Storie plurali di un territorio… per un Mediterraneo regione, non frontiera – 5/5

di Giuseppe Campione

5. Ma a pochi eletti è permesso raggiungere il centro di un labirinto e poi, quel che è più importante, consentirne l’uscita: Percorso vietato ai non qualificati, rappresentazione di prove iniziatiche, che sono escludenti e discriminatorie, come lo è stata la realtà di qualsiasi città del mondo. Le mille luci di una città non illuminano con la stessa intensità palazzi, viali residenziali e bidonville. Così una città contiene, come dice Calvino (Le città invisibili, Mondadori, 1993), il suo passato, le sue diverse realtà, in tutto ciò che mente e sguardo riescono a carpire. E forse aveva ragione Clemente Rebora, quando ci ricordava che sola “a verità condusse poesia”?
Cosi ad esempio recita Borges, “inventando” la sua Buenos Aires: Sei le cose che estinguerà la morte. È una città fuori del tempo ed eterna come l’acqua e l’aria quella che fluttua tra le parole e i versi del poeta argentino. Ma potrebbe essere qualsiasi altra città come luoghi e paesaggi interiori dell’Uomo e perciò universali. Spazi che a poco a poco vengono inglobati a formare un habitat secondo l’esigenza vitale di una comunità, che è unica nel suo divenire, nella sua emancipazione.

Oppure spazi che sono nati nella mente di un architetto e realizzati con razionale compiutezza come la Chandigarh di Le Corbusier, la “città d’argento” costruita secondo lo schema dell’uomo, il Modulor appunto, la cui mano “aperta per ricevere e donare” è il simbolico monumento al centro della città. Ma perché non pensare alMemoriale all’Olocausto, progettato da Peter Eisenman, un percorso labirintico lungo il quale una vasta griglia di colonne di cemento crea un’atmosfera di astrazione che diventa metafora dell’oscuro e complesso percorso interiore che l’uomo vive al ricordo del genocidio degli ebrei. Metafora oscura e astratta di orrore indicibile.

Geometrie, strutture e aritmetica per scansioni che possono ripetersi all’infinito secondo un sistema che tanto ricorda la Biblioteca di Babele di Borges, la biblioteca della sua Buenos Aires città specchio e metafora del mondo dove c’è il centro dell’Universo, l’Aleph, che soltanto in pochi possono vedere.

Metaforicamente ancora è la sicurezza dell’appartenenza, dell’abitare spazi condivisibili anche storicamente, che permette all’uomo di accedere al centro nascosto di una comunità. E non a caso il Borges parla di biblioteca di libri e di scaffali. Scansioni del pensiero, dei concetti e quindi della cultura che tra gallerie e geometrie perfette corrono il rischio (ma sembra sia necessario per il divenire) di cambiare fisionomia, di mutarsi insomma in altri libri che ovviamente sono da leggere in una visione più globale che l’io, l’individuo. In fondo la Biblioteca con tutte le variabili di combinazione di caratteri è infinita anche se periodica proprio perché è l’Universo stesso e nel momento in cui l’uomo è costretto ad una scelta che necessariamente esclude le altre dà il via “a diversi futuri, diversi tempi che a loro volta proliferano e si biforcano” come i sentieri in un giardino. Sembrano viaggi tra dedali e labirinti, all’infinito, per dare una fisionomia alla città dove si concentra tutto il vissuto e che perciò non ha bisogno di uno sguardo per essere visto. La città come scaffale di memorie?

Certo, la risposta non è semplice, ma non dovrebbe essere estranea all’insieme delle nostre considerazioni, una qualche analisi su quel sentimento collettivo che anima movimenti e vicende, che produce senso ed elabora processi di mitopoiesi ed accentuazioni simboliche e che poi connoterà le modalità di organizzazione e di governo del territorio. Potrebbe offrire anche altre chiavi di lettura all’assunto di riuscire a cogliere il senso di queste epifanie come se discendessero, in diversa misura, da quella definizione che Raymond Aron dà dei “caratteri nazionali”, la maniera, cioè, in cui un individuo prova e manifesta sentimenti, desideri, passioni. Ma anche esige, più che governement, significativi approcci a forme di governance che sostanzino la qualità della cittadinanza.

Ed anche l’utopia delle città per vivere. L’utopia che è come l’orizzonte: ‘cammino due passi e si allontana due passi, cammino dieci passi e si allontana dieci passi’. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia? A questo: serve per continuare a camminare. Dice un vecchio proverbio spagnolo: le strade, viandante, non ci sono, sarai tu a tracciarle, camminando.

Parte prima
Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. I corali francescani

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. i corali francescani provenienti dalla basilica di san Francesco
A cura di Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti
Dal 15 settembre 2018 al 17 marzo 2019
website: http://www.museibologna.it/arteantica

Organizzata in occasione della decima edizione del Festival Francescano, la mostra Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco, curata da Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti, espone una serie di importanti codici liturgici francescani databili dal XIII al XV secolo, conservati al Museo Civico Medievale di Bologna.

Fin dal Duecento l’illustrazione dei manoscritti ha costituito uno strumento espressivo essenziale per l’Ordine dei Frati Minori. Grazie alle scelte iconografiche e tematiche codificate dall’Ordine, le immagini dei libri francescani rappresentarono un elemento fondamentale per esaltare la figura del santo fondatore, offrendo una lettura in chiave strettamente cristologica della sua vita, che legittimava il ruolo di rinnovamento della Chiesa operato dalla Congregazione francescana. Infatti, sfogliando le pagine di Antifonari e Graduali del XIII secolo spesso ricorrono le raffigurazioni della Predica agli uccelli e delle Stimmate come appare nel manoscritto 526, qui esposto insieme ad altri graduali (mss. 525, 527), realizzati intorno al 1280-85 per il convento di San Francesco a Bologna. A decorarli fu chiamato uno dei protagonisti assoluti della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, così chiamato per aver decorato la celebre Bibbia oggi conservata presso la biblioteca capitolare della città catalana.

Se nell’episodio della Predica agli uccelli gli artisti potevano indugiare in ricerche di naturalismo espressivo, in quello delle Stimmate era possibile invece sperimentare effetti di grande drammaticità, come documenta l’analoga figurazione del graduale ms. 526, felice connubio tra le più sofisticate sperimentazioni pittoriche della tradizione bizantina e la veemenza espressiva di certa pittura toscana di questi anni.
Nella serie di Antifonari (mss. 528, 529, 533), realizzata nei primissimi anni del Trecento a compimento del precedente ciclo di Graduali, il linguaggio ancora aulico del Maestro della Bibbia di Gerona rivive in talune figurazioni seguendo connotazioni più moderne che già lasciano presagi- re una conoscenza dei fatti nuovi della cultura giottesca (ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi), la cui diffusione dovette seguire inizialmente canali privilegiati all’interno dello stesso Ordine.

Tra le figure che si pongono a maggior confronto con l’artista fiorentino va annoverato Neri da Rimini che realizzò nel 1314, assieme al copista Fra Bonfantino da Bologna, l’antifonario ms. 540 destinato al convento francescano della città romagnola. Risale invece alla metà circa del XV secolo la serie di corali francescani (mss. 549 – 551, 553) che in parte recano entro alcuni capilettera calligrafici la firma di Guiniforte da Vimercate e la data 1449. La decorazione di questo ciclo, risultato della collaborazione di maestranze di estrazione lombarda e locale, venne coordinata dal bolognese Giovanni di Antonio il quale si riservò personalmente la realizza- zione di alcune parti (ms. 551).
Accanto a lui sono all’opera personalità bolognesi dalla parlata più corsiva (mss. 550, 551, 553), ma anche il Maestro del 1446 (ms. 549) considerato uno dei più abili interpreti dell’ultima stagione della miniatura tardogotica cittadina che ebbe proprio in questa serie liturgica francescana una delle sue più tardive manifestazioni.

Nell’ambito del Festival Francescano, venerdì 28 settembre alle ore 16.30 la Sala del Lapidario del Museo Civico Medievale ospita la conferenza Oltre Giotto: ‘la maniera dolcissima e tanto unita’ di Claudia D’Alberto (storica dell’arte, ricercatrice Marie-Curie COFUND Università di Liegi – Unione Europea ‘Horizon 2020’). Percorso indiziario volto alla scoperta della “bellezza artistica francescana” meno nota, l’incontro è un’occasione per parlare di Puccio Capanna, pittore che ad Assisi fu il più importante appaltatore di imprese decorative commissionate, fra prima e seconda metà del XIV secolo, dall’Ordine francescano e dalle confraternite. Ingresso libero, fino a esaurimento posti disponibili.