A proposito della Cassa di Risparmio di Basile quale sede distaccata del Palazzo di Giustizia

La Chiesa di Santa Maria degli Alemanni e il Palazzo della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele opera di Ernesto Basile. Fonte: Mappe di Apple.

L’ECO DEL SUD: L’ex Cassa di risparmio incompatibile con uffici giudiziari,
petizione di associazioni
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Un discorso che mi serve per pensare

di Sergio Bertolami

Signifer, statue signum, hic manebimus optime (Vessillifero, pianta l’insegna, qui staremo benissimo).
Tito Livio

In esito alle riflessioni del giornalista Mario Primo Cavaleri (articolo su L’Eco del Sud del 2 ottobre) relative alla destinazione d’uso del Palazzo ex Cassa di risparmio V. E. a tribunale civile, e ritenendo che sia da rimeditare tale finalità dell’unico edificio storico, opera dell’arch. Basile nel cuore della città, peraltro contiguo alla chiesa di Santa Maria Alemanna, preziosa testimonianza di arte medievale sopravvissuta al terremoto, le Associazioni Europa-Mediterraneo, Amici del Museo-Franz Riccobono, Antonello da Messina, Fondazione Antonello da Messina, Archeoclub Area integrata dello Stretto ed Experiences hanno promosso una

Conferenza pubblica
martedì 10 ottobre – ore 17
Chiesa di Santa Maria Alemanna

al fine di sollecitare l’Amministrazione comunale a rivalutare tale programma; suggerire una diversa e più consona utilizzazione del Palazzo liberty per arricchire l’immagine della Città; proporre iniziative di valorizzazione del patrimonio storico-monumentale esistente.

Dire che Messina è un museo a cielo aperto, non è enfatico, ma reale. In questo museo a cielo aperto possiamo annoverare reperti e manufatti sopravvissuti al sisma del 1908, come la chiesa di Santa Maria degli Alemanni in cui ci troviamo stasera, e l’intera città riedificata dopo il 1911 col piano regolatore di Luigi Borzì.

Pochi mettono in relazione il fatto che una delle prime opere in calcestruzzo armato in Italia è il ponte Risorgimento a Roma proprio del 1911. A Messina a differenza di Roma non si è, dunque, trattato di un singolo manufatto, ma di un’intera città che ha permesso all’ingegneria italiana di sperimentare un innovativo e rivoluzionario sistema di costruzione.

La nuova maglia lineare del centro ricostruito è stata inoltre arricchita da quinte architettoniche di grande interesse artistico. Il primo capitolo sulla rinascita di Messina è stato, infatti, scritto con il linguaggio del manierismo eclettico, che si scontrerà presto, nel secondo capitolo, con l’imporsi dell’Art nouveau e dell’Art déco, per poi lasciare spazio al movimento moderno.

Nei primi anni del Novecento a Messina si è formata, e confrontata, tutta la nuova generazione di progettisti, ma anche dei loro maestri.

Un confronto serrato: sull’arte del costruire e del ricostruire; sul carattere universale o locale dell’architettura. Sono, infatti, gli anni dell’affermazione delle competenze professionali divise fra Accademie e Politecnici. Gli anni in cui nascevano le facoltà di architettura e di ingegneria. Sono gli anni dell’affermazione dei materiali moderni e delle innovative tecnologie. Tutto ciò sottoposto alle più aggiornate normative, per risolvere il gravoso problema sismico.

Fra i grandi maestri dell’architettura, stasera citerei soltanto Raimondo D’Aronco (Gemona del Friuli 1857 – 1932) ed Ernesto Basile (Palermo 1857 – 1932). Ambedue sono considerati fra i massimi architetti italiani, esponenti del Liberty la corrente che in Italia si riferisce all’Art nouveau, che alcuni hanno definito anche lo style sans style per la sua grande libertà espressiva.

Qui da noi, il nome di Raimondo D’Aronco è legato proprio a questa chiesa di Santa Maria degli Alemanni. La chiesa è frutto di una ricostruzione basata sui rilievi effettuati dai suoi allievi universitari. Svolse, infatti, attività di docenza nel corso di disegno e rilievo architettonico dell’Università di Messina.

Aveva già insegnato, prima all’Accademia di Carrara, e in seguito a Cuneo e a Palermo. L’attività professionale come architetto impegnò D’Aronco in Italia ed anche in Turchia. In seguito al terremoto del 1894, infatti, divenne architetto-capo, incaricato della ricostruzione di Istanbul (Costantinopoli). Il suo Liberty fu esaltato a livello europeo con i padiglioni per l’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna di Torino (1902), che contribuì alla diffusione dello stile in Italia presentando la produzione nazionale ed europea.

Messina, Chiesa di Santa Maria degli Alemanni – Rilievi di Raimondo D’Aronco. Dal saggio di Adriana Arena, Chiesa di Santa Maria Alemanna a Messina: i rilievi di Raimondo D’Aronco. In: Agustín-Hernández, L., Vallespín Muniesa, A., Fernández-Morales, A. (a cura di) Graphical Heritage. EGA 2020.

Leggere che «la chiesa di Santa Maria Alemanna rappresenta la più alta espressione dell’arte gotica nell’area del Mediterraneo» (Wikipedia) oppure che ha conservato intatta la struttura architettonica, questo sì è enfatico e non è neppure esatto.

I rilievi di Raimondo D’Aronco consentono di affermare che, in realtà, l’edificio è romanico. Hanno permesso alla Soprintendenza di Messina l’anastilosi delle strutture architettoniche in rovina. Ciò significa che l’edificio non era “intatto”, ma in gran parte ridotto in ruderi e frammenti, essendo stato più volte nel tempo colpito da fulmini e terremoti.

Il Priorato di Santa Maria Alemanna fu concesso verso l’anno 1195 dall’Imperatore Enrico VI di Svevia all’ordine dei Cavalieri Teutonici. Nel 1220 venne realizzato un ospedale contiguo per accogliere i reduci dalla Terra Santa e prestare loro delle cure.

Le prime riparazioni risalgono al 1485. La Pia Casa di S. Angelo de’ Rossi ne assunse l’amministrazione dal 1605 con obbligo di culto. Ma nel 1808 la chiesa era già inagibile e “sconquassata”. Sconsacrata, divenne deposito di legname, e poi fucina di un fabbro che ci teneva pure una capra.

Scriveva Giuseppe Martinez: «Dell’antica chiesa, che esisteva nel cortile di S. Angelo dei Rossi, non rimangono che pochi avanzi, i quali hanno il solo pregio di una remota antichità». Giuseppe Coglitore riferisce dei resti dell’Ospedale «con molti archi alla gotica».

I più pensano che la presenza dell’arco ogivale caratterizzi soltanto il gotico, dimenticando il romanico.

Nell’architettura gotica gli archi a sesto acuto (o ogivali), le volte a crociera, i costoloni, gli archi rampanti, i contrafforti, rispondevano a ragioni strutturali, al fine di distribuire i carichi della copertura, secondo un sistema molto articolato e complesso. Tutto ciò ha permesso alle strutture gotiche di elevarsi molto in alto.

L’altezza della nostra chiesa è viceversa modesta, come sovente era quella delle chiese romaniche. Inoltre, i rilievi di D’Aronco dimostrano la mancanza del cleristorio, che consentiva l’illuminazione naturale dell’interno attraverso una serie di finestre vetrate e religiosamente istoriate.

Questa fascia di finestre non esiste neppure nella riedificazione attuale. Pertanto, possiamo tranquillamente concludere che siamo all’interno di un edificio romanico. Ciò, naturalmente, non toglie nulla al valore artistico e documentario della chiesa.

Messina, Chiesa di Santa Maria degli Alemanni – Rilievi di Raimondo D’Aronco. Dal saggio di Adriana Arena, Chiesa di Santa Maria Alemanna a Messina: i rilievi di Raimondo D’Aronco. In: Agustín-Hernández, L., Vallespín Muniesa, A., Fernández-Morales, A. (a cura di) Graphical Heritage. EGA 2020.

I testi storici riportano che i restauri della chiesa sono stati sempre di una lentezza esasperante, tanto da risultare inconcludenti. La riprova è che, quando Ernesto Basile nel 1925 progetta l’impianto del nuovo edificio della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele II, occupa parte dell’area dell’antica chiesa, senza tenere conto della conservazione delle memorie storiche.

La ricostruzione della chiesa è così impedita nello sviluppo della navata principale, che non a caso è oggi conclusa da una vetrata. Inoltre, si trova soffocata dagli edifici circostanti (si veda la mappa di Apple) e affossata rispetto al piano stradale, come a Messina è avvenuto in varie circostanze.

Basile ne ha colpa? Direi proprio di no. L’architetto ha agito sul lotto che gli è stato assegnato per realizzare il suo nuovo edificio.

Il precedente istituto di credito risaliva a prima del terremoto. La Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele per le province siciliane fu, infatti, istituita a Palermo il 21 ottobre 1861 e intestata al Re dell’Italia unitaria.

La sede messinese era ubicata in via della Rovere, una strada tra il Corso Cavour e la via Argentieri. Tale sede «andò interamente distrutta e solo i locali del tesoro resistettero all’urto».

La nota è dell’Ufficio Studi della Cassa di Risparmio, nella quale è riferito che per la nuova sede messinese era già stata fissata la data di inaugurazione, ma il sopraggiunto terremoto rese inutile ogni attività in proposito.

Questo primo progetto sembra avere anticipato nella sua elaborazione persino quello per la sede della Cassa palermitana di cui Basile era stato incaricato nel 1907, ovvero l’anno prima di quella messinese.


Ernesto Basile, schizzo planimetrico e schizzo prospettico per il palazzo della Cassa di Risparmio di Messina (Palermo, Archivio privato della famiglia Basile).
Dal saggio di Nunzia Donato, I progetti di Ernesto Basile per le sedi della Cassa di Risparmio di Palermo e Messina: una svolta ideologica.

Soltanto due disegni, conservati nell’archivio privato della famiglia Basile, documentano questo primo elaborato progettuale per Messina. La data del 1908 è riportata in un elenco di opere progettate, registrato in successione cronologica dallo stesso Basile.

I disegni sono precisamente uno schizzo planimetrico a matita, e uno schizzo prospettico a china. Nel primo sono annotate le dimensioni e la geometria del lotto, lo sviluppo dell’edificio su tre elevazioni e la destinazione d’uso degli ambienti.

L’area di progetto era irregolare, con uno sviluppo longitudinale esteso 77 metri, molto superiore alla profondità. Lo schizzo prospettico a china coglie una visuale d’angolo, che mette in evidenza la soluzione progettuale prescelta.

Basile spezza geometricamente la lunga facciata principale con due corpi laterali emergenti rispetto al filo del prospetto. Tuttavia, questa simmetria troppo classicista è negata con l’inserimento, su uno dei fianchi, di un corpo poligonale più basso di un piano, così da sfruttarne la copertura a terrazza.   

La planimetria dell’edificio è scomposta in due unità geometriche elementari (un quadrato e un trapezio), per facilitare la ripartizione degli spazi interni, soltanto schematizzati nello schizzo.

Se questo progetto si fosse realizzato, Messina avrebbe potuto vantare il punto di arrivo di una ricerca progettuale condotta da Basile in quegli anni.

Il 1891, segna la morte di suo padre (l’architetto Giovan Battista Filippo Basile) e l’Esposizione Nazionale di Palermo, di cui realizza i padiglioni ispirandosi allo stile arabo-normanno.

Da questo momento in poi Ernesto Basile inizia un progressivo superamento dello storicismo, verso un modernismo della “razionalità mediterranea”. In altre parole, era suo desiderio elaborare una interpretazione italiana della modernità da imporre in Europa.

Siamo ai livelli di architetti come il francese Hector Guimard, i belgi Victor Horta e Henry van de Velde, dell’austriaco Josef Hoffmann, il catalano Antoni Gaudí, lo scozzese Charles Rennie Mackintosh.

Ma il terremoto pose fine al progetto Liberty della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele a Messina. Dopo il terremoto seguirono i primi anni della città in baracca. Il centro di Messina era ingombro di macerie e impegnato, come del resto le ampie aree periferiche, da costruzioni in legno, ritenute provvisorie, ma che ancora, mentre in alcune zone si procedeva allo sgombero, si continuavano a costruire e ad assegnare.

Lo scoppio del primo conflitto mondiale dal 1915 al 1918 immobilizza o quasi ogni iniziativa di ricostruzione. Solo nel 1923 (con il Regio decreto-legge del 27 settembre 1923 n. 2309) il governo stanzia 500 milioni di lire da suddividersi fra i danneggiati dai terremoti di Sicilia e Calabria per le spese di ricostruzione.

L’opportunità del provvedimento è colta dai privati cittadini per riedificare o riparare la propria abitazione, ma anche da molti gruppi imprenditoriali, che prima della guerra non avevano trovato la convenienza economica ad intraprendere operazioni immobiliari.

Dopo il clima d’incertezza e i ritardi della guerra, i lavori della ricostruzione accelerano il proprio ritmo. A Messina Ernesto Basile interviene prima nella sistemazione di Piazza Garibaldi (1921-1923), che oggi conosciamo come Piazza Castronovo, nodo terminale del centralissimo asse di via Garibaldi. Poi la stupenda scenografia urbana di Piazza del Popolo (1922).

Dobbiamo attendere il 1925 perché il progetto della Cassa di Risparmio possa vedere un nuovo sviluppo, che questa volta porterà alla sua realizzazione.

Oggi è l’unica opera architettonica di Ernesto Basile a Messina. Chi vorrebbe associarvi altre costruzioni private lo fa senza una documentazione. Per esempio, il cosiddetto Villino Basile, il cui nome si riferisce al proprietario e non al progettista, che non è l’architetto palermitano.

La Cassa di Risparmio occupa il comparto VII dell’isolato 297 del Piano Regolatore di Messina redatto da Luigi Borzì. Dovrebbe essere un ulteriore comparto destinato a residenze, ma una deroga al PRG lo destina a servizi. Nello specifico, istituti bancari. Il Banco di Roma occuperà, infatti, i comparti I e II dello stesso isolato 297, realizzato nel 1922 su progetto dell’architetto Gino Peressutti.

È questa un’area urbana dove sono sorte a poca distanza l’una dall’altra anche la Banca Commerciale, il Banco di Sicilia e la monumentale Banca d’Italia. A dimostrazione dei forti investimenti finanziari su di una città tutta da riedificare.

Nel 1925, il contesto fisico, ma anche politico e culturale, è dunque del tutto cambiato. Il sessantottenne architetto siciliano si trova così a dover ripensare interamente il suo primo progetto, sostenuto all’epoca dalla spinta innovatrice del suo Stile Floreale, che oramai ha fatto il suo tempo.

L’Art nouveau è stata soppiantata dell’Art déco, che prende proprio il nome di Stile 1925. Soprattutto si è imposta la nuova ideologia monumentalistica del Novecentismo di regime che caratterizzerà il ventennio fascista. Lo stile Novecento è quello che ritroviamo nel Palazzo di Giustizia, approvato nel corso della guerra, che a partire dal 1923 Marcello Piacentini può finalmente completare.

A Ernesto Basile non rimane che ripiegare sul suo background storicista. Non è un fatto isolato. Lo stesso Victor Horta che ha rivoluzionato i canoni dell’architettura moderna, riprogettando gli spazi interni ed esterni, gli arredi, la decorazione, è dovuto tornare sui suoi passi, orientandosi verso una concezione più convenzionale (palais des Beaux-Arts, Bruxelles, 1922-28).

La Cassa di Risparmio di Messina foto d’epoca, tratta dal profilo fb dell’arch. Nino Principato. Fonte: Carmelo Celona, Palazzo della Cassa Nazionale di Risparmio, storia di un compromesso stilistico tra due architetti antitetici. Link

Anche Ernesto Basile torna, dunque, al monumentalismo rinascimentale contrassegnato dall’uso del bugnato e dei conci murari, dalle lesene a tutta altezza che spezzano la campitura lineare del prospetto, dal fastigio dentellato di coronamento. Tutti elementi recuperati dal proprio vocabolario storicista, esaltato dal monumentale ingresso evidenziato da un alto portale cinto da colonne rastremate e sormontato dal classico balcone, mentre la parte sommitale si conclude con un attico modulato recante la scritta Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele.

Dove Basile riconquista un guizzo della sua modernità – soffocata dai tempi correnti che la modernità la trovano nel gusto neoclassico e neobarocco – è negli interni dell’edificio bancario. Qui il protagonista del Liberty siciliano recupera la memoria floreale nelle vetrate e negli stucchi. Soprattutto nel mobilio che rinverdisce la collaborazione con Vittorio Golia Ducrot, già sperimentata ripetutamente.

Gli interni- Cassa di Risparmio di Messina foto d’epoca, tratta dal profilo fb dell’arch. Nino Principato. Fonte: Carmelo Celona, Palazzo della Cassa Nazionale di Risparmio, storia di un compromesso stilistico tra due architetti antitetici. Link

Mi avvio a trarre le conclusioni. Quando si parla di Messina il discorso cade quasi sempre sul terremoto. Ma quella di cui stiamo parlando stasera non è la città rasa a terra dalle scosse sismiche, e neppure quella ricostruita con grande volontà a partire dal 1911 dopo l’approvazione del Piano Borzì, oppure quella recuperata dopo i bombardamenti del secondo conflitto.

È quella Messina ignorata che oggi risulta dalla demolizione dei suoi manufatti preziosi, per fare posto ad una ordinaria edilizia di sostituzione. Oppure risulta dall’inerte abbandono, che, come soluzione, si orienta alla negazione delle destinazioni d’uso che un tempo sottintendevano il senso della sua vitalità. Senza ripensare ad appropriate destinazioni d’uso alternative.  

La città è qua, sotto i nostri occhi, ma è come se non la vedessimo.

A Messina si ama troppo la città preterremoto, da dimenticare quella del presente. Per questo molte volte si fanno scelte sconsiderate. E poi ci si chiede perché i giovani se ne vadano da una città in decadenza. La risposta si può riassumere in poche parole. O cambi città, o cambi la città. Noi siamo pronti al dibattito e se ci intestassimo di cambiarla veramente questa città, con amore e non per opportunità politica o funzionale, potremmo finalmente dire: «Hic manebimus optime, Qui staremo benissimo».


Messina. Tribunale in via Garibaldi? Sindaco, con il palazzo dia anche la chiesa gotica… per le “udienze”
di MARIO PRIMO CAVALERI

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