha successo.

A questi racconti tradizionali s’ispira John Rollin Ridge, poeta e giornalista, quando nel 1854 scrive The Life and Adventures of Joaquin Murrieta, The Celebrated California Bandit. Il libro ha un buon successo di vendite e getta le basi per mitizzare la figura di Murrieta.

L’evoluzione di Murrieta verso il personaggio di Zorro si perde a cavallo tra XIX e XX secolo in una serie interminabile di rimaneggiamenti fino alla prima apparizione illustrata del 1919: non si tratta di certo di un bandito bensì di un eroe dai nobili ideali.

La terza puntata de Il mio nome è Leggenda vedrà la partecipazione del mass-mediologo Roberto Grandi e la storica Elena Pirazzoli.

Il mio nome è Leggenda è una produzione originale Sky Arte, ideata e realizzata da Bottega Finzioni. Un programma di Michele Cogo, Giuseppe Cassaro, Gianmarco Guazzo e Antonio Monti, scritto da Michele Cogo e dagli ex-allievi di Bottega Finzioni Gianmarco Guazzo, Alberta Lepri e Silvia Pelati, con la produzione esecutiva di Giuseppe Cassaro e la regia di Antonio Monti. Hanno partecipato in forma di partnership il Comune di Bologna e Bologna Welcome, mettendo a disposizione una delle location più suggestive della città: il Salone del Podestà a Palazzo Re Enzo.

“Giù la maschera!“ – testi di Gianmarco Guazzo.

Nota dell’autore Gianmarco Guazzo:

Dietro la storia di vendetta di Joaquin Murrieta/Zorro c’è un’idea di giustizia e riscatto molto potente. Come autore, ho cercato di raccontarla traendo ispirazione dal tema pirandelliano dell’identità dietro le maschere e dall’immaginario pop dei supereroi mascherati come Batman o V per Vendetta. Senza dimenticare il me bambino che a carnevale, armato di spadino e con indosso cappello e mantello neri, voleva combattere i soprusi disegnando grandi Z nell’aria.


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IMMAGINE DI APERTURA dal programma di Sky Arte con Matilda De Angelis