Quella del Mediterraneo è una storia grande. Basta lasciarsi
guidare da oggetti: dal più antico e condiviso – il pane – all’alfabeto, alla
bussola, l’anfora, la moneta, la chitarra, la padella, il corallo, l’abaco, la
valigia … Che cos’è il Mediterraneo? Un “mare tra le terre”. Un
mare interno, come altri nel mondo. Eppure, questo spazio, compreso tra lo
stretto di Gibilterra e le coste del Medio Oriente, tra Venezia e Alessandria
d’Egitto, ha qualcosa di speciale. Non soltanto perché è il “nostro”
mare, il “mio” mare. Le acque del Mediterraneo sono una barriera tra
i tre continenti che vi si affacciano, l’Europa, l’Asia e l’Africa, ma sono
soprattutto un luogo di incontro e di passaggio.
Quante civiltà, quanta gente, religioni, vite, amori, terrori, passioni e paure
si sono incontrati su questo mare! Per secoli. Per millenni. Possiamo
ripercorrerne la storia sulle tracce di semplici oggetti, quotidiani e strani,
ordinari o curiosi. Che ci parlano, forte, tanto. Oggetti, storie come una
stella polare, ci fanno da guida nella navigazione attraverso fatti, episodi,
avvenimenti. E si intrecciano, si mescolano fino a creare una grande trama che
ci racconta cosa è stato questo mare attraverso i secoli.
Soffermiamoci su tre aspetti. – L’alfabeto cumano è stata la base dell’alfabeto etrusco e poi di quello latino, un terzo del sistema operativo di base della cultura del mondo, ma non troviamo una “Alphabet Town” turistica a Cuma, solo ruderi e abusivismo diffuso. – In secondo luogo, la moneta. La prima moneta metallica dovrebbe essere stata coniata nel 685 A.C. in Lidia, antica regione dell’Asia Minore: si trattava di una moneta senza figure o scritte. In seguito, i greci coniarono monete d’argento con la figura di Poseidone, il dio del mare. Già all’inizio del V secolo avanti Cristo la moneta era diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo e Cuma è stata la prima colonia greca del mondo occidentale. – Poi, in terzo luogo: l’identità. Il Mediterraneo è spazio storico-geografico sempre più affollato di opportunità e di occasioni, di mescolanze etniche, di coesistenze culturali, di circolazione delle idee, mobilità delle persone, vicende religiose e politiche. In questo orizzonte, per esempio, il mondo valdese e l’eco delle stragi che lo colpirono a fine Cinquecento cominciano solo oggi a trovare una loro ben precisa e riconoscibile collocazione storica. Una grande vicenda umana e di fede!
L’ alfabeto, la moneta, l’identità: sono tre chiavi di lettura di tutti noi, macroregionalisti mediterranei: la cultura, l’economia e il nostro “idem sentire”. Una identità molto composita anche a livello macro, la quale ha bisogno di una propria macroregione, affinchè si abbia uno sviluppo socio-economico sostenibile e duraturo nella nostra area. La Macroregione Mediterranea è soprattutto un fatto etico. La morale è l’insieme dei principi generali che guidano il nostro comportamento e le nostre relazioni, l’etica è la pratica, la modalità della loro applicazione. È difficile dare una definizione dell’etica perché l’etica non è solo morale, ma soprattutto propensione a fare il bene, a preoccuparsi degli altri. L’etica, secondo Max Weber, ha generato lo spirito del capitalismo. Ma ora occorre riformarlo, eticamente, appunto, civicraticamente.
Ercole e il suo mito Venaria Reale (Torino) 13 settembre 2018 – 10 marzo 2019 Sale delle Arti, II piano Mostra organizzata da: Swiss Lab for Culture Projects e Consorzio Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con AntikenMuseum di Basilea, MuseumsLandSchaft di Assia-Kassel e Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La rassegna, curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase e composto da Gabriele Barucca, Angelo Bozzolini, Paolo Jorio, Darko Pandakovic, Laura Pasquini, Gerhard Schmidt, Rüdiger Splitter, Claudio Strinati, Paola Venturelli, è organizzata da Swiss Lab for Culture Projects e Consorzio Residenze Reali Sabaude, in collaborazione, fra gli altri, con l’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig di Basilea (CH), il Museumslandschaft di Hessen-Kassel (D), il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Filangieri di Napoli.
L’esposizione illustra il mito dell’eroe greco e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo.
L’iniziativa acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso, e da cui inizia idealmente la visita. Il percorso alla Venaria si apre con una sezione che ripercorre l’origine del mito in epoca pagana, con una serie di ritrovamenti archeologici di grande pregio e raffinatezza, come vasi, anfore, coppe, realizzate nella regione greca dell’Attica tra il 500 e il 300 a.C., provenienti dall’Antikenmuseum di Basilea, che raffigurano diverse imprese canoniche dell’eroe; tra queste spiccano la monumentale anfora del Pittore di Berlino, una delle massime espressioni della ceramica ateniese e l’hydria (vaso) attribuita al Gruppo dei Pionieri.
La mostra prosegue con la parte che testimonia la diffusione della rappresentazione della leggenda erculea in àmbito romano, con alcune statuette in bronzo o in terracotta, oltre a una testa colossale di Ercole in riposo, copia della seconda metà del I secolo a.C. di un’opera di Lisippo risalente al 320/310 a.C.
O ancora, il calco in gesso del gruppo bronzeo di Ercole con la cerva di Cerinea di Lisippo dalla Skulpturhalle di Basilea o due intonaci dipinti provenienti dall’Augusteum di Ercolano, oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che raffigurano Eracle con il Cinghiale e con il Leone di Nemea. Chiudono la sezione due coppe in argento realizzate da Gianmaria Buccellati, sbalzate e cesellate con le fatiche di Ercole, le cui forme si ispirano a quelle di altrettanti scyphus rinvenuti a Pompei nella casa del Menandro e di cui in mostra si possono vedere i passaggi di fabbricazione, ancor oggi identici a quelli antichi.
La mostra di Venaria analizza quindi il passaggio tra il mito pagano di Ercole e il recupero che ne fece il cristianesimo nel Medioevo, quando la figura del semidio dalla forza straordinaria e dal carattere esemplare è associata a quella del Salvatore, al punto che la discesa agli inferi di Ercole per strappare Alcesti a Thanatos, prefigura la discesa di Cristo nel Limbo per liberare le anime dei giusti, così come le sue vittorie contro gli animali mitologici annunciano la vittoria del Redentore sul demonio. In questa sezione s’incontra un prezioso cofanetto in avorio, prodotto da una bottega costantinopolitana nella prima metà dell’XI secolo, raffigurante l’eroe che strangola il leone e solleva Anteo, il gigante figlio di Poseidone e di Gea che perdeva la sua forza se non toccava terra, proveniente dal Museo Archeologico nazionale di Cividale del Friuli.
Una sala della residenza sabauda sarà inoltre dedicata alla persistenza del mito di Ercole in capolavori di arte decorativa, come ventagli, elmi, boccali, coppe, cassoni, e altro. Qui spicca un prezioso e raffinato boccale tratto da un monoblocco di avorio proveniente dalla Kunstkammer dei granduchi di Baden oggi conservato al Badisches Landesmuseum di Karlsruhe in Germania.
La celebrazione dell’eroe invincibile proseguirà in epoca moderna, attraverso le opere pittoriche e plastiche, a partire dal Rinascimento, come L’Apoteosi di Ercole (1539) delGarofalo, e proseguendo nel Seicento con la scultura di scuola romana Ercole Fanciullo con il serpente, pezzo molto suggestivo della Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli e nel Settecento con due pregevoli manufatti in terracotta dorata di Lorenzo Vaccaro, forse importanti committenze del vicerè spagnolo Don Gaspar de Haro allora a Napoli, e oggi custodite nel Museo Filangieri.
Un focus speciale sarà riservato a Gregorio de Ferrari, pittore del barocco genovese, qui per la prima volta con tutte le cinque grandi tele raffiguranti Ercole durante le sue più celebri fatiche e il momento in cui viene accolto nell’Olimpo, provenienti dalla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola di Genova.
Particolarmente interessanti saranno gli approfondimenti che analizzeranno, da un lato, la presenza della statuaria erculea nei giardini e dall’altro le piante a essa collegate, a cura di Darko Pandakovic, attraverso alcuni esempi che si ritrovano in parchi di residente private e di palazzi aristocratici, come Palazzo Pitti a Firenze, Le Tuileries a Parigi, il Castello di Powis in Gran Bretagna, o La Venaria stessa e, dall’altro, l’influenza che l’eroe ebbe nella storia dell’architettura, grazie a un video-passeggiata raccontata da Claudio Strinati.
La rassegna prosegue con una sezione dedicata alla città tedesca di Kassel, che ha nella gigantesca statua dell’eroe greco uno dei suoi simboli; dal suo museo provengono alcuni cammei del Sei/Settecento e in questa occasione verrà presentato un eccezionale filmato aereo della reggia e del parco che furono voluti da Guglielmo I d’Assia-Kassel.
Chiudono idealmente l’esposizione una curiosa sezione che, ricostruendo un’ambiente di foyer cinematografico anni ‘50/60, testimonia il rifiorire negli ultimi decenni dell’interesse sul mito di Ercole, con i grandi film, cosiddetti del “peplo”, prodotti a Cinecittà negli anni sessanta e poi ancora recentemente a Hollywood, che videro impegnati attori quali Giuliano Gemma o Arnold Schwarzenegger, oltre alla trasposizione in disegni animati di Walt Disney.
Occorre definire che cosa è la criminalità organizzata per poterla combattere, come è necessario, a livello di Macroregione Mediterranea. La criminalità organizzata si definisce come una forma di delinquenza caratterizzata dalla presenza di una organizzazione strutturata con vari livelli gerarchici e specifiche mansioni per i diversi livelli e in Italia il termine è utilizzato per indicare solitamente le attivitá mafiose. Quando si parla di criminalità organizzata ci si riferisce a qualcosa che non ha nulla in comune con piccoli gruppi che decidono di delinquere (come potrebbe essere per esempio il caso di un gruppetto di persone che tenta di rapinare una banca) ma a una sorta di Società che ha vari interessi economici in vari campi e che in alcuni casi costituisce un vero e proprio “potere occulto” che da un lato si finanzia con varie attività illecite e dall’altro manovra la politica di un paese con vari mezzi ricattatori, di corruzione o semplicemente infiltrando i propri uomini.
La criminalità organizzata ha ben compreso il fenomeno della globalizzazione mondiale ed è una sua caratteristica quella di sapere intessere rapporti economici con le varie organizzazioni criminali presenti negli altri paesi: questa capacità di scambio aumenta gli introiti dell’organizzazione criminale e di quelle che a lei sono “gemellate” in misura tale da rendere praticamente impossibile, per le forze dell’ordine dei vari paesi, riuscire ad assestare un vero colpo a questo genere di società tentacolari non solo perché le risorse messe a disposizione di chi combatte questo genere di criminalità sono sempre limitate, ma anche a causa delle infiltrazioni mafiose nella politica ormai di ogni paese. Tali infiltrazioni, portando all’approvazione di leggi utili alla stessa malavita e all’eliminazione (più o meno figurata o letterale a seconda della situazione specifica) degli oppositori, permettono alla criminalitá organizzata di continuare a guadagnare.
Solo con la Macroregione Mediterranea si creano i presupposti di una svolta concreta nella lotta alla criminalità organizzata. Il lavorìo della criminalità organizzata si divide in quello che è sotto gli occhi di tutti a partire dalla microcriminalità, prima fonte di introiti che poi verranno reinvestiti, e quello che si svolge a livelli talmente alti da essere quasi invisibile. Viene quasi da pensare che sia impossibile abbattere questo genere di Società per Azioni, visto come ormai si sono evolute e sono passate da essere piccole espressioni nazionali a un esempio di capacità politica ed economica. Il fine ultimo è il guadagno e l’ottica è quasi quella della teoria dei giochi nota come “Equilibrio di Nash” del Premio Nobel, John Nash, in cui è meglio guadagnare tutti un po’ meno piuttosto che dividersi in chi guadagna e chi perde. Contro queste organizzazioni criminali coese, può reagire solo la coesa Macroregione Mediterranea. Le organizzazioni criminali agiscono da padroni prepotenti del mondo, campano sulle nostre disgrazie e uccidono i migliori di noi. Le nostre risposte sono l’educazione dei giovani, la coesione e l’ispirazione concreta al bene comune: paradossalmente se i “cattivi” insieme sono più forti perché non imparare da loro e fare la stessa cosa?
L’ispirazione al bene comune evita che il famoso motto, quello di “farsi i fatti propri”, porti alla omertà diffusa, che è la vera arma della mafia, il silenzio dei cosiddetti “uomini d’onore” su tutti i misfatti e le ingiustizie del territorio sotto dominio.
Dai monti azzurri all’Adriatico. Crivelli, Perugino, Giaquinto Senigallia (Ancona) Palazzo del Duca A cura di Stefano Papetti Dal 19 ottobre 2018 al 3 marzo 2019
Senigallia torna ad accogliere i capolavori di alcuni grandi maestri che nel corso dei secoli hanno contribuito ad arricchire i centri adriatici con le loro opere, ospitando nelle sale di Palazzo del Duca la mostra curata da Stefano Papetti Perugino, Crivelli, Giaquinto. Dai Monti Azzurri all’Adriatico.
Attraverso una ricca selezione di opere provenienti dalla Pinacoteca Civica Fortunato Duranti di Montefortino e da altre istituzioni legate alla Rete Museale dei Sibillini, come la Pinacoteca “S. Gentili” di San Ginesio e la Pinacoteca Civica di Sarnano, luoghi peraltro segnati dai recenti eventi sismici, si illustrerà quel complesso processo di osmosi figurativa, che va dal centro fino alla costa marchigiana, e che Federico Zeri e Pietro Zampetti hanno definito cultura adriatica. Come afferma Stefano Papetti “si tratta di una stupefacente serie di capolavori che dialogano con il patrimonio artistico conservato a Senigallia, come la piccola tavola di Perugino, autore anche della monumentale ancona della chiesa di Santa Maria delle Grazie che attesta la grande diffusione del verbo peruginesco nel vasto territorio centro italiano, ma anche le tavole di Vittore Crivelli che testimoniano la fortuna dello stile forbito elaborato nelle fiorenti botteghe lagunari in continuo dialogo con il contesto adriatico.”
Un viaggio nella religiosità popolare marchigiana attraverso un affascinante percorso stilistico e iconografico che si dipana dai saloni di Palazzo del Duca con le grandi pale d’altare quattrocentesche fino agli ambienti più raccolti del piano nobile dove sono esposte le nature morte sei e settecentesche, alcune delle quali acquistate alla Fiera di Senigallia, collezionate da Fortunato Duranti, artista marchigiano precursore, in piena stagione romantica, della riscoperta dell’arte barocca. “Una mostra questa che intende aggiungere un tassello nella valorizzazione del nostro ricco patrimonio culturale colpito dal sisma e simbolo di un fertile crocevia di idee nei secoli” afferma Maurizio Mangialardi Sindaco di Senigallia.
Il percorso espositivo, che segue un ordine cronologico, inizia con la tavola Sant’Andrea e la Battaglia fra Ginesini e Fermani (1463ca) di Nicola di Ulisse da Siena nota come la “Battaglia della Fornarina” dal nome della fornaia che diede l’allarme dell’arrivo dei nemici e salvò il borgo di San Ginesio dalla distruzione e prosegue con la sublime Madonna orante, il Bambino e angeli musicanti di Vittore Crivelli a testimonianza del fortunato crocevia di artisti che dal Trecento ha legato Venezia e le Marche.
A far da controcanto alla Pala di Senigallia del Perugino, che raffigura la Madonna in trono con Bambino e i Santi Giovanni Battista, Ludovico di Tolosa, Francesco, Pietro, Paolo e Giacomo, oggi conservata presso la Pinacoteca Diocesana della città adriatica, il drammatico Cristo della Passione dello stesso Perugino che attesta la grande diffusione della sua cifra stilistica nel vasto territorio del centro Italia. Passando per Vincenzo Pagani, Antonio Romano, Simone De Magistris e Machisiano di Giorgio si arriva al Settecento con una serie di dipinti di Corrado Giaquinto, l’artista pugliese che ha operato nelle maggiori capitali italiane ed europee muovendo da Molfetta per poi approdare a Roma, Torino e Madrid dove riscosse incondizionati apprezzamenti per la leggiadria delle sue composizioni. Suo l’olio su tela La Maga che testimonia le storie e le leggende che popolano l’area dei Monti Sibillini.
In mostra anche le nature morte di affermati specialisti italiani del genere, opere di grande successo per il loro valore decorativo che nella mostra è testimoniato dalle tele di due pittori come Spadino e Cristoforo Munari.
Van Dyck. Pittore di Corte Torino Galleria Sabauda Curatori: Annamaria Bava, Maria Grazia Bernardini 16 Novembre 2018 – 17 Marzo 2019
Il 16 novembre 2018, nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, presso i Musei Reali di Torino,
apre al pubblico la straordinaria mostra dedicata ad Antoon van Dyck (Anversa, 1599 – Londra,
1641), uno dei più grandi artisti del Seicento europeo, il miglior allievo di Rubens che rivoluzionò
l’arte del ritratto del XVII secolo.
Personaggio di fama internazionale, gentiluomo dai modi raffinati, artista geniale e amabile
conversatore, Van Dyck fu pittore ufficiale delle più grandi corti d’Europa.
Attraverso un percorso espositivo che si dispiega in quattro sezioni, 45 tele e 21 incisioni, la
mostra Van Dyck. Pittore di corte intende far emergere l’esclusivo rapporto che l’artista ebbe con
le corti italiane ed europee. Dipinse capolavori unici per elaborazione formale, qualità cromatica,
eleganza e dovizia nella resa dei particolari, soddisfacendo le esigenze di rappresentanza e di
status symbol delle classi dominanti: dagli aristocratici genovesi ai Savoia, dall’arciduchessa
Isabella alle corti di Giacomo I e di Carlo I d’Inghilterra.
Le sue opere sono un modo per entrare nel fastoso universo seicentesco, per scoprire le ambizioni
dei personaggi che si fecero ritrarre dalla “gloria del mondo”: così Carlo I amava definire il maestro
fiammingo, per accrescere il lustro e il prestigio della corte.
Proprio in Italia, dove Van Dyck soggiornò per sei anni, dal 1621 al 1627, visitando numerose città e dove potè approfondire lo studio dell’arte italiana e in particolare quella veneta, avviò i contatti con l’aristocrazia genovese, i sovrani torinesi e i duchi di Firenze, committenti che lo condussero a specializzarsi nella ritrattistica. Formandosi sui modelli di Tiziano e rispondendo alle esigenze celebrative della committenza, Van Dyck elaborò un genere del tutto personale, caratterizzato da una grande perfezione formale. Opere come la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, il Cardinale Guido Bentivoglio, Emanuele Filiberto Principe di Savoia, l’Arciduchessa Isabella Clara Eugenia in abito monastico, Il Principe Tomaso di Savoia Carignano, Carlo I e la Regina Enrichetta Maria sono esempi sublimi dei suoi ritratti che, per la naturalezza e spontaneità dei gesti, per la cura estrema nella resa dei materiali preziosi come sete e merletti, per le pennellate impalpabili che creano atmosfere vibranti e seducenti, esercitano ancora oggi un fascino irresistibile.
Grandi e importanti sono anche le tele dedicate ai miti, i cui racconti erano tanto in voga
nell’iconografia del tempo, come Giove e Antiope, Amarilli e Mirtillo, Vertumno e Pomona e Venere
nella fucina di Vulcano.
All’artista i Musei Reali di Torino e Arthemisia dedicano una grande esposizione incentrata sulla
sua vasta produzione di ritratti e non solo: le opere, 45 dipinti e 21 incisioni, provengono dai
musei italiani e stranieri più prestigiosi come la National Gallery di Washington, il Metropolitan
Museum di New York, la National Gallery di Londra e la Collezione Reale inglese, la Scottish
National Gallery di Edimburgo, il Museo Thyssen-Bornemiza di Madrid, il Kunsthistorishes
Museum di Vienna, l’Alte Pinakotek di Monaco, il Castello Arcivescovile di Kromeriz presso Praga,
le Gallerie degli Uffizi, i Musei Capitolini di Roma, la Ca’ d’Oro di Venezia, la Galleria Nazionale di
Palazzo Spinola, il Palazzo Reale e i Musei di Strada Nuova di Genova, in dialogo con l’importante
e corposo nucleo di capolavori della Galleria Sabauda.
La mostra è organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Musei Reali di Torino e
dal Gruppo Arthemisia, con il patrocinio di Regione Piemonte e Città di Torino.
La cura dell’esposizione è affidata ad Anna Maria Bava e Maria Grazia Bernardini e a un
prestigioso comitato scientifico, composto da alcuni tra i più noti studiosi di Van Dyck quali Susan
J. Barnes, Piero Boccardo e Christopher Brown.
L’iniziativa è sostenuta da Generali Italia attraverso Valore Cultura, il programma per
promuovere l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e
trasversale – famiglie, giovani, clienti e dipendenti – al mondo dell’arte attraverso l’ingresso
agevolato a mostre, spettacoli teatrali, eventi e attività di divulgazione artistico-culturali con lo
scopo di creare valore condiviso.
La mostra vede come special partner Ricola, sponsor tecnico Trenitalia e radio partner Radio
Dimensione Suono.
L’evento è consigliato da Sky Arte.
Il catalogo è edito da Arthemisia Books.
LA MOSTRA La prima sezione è dedicata alla formazione del giovane artista e al suo rapporto con Rubens.Van Dyck, dopo un breve apprendistato presso l’attivissima bottega di Van Balen, iniziò una stretta collaborazione con Peter Paul Rubens, uno dei più grandi artisti del Seicento, che ebbe una influenza decisiva nell’elaborazione dei suoi modi stilistici. Per le sue straordinarie capacità, a diciotto anni Van Dyck entrò nella Gilda di Anversa e aprì una sua personale bottega, pur mantenendo la collaborazione con il maestro per grandi imprese pittoriche, fino alla sua partenza per l’Italia. Fin dalle sue prime opere, molto legate allo stile di Rubens, emerge un linguaggio originale e innovativo, caratterizzato da una vena poetica, lirica, che si differenzierà dallo stile epico del maestro.
La seconda sezione si sofferma sull’attività di Van Dyck in Italia. Dopo un breve soggiorno a Londra presso la corte di Giacomo I, Van Dyck giunse in Italia nel 1621, dove si trattene fino al 1627, visitando Venezia, Torino, Roma, Bologna, Firenze, Palermo e Genova. Nelle “regge repubblicane” genovesi si affermò il nuovo modo di ritrarre elaborato da Van Dyck, superbo, raffinato, maestoso e al contempo vivo e fortemente emotivo, confacendosi alle esigenze di celebrazione e ostentazione del ceto aristocratico. D’altronde fu proprio in Italia che l’artista seppe definitivamente creare il suo impalpabile ed elegante linguaggio grazie allo studio dell’arte italiana, in particolare dell’arte veneta e di Tiziano, come provano gli schizzi raccolti nel noto Sketchbook, conservato al British Museum e riprodotto in mostra. I primi ritratti realizzati in Italia da Van Dyck sono capolavori straordinari, come il Cardinale Bentivoglio (Firenze, Gallerie degli Uffizi) e la Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo (Washington, The National Gallery of Art), entrambi esposti in mostra. Negli anni successivi, l’artista eseguì un numero cospicuo di ritratti e affinò l’attenzione verso la resa pittorica delle stoffe dai ricami preziosi, l’ambientazione atmosferica e lo studio psicologico dell’effigiato.
La terza sezione è dedicata gli anni anversesi, presso la corte di Isabella Clara Eugenia.
Tornato ad Anversa nel 1627, divenne pittore di corte dell’arciduchessa Isabella Clara Eugenia,
sostituendo Rubens. Ebbe occasione di lavorare anche per lo stadholder Frederik Hendrik,
principe d’Orange, che collezionò vari dipinti dell’artista tra cui opere a soggetto mitologico come
Amarilli e Mirtillo e Teti nella fucina di Vulcano. In questo periodo Van Dyck raffigurò molti
personaggi dell’ambiente vicino a Isabella, una galleria eccezionale di dipinti e incisioni: queste
ultime furono raccolte nel volume Iconographia e in mostra ne sono esposti 13 esemplari,
provenienti dall’Istituto Centrale della Grafica, accanto ad altre 8 incisioni di collezione privata.
Sono presenti anche i ritratti dell’arciduchessa Isabella in veste monacale, in un confronto tra Van
Dyck e Rubens.
La quarta sezione illustra l’attività di Van Dyck presso la corte di Carlo I.
Nel 1632 si trasferì a Londra, presso la corte di Carlo I, dove rimase fino alla morte prematura,
avvenuta nel 1641, a parte qualche breve soggiorno ad Anversa e a Parigi. Fu presso la corte
inglese che Van Dyck raggiunse il culmine della sua fama. Realizzò un numero sorprendente di
ritratti del re, della regina, dei loro figli (come le due versioni de I tre figli maggiori di Carlo I in
mostra) e un gran numero di personaggi che frequentavano assiduamente la corte del re
d’Inghilterra, regalandoci un panorama davvero sorprendente di quella società: i sovrani sereni e
potenti, i personaggi di grande eleganza e raffinatezza, sontuosamente abbigliati, ritratti di lords,
duchi, principi, ladies, da cui poco si coglie delle difficoltà politiche che l’Inghilterra attraversava
con Carlo I.
La lotta alla criminalità nel Mediterraneo è lotta internazionale soprattutto al traffico di stupefacenti, al traffico di esseri umani e in primo luogo lotta alle mafie e ai reati finanziari e alla corruzione.La lotta al traffico di stupefacenti è una lotta che riguarda soprattutto il controllo delle rotte marittime e aeree. I sequestri non sono sufficienti a stroncare il traffico.Bisogna intervenire a livello internazionale per rendere comuni le legislazioni più avanzate a tutta l’area mediterranea, soprattutto per il riconoscimento del reato di associazione di tipo mafioso, l’italiano art. 416 bis, e per l’estensione delle leggi consequenziali sul sequestro dei patrimoni mafiosi. Per quanto riguarda la lotta al traffico di esseri umani, presente inLibia, Tunisia, Turchia, Marocco e in gradi estensioni di territorio sub-sahariano e sahariano, ci vogliono accordi internazionali euro-mediterranei e centro africani. Il nostro Macroassessorato stimola gli Stati interessati alla massima cooperazione. Il dovere dell’accoglienza ai migranti non può conciliarsi con l’assenza di azioni di lotta al traffico infame di esseri umani.Con questi tassi di natalità e con l’apertura di conseguenti nuovi mercati, solo le politiche di sviluppo in loco consentono una crescita equilibrata e del resto bisogna sviluppare le azioni politiche e le repressioni di repellenti traffici di migranti.
Bisogna dare voce alle organizzazioni impegnate nella apertura dei corridoi umanitari. Non possiamo solo accogliere. Bisogna che esercitiamo il dovere etico della responsabilità politica difronte a questi drammi epocali. Anche questo è impegno cristiano. Diceva Paolo VI che la politica è la più alta forma della Carità. E soprattutto occorre concordare una forza di polizia internazionale per reprimere le organizzazioni di trafficanti sulle sponde africane e turche.Naturalmente bisogna sviluppare in ambito macroregionale la lotta alla corruzione e alla criminalità finanziaria.
La Brexit ha reso Malta un nuovo centro della finanza mondiale. Ci sono segnali di gravi episodi di criminalità mafiosa a Malta. La giornalista e blogger Daphne Caruana Galizia è stata uccisa a Bidnija, nell’isola di Malta, da una bomba che ha fatto saltare in aria la sua auto il 18 ottobre 2017. Le indagini sono puntate sulla mafia ed emergono sempre più legami con i trafficanti di petrolio libico nell’isola che sta diventando l’isola del riciclaggio. Non possiamo consentire che La Valletta diventi la città più ricca e malfamata al mondo, come Port Royal in Giamaica, al tempo dei pirati. La sorella Repubblica di Malta, la quale è membro sia della Unione Europea e sia del Commonwealth delle ex colonie britanniche, deve predisporre al più presto la stessa legislazione italiana sulla corruzione e sulla mafia.
La Macroregione Mediterranea ha, nella sua missione, l’impegno di sviluppare la lotta alla criminalità. I legislatori del Trattato di Lisbona hanno avuto lungimiranza di definire questo obiettivo. Il Mediterraneo ha conosciuto piraterie e contrabbando. Ora con la Macroregione Mediterranea non possiamo consentirci di ritornare a queste barbarie, in tempi che dovrebbero essere più gentili, civili, progrediti e democratici, in sostanza, più Civicratici.
La mostra Paul Klee. Alle origini dell’arte, a cura di Michele Dantini e Raffaella Resch, presenta un’ampia selezione di opere di Klee sul tema del “primitivismo”, con un’originale revisione di questo argomento che in Klee include sia epoche preclassiche dell’arte occidentale (come l’Egitto faraonico), sia epoche sino ad allora considerate “barbariche” o di decadenza, come l’arte tardo-antica, quella paleocristiana e copta, l’Alto Medioevo; sia infine l’arte africana, oceanica e amerindiana.
Il concetto di “primitivismo” in Klee assume connotazioni diverse rispetto a quelle comunemente utilizzate a proposito delle avanguardie storiche. L’interesse per tutto quanto, in arte, è “selvaggio” e “primitivo” si desta in Klee in coincidenza con il suo primo viaggio in Italia e la scoperta dell’arte paleocristiana a Roma, tra l’autunno del 1901 e la primavera del 1902.
In seguito al viaggio in Italia Klee si considererà un “epigono”: vale a dire ultimo nato, erede tardivo di un’illustre civiltà giunta al tramonto. E questa conclusione non lo abbandonerà mai in seguito, spingendolo a trasformare, come lui stesso racconta nei Diari, la delusione in “stile”. Ha origine qui, da un’esperienza in parte dolorosa al cospetto dell’Antico, la propensione di Klee alla beffa e al pastiche. L’artista cerca in opere d’arte “primitive” e in repertori desueti quell’arte della deformazione, o “satira in Grande Stile”, che gli permette di infrangere il gusto monumentale e anticheggiante entro cui si era formato a Monaco.
Klee è un grande conoscitore della storia dell’arte occidentale in tutta la sua ampiezza e varietà. Pressoché in ogni momento della sua attività istituisce rapporti nuovi e inattesi con questa o quella componente della tradizione e si nutre di memorie figurative, in modo non nostalgico. Per necessità insieme storica e di temperamento, l’omaggio si intreccia in lui intimamente alla parodia.Pari all’interesse per la caricatura, che evolve in lui rapidamente in direzioni diverse e più complesse della semplice vignetta da foglio di giornale, è l’interesse per il rinnovamento dell’arte sacra, sviluppatosi in particolare a partire dagli anni in cui Klee collabora alle iniziative del Blaue Reiter con Kandinskij e soprattutto con Franz Marc. Klee è convinto che alle origini dell’arte ci sia una religione, un “popolo” o una comunità storica e linguistica provvista di simboli comuni e riti condivisi.
Ed è convinto che occorra oltrepassare le iconografie tradizionali. A partire dal 1912-1913 Klee dissemina le proprie immagini di ideogrammi, rune o elementi “alfabetici” di invenzione. Si sforza di rinviare l’osservatore al processo che sta dietro l’immagine; di sollecitare in lui domande attorno al senso di ciò che vede; di indurlo a leggere e decifrare con attenzione. Guarda all’arte bizantina, all’arte celtica, ovviamente all’illustrazione primo-rinascimentale tedesca per trovare precedenti di un’arte (per lo più sacra) intimamente congiunta alla parola e alla “rivelazione”. In seguito, negli anni Venti e Trenta, il suo interesse per l’epigrafia si nutre di riferimenti agli antichi alfabeti cuneiformi medio-orientali e alla geroglifica egizia. È durante gli ultimi anni della Grande Guerra che Klee vive una sorta di “conversione”, che lo porta a privilegiare temi “cosmici” e a distaccarsi dalle attitudini parodistiche mostrate in precedenza. Klee, in questa fase, immagina di abitare presso “il cuore della Creazione”, vicino alla mente di Dio, e l’arte diventa archetipo, formula di tutte le cose esistenti. I suoi modelli, validi ancora negli anni Venti e Trenta, sono l’illustrazione tedesca tardo-medievale, le miniature celtiche o mozarabiche o l’arte del tempo della «migrazione dei popoli».
Il quadro (o ancor più il disegno) si trasforma in una sorta di pagina di diario “metafisica”: l’opera non si osserva più o meno fuggevolmente, ma “si legge” a vari livelli, come una sorta di partitura musicale. L’artista concepisce l’arte in modo nuovo, “mistico” appunto, in un rapporto indissolubile tra pittura e musica, immagini e parole. Le sezioni in cui verrà suddivisa la mostra racconteranno questo processo di formazione artistica. Dalla caricatura al periodo in cui Klee si definisce anche “illustratore cosmico”; a un primitivismo di tipo “epigrafico”, la cui sezione di riferimento non a caso verrà intitolata “alfabeti e geroglifiche d’invenzione”.
Una sezione sarà dedicata al teatrino di marionette che Klee aveva costruito per il figlio Felix, a testimonianza del suo interesse per l’espressività infantile e quindi per le origini primordiali dell’arte che l’autore, coerentemente con il suo tempo, riteneva dovessero cercarsi nelle espressioni artistiche di alcune popolazioni di interesse etnografico. Insieme a esemplari di marionette verrà presentata una selezione delle opere etnografiche del MUDEC. I manufatti extraeuropei, lungi dal fornire un elemento di comparazione diretta con i lavori di Klee, riferiscono di come l’artista si sia avvicinato, abbia corrisposto con l’universo fantastico, antropologico e stilistico delle arti extraeuropee.
Infine, la sezione dedicata a “policromie e astrazione”designa un diverso insieme di opere, caratterizzate, oltreché dal rigoroso disegno geometrico per lo più associato a motivi architettonici, dalla trasparenza di differenti velature di colore. Klee viene quindi presentato sia attraverso le sue opere astratte e policrome, conosciute e amate dal grande pubblico, sia attraverso i suoi meno noti lavori caricaturali; al tempo stesso, puntuali ricerche sulle fonti, sui repertori iconografici e formali e sui documenti testuali danno conto della complessità del sostrato culturale dell’artista, della vastità della sua produzione e dell’ampiezza delle tecniche da lui utilizzate.
Nato nel Sudafrica dell’apartheid da madre xhosa e padre bianco, Trevor è colored: né bianco né nero, un’anomalia intollerabile per il rigido sistema razziale sudafricano. Destinato fin dalla nascita a un’esistenza “fuori legge”, Trevor se la cava splendidamente poiché la sua infanzia, spericolata e indimenticabile, è orchestrata da una madre più potente del tuono: Patricia Nombuyiselo Noah, un magma di contraddizioni stupendamente africane. È bigotta e ribelle, severa e anticonformista, e soprattutto ha fiducia nel fatto che tutto è possibile, di qualsiasi colore sia la tua pelle, l’importante è andare a scuola, imparare l’inglese, fare quello che si pensa sia giusto e rifiutare le leggi sbagliate e illogiche inventate dagli uomini.
La buona notizia è che possiamo migliorare, a qualunque età: le recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato che la nostra attività mentale stimola la modificazione delle connessioni tra neuroni e ne crea di nuove. Bachrach è uno straordinario allenatore di cervelli, che può aiutarci a scoprire questo enorme potenziale di crescita, di apprendimento e di evoluzione.
Solo oggi, a seguito dei recenti progetti norvegesi di adeguamento
dell’autostrada E39 (Norwegian Public Roads Administration – Statensvegvesen),
è stato possibile pensare di realizzare un attraversamento stabile dello
Stretto lungo un tracciato che consente di minimizzare la distanza tra le due
città metropolitane di Messina e Reggio Calabria.
In Norvegia i lavori relativi alla E39, iniziati nel 2016
dovrebbero essere ultimati entro il 2035 per un costo complessivo stimato in 47
miliardi di dollari, permetteranno di eliminare 8 servizi di navi traghetto che
verranno sostituiti con ponti e tunnel. Con la costruzione della nuova
autostrada si ridurrà il congestionamento nei punti di scambio abbattendo in
modo decisivo i tempi di percorrenza per coprire le lunghe distanze nel Paese. L’impatto
sul trasporto sarà infatti significativo: attualmente per completare il vecchio
percorso di 1100 km ci vogliono 21 ore che saranno portate a 10 una volta che
l’opera sarà terminata. Un beneficio non solo per il trasporto privato, ma
anche per il trasporto merci. Si calcola infatti che il costo generale per
portare la merce da un estremo all’altro dell’autostrada si ridurrà del 50%
rispetto alle condizioni attuali.
Gli otto fiordi da
superare hanno una larghezza compresa tra 1,7 km e 26,7 km e profondità che
varia da 300 a 1250 m.
Per ciascun fiordo, alla luce delle moderne tecniche, sono
state prese in considerazione soluzioni diverse, ponti sospesi a una o più
campate con fondazioni galleggianti e fisse, tunnel a mezz’acqua e subalvei.
Le novità più significative in termini di progettazione
traggono spunto dalle tecniche utilizzate negli ultimi decenni per la
realizzazione di piattaforme off-shore, installate in mezzo agli oceani per
l’estrazione di petrolio e gas naturale da grandi giacimenti.
A partire dal 1973 sono state realizzate dalla compagnia
Norwegian Contractors le prime piattaforme che utilizzano la tecnologia GBS
(Gravity Basic Structure) per costruire Condeep (Concrete Deep Water Structure),
che sono enormi strutture in cemento armato alte fino a 610 m. Queste
costruzioni fisse sono molto stabili ed hanno una base molto larga e fondazioni
profonde per resistere ai terremoti e a tutte le sollecitazioni esterne dovute
ad un ambiente ostile posto in mezzo all’oceano. Normalmente sorreggono una
piattaforma off-shore che ospita oltre ai macchinari per l’estrazione del
greggio e del gas anche tutti gli edifici utilizzati dall’equipaggio, che
devono essere realizzati con criteri di sicurezza tali da costituire un “luogo
sicuro” (Fig.1).
Fig. 1 – Alcune piattaforme di calcestruzzo installate dalla Norvegia nell’Oceano Atlantico; Fonte: (www.olavolsen.no)
In Norvegia per il Sulafjorden, un fiordo largo circa 4 km e profondo
500 m, tra le numerosissime soluzioni ipotizzate, è stata scelta quella che
prevede la costruzione di un ponte multicampata che utilizza le stesse tecniche
impiegate per la realizzazione di piattaforme off-shore basate sulla tecnologia
GBS (Fig. 2).
Fig. 2 – Ponte sospeso a più campate sul Sulafjorden sostenute da strutture GBS (Gravity-based Structures) – Fonte: immagini estratte dal video realizzato da Rambøll e Sweco per Statens vegvesen (Strade dello stato della Norvegia). Youtube “Statens vegvesen – E39 Sulafjorden K2” https://www.youtube.com/watch?v=7s2l7Uq_oZ4
Partendo dai progetti norvegesi è nata l’idea di utilizzare
tali tecniche per ipotizzare la realizzazione di un ponte sullo Stretto
localizzato in modo da essere utilizzato quotidianamente dagli abitanti delle
città metropolitane di Messina e di Reggio Calabria e non per essere utilizzato
quasi esclusivamente dal traffico viaggiatori e merci a lunga percorrenza. Da
qui il nome Ponte ME-RC (Messina-Reggio Calabria).
Posizionando opportune strutture GBS, è possibile realizzare
un percorso diretto tra Messina Scalo e Villa San Giovanni. Ovvero non è più
necessario allontanarsi dalle città per raggiungere il punto più vicino tra la
costa calabra e quella siciliana rendendo improbabile l’utilizzo quotidiano di
tale ponte per il traffico locale, che dovrebbe essere il principale fruitore
di tale opera. Il ponte deve eliminare, per quanto possibile, l’attuale
ostacolo sia economico che temporale, che impedisce lo sviluppo dell’area
metropolitana dello Stretto e più in generale della Sicilia e della Calabria.
Nel caso specifico del ponte ME-RC è necessario attraversare
un tratto di mare profondo al massimo 320 m. I due piloni centrali dovrebbero
essere realizzati in un’area quasi pianeggiante denominata “Messina Valley” in
luoghi profondi 300 m, che sono molto meno dei 450 m del Sulafjord norvegese.
La distanza tra le due coste lungo la direttrice scelta è di 6.620 m (Fig.3).
Dato che il ponte oltre che stradale deve essere anche
ferroviario e che attualmente non esiste al mondo alcun ponte di tale tipo che
abbia una campata maggiore di 1.408 m, per superare la distanza di 6.620 m
bisognerebbe realizzare un ponte costituito da 5 campate da 1.324 m utilizzando
4 piloni GBS. L’attuale record di ponte stradale e ferroviario che ha la
campata da 1.408 m è detenuto dal ponte Yavuz Sultan Selim, chiamato anche il
“terzo ponte sul Bosforo”, inaugurato il 26 agosto 2016.
Data la profondità del mare lungo la direttrice prescelta si
dovrebbero realizzare 4 condeep di altezze comprese tra i 400 e i 500 m. Da
notare che i grandi spazi presenti in corrispondenza dei quattro condeep consentono
la realizzazione sia di luoghi panoramici turistici, sfruttabili
commercialmente, che di luoghi sicuri da utilizzare in caso di emergenza (Fig.
4).
Fig. 4 – Ponte ME-RC
A causa della posizione obbligata della nuova stazione di
Messina Centrale, bisognerà rendere navigabile per le grandi navi la quarta
campata lato Sicilia, in modo che la pendenza risulti circa del 17 ‰, che è
inferiore alla massima ammessa sulla rete AV/AC italiana (18 ‰) (Fig. 5).
Fig. 5 – Stima di massima delle dimensioni principali del Ponte ME-RC
Sul ponte ME-RC potrebbe essere realizzata oltre alla linea
ferroviaria a doppio binario anche una autostrada a tre corsie per ogni senso
di marcia per fare fronte non solo al traffico a lunga percorrenza ma anche a
quello futuro della città metropolitana dello Stretto. Data la breve distanza
tra le due città dello Stretto si potrebbe pensare di attivare anche un
servizio metropolitano ferroviario tra le due coste in modo da collegare in
tempi rapidissimi tramite il ponte oltre al centro delle due città anche tutte
le località comprese tra Rosarno e Melito di Porto Salvo in Calabria e tutte le
località comprese tra Giampilieri e Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia
(Servizio Suburbano). Creando le condizioni rilanciare l’economia semplificando
i movimenti delle persone che potrebbero spostarsi quotidianamente tra le loro
abitazioni e i punti di interesse dell’altra città, alla ZES annessa al Porto
di Gioia Tauro, all’aeroporto dello Stretto “Tito Minniti”, alle aree turistiche
e produttive/ZES di Milazzo/Barcellona e di Giampilieri/Taormina, ecc.
Nelle immediate vicinanze del pilone posto sulla costa
siciliana si potrebbe realizzare uno svincolo autostradale collegato con il
centralissimo viale Europa.
Fig. 6 – Svincolo autostradale “Messina Europa”
L’autostrada,
dal ponte ME-RC, continua in viadotto seguendo il vecchio percorso dell’ex
ferrovia Messina-Palermo in modo sopraelevato, per consentire l’utilizzo della
vecchia ferrovia come linea metropolitana.
La galleria dell’Angelo verrebbe utilizzata per la
metropolitana, mentre sopra verrebbe realizzata la galleria autostradale.
Subito dopo, superata in viadotto via del Santo, l’autostrada proseguirà in
galleria sino alla E45 dove sarà realizzato lo svincolo “Messina Ponte” tra gli
svincoli di “Messina Centro” e “Messina Gazzi” (Fig. 7).
Fig. 7 – Mappa di Messina con evidenziata in bianco l’area della nuova stazione di Messina Centrale (Maregrosso), in marrone il nuovo tracciato autostradale dal ponte ME-RC alla E45 e i nuovi svincoli di “Messina Europa” (vicino al pilone del ponte ME-RC) e di “Messina Ponte”, in verde è evidenziato il tracciato dell’ex ferrovia Messina-Palermo (tratta Camaro-Messina Scalo)
La nuova stazione di Messina Centrale dovrebbe essere
realizzata a Maregrosso, attualmente utilizzata come Messina Scalo, nella
stessa area già individuata sino al 2005 per la realizzazione della stazione di
“Messina Ponte sullo Stretto”. Dalla nuova stazione ferroviaria, seguendo la
costa, utilizzando la linea ferroviaria si giunge a Catania, mentre utilizzando
la galleria di base dei Peloritani si giunge a Palermo.
Tra l’altro la nuova stazione ferroviaria di Messina
Centrale, essendo di transito ovvero non più di testa, non avrà più la
necessità di avere nelle vicinanze depositi locomotive e scali dove
parcheggiare materiali rotabili viaggiatori e merci. I treni regionali e
metropolitani potrebbero utilizzare gli impianti ferroviari di Reggio Calabria,
liberando ampi spazi a Messina. L’area dell’ex Officina Grandi Riparazioni di
Messina potrebbe essere riutilizzata per il deposito e la manutenzione dei
materiali rotabili delle linee metropolitane.
Dopo aver completato la copertura del torrente San Filippo,
il piazzale della stazione di Contesse e i binari di collegamento con la
fermata di Tremestieri potrebbero essere trasformati in un centro intermodale
dove caricare e scaricare dai treni mezzi commerciali che altrimenti
percorrerebbero la rete autostradale italiana per centinaia di chilometri.
L’area compresa tra Gazzi e la Zona Falcata diventerà
centralissima e di pregio, pertanto sarà necessaria la predisposizione di un
apposito studio urbanistico da inserire nel Piano Regolatore Generale della
città di Messina per far fronte alla progettazione di alberghi, spazi
commerciali e residenziali, strutture ricettive e congressuali, strade e piazze,
zone destinate a parcheggio multipiano.
Con la realizzazione del Ponte ME-RC sarà necessario ridisegnare
il water front della città visibile dal ponte e le aree attraversate dalla
nuova bretella autostradale dovranno essere adeguatamente riqualificate in
quanto diventeranno parte integrante del nuovo centro della città, nonché
biglietto da visita di Messina, della Sicilia e simbolo positivo dell’Italia
intera.
Il progetto Ponte ME-RC renderà appetibili commercialmente
molte aree inserite dal progetto “CAPACITY” come aree da riqualificare. In
particolare, saranno interessati dai lavori collaterali al ponte ME-RC i
seguenti ambiti territoriali: Gazzi, Fondo Saccà, Camaro, Zona Falcata, Fondo
Fucile e Villaggio Santo.
Pertanto, la realizzazione del ponte ME-RC non è importante
solo per l’attraversamento dello Stretto, ma anche per il risanamento della città
di Messina, che da quando è stata colpita dal terremoto del 28 dicembre del
1908 continua a soffrire per problemi legati all’emergenza abitativa di
migliaia di persone.
Alla luce di ciò la realizzazione del Ponte ME-RC
rappresenta un capovolgimento dei termini in quanto trasforma gli interventi di
riqualificazione urbana in un investimento strategico di importanza
internazionale che modifica in modo permanente il valore delle aree coinvolte.
Contestualmente alla realizzazione del ponte ME-RC sarebbe necessario
ripensare il TPL sia messinese che reggino per ridurre in modo significativo la
congestione del traffico stradale e per rilanciare l’economia semplificando i
movimenti delle persone (biglietto unico integrato della nuova città
metropolitana dello Stretto utilizzabile su tutti i mezzi pubblici).
L’ex tracciato della ferrovia Messina-Palermo, tra Camaro e
Messina Scalo (circa 7 km), potrebbe essere facilmente trasformato in
metropolitana realizzando numerose fermate per servire i quartieri attraversati.
La metropolitana verde (Fig. 7), partendo da Camaro dopo essere giunta alla
nuova stazione di Messina Centrale, potrebbe proseguire tramite il ponte per la
città di Reggio Calabria o per altre destinazioni calabre.
Inoltre, sarebbe opportuno realizzare a Messina un nuovo
tracciato di metropolitana in galleria da Tremestieri Porto fino all’Annunziata
(linea rossa lunga circa 11 km) in modo da ridurre drasticamente la congestione
del traffico stradale e servire velocemente tutte le aree maggiormente
urbanizzate della città ed in particolare il centro storico, le principali
scuole, gli uffici e i centri commerciali (Fig. 8, 9 e 10).
Fig. 8 – Tracciati di massima delle ipotizzate linee metropolitane, tranviarie e funiviarie di Messina
Fig. 9 – Tracciati di massima delle ipotizzate linee metropolitane, tranviarie e funiviarie di Messina
Fig. 10 – Tracciati di massima delle ipotizzate linee metropolitane, tranviarie e funiviarie di Messina
È da ricordare che in base ai rapporti periodici “TomTom
index” sia la città di Messina che quella di Reggio Calabria normalmente si
classificano a livello nazionale tra il 2° e il 4° posto per la congestione del
traffico stradale ed è per tale motivo che dal DEF 2016 sono previsti interventi
di potenziamento dei servizi metropolitani e tranviari nelle due città (SdF,
PUMS, ecc.).
Lungo il percorso della nuova linea metropolitana rossa “Tremestieri-Annunziata”
dovrebbe essere prevista una derivazione in corrispondenza di Villa Dante in
modo da servire la nuova stazione centrale e poi, tramite il ponte ME-RC
giungere velocemente in Calabria. La realizzazione di questa nuova linea
metropolitana risulta molto importante per eliminare gli attuali colli di
bottiglia e per migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Il tracciato è stato scelto in modo da essere
sufficientemente lontano dal mare e contemporaneamente in modo da mantenere la centralità,
evitando allo stesso tempo di costituire intralcio alle attività commerciali.
Le fermate della metropolitana dovrebbero essere ricavabili in spazi già
disponibili o facilmente disponibili a seguito di espropri di limitata entità.
In tale contesto l’attuale linea tranviaria (linea gialla) cambierebbe
il percorso da Villa Dante verso la nuova stazione di Messina Centrale in
quanto non sarebbe più necessario giungere all’attuale capolinea sud posto allo
ZIR, già servito dalla nuova linea metropolitana rossa tramite la fermata del
Policlinico e tramite la fermata ferroviaria di Messina Fiumara Gazzi.
Con l’occasione sarà possibile modificare il tracciato
dell’attuale linea tranviaria anche nella zona centrale in modo da aumentarne
in modo significativo la velocità commerciale. In particolare, giunti
all’attuale stazione ferroviaria, ovvero in Piazza della Repubblica, si
potrebbe proseguire diritti sino al porto e realizzare una fermata in
corrispondenza dell’attracco delle navi veloci. Poi, rettificando il confine
dell’area portuale, si potrebbe spostare il tracciato sino alla fermata Municipio
in modo da eliminare le attuali problematiche connesse con le attività
commerciali poste lungo il porto. Dalla fermata Municipio il tram potrebbe
continuare secondo l’attuale tracciato sino al capolinea del Museo o potrebbe
proseguire sino all’Annunziata in modo da trovare corrispondenza con la linea
metropolitana.
La nuova linea metropolitana attraverserebbe la città per
tutta la lunghezza, mentre la linea tranviaria servirebbe di rinforzo per le
aree centrali riuscendo a servire anche le aree portuali difficilmente
raggiungibili tramite la metropolitana. I collegamenti con i quartieri delle
vallate e con quelli collinari dovrebbero continuare ad essere effettuati a
pettine tramite autobus.
Per valorizzare la natura culturale e turistica della città
di Messina, oltre che per raccordare la linea tranviaria e le due linee
metropolitane, in modo da minimizzare i tempi di spostamento urbano, sarebbe opportuno
realizzare una funivia urbana (linea bianca) da Boccetta, dove attraccano le
navi da crociera (Fig.11), a forte Gonzaga raggiungibile in circa 10 minuti e
da dove si può ammirare il bellissimo panorama dello Stretto di Messina,
dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità (Fig. 12).
Fig. 11 – Navi da crociera ancorate nel porto di Messina
La funivia urbana (linea bianca) si interconnette in
posizione centrale con la linea tranviaria (gialla) presso la fermata
“Boccetta” (Fig.10), con la linea metropolitana rossa presso la fermata “San
Francesco”, con la linea metropolitana verde presso la fermata “Montepiselli/Bisconte”
prima di giungere al capolinea “Gonzaga”. Tutto ciò contribuirà in modo
determinante ad un suo uso continuo in quanto riduce in modo significativo i
tempi di spostamento urbani e contemporaneamente potrebbe diventare
un’attrazione per i croceristi e più in generale per i turisti.
Fig. 12 – Panorama dello Stretto e Ponte ME-RC visto da Forte Gonzaga
Spostandoci sulla costa calabra, possiamo analizzare gli
effetti che si avranno sul Trasporto Pubblico Locale della Città Metropolitana
di Reggio Calabria a seguito della realizzazione del ponte ME-RC.
I collegamenti sia autostradali che ferroviari in Calabria non
prevedono modifiche significative e quindi risultano molto semplici da
realizzare. In particolare, per la parte autostradale è necessario costruire un
viadotto di collegamento tra il pilone calabro del ponte ME-RC e l’autostrada
del Mediterraneo, lungo circa 1 km e un nuovo svincolo autostradale subito dopo
quello di uscita per Villa San Giovanni (Fig. 13).
Per quanto riguarda la ferrovia è necessario raccordare il
tracciato del ponte con la ferrovia esistente in modo da poter proseguire sia
verso la stazione di Villa San Giovanni e quindi verso nord, sia verso Reggio
Calabria e oltre. Il servizio metropolitano proveniente dal ponte, proseguendo
verso Reggio Calabria, potrebbe utilizzare le attuali stazioni e fermate
ferroviarie (Fig.14).
Fig. 14 – Linee e raccordi ferroviari del Ponte ME-RC
Subito dopo la fermata di Pentimele si potrebbe realizzare un bivio da
cui derivare una linea ferroviaria metropolitana passante, che sottopassi tutto
il centro della città sino a giungere all’aeroporto dello Stretto “Tito
Minniti” ed alla stazione di S. Gregorio dove si potrebbe riconnettere alla
linea ferroviaria attuale (Fig.15). In
tal modo potrebbero essere attivati servizi metroferroviari veloci tra le due
città metropolitane dello Stretto. Anche questo tracciato, così come la nuova linea
metropolitana ipotizzata a Messina, servirebbe il centro storico, le principali
scuole, gli uffici e i centri commerciali.
Fig. 15 – Tracciato di massima dell’ipotizzata linea ferroviaria metropolitana passante di Reggio Calabria
L’insieme di tutte queste proposte progettuali potrebbe
diventare negli anni futuri fonte di sviluppo per il rilancio dell’area dello
Stretto e del Mezzogiorno. Influendo sulle aree dismesse e riqualificando i
waterfront delle due coste, si darà notevole impulso alla realtà economica,
sociale e culturale dell’intera area metropolitana.
Ricordiamo, per concludere, che il corridoio
Scandinavo-Mediterraneo, uno dei quattro corridoi TEN-T che attraversano
l’Italia, nella sua parte finale da Napoli a Palermo deve necessariamente
attraversare lo Stretto.
Le reti TEN-T (Trans-European Networks – Transport) sono un
insieme di infrastrutture di trasporto integrate, previste dalla Comunità
Europea per sostenere il mercato unico, garantire la libera circolazione delle
merci e delle persone e rafforzare la crescita, l’occupazione e la
competitività dell’Unione europea. Oggi la priorità a livello europeo è quella
di assicurare la continuità dei Corridoi, realizzando i collegamenti mancanti,
assicurando collegamenti tra le differenti modalità di trasporto, eliminando i
colli di bottiglia esistenti. Nel caso specifico, la realizzazione
dell’attraversamento stabile eliminerebbe la condizione di insularità della
Sicilia. Come citato nel trattato di
Maastricht del 7 febbraio 1992 le reti TEN-T
mirano a favorire l’interconnessione delle reti infrastrutturali nazionali e la
loro interoperabilità, tenendo conto in particolare della necessità di
collegare alle regioni centrali dell’Unione le regioni insulari, prive di
sbocchi al mare e periferiche.
Inoltre, con riferimento a quanto stabilito dal DEF 2017 allegato infrastrutture, nell’ambito degli interventi prioritari ferroviari con il potenziamento della “Direttrice Napoli – Palermo” è prevista la predisposizione di uno Studio di Fattibilità finalizzato a verificare le possibili opzioni di attraversamento sia stabili che non stabili dello Stretto. Tale intervento è inserito anche nel DEF 2018 allegato “Connettere l’Italia” interventi per il Mezzogiorno che dichiara, tra l’altro, che per l’attraversamento dello Stretto è in corso una fase di progettazione di fattibilità. Confidando nella felice e tempestiva conclusione della fase di Studio di Fattibilità dell’attraversamento stabile dello Stretto che per la conseguente predisposizione del Piano Regolatore Generale che comprenda sia la regolamentazione della realizzazione del nuovo water front sia la riqualificazione delle aree attraversate dai nuovi tracciati ferroviari e stradali, sia la riorganizzazione del TPL dell’Area Metropolitana dello Stretto, possiamo concludere che gli interventi ipotizzati consentiranno una drastica riduzione dei tempi di percorrenza tra le circoscrizioni più popolose delle due città, riducendo in modo significativo la necessità di utilizzare le auto private, contribuendo in modo determinante a fare recuperare alle città metropolitane di Messina e di Reggio Calabria molte posizioni nella classifica della vivibilità tra le città d’Italia e d’Europa oltreché contribuire in modo decisivo al rilancio sociale ed economico di una parte significativa del Sud Italia. Considerato che complessivamente le due città metropolitane hanno un numero di abitanti pari a circa 885.000, il numero di passeggeri/giorno che fruiranno del servizio pubblico dovrebbe attestarsi su valori tali da giustificare l’investimento, così come normalmente avviene in tutte le città metropolitane europee di pari dimensioni. Non bisogna dimenticare che l’unione delle due città metropolitane darebbe vita ad una città che per popolazione sarà la 7° città d’Italia e la 3° del sud Italia.