Oscar Wilde

 

Citazioni e aforismi sono passati dalla carta al web. Ne leggiamo in continuazione, ma noi stessi dimentichiamo di mettere in pratica quanto abbiamo sollecitato all’attenzione degli altri. Non sarebbe il caso di passare dalle citazioni alle citAZIONI?

Il Simbolismo: i pittori, Giovanni Segantini

 

Nel 1891, alla Triennale di Milano, viene esposto il quadro “Le due madri” realizzato da Giovanni Segantini. È l’inizio della pittura divisionista. Questa ha molto in comune con il Puntinismo. Tuttavia ambedue le correnti non avendo mai pubblicato un Manifesto, non possono essere considerate dei movimenti artistici, veri e propri. Piuttosto, sia il Divisionismo che il Puntinismo, possono essere ritenuti delle tecniche di raffigurazione. Si tratta di rendere l’immagine generale rappresentandola con un insieme fitto di punti o piccoli tratti, che scompongono, altresì, i colori. Tuttavia alcuni studiosi ritengono come esponente principale del divisionismo, Pellizza da Volpedo. Il puntinismo, come il divisionismo (il ramo italiano), si rifanno ambedue al neo-impressionismo.

Giovanni Segantini ebbe una vita molto breve e travagliata, morendo a soli 41 anni (1858-1899). Gli bastarono per dimostrare le sue qualità. Nasce (nel 1858) in una famiglia povera. Alla morte della madre, avvenuta nel 1865 (quindi a soli sette anni), inizia una giovinezza troppo affrettata. Verrà custodito prima dalla sorellastra, poi dal fratellastro, ma soprattutto, per il suo carattere infelice, girò diversi riformatori, trovando pace solo quando si iscrisse a Milano ai corsi serali dell’Accademia di belle arti di Brera. Sostenendosi economicamente con piccoli lavori, dal 1878 al 1879 riesce a partecipare ai corsi regolari dell’Accademia di belle arti di Brera. Riuscì a farsi notare dalla critica d’arte, che da qui in poi, l’attenzionò. A Milano conobbe artisti, ma anche professori di pittura. Inizialmente, le sue raffigurazioni mostravano influssi dal verismo lombardo dell’epoca.

Dopo il trasferimento in Brianza (a Pusiano) e la conoscenza della donna della sua vita, Luigia Bugatti, sorella di Carlo Bugatti, inizia ad operare come pittore, con il sostegno di Grubicy, con cui redasse un contratto. La sua ispirazione si rivolge al mondo contadino della Brianza. Bisogna dire che in questo primo periodo (inizialmente), la sua pittura rimane troppo legata all’Accademia, non riuscendo ancora a trovare la propria strada creativa. Tuttavia, nelle sue raffigurazioni si riescono a cogliere le avvisaglie delle sue future reinterpretazioni personali. Cominciano i primi riconoscimenti da parte della critica (fu premiato ad Anversa). Questo gli diede la volontà di impegnarsi sul serio. Nelle campagne di Caglio, ci vollero sei mesi di lavoro all’aperto per realizzare la composizione di Alla stanga. Ne valse la pena. Il quadro, presentato alla Permanente di Milano (del 1886), ottenne un successo strepitoso. Con esso vinse la medaglia d’oro ad Amsterdam, ma soprattutto, la creazione fu acquistata, addirittura, dallo stato italiano. L’opera fu esposta (e lo è tuttora) nella Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma.
L’opera de Alla stanga, non è la semplice raffigurazione di un paesaggio, ma un montaggio di vedute agresti. Dall’erba, alle vacche alla stanga, agli alberi in lontananza, il paese e la maestosità delle montagne sullo sfondo: non è un pezzo di campagna della Brianza, ma la rappresentazione ideale dell’infinito. Nella tela, inoltre, si percepisce l’ispirazione colta alle opere di Millet e alla scuola di Barbizon.

Se il naturalismo agreste, però, gli aveva portato tanta fortuna, dopo questi riconoscimenti, Segantini ebbe un ripensamento artistico. Inizia la sua fase simbolista. Approdò anche a nuove tecniche pittoriche, come quella divisionista (con i colori puri sulla tela e non più mischiati sulla tavolozza). Cambiano anche i soggetti rappresentati, non più legati alla realtà contadina. Siamo nel 1886.

 

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ENCICLOPEDIA TRECCANI: GIOVANNI SEGANTINI

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GIOVANNI SEGANTINI

Fonte dell’immagine: GIOVANNI SEGANTINI – Il Naviglio a Ponte San Marco, 1880

 

Il Simbolismo: la “ricerca” di Baudelaire

 

In un periodo di grande cambiamento, quale fu la fine dell’Ottocento, l’anima poetica di Baudelaire vibra di istanze diverse e dirompenti. Innanzi tutto, nel suo simbolismo, la ricerca di uno status interiore come luogo d’origine, ma ancora necessario, quale fu il rapporto tra uomo e natura precedente all’epoca industriale. Egli cerca di esprimere il malessere con la figura retorica della sinestesia, cioè, l’accostamento di due parole che uniscono due sensazioni sensoriali diverse. Attraverso l’allegorismo, invece, Baudelaire, critica la nuova realtà industriale e sociale, tentando di far riflettere razionalmente il lettore sul cambiamento in atto. Tuttavia, per ottenere ciò nega l’oggettivismo scientifico, alla base dei nuovi sviluppi. Egli reclama più spazio per la fantasia e l’immaginazione, messi a rischio dalle regole oggettive della nuova società. La libertà della fantasia è, per Baudelaire, un bisogno imprescindibile dell’uomo.

Ma non è una generica posizione di nostalgia verso il passato perduto. Anzi, egli cerca di capire il rapporto tra spirito poetico libero e una società tecnologica proiettata verso il futuro. Egli, quindi, cerca di capire (o di intuire) il senso del futuro che arriva, la sua bellezza. Non per nulla, infatti, è stato definito il padre della “modernità”.

Per farlo, Baudelaire, non si perde nell'”ebbrezza del cuore”. Egli ricerca la via trattando pochi temi, molto mirati e poco autobiografici. Pezzo dopo pezzo, egli crea la sua architettura poetica. Ne è un esempio la costruzione tematica del suo libro più famoso, Les Fleurs du Mal. Si organizza in sei gruppi di poesie, che trattano ognuno un tema. È un percorso meditativo che va dall’uomo alla modernità, che si incontra nelle strade di Parigi. Il fallimento della ricerca porta al conseguente ripiegamento su sé stesso e la morte. È il tentativo di individuazione del significato del modernismo e delle sue trasformazioni. È la “fotografia di un momento di evoluzione storica. Baudelaire conia i termini “modernità” e “avanguardia”. Sono le evoluzioni emotive ed esperienziali della vita, che si percepiscono nella metropoli contemporanea. Dimensioni nuove per esperienze nuove. La sua opera, sostanzialmente, ha un’importanza storiografica e terminologica. Ciononostante, Baudelaire, individuato il campo, non sa dare risposte. Saranno i suoi seguaci a continuare il viaggio intrapreso, come Rimbaud e Mallarmé. Il movimento prenderà le mosse proprio dal mondo emotivo del poeta. La decadenza del movimento simbolista porterà all’espressionismo ed al surrealismo, questo fino al postmodernismo e, con il XX secolo, all’inizio dell’età contemporanea.

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Charles Baudelaire e I Fiori del Male
Il Viaggio – Charles Baudelaire

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Baudelaire I fiori del male

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LiberLiber: Opere

 

Fare la BBC nell’era della post-verità

 

«La post-verità e le fake news hanno coinvolto media, politica e settore tecnologico in un dibattito pubblico che, al netto dell’hype e degli eventi politici contingenti che lo hanno certamente amplificato, sembra al momento aver fermato ogni altra discussione sul ruolo dell’informazione nell’epoca contemporanea. Quel dibattito, in realtà, ha messo sotto il medesimo cappello cose molto diverse come le bufale, la propaganda politica, il clickbait, il ruolo degli algoritmi e della polarizzazione dell’informazione online, diventando progressivamente una discussione sempre più cacofonica e potenzialmente senza soluzione». Interessante vero? Questo articolo vogliamo proporvi per la settimana corrente. BLOGROLL, lo sapete, cerca sul web quanto c’è di meglio e il sito web “Il Tascabile” è divenuto uno dei preferiti. Buona lettura.

COME L’AUTOREVOLE MEDIA BRITANNICO SI È ATTREZZATO PER FAR FRONTE ALLE FAKE NEWS.

Antichi mestieri: il guantaio

 

Il mestiere artigiano del guantaio è quanto di più improbabile ci sia. Guanti e cappelli completavano l’abbigliamento, sia maschile che femminile. Ma mentre per il cappellaio, rimane ancora uno spazio di creatività artigiana, il mestiere del guantaio ha subito tutta l’ondata dell’industrializzazione e del mercato. Come spazio operativo rimane il guanto su misura. Stoffa o cuoio, che sia, possono essere modellati su richiesta. La qualità della fattura dev’essere elevatissima, vera e propria arte. Il laboratorio deve farsi notare in città rinomate nella moda o con dei riferimenti artigiani importanti. Ciononostante, l’On Demand, alla lunga, può regalare qualche soddisfazione.

I guanti sono fatti per proteggere le mani. Sono un’invenzione antica, più di quanto si possa pensare. Già se ne parla nell’Odissea di Omero. Nella tomba del faraone Tutankamon ne sono stati rinvenuti degli esemplari. Erano, infatti, nella civiltà egiziana, portati come segno di alta nobiltà e ad uso liturgico. Sono stati citati, sempre in epoca classica, da Marco Terenzio Varrone nel De re rustica. Il loro uso: proteggersi dal freddo.
Con la fine dell’impero romano, essi divennero assai rari, molto ambiti e desiderati.  Naturalmente in Europa continuarono ad essere distinzione di nobiltà. Non bisogna però pensarli simili a quelli di oggi. Erano, infatti, del tipo detto a manopola (muffole) o a sacchetto, che contenevano, cioè, tutta la mano. Solo in un secondo tempo, fu permesso nella fattura l’uso delle dita separate. Erano, tuttavia, inizialmente molto scomodi e ingombranti.
Stranamente, col tempo, l’abitudine di portare i guanti (una volta diffusi) sviluppò modi di pensare e di comportarsi. Avete presente l’espressione: “gettare il guanto”? Bene, nasce dall’abitudine, tra i nobili, di gettare il guanto ai piedi dell’avversario, in segno di sfida. Se questo lo raccoglieva voleva dire che accettava il duello con la spada.
Ugualmente, nel darsi la mano, si prese l’abitudine di toglierli, altrimenti la stretta sarebbe stata giudicata da maleducati. Oggi non ci si fa più caso, anche se qualcuno mantiene l’abitudine. I guanti in Massoneria sono simbolo di onore di candore.

ENCICLOPEDIA TRECCANI: GUANTO

VIDEO ANTICHI MESTIERI:
Mauro Squillace – Maestro Guantaio
Guanti Alex – Come si produce un paio di Guanti

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Imparare a superare la soglia dello specchio

 

Il dialogo intessuto questa mattina, a colazione, con mia moglie mi ha portato a rammentare il tempo in cui molte cose si riparavano. Da bambino, mia madre mi chiedeva di andare dalla merciaia a far rammagliare le sue calze da donna, perché aveva una macchina speciale. E così era con l’orologiaio, l’elettricista e con il tecnico che armeggiava con le grosse valvole del televisore. Quanta pazienza avevano questi signori. Non è così ora. Appena qualcosa si guasta si getta. Vale anche per il desiderio o l’amicizia, il legame con la comunità o con la sua memoria. Come la roba vecchia, finiscono nel cumolo d’immondizia, che è l’unico a permanere ai bordi del cassonetto. Così nel discorso è affiorato l’insegnamento di Zygmunt Bauman. A differenza della miriade di persone specializzate nell’arte di complicare le cose semplici, era un chiarificatore convincente di concetti complessi. Ci ha spiegato il non senso di questa modernità liquida, dove nulla ha il tempo di attecchire. Instabilità, precarietà, fragilità, sono il denominatore comune, col quale imparare a convivere se, in quest’epoca di individualità, non riprendiamo a dialogare. Ma il dialogo è pazienza, perseveranza, profondità, non il risultato di un contatto dall’effetto immediato. «Il vero dialogo non è parlare con gente che la pensa come te. Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio, insegnare a imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro». Non specchiarsi in sé stessi, dunque, ma come Alice varcare il limite. Bauman ha indicato la strada di una vera rivoluzione culturale, per ripensare un modello di vita, una cultura che non permette ricette o facili scappatoie, «esige e passa attraverso l’educazione che richiede investimenti a lungo termine». Ce la faremo?

Fonte immagine: www.novaradio.info

Buckingham Palace e il Novecento

 

Dopo la morte della Regina Vittoria, nel 1901, il nuovo re Edoardo VII e sua moglie, la regina Alessandra, tornarono a risiedere nel Palazzo. Avendo conosciuto e praticato la migliore società londinese, si avviarono danze e feste. Per rendere più attraente la sobria reggia, nelle stanze di rappresentanza fu aggiunta una decorazione, color crema con tocchi di oro, in stile Belle époque, che attirò non poche critiche. Lo si considerò un tradimento dello stile utilizzato da Nash nella sua progettazione.

Con l’ascesa al trono di Giorgio V (1910) anche la facciata dell’ala est di Buckingham Palace venne ristrutturata nel 1916, con un rifacimento nel quale si utilizzò pietra di Portland. La composizione si armonizzava con il Lyme Park dello Cheshire (ideato da Giacomo Leoni) e fu esaltata dalla prospettiva di una grande statua, fuori della residenza, in onore della regina Vittoria, che fu chiamata Victoria Memorial.
Giorgio V, a differenza del padre, non amava feste e banchetti. Si occupò, invece, di sottolineare l’ufficialità del suo compito. La regina Maria, sua moglie, intenditrice d’arte, si applicò nella ricerca di mobili e complementi d’arredo. Altri ne fece fare di nuovi. Tra i possibili esempi, i due camini in stile impero del 1810 di Benjamin Vulliamy, sistemati nella grande Bow Room. Furono anche revisionati tutti gli impianti dell’edificio. Nel 1938, il padiglione di nord-ovest, fu trasformato in piscina.

Buckingham Palace

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CERIMONIA A BUCKINGHAM PALACE

 

Le storielle di Pitrè: Giufà e l’otre

 

La madre di Giufà, vedendo che con questo suo figliolo non si poteva reggere, lo mise come sguattero da un taverniere. Il taverniere lo chiamò: «Giufà, va a mare e lava questo otre, ma lavalo bene, sai! Altrimenti le buschi!».
Giufà si prese l’otre e se ne andò in riva al mare. Lava, lava; dopo avere lavato per una mattinata, disse: «E ora a chi lo domando se è ben lavato?».
In quel mentre scorge un bastimento che stava salpando, esce un fazzoletto e si mette a far segnali ai marinai e a chiamarli: «A voi! A voi! Venite qua! Venite qua!».
Il capitano lo scorse e disse: «Ferma, ragazzi, chi sa cosa ci siamo dimenticati a terra…». Scese a terra e andò da Giufà: «Che c’è?».
«Vossia, mi dica: è ben lavato quest’otre?».
Il capitano (per la collera) uno era e cento si fece: afferrò un pezzo di legno e gliele suonò ben bene.
Giufà piangendo gli chiese: «Allora come devo dire?».
«Devi dire: – gli rispose il capitano – Signore, fateli correre!, così ci rifaremo del tempo perduto (a causa tua)».
Giufà con le spalle belle calde (per le botte), si prese l’otre e fuggì per una campagna, ripetendo sempre: «Signore, fateli correre! Signore, fateli correre!».
Incontra un cacciatore che teneva stretti due conigli. Di colpo Giufà disse: «Signore, fateli correre! Signore, fateli correre!».
I conigli scapparono.
«Ah! Figlio di puttana! Ti ci metti pure tu?» gli disse il cacciatore e lo prese a colpi di culatta con lo schioppo.
Giufà piangendo-piangendo gli disse: «Allora, come devo dire?».
«Come devi dire? Signore fateli uccidere!».
Giufà si prese l’otre e (s’incamminò) ripetendo cosa doveva dire. Si imbatté con due che litigavano. Disse Giufа: «Signore fateli uccidere!».
«Ah infame! Pure tu attizzi!» gli dicono questi due, smettono di litigare e prendono a schiaffi Giufà.
Povero Giufà, restò con la schiuma alla bocca e non poteva parlare. Dopo un pezzetto, disse singhiozzando: «Allora, come devo dire?».
«Cosa devi dire? – rispose quello – Devi dire: Signore, fateli spartire!».
«Allora, Signore, fateli spartire! – incominciò a ripetere Giufà – Signore, fateli spartire!…». E se ne andava camminando con l’otre in mano e sempre ripetendo la stessa cantilena.
Camminando, camminando, a chi incontra? A due sposi che uscivano dalla Chiesa, maritati allora allora.
Appena sentono «Signore, fateli spartire! Signore, fateli spartire!», corre il marito, si scioglie la cintura e picchia e ripicchia (colpi) sopra Giufà, dicendogli: «Uccellaccio di malaugurio! Mi vuoi fare separare da mia moglie!..».
Giufà, non potendone più si gettò per morto.
I parenti degli sposi si avvicinarono per vedere se Giufà fosse morto o vivo. Dopo un pezzo, Giufà rinvenne e si rialzò. Gli diceva la gente: «Dunque così arrivi a dire agli sposi?». «E come dovrei dire?», domandò Giufà.
«Dovresti dirgli: Signore fateli ridere! Signore fateli ridere!».
Giufà si prese l’otre e se ne tornò alla taverna. Passando per una strada, in una casa c’era un morto con le candele davanti e i parenti che piangevano lacrime a dirotto. Appena sentono dire Giufà: «Signore fateli ridere! Signore fateli ridere!», cioè quel che avevano detto quelli del corteo nuziale, parve loro una cosa fatta apposta. Esce uno con un bastone e a Giufà ne dette per lui e per un altro.
Allora vide Giufà che era meglio starsi zitto e correre alla taverna. Il taverniere appena lo vide gli dette il resto, ché lo aveva mandato con tutta la mattina e si raccolse verso le undici di sera. E per (concludere) gli dette pure il benservito.

Il Simbolismo: gli scrittori, Baudelaire

 

Baudelaire, sin da giovane, si dimostrò tormentato, a causa del rapporto con la madre ed il patrigno, uomo estremamente rigido, essendo un militare. Col crescere si rivelò nello studio incostante e insofferente, ottenendo, tuttavia, dopo varie vicissitudini, il diploma liceale. Dopo un’indecisione iniziale, cominciò a frequentare l’ambiente letterario parigino, dove conobbe autori ed artisti, che, però, si caratterizzavano per una vita bohémien. Iniziò a frequentare prostitute e ambienti non molto raccomandabili. I genitori, per toglierlo dalla “cattiva strada”, lo fecero imbarcare su una nave diretta in Indio. Boudelaire, pur non completando il viaggio, ne guadagnò il senso dell’esotismo, che poi contaminerà il suo libro più famoso, Les Fleurs du Mal.

Divenuto maggiorenne, scelse la vita dissoluta del bohèmien, così come ebbe un intenso e tormentato rapporto con una danzatrice e attrice teatrale, nera, di origini haitiane. Non preoccupandosi dei soldi, andò ad abitare nel lussuoso hotel de Pimodan sulla centralissima isola di Saint-Louis. Questo stile di vita “alla moda”, lo mise in luce ed evidenziò tra gli scrittori ed artisti di Parigi. La cosa strana era che Baudelaire, fino a quel momento, non aveva pubblicato molto come poeta. Il dispendioso stile di vita, comunque, lo portò, in breve tempo, a dilapidare gran parte dei suoi averi. La madre, in ogni caso, gli tagliò i fondi. Ciononostante, non si fermò. Entrò a far parte del Club des Hashischins, dove si incontravano personalità come Théophile  Gautier, Honoré de Balzac, Eugène Delacroix ed Alexandre Dumas padre. In questo club “esclusivo” si faceva anche uso di droghe di diverso tipo.

Nel 1845 realizzò la sua prima pubblicazione, consistente in una recensione critica del Salon di quell’anno, ottenendo un certo successo. Intanto scriveva composizioni poetiche. Nonostante questo, la sua vita andava a rotoli, sia economicamente che psicologicamente. Sempre nel 1845, tentò il suo primo suicidio, ma non si ferì gravemente. L’anno successivo, tornò a lavorare come critico d’arte ed articolista su vari giornali. La sua fama crebbe. In seguito, pubblicò come poeta, la sua prima raccolta, intitolata A una signora creola.

Nonostante la sua vita disordinata, Baudelaire partecipò, con grande coscienza civile, ai moti del 1848 a Parigi, salendo sulle barricate rivoluzionarie. La sconfitta e l’instaurazione del regime bonapartista di Napoleone III, colpirono profondamente il poeta. Questo stato d’animo si ritroverà nella sua opera successiva. Il suo impegno lo farà rifugiare nel giornalismo, nella critica d’arte e nelle traduzioni di testi dall’inglese di autori come Edgar Allan Poe. Le sue versioni in francese gli daranno una notorietà in più, ma soprattutto una nuova ispirazione artistica, in particolare per il successivo Les Fleurs du Mal.

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ENCICLOPEDIA TRECCANI: CHARLES BAUDELAIRE

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BAUDELAIRE, VITA

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LA FANFARLO E IL GIOVANE INCANTATORE
I FIORI DEL MALE
PARADISI ARTIFICIALI

Fonte dell’immagine: Wikimedia

 

Il Simbolismo: gli scrittori, Mallarmè

 

Le poetiche dei due scrittori, Stéphane Étienne Mallarmé e Charles Pierre Baudelaire, confluiranno, alla fine, nel movimento simbolista, fondato da Jean Moréas.

Stéphane Étienne Mallarmé
Mallarmé non fu mai uno scrittore da passerella, ma portatore di idee e poesie rivoluzionarie. La prima parte della vita di Mallarmè non fu felice. Sua madre morì nel 1847 (quando aveva 5 anni). Lo zio gli fece da tutore, ma, soprattutto, nel 1857 perse l’amatissima sorella Maria. Iniziò a scrivere giovanissimo, ispirato in particolar modo, da I fiori del male di Charles Baudelaire. Dopo il matrimonio visse un lungo periodo con la propria sposa a Londra dove apprese bene l’inglese. Divenne poi insegnante di lingua al liceo di Tournon. Nella sua vita lavorò come insegnante di inglese, ma visse in modeste condizioni economiche. Dopo Tournon, Iisegnò anche a Besançon ed Avignone.

La vera svolta della sua vita avvenne nel 1870, quando scelse l’aspettativa dall’insegnamento e si trasferì a Parigi. Qui conobbe il giovane Arthur Rimbaud e il pittore Édouard Manet, che a sua volta, gli presentò Zola. Anche Manet era in un momento particolare, il 1874, per l’ennesimo rifiuto ad esporre le sue opere al Salone di quell’anno. Mallarmè sostenne pienamente l’amico pittore. Nel 1876, Mallarmè pubblica, per la seconda volta, Il pomeriggio di un fauno, rivisto e corretto, questa volta con le illustrazioni di Manet. Incontrerà, nel 1878, Victor Hugo e in seguito Oscar Wilde e Paul Valéry. Il testo di Paul Verlaine poeti maledetti sarà incentrato su Mallarmé (nel 1883).
Solo alla fine della sua vita il poeta conobbe un vero successo, con i due libri L’explication orphique de la Terre e M’introduire dans ton histoire. Ebbe, così, l’onore di tenere delle conferenze letterarie a Cambridge ed Oxford, nel 1894.

Se Mallarmè scrisse poco (in versi come in prosa) quello che produsse fu realmente significativo ed innovativo. Ebbe uno stile nuovo e particolare, molto denso e sintetico, ma dove i brevi versi si caricavano di forti collegamenti evocativi ed immaginativi. Proprio per questo tra i letterati era molto considerato e seguito. Era ritenuto un esempio del movimento Simbolista e, infatti, a lui si rifacevano autori, suoi contemporanei, come Laforgue, Villiers o Valéry, e persino Gide, nella prima parte della sua vita.

Nonostante le modeste condizioni finanziarie, non era solo. Tutti i martedì, il suo piccolo salotto (di rue de Rome) era punto di riunione dei suoi numerosi amici, tutti poeti, letterati ad artisti. Le tematiche affrontate spaziavano dalla poesia alla pittura, dalla musica alla filosofia.

Nella sua opera emerge lo scontro tra realtà materiale e l’ideale, quali arte e bellezza. Infatti nelle sue prime pubblicazioni si risente l’ispirazione all’amico Charles Baudelaire. Nel suo lavoro si colgono riferimenti, non solo alla letteratura, ma anche alle altre arti, come quelle pittoriche. Inoltre, nel suo essere simbolista, si notano i possibili sviluppi verso i movimenti artistici che seguiranno, quali le scuole dadaiste, surrealiste e futuriste.

Se vuoi approfondire, clicca:
ENCICLOPEDIA TRECCANI: STÉPHANE ÉTIENNE MALLARMÉ

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STÉPHANE MALLARMÉ – LA TOMBA DI EDGAR POE
MAURICE RAVEL. TROIS POÈMES DE STÉPHANE MALLARMÉ

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POESIE
UN COUP DE DÉS JAMAIS N’ABOLIRA LE HASARD

Fonte immagine: Mallarmé ritratto da Pierre-Auguste Renoir