Autori Vari – Che fastidio!

I fastidi sono dappertutto, più insidiosi che mai. Come fare a sopravvivere? Una possibile soluzione è l’ironia: raccontare ciò che ci infastidisce e riderci sopra. Questo libro raccoglie i fastidi che le lettrici e i lettori di Federica Bernardo, autrice di Momenti di insopprimibile fastidio, hanno voluto condividere sul sito www.feltrinellieditore.it/che-fastidio.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



Literary Hub – Come Mark Twain ha documentato l’alba dell’era turistica

Literary Hub è un sito web letterario quotidiano lanciato nel 2015. Incentrato sulla narrativa letteraria e sulla saggistica, Literary Hub pubblica saggi personali e critici, interviste ed estratti di libri da oltre 100 partner, tra cui editori indipendenti, grandi editori, librerie, organizzazioni no-profit e riviste letterarie. Nel 2019, Literary Hub ha lanciato il suo nuovo blog, The Hub, insieme a LitHub Radio.

Il Website: Literary Hub

Come Mark Twain ha documentato l’alba dell’era turistica

Samuel Clemens, meglio conosciuto con il suo pseudonimo Mark Twain, nel 1869 scrisse Innocents Abroad, il testo fondamentale per chiunque fosse interessato allo studio del turismo. Di tutte le opere pubblicate di Twain, è stato Innocents Abroad a guadagnare più popolarità durante la sua vita: ha venduto 100.000 copie e 70.000 solo nel primo anno. Oggi generalmente ricordiamo Twain per i suoi romanzi, ma i suoi contemporanei erano in realtà molto più interessati ai suoi libri di viaggio. Le avventure di Tom Sawyer, ad esempio, ha venduto 24.000 copie nel suo primo anno e Il principe e il povero solo 18.000.



La bufala di Edgar Allan Poe: una “potente macchina di pubblicità, dubbio e convinzione”

Il 13 aprile 1844 la prima pagina del New York Sun annunciava una notizia sorprendente: il successo del primo volo in mongolfiera attraverso l’Atlantico. Il capo aeronauta Monck Mason, un avventuriero irlandese e scrittore di scienze che nel 1836 fece rotta dal Galles alla Germania, aveva finalmente compiuto l’ardimentosa impresa. Il volo dall’Inghilterra a Charleston, nella Carolina del Sud, era stato reso possibile dai miglioramenti tecnici di Mason. In realtà la storia era una bufala e a scriverla è stato Edgar Allan Poe.



Cosa stiamo sbagliando sulla cosiddetta letteratura su Internet

Il termine “letteratura su Internet” sembra concepito perfettamente per dividerci, ma stiamo sbagliando tutto. Nonostante le forti opinioni a favore e contro, sembra esserci un malinteso di base su cosa sia effettivamente questa letteratura, che si collega al mondo e ne trae potere e significato.



Come cambiano le storie quando passano dalla pagina alla voce

Laura Lindstedt si chiede se l’ascesa degli audiolibri potrebbe cambiare il modo in cui gli autori, consciamente o inconsciamente, scrivono libri. Questo perché, quando si legge un libro ad alta voce come un audiolibro, gli aspetti visivi del testo scompaiono tutti. Certo, si potrebbe leggere una parola, che nel testo appare in corsivo, in modo leggermente diverso… magari facendo una breve pausa artistica. Ma non è la stessa cosa. Il corsivo non è la stessa cosa di una breve pausa.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Massimo Moruzzi – L’ideologia di Internet. Dalla A di App alla Z di Zipcar

Viviamo in tempi in cui Internet e la tecnologia sembrano talmente vincenti che si dà per scontato che debbano vincere. Ma davvero Internet è la tecnologia di tutte le tecnologie? E’ imbattibile? Deve vincere per forza? Ha un fine e dei valori propri? Sono condivisibili? Non vi si deve opporre resistenza? Tempi in cui le cose vengono definite in modo talmente poco chiaro che diventa difficile ragionare. Questo è un breve testo sulle balle che ci raccontano e sull’ideologia di Internet. Bisogna fare un po’ di chiarezza. Perché ha davvero ragione Orwell: il linguaggio, se non è chiaro, corrompe i nostri pensieri.

Parleremo di…
App
Big Data
Cloud
Disruption
Gamification
Hippie
Internet of Things
Jefferson (Thomas, non George)
Legge di Moore
Long Tail
LSD
Manifest Destiny
…e tante altre cose ancora!

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



The Conversation – Amsterdam sta definendo un nuovo modello di turismo dopo il Covid

The Conversation è una rete di media senza scopo di lucro che pubblicano notizie su Internet scritte da accademici e ricercatori. La piattaforma è stata co-fondata da Andrew Jaspan e Jack Rejtman ed è stata lanciata inizialmente in Australia, nel marzo 2011. Successivamente questa rete si è espansa in tutto il mondo. Jaspan ha discusso per la prima volta del concetto di The Conversation nel 2009 con Glyn Davis, vicerettore dell’Università di Melbourne. Jaspan ha redatto un rapporto per il dipartimento di comunicazione dell’ateneo sull’impegno da tenere con il pubblico, immaginando l’università come “una gigantesca redazione”, con accademici e ricercatori che forniscono collettivamente contenuti autorevoli e informati dei quali si sono occupati nel corso delle proprie ricerche e delle proprie lezioni. Da quel momento questo divenne il progetto per The Conversation.

Il Website: The Conversation

Amsterdam sta definendo un nuovo modello di turismo dopo il Covid

L’onere dell’eccesso di turismo è stato a lungo una preoccupazione. Il Covid ha offerto un’opportunità rara, se non unica: affrontare i problemi duraturi che il turismo comporta. Da come le persone raggiungono le destinazioni a come è gestito il turismo all’interno delle città sopraffatte, per non parlare del modo in cui benefici e costi sono distribuiti alle comunità locali.



Benjamin Netanyahu (foto: Yonatan Sindel/EPA-EFE)

Dopo 12 anni di Netanyahu, cosa aspettarsi da un nuovo governo di coalizione in Israele?

La politica israeliana sta entrando in un nuovo capitolo. Dopo le elezioni inconcludenti di marzo, si è formata una coalizione politicamente diversificata per porre fine ai 12 anni di Benjamin Netanyahu come primo ministro. La coalizione di otto partiti è guidata dall’ala destra Naftali Bennett e dal centrista Yair Lapid. I due si alterneranno nel ruolo di primo ministro, e Bennett sarà il primo nei prossimi due anni.



Come ho trovato opere perdute del pittore britannico William Hogarth

Nato a Londra nel 1697, Hogarth ha inizialmente lavorato come incisore, illustratore di libri e decoratore di case. Tuttavia, nessuno dei suoi dipinti murali precedenti al 1730 fino ad oggi era conosciuto. Una nuova ricerca suggerisce che un salotto olandese è stato dipinto da artisti inglesi nel 1720, non da artisti olandesi nel 1660. Probabilmente contiene preziosi esempi dei primi dipinti murali del maestro britannico.

IMMAGINE DI APERTURA: Foto di Gordon Johnson da Pixabay

Giulia Bassani – Il futuro della Terra. Costruire un’economia locale più sostenibile

La ricerca proposta dalla Fondazione “Giovanni Dalle Fabbriche” intende fornire una rilettura più strategica di alcuni specifici obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, focalizzando l’attenzione sul territorio di azione della BCC Ravennate, Forlivese e Imolese. In particolare, gli obiettivi che verranno presi come punti di riferimento sono il numero 11 Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili, 12 Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo e 13 Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico.

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IMMAGINE DI APERTURA – copertina del libro 



Paola Scala – Elogio della mediocritas

In un mondo caratterizzato da una innaturale, esagerata relazione tra ogni cosa, ha ancora senso parlare di misura in architettura? Se sì, quali e quanti significati è possibile individuare per questo termine nell’epoca della “sproporzione”? L’uomo domina (ancora) il mondo con l’arte del misurare o invece ha trovato nuovi modi per organizzare lo spazio? Gestire la complessità del territorio contemporaneo è ancora, anche, una questione di misura e soprattutto questa misura trova ancora le sue ragioni nella struttura stessa del paesaggio ovvero nella sua architettura? Questo libro parte da molte domande… e da poche certezze. Uno dei punti certi di questo ragionamento è il punto di vista dal quale si affronta la questione, quello del “progetto intermedio”: un progetto in grado di interpretare e raccontare non soltanto le ragioni dell’opera costruita ma anche quelle del luogo che costruisce.

CONTINUA A LEGGERE SU ACADEMIA.EDU (OPPURE SCARICA IL LIBRO): Paola Scala – Elogio della mediocritas

IMMAGINE DI APERTURA – Immagine tratta dalla copertina del volume

Paola Scala – Elogio della mediocritas



Perugia: #INCURSIONI. Un progetto che conferma come lavorare in rete

Allestita nelle sale che ospitano la collezione permanente della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, l’esposizione presenta una selezione di 20 opere, tra dipinti e disegni, provenienti dalle raccolte della Galleria Nazionale dell’Umbria.

PERUGIA
A PALAZZO BALDESCHI AL CORSO
DAL 7 LUGLIO AL 14 NOVEMBRE 2021
LA MOSTRA

#INCURSIONI

Un dialogo fra le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria e della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia

a cura di Carla Scagliosi

Pier Francesco Mola, (Coldrerio, 1612-Roma, 1666), Omero, 1661-1666, Olio su tela, cm. 70 x 58,5, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia

Dal 7 luglio al 14 novembre 2021, Palazzo Baldeschi al Corso a Perugia ospita la mostra #Incursioni, che presenta una selezione di 20 opere provenienti dalla Galleria Nazionale dell’Umbria in dialogo con quelle delle raccolte d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.

#Incursioni è un progetto importante che conferma la propensione della Fondazione e della Galleria Nazionale dell’Umbria a lavorare in rete con le altre Istituzioni, rafforzando il ruolo che i musei hanno nella vita culturale, al fine di promuovere e valorizzare un’idea condivisa di fruizione del patrimonio artistico da offrire ad una platea più ampia possibile.

Le scelte espositive sottolineano i rapporti fra le opere e gli artisti presenti nelle due collezioni e la varietà dei generi pittorici, con la possibilità di mostrare al pubblico, in un contesto diverso, le opere più rappresentative della collezione moderna della Galleria Nazionale dell’Umbria, previste nel nuovo percorso espositivo, i dipinti conservati nei depositi e alcuni disegni, di solito non fruibili per chiare esigenze conservative. La rassegna, curata da Carla Scagliosi, conservatrice delle raccolte moderne e contemporanee del museo perugino, è un’occasione per poter fruire in parte del patrimonio della GNU durante la sua chiusura per i lavori di riallestimento. Una mostra “a km 0” dunque ed economicamente sostenibile, che in un momento molto difficile, in particolare per il mondo della cultura, intende dare un segnale positivo di vitalità e dinamismo e che si connota per i forti contenuti scientifici, trasformando gli spazi e instaurando nuove interpretazioni di senso, visioni o approfondimenti sulle opere che metteranno di volta in volta in dialogo o a confronto.

Il fil rouge è quello di un focus, nella direzione già avviata dagli studi dedicati alla pittura del XVII e del XVIII secolo in Umbria e da alcune recenti esposizioni, su alcuni aspetti e protagonisti della pittura del Seicento, con alcuni sconfinamenti nel Settecento e nel Barocco romano. Seguendo il percorso che si snoda nelle sale di Palazzo Baldeschi e le scelte museografiche della collezione permanente della Fondazione, le prime due ‘incursioni’ cambieranno l’aspetto della Sala dei paesaggi. Qui le due opere di Giacinto Boccanera dedicate a episodi dell’Antico Testamento saranno messe in relazione con altrettanti dipinti dedicati a episodi delle vite dei santi, mentre i bellissimi paesaggi di Pietro Montanini di proprietà della Fondazione dialogheranno con due dipinti di soggetto sacro della GNU in cui è comunque il paesaggio a essere il vero protagonista.

Nella Sala delle pale d’altare, i dipinti di Giovanni Baglione e Valentin de Boulogne permetteranno di confrontare le opere della giovinezza e della maturità dell’artista romano con la personale declinazione del caravaggismo e del naturalismo del pittore francese. Nello stesso spazio, si potranno apprezzare i lavori del perugino Giovanni Antonio Scaramuccia; alla luminosa Madonna del Rosario tra angeli e santi della Galleria sarà affiancato lo studio preparatorio per la Madonna con il Bambino della grande pala per il Duomo di Perugia, allo scopo di cogliere l’evoluzione dello stile dell’artista a contatto con la pittura del Baglione.

Nella sala dedicata a Gian Domenico Cerrini, detto il Cavalier Perugino, sarà esposta la Sacra Famiglia con i santi Giovannino e Anna della Galleria, così da intrecciare un dialogo con gli altri dipinti dello stesso autore di proprietà dalla Fondazione.

La grande stagione del Barocco romano sarà rappresentata da alcuni tra i nomi più illustri, quali Mola, Bernini, Schor, Velázquez, Pietro da Cortona. I ritratti della collezione Martinelli e le opere di Pietro da Cortona saranno accostati allo splendido Omero di Pier Francesco Mola di proprietà della Fondazione. I rapporti che intercorrono tra le componenti romana ed emiliana della pittura del Seicento saranno l’oggetto di una ulteriore ‘incursione’, nella quale il Bacco fanciullo attribuito a Elisabetta Sirani dialogherà con altri putti di ascendenza classicista ed emiliana, quelli di Luigi Scaramuccia, per il quale furono molto importanti i rapporti intrattenuti con il Guercino, del quale la Fondazione possiede un giovanile San Francesco in meditazione.

Una selezione di disegni permetterà di concludere il percorso espositivo offrendo un’ulteriore e diversificata visione sugli artisti protagonisti o sui temi individuati nelle #INCURSIONI.

#INCURSIONI. Un dialogo fra le opere della Galleria Nazionale dell’Umbria e della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia – A cura di Carla Scagliosi
Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso (corso Pietro Vannucci, 66)
7 luglio – 14 novembre 2021

Orari: dal martedì al venerdì 15.30-19.30 – sabato e domenica 10.30-13.30 e 15.30-19.30
Biglietti: intero 7 euro; ridotto 4 euro
Informazioni: tel: 075 5734760 palazzobaldeschi@fondazionecariperugiaarte.it
Biglietteria online: MIDA TICKET
Sito internet: www.fondazionecariperugiaarte.it

IMMAGINE DI APERTURA Mattia Preti, detto il Cavalier Calabrese (Taverna, 1613-La Valletta, 1699), Studio per san Giovanni evangelista 1650-1651, matita rossa, tocchi di biacca su carta grigia, cm 58 x 45, Comune di Perugia, Collezione Martinelli inv. 134, in deposito presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia

All’Aia dei Musei di Avezzano la mostra “Cracking Art. Sculture a colori”

Dal 9 luglio al 3 ottobre, all’Aia dei Musei di Avezzano giungono le mastodontiche e coloratissime sculture animali firmate dal movimento artistico Cracking Art. Con la mostra Cracking Art. Sculture a colori, la sede espositiva abruzzese si prepara a ospitare per la prima volta un evento unico nel suo genere, animandosi di creature del mondo animale singolari per colori ma anche per dimensioni e composizione.

Avezzano ospita

Dal 9 luglio arriva la mostra
di maxisculture create dal collettivo Cracking Art

Amatissime in tutto il mondo, le opere dei Crackers (così si definiscono gli artisti del collettivo) – traghettando il pubblico in un mondo onirico ma anche carico di significato etico – si caratterizzano non solo per i loro colori fluo e le dimensioni che vanno dal piccolo formato alle taglie XXL, ma anche per il loro processo di realizzazione in materiale sintetico che deriva dalla rigenerazione della plastica che, in questo modo, da materiale considerato usa e getta si fa arte.

La plastica, infatti, si trasforma e si rende mezzo di comunicazione: da semplice materiale di uso comune e sostanza potenzialmente nociva per l’ambiente, si modella divenendo elemento decorativo e fonte di ispirazione.
Con l’obiettivo di rendere l’arte fruibile al pubblico più vasto e contribuire al senso civico della società, la mostra – fenomeno d’arte contemporanea tra i più conosciuti a livello globale – è pensata e voluta gratuita, affinché possa essere alla portata di tutti non solo in termini di accessibilità, ma anche perché possa essere interiorizzata, stimolando le reazioni e l’attenzione del singolo e – allo stesso tempo – della collettività verso importanti tematiche di interesse sociale, come la salvaguardia dell’ambiente.

Con il patrocinio del Comune di Avezzano, la mostra Cracking Art. Sculture a colori – curata dal collettivo Cracking Art – è promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale presieduta dal Prof. Avv. Emmanuele F. M. Emanuele, ed è realizzata dalla Fondazione Cultura e Arte con il supporto organizzativo di Comediarting e Arthemisia, in collaborazione con l’Aia dei Musei.

Animata da chiocciole e tartarughe, elefanti e conigli, orsi e lupi, l’Aia dei Musei di Avezzano si prepara quindi a divenire uno speciale e variopinta Arca di Noè dove protagonisti sono sempre la natura e il rispetto per essa. Animali ai quali l’uomo ha sempre attribuito un potere, carichi di messaggi e che celano, ognuno a modo suo, un forte significato di rigenerazione.

Cracking Art
Cheekwood, Nashville | USA 2018
Crediti fotografici Cracking Ar

IL COLLETTIVO CRACKING ART

Il movimento Cracking Art nasce nel 1993 con l’obiettivo di cambiare radicalmente la storia dell’arte attraverso un forte impegno sociale e ambientale che unito all’utilizzo rivoluzionario dei materiali plastici mette in evidenza il rapporto sempre più stretto tra vita naturale e realtà artificiale.

Il termine Cracking Art deriva dal verbo inglese “to crack”, che descrive l’atto di incrinarsi, spezzarsi, rompersi, cedere, crollare. Con il nome di cracking catalitico è anche chiamata la reazione chimica che trasforma il petrolio grezzo in plastica: per gli artisti è questo il momento in cui il naturale permuta in artificiale, l’organico in sintetico, ed è tale processo che essi intendono rappresentare attraverso la loro arte.

Le opere sono realizzate per sollecitare una riflessione collettiva sui temi dell’effetto antropico sull’ambiente naturale tramite azioni performative coinvolgenti, in cui installazioni fuori scala – come i celebri animali colorati – invadono i luoghi più vari, dagli spazi propriamente deputati all’arte a quelli della vita quotidiana.

Rigenerare la plastica significa sottrarla alla distruzione tossica e devastante per l’ambiente donandole nuova vita, farne delle opere d’arte significa comunicare attraverso un linguaggio estetico innovativo esprimendo una particolare sensibilità nei confronti della natura.


IMMAGINE DI APERTURA – Elaborazione grafica dell’invito alla preview stampa della mostra

Victor Horta – Con steli di fiori esotici animava spazi fluidi e avvolgenti

di Sergio Bertolami

25 – La struttura metallica a vista cambia l’architettura

Bruxelles nel decennio 1980-90 fu un evidente centro propulsore d’arte contemporanea, tanto da essere considerata una delle principali capitali europee dell’Art Nouveau. Qui due facoltosi avvocati come Octave Maus ed Edmond Picard erano stati tra i fondatori, prima del circolo dei Vingt, poi del settimanale L’Art Moderne. Così, oltre che nel campo figurativo col Simbolismo, Bruxelles esercitò la sua influenza anche nei campi della decorazione e dell’architettura. Elogiando proprio l’architettura, sul finire del secolo, il quotidiano austriaco Neue Wiener Tagblatt scriveva che mai prima dall’ora in tutta Europa era stato elevato un edificio così nuovo come Casa Tassel di Victor Horta: «Nessun dettaglio è tratto da qualcosa che esisteva già». Casa Tassel è oggi considerata l’opera fondante dell’architettura Art Nouveau. Jan Romein nel suo libro All’incrocio di due secoli (Op het breukvlak van twee eeuwen, 1976) fa notare che Victor Horta, quando disegnò quell’edificio, aveva appena trent’anni, mentre “suo fratello nella nuova arte”, Henry van de Velde, era di due anni più giovane: «Sebbene forse un po’ meno talentuoso, quest’ultimo sarebbe diventato molto più famoso, possedendo, oltre a tanti altri suoi doni, quello della parola». La sostanziale differenza fra i due, a vantaggio di van de Velde, fu quella di trovare uno spazio di lavoro più ampio in Germania, e soprattutto quella d’interessarsi per tutta la sua vita alla “nuova industria leggera”, ovvero alla produzione di beni di consumo. La fama di Victor Horta, invece, fu tutta legata ai suoi capolavori architettonici in stile Art Nouveau, ma poiché il movimento sfiorì nell’arco di una ventina d’anni il suo successo personale si concluse precocemente e Horta perse la sua notorietà nella quasi completa indifferenza. Tant’è che le opere successive alla Grande Guerra – il Musée des Beaux-Arts di Tournai (1928) può essere un esempio – fecero regredire la sua arte immaginosa agli stilemi classicheggianti e convenzionali del Pavillon des Passions humaines (1890-1897) dei suoi inizi.

Scalone di Casa Tassel, Bruxelles

Tuttavia, poiché l’esercizio preferito di molti critici contemporanei è quello delle graduatorie, Romein ci mette al corrente che non solo Horta, ma anche Mackintosh e Behrens e de Bazel, per non parlare di Wright, furono migliori architetti di van de Velde, il quale persino come teorico fu superato da Hermann Muthesius. Nonostante ciò, l’illustre critico deve ammettere che «van de Velde, a volte sopravvalutato, rimane comunque rappresentativo del rapido cambiamento nel pensiero e nell’agire all’inizio del secolo». Dal canto suo, van de Velde ben conscio che opinioni e rivalità possono essere molteplici, puntualizzando implicitamente ambiti d’interesse professionale differenti, annotava nell’autobiografia: «Lascio agli altri discutere su quale dei quattro primi fuoriclasse belgi tra il 1893 e il 1895 – Georges Serrurier-Bovy e io nel campo dell’arredamento e della decorazione, Paul Hankar e Victor Horta nel campo dell’architettura – viene data la priorità creativa».

Articolo su Victor Horta del gennaio 1897 da Archivi delle arti applicate italiane del XX secolo

In verità, le frizioni si manifestarono soprattutto quando a conclusione del primo conflitto mondiale il re Alberto I considerò che fosse giunto il momento di richiamare il “grande artista” in Belgio. L’interesse verso van de Velde era nato con l’Esposizione universale di Bruxelles del 1910, allorché si era presa in considerazione l’idea di fondare una Scuola di arti e mestieri sul modello del suo Istituto di Weimar. Il progetto prese avvio intorno al 1922, quando Camille Huysmans divenne Ministro dell’Istruzione, delle Arti e delle Scienze nel governo di M. Prosper Poullet. Finalmente nel 1925 fu istituito a Bruxelles l’ISAD (Institut Supérieur d’Architecture et des Arts Décoratifs). «Non appena si resero note le decisioni ministeriali di Camille Huysmans – scrive van de Velde –, contro di lui e contro di me iniziò una faida di stampa di inaudita violenza. Victor Horta sedeva a capo dei gelosi e mediocri architetti belgi, che poteva facilmente aizzare contro di me, perché temevano tutti la mia autorità e superiorità, ma soprattutto il mio rientro nella vita professionale architettonica del Belgio. Lo stesso Horta non aveva motivo per lamentarsi di me. Nel periodo in cui vivevo e lavoravo in Germania o in altri paesi europei, non c’era ragione di inimicizia da parte mia nei suoi confronti, se non la sua avversione e la sua ambizione». La realtà, tutto considerato, è che siamo davanti a due antagonisti di grande ingegno, dei quali apprezziamo le qualità creative, senza tralasciare gli aspetti umani. In tal senso, è facile comprendere che la genialità di Victor Horta consisteva nel sapere unire tutte le qualità in ogni sua opera, rivoluzionando l’architettura eclettica dell’epoca: la libertà compositiva, la fluida suddivisione dello spazio, la robustezza strutturale, la forza creativa che attrae sia negli esterni come negli interni.

Tali qualità le ritroviamo tutte nelle quattro abitazioni private (hôtels) incluse nel 2000 nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Enumeriamole:
– Hotel Tassel, progettato e costruito per il Prof. Émile Tassel nel 1892 – 1893;
– Hotel Solvay, progettato e costruito nel 1895 – 1900;
– Hotel van Eetvelde, progettato e costruito nel 1895 – 1898;
– Maison e Atelier Horta, progettato nel 1898, che ora ospita il museo Horta, dedicato al suo lavoro.

Hotel Tassel, rue Paul-Emile Janson 6, Ixelles (Bruxelles)
Hotel Solvay, Avenue Louise 224, Bruxelles
Hotel van Eetvelde, Bruxelles
Musée Horta, Casa personale e Studio di Victor Horta, Saint-Gilles (Bruxelles)

Per sintetizzare in poche righe le motivazioni del Comitato UNESCO, le quattro progettazioni di Victor Horta fanno parte delle opere di architettura più innovatrici della fine del XIX secolo. La rivoluzione stilistica che le caratterizza è rappresentata dalla pianta aperta, dalla diffusione della luce e dalla brillante integrazione delle linee curve della decorazione alla struttura dell’edificio. Proprio per evidenziare questa integrazione basterà far notare che l’alternativa alle tradizionali murature autoportanti erano le strutture in ferro o ghisa per consuetudine annegate in setti, tramezzi e tompagni, rendendo il tutto indistinto sotto strati di intonaco. Horta, in modo sorprendente per il tempo, pensò bene di mettere in mostra gli elementi strutturali metallici, ma soprattutto di forgiarli come vere e proprie ramaglie vegetali. Parlando della sua ispirazione floreale Horta amava dire: «Lascio il fiore e la foglia, e prendo lo stelo». L’effetto fu spettacolare. Un materiale tutto sommato nuovo come il ferro fu utilizzato per esprimere un linguaggio formale. Combinato con il vetro lo si era già visto nei grandi Palazzi delle Esposizioni universali, ora lo si ritrovava armonizzato nei palazzi privati con il bronzo, la pietra e il legno. Horta cambiava in questo modo il volto dell’architettura. «Il linguaggio del design unico di Horta – scriveva Frans Boenders sulla rivista Fiandre – è stato descritto come lo stile del “colpo di frusta”. In effetti, il dinamismo estremamente resistente di queste forme, che si ritrova nell’intera concezione spaziale, così come nei minimi dettagli, è l’aspetto più sorprendente dell’arte architettonica e d’interni di Horta. Nessun architetto ha avuto tanto successo nel mettere insieme materiali prima considerati incompatibili; Horta è un vero maestro nell’armonizzare il legno vivo e caldo con la pietra fredda e lucente e il ferro duro ma aggraziato».

Schizzo di progetto della Maison e Atelier Horta

Si potrebbe pensare che requisiti come la solidità dei materiali costruttivi, la luminosità e l’ampiezza degli spazi, la ricchezza decorativa, siano prerogative esclusive delle classi abbienti. Eppure, tra le pieghe del lusso e dell’eleganza, dei consumi e dello sfarzo, con l’Art Nouveau cominciò a farsi strada un’arte sociale che trasformò non solo i palazzi dei facoltosi ma anche i grigi quartieri degli operai. Nel descrivere il progetto della Maison du Peuple, particolarmente toccanti echeggiano le parole di Victor Horta nelle sue Memorie inedite (uscite a stampa solo nel 1985). La Maison du Peuple è il suo capolavoro assoluto, ma evidentemente questo edificio iconico non era considerato altrettanto nel 1964, quando fu smontato e smembrato, per liberare l’area sulla quale edificare un grattacielo.

Cecile Duliére, Victor Horta, Mémoires, Ministère de la Communauté Francaise, 1985.

«Sono stato scelto per costruire la Maison du Peuple, perché si voleva un edificio che esprimesse la mia concezione estetica. Il tema era interessante: costruire un palazzo che non fosse un palazzo, ma una vera “casa” in cui l’aria e la luce divenissero il lusso per tanto tempo negato ai tuguri operai; una casa, sede dell’amministrazione, degli uffici delle cooperative, di locali per riunioni politiche e professionali, di un bar […], sale per conferenze destinate a diffondere l’istruzione, e infine una immensa sala di riunioni per il dibattito politico e i congressi del partito e gli svaghi musicali e teatrali degli iscritti». Tra il 1895 e il 1899, in rue Stevens, Horta costruì La Casa del popolo per il Parti Ouvrier Belge di Camille Huysmans, con le finanze della borghesia industriale e l’entusiastica approvazione dei dirigenti socialisti. Anche lui, simpatizzava per il socialismo, come van de Velde e la maggior parte degli architetti modernisti belgi. Qualcuno oggi commenta, storcendo il naso, che Horta era un socialista da salotto ed anche un massone, iscritto alla loggia Les Amis Philanthropes. Molti eminenti liberali e socialisti belgi erano impegnati, allora, nella Massoneria, essendo per molto tempo l’unico movimento organizzato del Belgio. Qualcuno dice, ancora, che lo stesso Camille Huysmans fece costruire questo “palazzo di cristallo” del proletariato, ma lo fece anche demolire, sottoscrivendo il decreto che stabiliva che la Maison du Peuple dovesse essere smontata e sostituita. Di sicuro sappiamo che per la casa del popolo i socialisti dell’epoca avevano voluto il medesimo architetto che un anno prima aveva costruito il palazzo in Avenue Louise per l’industriale Solvay. Qui ogni operaio avrebbe potuto partecipare alle riunioni, imparare a leggere, scrivere e far di conto. «Par nous Pour nous», questo era il motto: Da noi Per noi.

Restituzione in 3D della Maison du Peuple – Filmato
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Nonostante una trama edilizia fitta e irregolare, formata da palazzi borghesi accuratamente progettati e di buon gusto, costruiti secondo i dettami dell’arte in tutti gli stili ottocenteschi – neogotico, neorinascimentale, neoclassico – con un prospetto che assecondava l’arco di una piazza circolare e in pendenza, Horta riuscì a realizzare uno strepitoso edificio in metallo di quattro piani. Quattro, quasi come gli anni che impiegò per progettarlo e farsi appioppare il soprannome di “ritardatario”. Horta svolgeva il suo lavoro con grande meticolosità: «Ogni cosa – considerava – è una somma di dettagli, ma ogni dettaglio è utilizzabile se è pensato, disegnato e fabbricato». Quando l’opera fu realizzata, il plauso fu unanime. Il Consiglio di Amministrazione del Parti Ouvrier Belge (POB – Partito Operaio Belga) magnificò il lavoro con queste parole: «Ora che la Nouvelle Maison du Peuple è costruita, ora che suscita l’ammirazione sia degli abitanti di Bruxelles che degli stranieri, possiamo essere fieri del nostro palazzo e prima di tutto, noi teniamo a ringraziare Horta e a complimentarci con lui, il nostro architetto che ha così compreso le aspirazioni della Cooperativa socialista e i bisogni del partito operaio di Bruxelles e ha messo al nostro servizio il suo grande talento di architetto e di artista per darci piena e completa soddisfazione. È possibile che il suo modo di lavorare, non apprezzato inizialmente dai sindacati operai abbia talvolta potuto scontentarli, che la generale impazienza di poter disporre di nuovi locali abbia fatto parlare di lentezza nel portare a termine questa costruzione, ma, quando, come nel nostro caso, si è al corrente della attività costante che ha regnato durante questi tre anni e mezzo, delle innumerevoli difficoltà che si sono dovute sormontare, si è obbligati a riconoscere, in tutta sincerità, che l’edificazione della nuova Maison du Peuple è stata in gran parte, un’opera di dedizione di tutti quelli che vi hanno partecipato e in particolare del suo architetto e dei suoi collaboratori».

Restituzione in 3D della Maison du Peuple – Rendering
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L’opera spiccò subito per la sua funzionalità. Il pianoterra destinato a negozi e persino ad un caffè-ristorante; al primo piano, gli uffici e le sale riunioni del Partito, oltre a una biblioteca per studiare; al secondo e terzo piano, diverse sale pluriuso; al quarto piano, un grande auditorium e una sala da concerto con una capienza di oltre 2.000 posti a sedere. Horta vedeva in tutto questo una duplice sfida: costruire un palazzo in stile Art Nouveau su uno spazio impossibile e farne una casa per il popolo in uno stile a prima vista riservato alle élite. Sottolinea Paolo Portoghesi a questo proposito: «La consapevolezza del maestro rispetto al significato politico che la sua architettura aveva assunto è chiaramente espressa nelle Memorie inedite dove afferma esplicitamente, riferendosi ai suoi amici della cerchia di Solvay: “Noi eravamo dei rossi, senza per questo aver pensato a Marx o ad altre teorie”. L’architetto parla esplicitamente di “profanazione” prodotta dall’apparizione del metallo nell’hotel Solvay e, interpretando le reazioni di madame van Eetvelde ai progetti della sua casa dell’avenue Palmerston, scrive: “Lo stile modernista soprattutto con il ferro in vista, elemento principale ma grossolano e miserabile, […] era popolo”». È possibile, riflette Portoghesi, che per gli operai che videro sorgere la loro Casa comune probabilmente quel ferro, tanto “grossolano e miserabile” per la signora van Eetvelde, non avesse «un significato così chiaro ed univoco da dar loro l’impressione di una simbolica identificazione coi loro interessi e le loro aspirazioni». È presumibile. È certo, invece, che la demolizione del 1964 ha fatto perdere un documento storico, un segno consolidato dello spirito del tempo, tanto da far nascere un termine come Brusselizzazione (Brusselization) per identificare un’indiscriminata pianificazione urbana senza idee e senza qualità. 750 persone firmarono per salvare il capolavoro di Victor Horta. Tra loro numerosi architetti come Mies van der Rohe, Walter Gropius, Alvar Aalto, Gio Ponti, Jean Prouvé, Ieoh Ming Pei. La demolizione non venne fermata e la Blaton Tower, un grattacielo di 26 piani, sostituì quell’edificio diventato troppo angusto per le esigenze del Partito dei Lavoratori, quell’edificio innalzato da un architetto ormai dimenticato e in uno stile fuori moda: L’Art Nouveau e i suoi precursori non interessavano se non ai cultori dell’arte moderna. «Ricordo oggi con raccapriccio – racconta ancora Portoghesi – che la notizia della demolizione in corso, con la conseguente dispersione di molte delle parti metalliche della Maison du Peuple, scatenò in molti studenti e architetti il desiderio di procurarsi delle reliquie, corrompendo gli operai addetti allo smontaggio. A Roma circolavano allora maniglie e cerniere conquistate con spedizioni mirate a Bruxelles».

Victor Horta nel 1900

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay 

Il miglior formato di pasta? La geometria sfata un popolare mito alimentare

Nel corridoio dedicato alla pasta in qualsiasi negozio di alimentari americano (noi diremmo di tutto il mondo), si trova un formidabile muro di opzioni dorate. Dalle sfoglie di lasagne ai “capelli d’angelo”, dai rigatoni alle “farfalle” e, naturalmente, l’alimento base della fantasia di ogni bambino: gli spaghetti. Ma qual è il migliore formato di pasta?

INVERSE

Foto di Scott Gordon Bleicher

Il migliore formato di pasta? La geometria sfata un popolare mito alimentare

Nonostante i vari formati, quanta differenza fa davvero la forma della pasta rispetto al piatto che stai mangiando? C’è una scelta giusta che brilla su tutto il resto? Queste sono alcune domande sulle quali Dan Pashman, premiato conduttore del podcast sul cibo “The Sporkful”, ha trascorso gli ultimi tre anni a scervellarsi per dare una risposta.

LITERARY HUB

I segni di punteggiatura amati (e odiati) da famosi scrittori

“Dogmatizzare sulla punteggiatura è tanto sciocco quanto dogmatizzare su qualsiasi altra forma di comunicazione con il lettore”, ha scritto Henry James. “Tutte queste forme dipendono dal tipo di cosa che si sta facendo e dal tipo di effetto che si intende produrre.” Eppure non tutti gli scrittori hanno un giudizio univoco.



L’improbabile successo dei bastoncini di pesce

I bastoncini di pesce li ricordiamo da sempre sui banchi dei supermercati. Eppure, sono stati prodotti a cominciare dagli anni Cinquanta. Hanno infatti debuttato il 2 ottobre 1953, quando la General Foods li ha immessi sul mercato con l’etichetta Birds Eye. Queste curiosità impanate facevano parte di una serie di cibi “rettangolari”, che includevano bastoncini di pollo, bastoncini di prosciutto, bastoncini di vitello, bastoncini di melanzane e bastoncini di fagioli di Lima essiccati. Solo il bastoncino di pesce è sopravvissuto.



IL POST

Dovremmo essere meno d’accordo con noi stessi

Diversi studi sull’intelligenza collettiva dicono che le decisioni migliori derivano dalla considerazione di opinioni eterogenee. Partiamo da un aneddoto e capiremo perché. Riguarda lo studioso di statistica vittoriano Francis Galton, all’epoca ottantacinquenne, il quale nell’autunno del 1906 partecipò a una fiera vicino a Plymouth, in Inghilterra.

Intorno al mondo” è il titolo che abbiamo pensato per caratterizzare alcune nuove pagine di Experiences. Riguarderanno temi sui quali vale riflettere e che possiamo trovare navigando i migliori siti web del globo, sulle riviste culturali e sui quotidiani internazionali. Saranno fonti autorevoli, selezionate, interessanti e originali. Tali fonti permetteranno di osservare aspetti differenti dall’usuale, oppure fonti che porteranno l’attenzione su questioni che già conoscevamo e che avevamo trascurato, argomenti che sentivamo comunque vicini alla nostra sensibilità. Tutto vero. Noi di Experiences, per onestà intellettuale, vorremmo però fare di più. Cercheremo anche di sorprenderci in prima persona (e al contempo sorprendere chi condivide le nostre idee), scoprendo realtà oggettive che non conoscevamo per niente e che faremo in modo di comprendere. Anche se potrebbero sconvolgere il nostro abituale modo di pensare.