Il Museo Davia Bargellini di Bologna espone il dipinto restaurato di Lavinia Fontana “Giuditta con la testa di Oloferne” prima del prestito alla National Gallery of Ireland

Lavinia Fontana, Giuditta con la testa di Oloferne, 1600, olio su tela, cm 130 × 110
Bologna, Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
A destra prima del restauro, a sinistra dopo il restauro.
Courtesy Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale S.r.l.

Lavinia Fontana
Giuditta con la testa di Oloferne

5 – 12 aprile 2023
Esposizione del dipinto restaurato in occasione del prestito per la mostra Lavinia Fontana: Trailblazer, Rule Breaker(National Gallery of Ireland, Dublino | 6 maggio – 27 agosto 2023)

Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, Bologna
Strada Maggiore 44, Bologna

www.museibologna.it/arteantica

Restituito alla raffinatezza dei valori cromatici originari dopo un complesso e delicato restauro, il dipinto di Lavinia Fontana Giuditta con la testa di Oloferne torna ad essere visibile dal 5 al 12 aprile 2023 presso il Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna, in anteprima alla grande mostra personale Lavinia Fontana: Trailblazer, Rule Breaker che la National Gallery of Ireland di Dublino dedicherà alla celebre artista bolognese dal 6 maggio al 27 agosto 2023.
Con questa esposizione, i Musei Civici d’Arte Antica | Settore Musei Civici Bologna intendono presentare al pubblico della città gli ottimi esiti ottenuti dall’intervento conservativo eseguito dal Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale S.r.l. e salutare l’opera prima che abbiano inizio la fasi funzionali al trasferimento verso l’Irlanda a partire dal 13 aprile.

La mostra Lavinia Fontana: Trailblazer, Rule Breaker
Tra i massimi rappresentanti della pittura tardo-manierista in Europa, Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614) è considerata da molti la prima donna artista a raggiungere il successo professionale al di fuori dei confini di una corte o di un convento. La pittrice fu la prima donna a gestire una propria bottega e la prima a dipingere pale d’altare pubbliche e nudi femminili. Mantenne una carriera attiva, dipingendo per molti mecenati illustri e assumendo al contempo il ruolo di moglie e madre. Esplorando la straordinaria vita di Fontana attraverso i suoi dipinti e disegni, la mostra Lavinia Fontana: Trailblazer, Rule Breaker,a cura di Aoife Brady, offrirà una visione del clima culturale che le permise di prosperare come artista donna dell’epoca. La mostra di Dublino sarà la prima monografica ad esaminare il lavoro di Fontana in oltre due decenni e la prima a concentrarsi sui suoi ritratti. Sarà riunita una selezione delle sue opere più apprezzate, provenienti da collezioni pubbliche e private internazionali, insieme al celebre La visita della regina di Saba a re Salomone, proveniente dalla collezione permanente del museo nazionale irlandese.
Comeimmagine guida per la comunicazione dell’esposizione la scelta è ricaduta proprio sul dipinto Giuditta con la testa di Oloferne del Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini. L’olio su tela, firmato e datato LAVINIA FONTANA DE ZAPPIS FECE 1600, appartiene alla maturità della pittrice, che affronta il soggetto biblico di ambientazione notturna con grande padronanza degli effetti luministici e con una sensibile attenzione alla resa analitica dei dettagli, di gusto fiammingo. Il volto dell’eroina, come quello della fantesca, paiono restituire tratti fisionomici peculiari, tanto da suggerire che possano identificarsi in due ritratti, come per altro accade in altri dipinti di analogo soggetto prodotti in area bolognese negli stessi anni (ad esempio da Agostino Carracci). Giuditta, vedova audace e pia, che osa sedurre il tiranno per ucciderlo e liberare così il proprio popolo, si presta infatti a fornire i sembianti per un travestimento in veste biblica, essendo modello di virtù femminile apprezzato nell’età di Controriforma, tanto da divenire tema fra i più ricorrenti nei quadri da stanza destinati agli interni dei palazzi nobiliari.

Scheda critica a cura di Vera Fortunati
Lavinia affronta con audace originalità anche soggetti mitologici e biblici di eroismo femminile per giungere al genere più ambito della pittura di historia. È il caso delle due Giuditte, tema iconografico che gode di grande fortuna nel clima religioso e politico dopo il Concilio di Trento: nel 1586 con grande successo Tommaso Garzoni pubblica Le vite delle donne illustri della Scrittura Sacra, dove Giuditta viene con enfasi rilanciata suggerendo diverse interpretazioni. Nel 1592 circa Lavinia dipinge per la famiglia Ratta (Urbini, 1994) la Giuditta e Oloferne (Bologna, Fondazione del Ritiro di San Pellegrino), dove non sceglie l’acme del tragico racconto, ma raffigura la bellissima, pia vedova di Betulia, stante con in mano la testa di Oloferne posata su un tavolo, mentre alle spalle si intravvede il corpo decapitato del generale. Il modello di confronto è il dipinto di analogo soggetto (Bologna, UniCredit), attribuito ad Agostino Carracci (Benati, 1999), ma del tutto innovativa è l’ambientazione notturna, a “lume di torcia” secondo l’espressione di Malvasia (1679): il raffinato sperimentalismo luministico di matrice veneta, bassanesca, mette in risalto i filamenti luminosi delle preziose vesti della protagonista, fino ad evidenziare sulla spada il grumo di sangue (Biancani, 2022). Sono gli anni in cui la pittrice è particolarmente attenta alla pittura di Jacopo Bassano, conosciuta su esemplari conservati nelle collezioni bolognesi, come si può vedere nella bellissima Natività della Vergine (Bologna, chiesa della Santissima Trinità). In questa versione nel volto di Giuditta, gli occhi rivolti al cielo, vive lo slancio mistico di chi ha agito affidandosi interamente alla volontà divina che l’ha ispirata e guidata. Per la studiosa Murphy (2003) si tratterebbe di un cripto-ritratto di Laerzia Rossi Ratta, moglie del defunto Carlo Ratta, madre di Lorenzo erede di Monsignore Dionisio Ratta.
Sul finire degli anni ’90 la Giuditta e Oloferne del Museo Davia Bargellini si distanzia sia per una rilettura alternativa del testo sacro sia in seguito al recente restauro per una più matura assimilazione della pittura veneta, in direzione di Paolo Veronese, secondo un’ipotesi verisimile di un viaggio della pittrice a Venezia. Ma procediamo con ordine. L’avvenente eroina avanza verso lo spettatore, mostrando orgogliosa la testa del tiranno: è consapevole di aver salvato il suo popolo con il tragico gesto. È già la femme forte secondo l’immagine classica e biblica che sarà in auge nella letteratura femminista del Seicento europeo. Il restauro ha evidenziato l’eccezionale resa dei superbi accordi cromatici, debitori di una luce e di un colore non solo carracceschi ma anche veneti e la fresca vitalità di un lume otticamente meditato che fa risaltare la consistenza delle sete, dei veli, dei broccati e la lucentezza delle perle bianche, alcune fanno ombra, e la fastosa preziosità dei gioielli. Si segnala soprattutto il grande pendaglio, emblematico esempio dell’alta qualità dell’oreficeria presente a Bologna, con l’immagine del pavone, simbolo di generosità e lealtà d’animo (Cantaro, 1989; Urbini, 1994). Da notare anche la cesta con il panno bianco rimboccato, sorretta dalla giovane ancella Abra, compagna d’avventura: sembra già un brano di una natura morta. Anche se la firma e la data sono state ridipinte, questo capolavoro, a mio parere, è da collocare alla fine del Cinquecento, perché la protagonista, di una bellezza neoveronesiana, è simile ad alcune dame della corte della regina di Saba nel grande dipinto Visita della regina di Saba a Salomone (cm 256 x 325) di Dublino, National Gallery, originariamente nella collezione bolognese della famiglia dei conti Berò (Chiodini, 1999): la stessa liquida stesura cromatica esalta la profusione di ricami, di cascate di damasco e di velluti, di trine, come la lucentezza dei gioielli e delle pietre preziose.
Questi eccezionali risultati si ritrovano nell’ultima attività a Roma dove la pittrice si reca nel 1604. Vicina alla bionda Giuditta del Museo Davia Bargellini è anche la Samaritana nel dipinto Cristo e la Samaritana di Napoli, Museo di Capodimonte, firmato e datato 1607: le accomuna la stessa raffinata descrizione degli abiti e delle ricercate acconciature dei capelli, del tutto femminili, perché frutto di chi conosce per personale esperienza le sottili arti della seduzione.
Ma forse la vera erede della Giuditta Bargellini è la Minerva ignuda (collezione privata), celebrata nel poemetto di Ottaviano Rabasco (1605) con dedica a Marco Sittrico Altemps IV, futuro arcivescovo di Salisburgo (Tosini, 2019) e grande amico del cardinale Scipione Borghese: è la Minerva Pacifera, una iconografia in voga alla corte di Rodolfo II a Praga, è la dea nuda che governa le arti di pace dopo essersi spogliata del peplo, dell’elmo e della corazza.
Entrambe sono accomunate da un repertorio di sottili invenzioni erotiche (vedi i ricami dorati del velo trasparente…) che rimandano ai maliziosi prototipi dell’Ecole de Fontainebleau e della scuola rudolfina, ma soprattutto in entrambe il corpo della donna diviene per la prima volta campo espressivo di specifici, femminili stati d’animo, volti alla seduzione, esibiti senza compiacimento retorico ma con spontanea, istintiva naturalezza.
Per la Giuditta Bargellini alcuni studiosi, senza riferimento ad alcun documento di archivio, avanzano l’ipotesi che sia il ritratto di Costanza Bianchetti, la vedova di Galeazzo Bargellini.

Lavinia Fontana, Giuditta con la testa di Oloferne, 1600, olio su tela, cm 130 × 110
Bologna, Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Particolare di pulitura
Courtesy Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale S.r.l.

Il restauro conservativo
L’opera in generale presentava uno stato conservativo mediocre, restituendo una visione generale molto cupa, attenuata nelle tonalità e offuscata anche da depositi superficiali che riducevano notevolmente le qualità stilistiche e pittoriche della grande pittrice. Si è ritenuto che tale situazione conservativa sia stata dettata e abbia coinciso anche con le modifiche dimensionali subite dall’opera.
L’intervento di restauro, eseguito dal Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale S.r.l. sotto la direzione tecnica di Giovanni Giannelli, è stato finalizzato al recupero di quei dettagli figurativi molto raffinati, quel colorismo, a quelle luci e tonalità accese e vivaci che contraddistinguono l’artista bolognese.
Eseguite le verifiche sul retro e riscontrata la funzionalità del telaio di supporto ma in particolare della tela di rifodero e rinforzo si è proceduto con l’analisi sul fronte del dipinto.

L’analisi attenta e articolata per il conseguimento del recupero cromatico originale, è iniziata con i consueti test di prova per individuare la corretta metodologia da applicare. Le operazioni di pulitura sono risultate molto complesse e delicate in quanto per rimuovere in sicurezza i vari strati di vernice sovrapposte si è reso necessario procedere con piccoli tamponi. Ultimata la fase di pulitura della superficie pittorica sono state verificate attentamente le stuccature presenti a integrazione di lacune materiche e realizzate a spessore con gesso di Bologna e colla di coniglio. Riscontrata la perfetta adesione al supporto, la compattezza e verificata la stabilità, si è ritenuto opportuno il mantenimento delle stesse e integrarle per riottenere i giusti livelli e riprodurre con specilli in acciaio le crettature che caratterizzano la superficie. Applicata a pennello vernice mastice diluita in essenza di trementina su tutta la superficie pittorica si è proceduto con la fase di integrazione pittorica delle lacune. Preliminarmente con integrazione delle zone perimetrali con tonalità adeguate e rifinite in continuità con i piani le forme corrispondenti. Le lacune sulla superficie pittorica originale sono state integrate a carattere mimetico per poter ottenere una visione di insieme uniforme e un equilibrio formale finalizzato alla massima valorizzazione dell’opera di elevatissima qualità.
L’imponente cornice presenta condizioni conservative buone e quindi è stata sottoposta a un intervento di manutenzione straordinaria con una pulitura per la rimozione superficiale del deposito polveroso parzialmente aggregato. Le piccole lacune e fessurazioni sono state colmate con gessatura preparatoria per l’integrazione eseguita con oro zecchino. L’attuale cornice è il frutto di un assemblaggio di tre elementi di diversa fattura: la cimasa superiore e la cassetta applicata dal retro, con una semplice chiodatura negli angoli alla cornice più antica e raffinata che circonda il dipinto. Questo intervento con molta probabilità coincide con uno dei restauri a cui è stata sottoposta l’opera in oggetto, con l’intento di dare maggiore sontuosità al dipinto.
Una particolarità riscontrata durante il restauro è stato il rinvenimento di un’ulteriore firma, immediatamente sotto a quella già presente. L’iscrizione è particolarmente abrasa ma leggibile in LAV FON. Con molta probabilità si tratta di quella originale, in quanto l’altra LAVINIA FONTANA DE ZAPPIS FECE 1600 appare molto incerta e grossolana. Questa deduzione si può riscontrare ingrandendone le dimensioni reali. Si potrà notare con chiarezza il tratto realizzativo molto incerto rispetto a quella rinvenuta durante il restauro che diversamente appare realizzata con molta cura e perizia. La scelta adottata in accordo con la direzione dei lavori di mantenerle entrambe risulta coerente in tema di conservazione, in quanto l’una ormai storicizzata, l’altra riportata alla luce in una visione di ritrovamento e motivo di studio e di riscontro su altre opere della pittrice che verranno sottoposte a interventi diagnostici o interventi di restauro.
L’opera ora restituisce quei dettagli raffinatissimi che si possono cogliere nel velo che scende sulle spalle dal capo, nei gioielli e nell’abito che indossa Giuditta. Il fondale non più cupo, ma luminoso e vibrato, le due figure, la mano destra con la spada e la sinistra con la testa di Oloferne ci riconsegna quella profondità e prospettiva scenica creata da Lavinia Fontana.

Lavinia Fontana, Giuditta con la testa di Oloferne, 1600, olio su tela, cm 130 × 110
Bologna, Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Particolare della firma dopo il restauro
Courtesy Laboratorio di Restauro Ottorino Nonfarmale S.r.l.

Bologna città delle donne artiste
Dal Medioevo al Novecento il ruolo femminile a Bologna è significativo sia nel campo delle arti figurative che in quelli della letteratura e delle scienze, anche per la specificità del contesto storico cittadino dove la presenza dello Studium precocemente è promotrice di valori alti femminili nella cultura. Bologna può essere considerata a tutti gli effetti la città delle donne artiste: Properzia de’ Rossi (Bologna, 1490 circa – Bologna, 1530), Lavinia Fontana (Bologna, 1552 – Roma, 1614), Ginevra Cantofoli (Bologna, 1618 – Bologna, 1672), Elisabetta Sirani (Bologna, 1638 – Bologna, 1665), Anna Morandi Manzolini (Bologna, 1714 – Bologna, 1774) e Clarice Vasini (Bologna, 1732 – Bologna, 1823) sono tra le più celebri protagoniste della storia dell’arte, tutte vissute nel capoluogo emiliano.
Nelle collezioni permanenti dei Musei Civici d’Arte Antica si conservano importanti testimonianze del fenomeno della donna artista: dallo Stemma della famiglia Grassi di Properzia de’ Rossi al Museo Civico Medievale al Ritratto di Gonfaloniere di Artemisia Gentileschi, a Giuditta con la testa di Oloferne di Lavinia Fontana del Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini. Nel museo situato nel Palazzo Bargellini sono inoltre conservati il piccolo gruppo in terracotta con la Madonna con il Bambino e Santi di Clarice Vasini, nominata Accademica Clementina ad honorem nel 1770, l’opera Fanciulla con pecorella (Sant’Agnese?), riferita su base stilistica alla mano di Ginevra Cantofoli, pittrice attiva nella bottega della celebre Elisabetta Sirani, la cui identità artistica è recentemente riemersa grazie agli studi critici, e alcuni lavori di ricamo e cucito provenienti dal Conservatorio delle Putte di Santa Marta, dove le orfane ospiti dell’istituto di assistenza hanno elaborato veri e propri capolavori d’arte, in genere destinati a committenti privati. Tra questi, merita di essere menzionato per l’altissimo valore artistico il piccolo quadretto del XVII secolo con il Miracolo di San Benedetto, realizzato in filo di seta policroma ricamata a punto piatto, che rientra nel capitolo della fortuna figurativa riservata, fra Sei e Settecento, al celebre affresco col Miracolo di San Benedetto realizzato da Ludovico Carracci nel Chiostro del Monastero di San Michele in Bosco, purtroppo andato perduto.


SCHEDA TECNICA

Esposizione
Lavinia Fontana
Giuditta con la testa di Oloferne

Periodo
5 – 12 aprile 2023

Sede
Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore 44, Bologna

Orari di apertura
Martedì, mercoledì, giovedì ore 10-15
Venerdì ore 14-18
Sabato, domenica, festivi ore 10-18.30
Chiuso lunedì non festivi

Ingresso
gratuito

Informazioni
Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini
Strada Maggiore 44 | 40125 Bologna
Tel. +39 051 236708
museiarteantica@comune.bologna.it
www.museibologna.it/arteantica
Facebook: Musei Civici d’Arte Antica
Instagram: @museiarteanticabologna
TiKTok: @museiarteanticabologna
Twitter: @MuseiCiviciBolo

Settore Musei Civici Bologna
www.museibologna.it
Instagram: @bolognamusei

Ufficio Stampa Settore Musei Civici Bologna
Elisa Maria Cerra – Silvia Tonelli
Tel. +39 051 6496653 / 6496620
ufficiostampabolognamusei@comune.bologna.it
elisamaria.cerra@comune.bologna.it
silvia.tonelli@comune.bologna.it

Venezia, Spazio SV: SINFONIE – Personale di Bianca BEGHIN

Bianca Beghin, LONGING Desiderio nostalgico, 2metrix3, tecnica mista, 2021

SINFONIE
Personale di BIANCA BEGHIN

02-04 / 11- 04-2023

Centro Espositivo SpazioSV  – Scoletta San Zaccaria

Campo San Zaccaria, 30122 VENEZIA

Sabato 01 aprile 2023 è stata inaugurata la  personale “Sinfonie” di Bianca Beghin, esposizione che permetterà di mettere in luce personalità e aspetti del pensiero intimo e creativo dell’artista e sarà visitabile fino all’11 Aprile. 

Dal saggio critico di Lucia Spolverini: “Gli alberi sono come noi: “radici per terra e testa verso il cielo”. Oltre a permettere la vita, ne sono anche la perfetta “metafora”, il respiro dell’anima che rimanda all’esistere. Sono l’essenza dell’essere umano, che il mondo vegetale incarna straordinariamente, come lo sa incarnare l’artista Bianca Beghin. Il tratto poetico del suo colore diviene segno che muta da una rappresentazione del reale, per dare spazio a giochi informali in cui l’artista sembra far convergere emozioni travolgenti e calme interiori. Colori che richiamano l’attaccamento alla terra, alla vita, da far supporre che l’artista auspichi una riconciliazione ed una “sinfonia” ancor più profonda tra uomo e natura. Colori che sembrano spicchi di terra, di alberi, ritagli di natura a cui aggrapparsi, a cui conferire luci e linguaggi diversi. Le sue Sinfonie pittoriche sono intrise di poesia e melodie cromatiche. Il cardine della sua arte è “il vero” visibile agli occhi ma comprensibile nella sua profondità ed interezza solo con l’ausilio dei sentimenti che risiedono nei suoi dipinti descritti da cromie, gesti e espressioni accompagnate dal fascino di un silenzio musicale. Ogni tocco pittorico racchiude un simbolico silenzio, in cui l’uomo riscopre se stesso, ritrovando quel dettaglio nascosto che è il “quid” della propria esistenza nel mondo, e l’arte di Bianca Beghin ne è l’ausilio fittissimo per l’anima. Sinfonie, poesia e pittura rimandano
alla sua arte narrante, in cui ognuno può ravvisare un proprio e intimo dettaglio.”

Bianca Beghin, ABBANDONARSI, 100×80 tecnica mista, 2020

Note sul percorso dell’Artista

Il Veneto e la sua “policromia” morfologica fanno da culla a Bianca Beghin: quel suolo, così unico, sembra intrecciare un giaciglio naturale, che la predispone, indi, sin dalla tenera età, a percepire un legame simbiotico con la Natura, mater genera et magistra vitae. Essa stessa depone, tra le sue mani, un intuitivo talento, che sboccia, allora, sulle tele, durante l’adolescenza. In concomitanza agli studi classici, che la vedono conseguire una laurea in lettere, affronta, nel tempo, studi, con maestri di nota fama, tra cui si distinguono Andreas Kramer, col quale approfondisce la personalità del colore, e Vittorio Bustaffa, pittore e illustratore padovano. Le tecniche, così, si raffinano, evolvendo in interessanti composizioni estetiche: gesto e colore, ivi, si uniscono, maturando una cifra distintiva unica. Il lato fisico si perde, quando il colore, tra le mani dell’artista, si eleva a virtuosismi tonali, la cui sinergia, con la forza segnica, evoca stati poco emozionali, che coinvolgono l’osservatore, laddove la pittura è esperienza trascendentale. Il suo temperamento artistico trova, immediatamente, consensi, e da parte della critica e da parte del pubblico, dapprima in Italia e, poi, all’estero; numerose le performance d’arte collettive, che la vedono esperirsi, tra la penisola, la Germania, l’Austria, la Spagna e gli Stati Uniti. Attualmente, vive e lavora a Selvazzano Dentro, in provincia di Padova (Maria Marchese)


INFORMAZIONI

Vernissage: Sabato 01 aprile 2023, ore 17:00
Presentazione: Lucia Spolverini, Critica d’Arte

Apertura al pubblico: 02.04.2023 fino a 11.04.2023

Giorni: da Martedì a Domenica
Orari: Mattino 10:30-12:30 / Pomeriggio 16:00-19:00

CENTRO ESPOSITIVO “SPAZIO SV” – Scoletta San Zaccaria
CAMPO SAN ZACCARIA, 30122 VENEZIA
INGRESSO MOSTRA GRATUITO

CONTATTI
Christian Palazzo 
info@spaziosv.com 

Messina, FORO G gallery: GENERAZIONE A – Sul filo della memoria la mostra di Ilaria Rosselli del Turco e Chiara Smedile, a cura di Mariateresa Zagone e Roberta Guarnera

Due delle opere in mostra presso FORO G gallery
realizzate da Ilaria Rosselli del Turco (a sinistra) e Chiara Smedile (a destra)

Una doppia mostra personale dedicata alle vincitrici dell’open call “Segnalibro d’Artista” ,  “GENERAZIONE A” di Ilaria Rosselli Del Turco e Chiara Smedile. La mostra, curata da Mariateresa Zagone e Roberta Guarnera, si terrà nei locali di FORO G gallery giorno 15 aprile dalle ore 18:00.

Sabato 15 aprile, presso la FORO G Gallery di Messina (Ganzirri), alle ore 18:00 avrà luogo l’opening della mostra GENERAZIONE A, bipersonale delle vincitrici dell’open Call “Segnalibro d’Artista” a cura di Mariateresa Zagone e Roberta Guarnera con testo critico di Mariateresa Zagone.

GENERAZIONE A è la mostra meno fortemente curatoriale proposta in questi due anni dalla FORO G Gallery in quanto frutto di una Open Call le cui due vincitrici, mai conosciutesi e appartenenti a differenti generazioni, hanno personalità diverse con altrettanto differenti approcci e linguaggi. Due artiste le cui produzioni sono intrecciate in sottili trame, tra oggetti di uso comune e fotografie d’archivio; due viaggiatrici cui se ne accompagna una terza che le tiene per mano, una bellissima titanide, un archetipo potente: Mnemosine.

Il filo conduttore è quello della memoria, elemento comune della ricerca di entrambe, intesa come guscio accogliente che preserva i valori fondamentali della vita individuale e collettiva, una funzione che si assolve con tutto l’essere. Possiamo raggruppare i lavori delle due artiste in questa macroarea ma, volendoli intelligere, potremmo individuare il leitmotiv di Ilaria Rosselli del Turco nel ricordo, nella memoria quello di Chiara Smedile. La prima artista, genovese di origini ma vivente a Londra, presenta una serie di mezzetinte in cui si dispiegano piccoli oggetti di uso comune; la seconda, comasca, un archivio fotografico della Messina bombardata durante la seconda Guerra mondiale in cui il filo ricuce e ricrea i frammenti di pietre e di intonaci.

La mostra sarà visitabile fino a sabato 29 aprile. ° Si prega di seguire on line gli orari di visita


FORO G gallery
foroggallery.com
Via Lago Grande 43B 98165 Ganzirri (ME)

Instagram: @forog.gallery

Capitale italiana della Cultura 2025: Agrigento è la città vincitrice

Agrigento è la Capitale Italiana della Cultura 2025, con la seguente motivazione: Agrigento assume come centro del proprio dossier di candidatura la relazione fra l’individuo, il prossimo e la natura, coinvolgendo l’isola di Lampedusa e i comuni della provincia e ponendo come fulcro il tema dell’accoglienza e della mobilità. Il progetto risponde in modo organico all’obiettivo di presentare a un pubblico vasto un programma di grande interesse a livello territoriale, ma anche nazionale e internazionale. Il ricco patrimonio culturale del territorio è il volano con cui si valorizza la variegata offerta culturale proposta in un’ottica di innovazione, promozione e, di conseguenza, di un successivo sviluppo socio-economico, che trova ispirazione nei concept tecnologici più moderni. Il coinvolgimento attivo delle giovani generazioni potrà promuovere la cultura come caposaldo della crescita individuale e comunitaria. La Giuria, pertanto, raccomanda la città di Agrigento per il titolo di Capitale italiana della cultura per l’anno 2025.

Agrigento è la Capitale italiana della Cultura 2025.

A proclamarla è stato il Ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano, nel corso della cerimonia che si è svolta oggi a Roma, nella Sala Spadolini del Ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Salvatore AdducePaolo AstiLuca BruneseMaria Luisa CatoniLuisa PiacentiniIsabella Valente, e dei rappresentanti delle dieci città finaliste: Agrigento, Aosta, Assisi (Perugia), Asti, Bagnoregio (Viterbo), Monte Sant’Angelo (Foggia), Orvieto (Terni), Pescina (L’Aquila), Roccasecca (Frosinone) e Spoleto (Perugia). In collegamento anche i sindaci delle città di Bergamo e Brescia, Capitali della cultura in carica, di Pesaro, città a cui passeranno il titolo il prossimo anno e di Gorizia, Capitale europea della cultura 2025 insieme a Nova Gorica. 

La città vincitrice, grazie anche al contributo statale di un milione di euro, potrà mettere in mostra, per il periodo di un anno, i propri caratteri originali e i fattori che ne determinano lo sviluppo culturale, inteso come motore di crescita dell’intera comunità. 

Queste le motivazioni della scelta della giuria, maturata al termine della procedura di selezione condotta in piena autonomia dai componenti: “Agrigento assume come centro del proprio dossier di candidatura la relazione fra l’individuo, il prossimo e la natura, coinvolgendo l’isola di Lampedusa e i comuni della provincia e ponendo come fulcro il tema dell’accoglienza e della mobilità. Il progetto risponde in modo organico all’obiettivo di presentare a un pubblico vasto un programma di grande interesse a livello territoriale, ma anche nazionale e internazionale. Il ricco patrimonio culturale del territorio è il volano con cui si valorizza la variegata offerta culturale proposta in un’ottica di innovazione, promozione e, di conseguenza, di un successivo sviluppo socio-economico, che trova ispirazione nei concept tecnologici più moderni. Il coinvolgimento attivo delle giovani generazioni potrà promuovere la cultura come caposaldo della crescita individuale e comunitaria. La Giuria, pertanto, raccomanda la città di Agrigento per il titolo di Capitale italiana della cultura per l’anno 2025”.

Essere la capitale italiana per un anno – ha dichiarato il Ministro – consente di accendere i riflettori sulle realtà territoriali. Una grande ricchezza dell’Italia, dovuta alla sua storia, è la pluralità dei luoghi che la caratterizza, ognuno portatore di ricchezza. L’Italia è una superpotenza culturale. Dobbiamo essere orgogliosi delle nostre città e dei nostri territori. L’Italia ha due grandi pilastri su cui puntare: da una parte l’impresa, dall’altra la cultura all’interno dei territori. Ognuno è uno scrigno di tesori”. 

Le 10 città con i loro progetti – ha detto il Presidente della giuria, Desario – hanno dimostrato capacità organizzativa, visione, ma non hanno voluto nascondere le loro fragilità, anzi le hanno messe al centro dei progetti facendole diventare punti di forza. Abbiamo visto e sentito professionalità, passione, convinzione: la qualità complessiva dei progetti si è innalzata sensibilmente, segno che l’iniziativa sta crescendo sempre di più. I progetti delle altre nove città non meritano di andare dispersi, anzi vanno sostenuti. Tutte insieme queste splendide città fanno la nostra nazione: vanno supportate, aiutate, ma soprattutto ascoltate“.

SINTESI DEL PROGETTO VINCITORE

“Il sé, l’altro e la natura. Relazioni e trasformazioni culturali” – Un progetto culturale tra Agrigento, Lampedusa e i Comuni del territorio, che esplora l’armonia e i conflitti tra i 4 elementi di Empedocle. 44 progetti di cui 17 internazionali per indagare le relazioni tra gli esseri umani in una prospettiva di pace con la natura. 

LA PROCEDURA DI SELEZIONE DEL 2025 – 15 le città che hanno presentato il dossier di candidatura al Ministero della cultura. Nello scorso mese di gennaio sono stati resi noti i nomi delle dieci città finaliste. Le singole delegazioni hanno successivamente presentato alla Giuria i progetti elaborati per ciascuna nel corso di audizioni pubbliche, che si sono svolte il 27 e 28 marzo scorsi nella sala del Refettorio di Palazzo Venezia a Roma. 

LE FINALISTE: CANTIERE CITTA’ SECONDA EDIZIONE

Anche in questa edizione di “Capitale italiana della cultura” per l’anno 2025, verrà avviata l’iniziativa “Cantiere città”, dedicata a tutte le città finaliste: un progetto di formazione ed empowerment per consolidare le idee e le competenze delle amministrazioni finaliste. Con questa iniziativa il Ministero della cultura risponde all’esigenza, manifestata dalle stesse città, di non disperdere il loro capitale progettuale. Il Segretariato Generale del Ministero con la Direzione generale Educazione ricerca e istituti culturali e in collaborazione con la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali intendono valorizzare i progetti, di alta qualità, con cui le città hanno partecipato: partendo da quelli, con un percorso di capacity building dedicato, verrà offerto alle finaliste di tutto il territorio nazionale una preziosa occasione di consolidamento delle capacità progettuali,  favorendo la nascita di nuove reti e l’individuazione di soluzioni che ne favoriscano la sostenibilità. Si conferma, con questo progetto, quanto cruciale sia il ruolo della formazione per la crescita del settore culturale e per lo sviluppo sociale ed economico delle città. 

LA STORIA DEL TITOLO CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA

Istituto nel 2014 e di durata annuale, il riconoscimento di Capitale italiana della cultura è stato fin qui detenuto nel 2015 dalle città di Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena – che hanno condiviso l’esperienza nell’edizione d’esordio che ha attribuito il titolo alle finaliste del titolo di capitale europea della cultura vinto da Matera per il 2019. Successivamente è stato attribuito a Mantova (2016), Pistoia (2017), Palermo (2018) e Parma per il 2020, poi esteso anche al 2021 a causa dell’emergenza sanitaria. Per il 2023 Bergamo e Brescia condividono il titolo di Capitali italiane della cultura, una scelta voluta dal parlamento a favore dei territori duramente colpiti dalla prima fase emergenziale della pandemia per Covid-19; nel 2024 toccherà alla già designata Pesaro.  


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