Manifesti d’arte, tra Otto e Novecento

 

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ART NOUVEAU  Movimento artistico che, con declinazioni diverse, si diffuse in Europa e negli Stati Uniti tra il 1890 e il 1910, e che interessò in particolare le arti applicate e l’architettura. L’a. si inserisce nella più ampia corrente del modernismo per gli obiettivi che si pose nell’elaborazione di uno stile nuovo: superamento dell’eclettismo storico e della gerarchia delle arti; progettazione unitaria capace di riscattare lo scadimento e la degenerazione del gusto causati dal diffondersi dei processi produttivi industriali; diffusione di valori estetici in ogni tipo di prodotto, dalla carta da parati al gioiello, dall’illustrazione al mobilio. [Continua la lettura sull’ENCICLOPEDIA ITALIANA ONLINE]

ART NOUVEAU – IL TRIONFO DELLA LINEA – Enciclopedia dei ragazzi (2005)

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Cannoli siciliani: la preparazione della scorza 2/3

 

“U cannolu” è formato da una “scorza” o “crosta” esterna e da una farcitura interna di ricotta. La crosta è una pasta tirata sottilmente, composta da farina, burro o strutto, poco zucchero, un pizzico di sale ed una serie di ingredienti che ne rafforzano il gusto e la consistenza. Una componente alcolica viene aggiunta ad essa, come marsala, vino rosso o bianco secco, moscato, che hanno il compito di conferire al cannolo le classiche bolle. Il cacao amaro, il caffè ristretto o in polvere tendono invece ad accentuare il colore ed il retrogusto un po’ amarognolo dell’involto.

Dopo aver lavorato l’impasto energicamente e averlo fatto riposare per circa un’ora in frigorifero, in forma di palla chiusa in un tovagliolo, si stende con il matterello. Lo spessore della sfoglia deve essere di circa mezzo centimetro, poi con un tagliapasta o sovrapponendo un piattino dal diametro di circa 10 centimetri  si ritagliano dei dischi. Per farli diventare poi ovali si pigiano al centro con il matterello e si avvolgono lungo un cannello di latta, utile attrezzo di pasticceria indispensabile per l’esecuzione della crosta. Anticamente erano utilizzati pezzetti di canna, da cui deriva il nome di “cannolo”. A tal proposito è curioso osservare come in vecchi libri di cucina si consiglia, qualora questi oggetti non si trovassero in vendita, di far realizzare i cannelli di latta dal proprio lattoniere, avendo cura di non sigillarli, per non essere confusi con quelli utilizzati per la preparazione dei cannoncini di pasta sfoglia, più lunghi e più stretti.

Affinché i cannoli, durante la cottura non si aprano, s’inumidiscono i bordi degli ovali con un po’ di albume, sovrapponendoli e premendo con  forza. Per conferire la caratteristica forma di cilindro dai bordi svasati si allargano le due estremità della buccia con le dita. I “cannola” fritti in abbondante olio o strutto, saranno lasciati intiepidire e sfilati con delicatezza, si faranno raffreddare completamente.

Fonte immagine: Cialde per cannoli siciliani

 

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Il Museo dell’Ermitage

 

Il Museo statale Ermitage (o Hermitage), situato a San Pietroburgo in Russia, espone una delle più significative collezioni d’arte al mondo. L’edificio del museo faceva parte
della molto più grande residenza degli zar della famiglia dei Romanov, che qui risiedevano. L’imperatore decadde nel 1917, con la Rivoluzione d’Ottobre.

L’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli, che lo realizzò, giunse in Russia nel 1716. Le sue realizzazioni lo misero in luce, tanto che divenne architetto di corte nel 1738. Messosi al servizio dello zar Pietro il Grande e della zarina Elisabetta, realizzò nel suo stile barocco assai sfarzoso diverse opere, tra le quali il Palazzo d’Inverno nel 1762. Cessò l’attività in Russia, nel 1763, con la salita al potere di Caterina la Grande, che preferiva lo stile neoclassico, più essenziale e rigoroso. Gli interni furono in effetti rifatti, nel 1806, da un altro architetto italiano Giacomo Quarenghi, coadiuvato dal collega Giuseppe Lucchini. Nel 1837, un terribile incendio distrusse in gran parte l’interno del palazzo, salvandone solo la parte esterna di Rastrelli, che si può ammirare ancora oggi. L’interno dell’edificio fu invece ricostruito in seguito.

Su suggerimento di Diderot, Caterina la Grande acquistò in Europa più di 2000 dipinti. Seguirono donazioni e acquisti da parte dei successivi zar. L’Ermitage fu aperto al pubblico, per la prima volta, nel 1852 (anche se per una cerchia ristretta di persone). Fu aperto, realmente, a tutto il pubblico dopo la Rivoluzione. Successivamente, il governo sovietico per finanziarsi vendette opere d’arte dell’Ermitage a musei di New York, Washington e Amsterdam.

Oggi il museo possiede tre milioni di opere, di cui sessantamila esposte. Il ricchissimo palazzo presenta al suo interno opere dei migliori artisti, quali Caravaggio, Tiziano, Francesco Casanova, Leonardo da Vinci, Jacques-Louis David, gli impressionisti Edgar Degas, Claude Monet, Paul Gauguin, Paul Cézanne, Pierre-Auguste Renoir, Vincent Van Gogh, oltre a Rembrandt, Pieter Paul Rubens, Diego Velázquez, Henri Matisse, Jacob Van Ruisdael, Paolo Pagani e Pablo Picasso. Oltre alle collezioni pittoriche, il museo ha delle sezioni archeologiche di pezzi egizi, greci e romani, e, in particolare, reperti dell’arte Sasanide e dell’arte Scita. Esiste, inoltre, una specifica collezione di argenti russi. Nel campo della scultura, l’Ermitage espone opere di Pietro Bracci, l’autore italiano che realizzò, in patria, la scultura del Nettuno nella Fontana di Trevi e il monumento a papa Benedetto XIV nella Basilica di San Pietro.

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Valentina, tra sogno e realtà 3/4

 

Valentina, che di cognome fa Rosselli, è un personaggio secondario della serie di Crepax del fumetto fantascientifico, Neutron, La curva di Lesmo, dove ricopre il ruolo della fidanzata del supereroe. La sua caratterizzazione fu tale, che ben presto divenne il personaggio fulcro di una serie, seguitissima, a lei dedicata. 

La sua fisionomia si rifà al personaggio cinematografico di Lulù, nel film “Il vaso di Pandora” (1928) del regista Pabst. Tratteggiava la classica donna fatale, il cui ruolo fu interpretato, negli anni venti, dall’attrice statunitense Louise Brooks, star del cinema muto americano. La caratteristica principale della figura di Valentina è quella d’essere “viva”. Di lei conosciamo tutto, dalla sua carta d’identità (sarebbe nata il giorno di Natale del 1942), alle sue rughe in vecchiaia (mutuate dal passare del tempo). La fisionomia tipica del personaggio è legato alla fase successiva a quella dell’adolescenza, quando Valentina decide di assumere il look della Lulù del film.

 

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Merdolino!

La rubrica Blogroll esplora il web ed attraverso i suoi link prova a proporre quanto di più interessante e curioso si trova. La pagina di oggi è dedicata ad un designer particolare, qual è Stefano Giovannoni. Ha l’industrial design nel sangue e una capacità di capire il pubblico come pochi altri progettisti. I suoi lavori sono molto conosciuti sotto il profilo visivo, perchè tutti hanno avuto modo di vederli e commentarli. Questo lavoro in particolare suscita ilarità, ma dopotutto gran parte del pubblico si compiace di ciò che suscita allegria e buon umore, pur dimenticando spesso e volentieri che dietro l’immagine c’è un progetto. Condivisibile o meno, ma questo è un altro discorso. Alberto Alessi, quando ha proposto questo scopino per il water ha dichiarato che molti hanno gridato allo scandalo, ma lui era divertito dall’idea di produrre un oggetto pensato e realizzato con grande “ironia artistica”. Per conoscere meglio “Merdolino”  vi proponiamo un articolo e una carrellata di immagini pubblicate su di un magazine sofisticato come Klat, intitolato: 

Merdolino, Alessi
Stefano Giovannoni

Negli anni in cui Stefano Giovannoni porta in Alessi (sino ad allora specializzata nella lavorazione dei metalli) il mondo colorato e dinamico delle plastiche, una ventata di novità pone l’attenzione non più solo alla cucina, ma anche al bagno. Come logica conseguenza, diventano oggetto di una reinterpretazione progettuale tutte le tipologie di arredo bagno. Tutte, nessuna esclusa, anche quelle meno indagate o non ritenute all’altezza di un progetto di design, come appunto lo “scopino da bagno”. [continua su Klat Magazine]

Fonte dell’immagine: Shopdecor.com
Per saperne di più sul designer Stefano Giovannoni  ed ascoltare una breve intervista riguardante i suoi prodotti realizzati per Alessi.

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La torre più alta d’Italia 1/2

 

La torre degli Asinelli di Bologna è la torre pendente più alta d’Italia. Raggiunge, infatti, i 97,2 metri di altezza, ma ha un’inclinazione di 1,3 gradi rispetto alla perfetta verticale. Talmente alta e talmente conosciuta che, in coppia con la Garisenda (un’altra torre limitrofa), è divenuta il simbolo stesso della città (le cosiddette due torri di Bologna). L’abitudine di costruire torri in città, però, era tale che, nel XII secolo, se ne contavano circa cento. Quasi tutte erano torri gentilizie. La torre degli Asinelli, deve, infatti, il suo nome alla famiglia che la costruì. Verso il XIV secolo, la proprietà della torre passò al Comune. Come funzione le fu data quella di prigione e militare. Successivamente, si dice che Giovanni Visconti, Duca di Milano, subentrato alla Signoria dei Pepoli di Bologna, per controllare il mercato sottostante (il Mercato di Mezzo), luogo di possibili assembramenti e rivolte, fece costruire a circa 30 metri una piattaforma in legno, collegata con una passerella alla vicina torre della Garisenda. L’impalcatura però andò a fuoco nel 1398.

Non avendo un parafulmine, che fu installato solo nel 1824, la torre degli Asinelli fu colpita da ripetuti fulmini, che arrecavano danni, piccoli crolli ed eventuali incendi. Di questi se ne ricordano almeno un paio. Il primo nel 1185, che fu però doloso, ed il secondo, come detto, nel 1398. Oltre al parafulmine è stato installato recentemente un ripetitore televisivo della RAI. Come accadde per la torre di Pisa con Galileo Galilei, anche la Torre degli Asinelli fu luogo di ricerche scientifiche (nel XVII-XVIII secolo) da parte di Giovanni Battista Riccioli e Giovanni Battista Guglielmini. Attualmente il monumento è visitabile dal pubblico, che può salire la scala interna fino alla cima. Un bell’esercizio ginnico (circa 500 gradini). Nella notte le due torri di Bologna sono illuminate e visibili da ogni punto della città.

 

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La cultura riscatta il profondo Sud

 

Al Museo di Messina nel ‘900, nel corso della rassegna sulla cinematografia del secondo dopoguerra, ideata da Angelo Caristi, abbiamo commentato, Geri Villaroel ed io, il film “C’eravamo tanto amati” di Ettore Scola. Geri ha evidenziato i particolari nel ricostruire scenicamente trenta anni di storia italiana e le aspettative dei tre protagonisti ammaliati dalla bella Sandrelli: il proletario (Manfredi), l’arrivista (Gassman), l’intellettuale (Satta Flores). Io mi sono soffermato solo su quest’ultimo personaggio, ricordando il vero prof. Palumbo a cui Scola si è ispirato, che in realtà si chiamava Camillo Marino. Con lui nel 1979 ho realizzato nel Museo Nazionale di Avellino la mostra per i 20 anni del “Lacenodoro”, festival cinematografico nato da una idea condivisa con Pier Paolo Pasolini. La sede iniziale della manifestazione – il lago Laceno fra i boschi – ricordava allo scrittore i paesaggi friulani della sua infanzia. Camillo gli aveva confidato la «febbre che ti assale quando ti accorgi che la provincia rischia di strozzarti, di uccidere le tue migliori speranze». Così i due dettero vita a “Cinema Sud rivista neorealista di avanguardia”, sulle cui pagine presero a scrivere Zavattini, Lizzani, Brass, Wertmüller. Ma non solo cineasti, perché la pubblicazione richiamò Moravia, Morante, Ungaretti, Levi. Tra mille ristrettezze economiche, Camillo organizzò anche la sette giorni neorealista di cinema internazionale, per 28 anni. Io ne ho vissuto appena quattro, ma preziosi. Sono bastati per apprendere da Camillo che «bisogna pedinare l’uomo, coglierne il segreto, sorprenderlo e scoprirlo mentre vive». Ecco perché continuo ancora a credere che nelle nostre province del profondo Sud possiamo/dobbiamo aspirare ad un riscatto.

Fonte immagine: L’Irpinia
Per saperne di più sul Festival cinematografico fondato da Camillo Marino e Pier Paolo Pasolini.

 

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AEDE: L’area falcata di Messina e il braccio di San Raineri

 

Mercoledì 23 novembre 2016, alle ore 17.00, nel Salone degli Specchi della provincia di Messina, l’architetto Sergio Bertolami e la prof.ssa Rosa Manuli hanno tenuto una conferenza sul tema “L’area falcata di Messina e il braccio di San Raineri”, organizzata dall’Associazione Europea degli insegnanti (AEDE) la cui sezione di Messina è presieduta dalla prof.ssa Caterina Pugliese.

L’area falcata, da sempre, ha caratterizzato l’identità di Messina, eppure versa oggi in uno stato di degrado che certamente non rende onore alla sua storia. L’incontro permetterà di comprendere le particolari motivazioni che hanno permesso l’attribuzione del nome di San Raineri alla penisola, conosciuta fino al XV secolo come “Lingua phari”, e spiegare le motivazioni della permanenza del toponimo pur nel progressivo deterioramento della memoria.

Varie testimonianze letterarie legano il nome della “penisola o braccio di San Raineri” ad un eremita locale, vissuto e morto nel XII secolo su questo lembo di terra. Si può dimostrare che la realtà è ben diversa. Le vicende storiche sono delineate esattamente nei tempi e nei luoghi, ma, a partire dal Settecento, si è prodotta a Messina una progressiva perdita della memoria collettiva. San Raineri – o Ranerij (1118-1161) come lo chiama Francesco Maurolico nel suo Martyrologium (1568) – ha condotto in astinenza e povertà 13 anni della propria esistenza in Terra Santa. Dal 1633 è il patrono di Pisa, città natale, dove nella Cattedrale sono conservate le sue spoglie. La vita del santo è narrata in due manoscritti medievali; ma è nella iconografia il momento più rappresentativo per dimostrare l’attestazione del toponimo riferito alla Falce del porto. Speciale considerazione, infatti, va posta al “Miracolo di Messina”, affresco di recente restaurato, dipinto da Antonio Veneziano nel 1384 per il corridoio sud del Campo Santo Monumentale nella piazza dei Miracoli a Pisa. La scena rappresenta il santo nell’atto di dividere il vino dall’acqua che un oste disonesto vi ha mescolato. Questa allegoria celebra la conclusione di una lunga guerra europea, che ha coinvolto non solo Messina e i siciliani, ma anche il papato avignonese, gli aragonesi di Spagna e gli angioini di Francia, facendo conquistare alla Sicilia l’autonomia dal regno di Napoli.

EX AQUA Il braccio di San Raineri” è il saggio che Sergio Bertolami e Rosa Manuli hanno scritto per richiamare l’attenzione sull’area falcata e sul recupero della sua identità storica. Come ha commentato Sergio Di Giacomo sulla Gazzetta del Sud (12 ottobre 2016) «il libro, attraverso un sapiente, dettagliato e originale intreccio di fonti locali e toscane, ricostruendo le vita del santo pisano, convertitosi in Terra Santa, ribalta la storiografia locale legata alla leggenda del “Romitello” e ai suoi “fuochi” che indicavano la terra ai naviganti antichi». In occasione della conferenza organizzata dall’Associazione Europea degli Insegnanti, Experiences ha deciso di aprire il libro a quanti sono interessati all’argomento, così da poter leggere integralmente le sue pagine ed ammirare le belle acqueforti dei Lasinio, tratte dagli affreschi oggi restaurati nel Campo Santo monumentale di Pisa, nella piazza dei Miracoli a fianco della Torre pendente. Buona lettura.

LEGGI IL LIBRO OFFERTO ALLA LETTURA SUL WEB GRATUITAMENTE. Questo annuncio è comparso sulla Home di Experiences solo per nove giorni.

 

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Cannoli siciliani: l’origine 1/3

 

Il cannolo, tipico dolce siciliano del periodo invernale, un tempo veniva confezionato solo in occasione del carnevale, per la ricchezza e la complessità della sua ricetta. Oggi, questa golosità palermitana, si trova nell’isola durante tutto l’anno e viene esportata ovunque. È un dolce dai forti contrasti: di colori, di profumo, di sapore, di consistenza. Intrigante la sua forma cilindrica, conservatasi nel tempo. Giuseppe Coria evidenzia in uno studio sul rapporto tra la geometria e la simbologia che il suo aspetto rappresenterebbe la forma fallica. Sotto questo aspetto, il cannolo esprime, dunque, un significato di fecondità, di forza generatrice, ma anche un valore apotropaico, cioè di allontanamento delle influenze maligne. Un altro nome, infatti, con cui è identificato questo dolce è “scettro da re”. A Regalbuto, per S. Martino, si confeziona un biscotto di forma cilindrica, in analogia col cannolo, che richiama secondo la tradizione popolare il sesso del santo. Un cilindro di pasta, infatti, è cotto, tagliato due, svuotato, e riempito con una crema di ricotta arricchita di cioccolato e fili di zuccata.

L’ipotesi sull’origine di questo dolce, stimolante per il gusto ed accattivante per le interpretazioni tra sacro e profano, è descritta dal Duca Alberto Denti di Pirajno, cultore di gastronomia.  In “Siciliani a tavola” (la cui edizione fu terminata da Massimo Alberini, dopo la scomparsa del nobile siciliano) il Duca sostiene che il cannolo sarebbe stato inventato dalle abili mani delle suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta. Per l’esattezza, si legge: “Il cannolo non è un dolce cristiano, ché la varietà dei sapori e la fastosità della composizione tradiscono una indubbia origine mussulmana”. Caltanissetta, effettivamente, in arabo significa “Castello delle donne”, poiché gli emiri saraceni vi tenevano i loro harem; queste donne, aspettando l’arrivo del consorte si suppone ingannassero il tempo a preparare squisite leccornie. Quando gli arabi furono estromessi dai normanni, gli harem si svuotarono e, tra conversioni ed abiure, non si esclude che qualcuna delle favorite, convertita alla fede cristiana, si sia ritirata nei monasteri, portando con sé quelle ricette che avevano sedotto le corti degli emiri, trasmettendole in seguito a “quelle sante ancelle del Signore sino a noi poveri peccatori”.

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Il museo di Palazzo Abatellis a Palermo 2/2


Durante la seconda guerra mondiale, in un bombardamento di Palermo del 1943, il Palazzo Abatellis venne colpito e distrutto. Negli anni seguenti, le autorità decisero il suo completo restauro, nella prospettiva di inserirci una Galleria d’Arte per le collezioni d’arte medievale”. La Soprintendenza ai Monumenti iniziò il consolidamento della struttura. A dirigere l’operazione vennero chiamati, prima, l’architetto Mario Guiotto, e, poi, l’architetto Armando Dillon. Per primi furono ricostruiti il portico, la loggia e il salone centrale danneggiati dal bombardamento. Riparati i soffitti crollati. Poi vennero tolte le superfetazioni e gli elementi aggiunti, tanto da “ripulire” il contenitore. A questo punto, terminati i lavori, nel 1953, fu chiamato l’architetto Carlo Scarpa per redigere il progetto d’interni e degli allestimenti futuri. Nel 1954, il museo venne aperto al pubblico.
Rispettando il prezioso lavoro dell’architetto Carlo scarpa, nel 2009, il museo di Palazzo Abatellis è stato ampliato con l’apertura delle sale rossa e verde al piano superiore e si ottenne anche l’agibilità della terrazza sovrastante.

Le collezioni esposte nella Galleria provengono inizialmente dalla Pinacoteca della Regia Università, e, successivamente, dagli enti religiosi chiusi in Sicilia, nel 1966. Vi furono anche donazioni e lasciti di collezioni private. Tutto il materiale fu incamerato in principio dal Museo Nazionale di Palermo, poi divenuto di competenza regionale. Le opere d’arte in esposizione sono d’altissimo livello sia storico che artistico. Tra le altre: le realizzazioni lignee intagliate del XII secolo, numerose sculture del Trecento e del Quattrocento, capolavori di Domenico e Antonello Gagini (come la Madonna del latte, l’Annunciazione ed il Ritratto di Giovinetto), il Busto di gentildonna di Francesco Laurana (XV secolo), il Trionfo della Morte (databile al 1445), e la bellissima Annunziata di Antonello da Messina (sempre del XV secolo).

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