Alla ricerca di una definizione di Espressionismo

di Sergio Bertolami

30 – L’origine del termine Espressionismo

L’idea di Adolf Behne che il nuovo movimento Espressionista rappresentasse «il ridestarsi di tendenze che hanno sempre dominato l’arte nelle sue epoche più felici» non è nuova. Spesso la troviamo riproposta nella letteratura artistica, riguardo a opere di ogni età storica nelle quali hanno prevalso esasperazioni emotive. Anche per Kasimir Edschmid – che dell’Espressionismo fu uno dei maggiori teorici (Über den Expressionismus in der Literatur und die neue Dichtung, Sull’espressionismo in letteratura, 1919) – la nuova tendenza poteva considerarsi all’interno di una categoria sconfinata dell’arte. Tuttavia, facendo prevalere questo concetto critico (dettato da un particolare fascino per certe istanze irrazionali) rispetto ad una vera e propria definizione storiografica (con i suoi limiti temporali ben definiti) finiremmo con avvalorare il detto biblico Nihil sub sole novum (Nulla di nuovo è sotto il sole). Ecco perché, in queste brevi note, intenderemo l’Espressionismo in un’ottica rigorosamente storica, ovvero come quel fenomeno artistico collocabile nei primi anni del Novecento, iniziato intorno al 1905 e conclusosi, al più tardi, durante il corso degli anni Venti.

Paula Modersohn-Becker, Autoritratto su fondo verde con iride blu, 1905 circa

Anticipatrice della nuova tendenza fu la pittrice Paula Modersohn-Becker, morta trentunenne di parto. Nei quasi 14 anni di lavoro ha lasciato ben 750 dipinti, circa 1000 disegni e 13 acqueforti. Tuttavia, la piena attuazione formale si concretizzò con il gruppo della Brücke (il Ponte) costituito a Dresda nel 1905. Nondimeno, basta sfogliare più di un volume per rendersi subito conto che il nuovo movimento necessita di essere messo attentamente a fuoco, perché l’Espressionismo non è altrettanto circoscritto e chiaro come l’Impressionismo, identificabile nelle otto mostre parigine tenute tra il 1874 e il 1886. Un gustoso episodio sembra testimoniarlo. Durante una seduta della giuria che alla mostra della Secessione di Berlino del 1910 doveva selezionare i quadri da ammettere alla pubblica esposizione, al momento di dovere valutare un dipinto di Max Pechstein, ci si chiese se potesse essere ancora definito “impressionista”. La risposta, pare del mercante d’arte Paul Cassirer, fu che gli sembrava “piuttosto espressionista”. La questione sollevata non era nell’attribuzione del dipinto di Pechstein ad una corrente anziché ad un’altra, ma che il termine “espressionista”, all’epoca, era indifferentemente adoperato: sia per gli artisti d’avanguardia, quanto per i pittori di tendenze ben differenti. Il termine “espressionista” era una specie di calderone, dove ci si metteva di tutto e di più.

Ritratto di Paul Cassirer di Leopold von Kalckreuth, 1912

Qualche altro esempio potrebbe chiarire meglio il discorso. Nel 1901, il pittore Julien-Auguste Hervé usò il temine “expressionisme” riferendolo a due suoi dipinti accademici esposti al Salon des Indépendants di Parigi. Dal canto suo, Matisse, in Note di un pittore uscite nel 1908, cerca di spiegare sotto il profilo critico il termine “expression”. Per lui l’espressività di un’opera non ha nulla a che fare con la dimensione psicologica, con i motivi angoscianti o dolorosi, ma deriva dalla «semplificazione delle idee e della composizione». Siamo in un’ottica completamente divergente dal significato che, qualche anno più tardi, verrà riconosciuto alla nuova corrente. Eppure, in Germania, nel 1910, c’era chi definiva “espressionisti” lo stesso Matisse e i Fauves francesi. Nel 1911 il catalogo della XXII mostra della Secessione berlinese chiamava “espressionisti” i quadri di alcuni pittori francesi come Braque, Derain, Friesz, Vlaminnck, Marquet, Dufy. Si era ad aprile; mentre a giugno dello stesso anno il vocabolo “espressionisti” era usato per definire altri artisti francesi che esponevano a Düsseldorf. Bisognerà leggere la rivista Rheinlande, per trovare nel numero di dicembre un articolo (Über Expressionisten, Sugli impressionisti) di Paul Ferdinand Schmidt, che usa il termine esteso anche ad artisti tedeschi. Tuttavia, è su Der Sturm, considerato il più importante organo letterario del movimento, che lo storico dell’arte Wilhelm Worringer utilizza per primo il termine “espressionismo” con prerogative simili alle attuali. Nonostante ciò, generalmente, il concetto rimane ancora assai confuso, se vediamo comparire i nomi di Marinetti e Rivière accanto a quelli di Döblin e Apollinaire in un saggio su Baudelaire apparso sempre sullo Sturm, ma nel 1912. A marzo dello stesso anno, Herwarth Walden apre nella sua galleria Der Sturm di Berlino una importante mostra, ma usa il termine “espressionisti” solo per i francesi. D’altra parte, anche la prefazione del catalogo della mostra Sonderbund di Colonia rimane nel generico senza sbilanciarsi: «Questa quarta esposizione desidera offrire un panorama del movimento pittorico più recente, l’espressionismo, affermatosi sulla scia del naturalismo e dell’impressionismo: esso mira a una semplificazione e intensificazione delle forme espressive, monumentali». L’anno successivo la galleria Cohen di Berlino apre una esposizione intitolata “Rheinische Expressionisten” (Espressionisti renani), e fra questi troviamo citati Campendonck, August ed Helmut Macke, Nauen ed Ernst.

Per grandi linee siamo giunti al 1914, quando Paul Fechter a Monaco diviene noto al pubblico grazie al suo saggio critico Der Expressionismus, il cui testo si riferisce chiaramente agli artisti della Brücke, del Blaue Reiter e a Kokoschka. All’apparire di questa prima monografia dedicata all’espressionismo, il movimento è ormai considerato quasi esclusivamente come un’avanguardia nazionale tedesca: «Dresda e Monaco – scrive Paul Fechter – si contendono l’onore di essere patria della nuova arte». La realtà politica è impregnata di bellicoso nazionalismo per la guerra ormai alle porte. L’attenzione artistica è rivolta oltre frontiera al successo del futurismo, incentrato anche questo sull’esaltazione patriottica. Così arte e politica si fondono, spingendo a trascurare, se non addirittura accantonare, le origini delle prime esperienze Fauves. Occorre tuttavia precisare che proprio gli espressionisti tedeschi in Germania si schierarono decisamente contro la guerra. In ogni modo, il termine Espressionismo divenne sempre più di uso comune e, dal 1914 in poi, per “espressionisti” s’intenderanno, pertanto, soprattutto gli artisti operanti in Germania. Più equilibrati ed obiettivi furono, comunque, gli scritti già citati di Hermann Bahr (nel 1916) e Kasimir Edschmid (tra il 1917 e il 1919).

Copertina del Blaue Reiter Almanach, Monaco 1912

Se oltre ai critici, citati finora, volessimo fare riferimento agli artisti stessi, noteremmo che pure loro usavano la parola “espressionismo” con difficoltà. Marc, presentando L’Almanacco del Blaue Reiter uscito a Monaco nel 1912, parla di Fauve tedeschi. Kandinskij nel suo fondamentale volume Lo spirituale nell’arte impiega il termine una sola volta. Non avevano, dunque, un nome preciso coloro che oggi consideriamo espressionisti nel senso proprio del termine? Niente affatto: erano identificati, certamente, ma come “neopatetici, astrattisti, eternisti, futuristi, attivisti”. Non sono, questi, nomi occasionali, ma attinenti allo spirito che i primi espressionisti manifestarono pubblicamente. Indicativo, ad esempio, è il nome di “neopatetici”, perché il pathos rappresentava il grido dell’anima dell’artista, una forza d’urto tempestosa, lacerante, esasperata; e al contempo negli interlocutori suscitava sentimenti di commozione, di mestizia, di pietà. Il nuovo movimento tendeva all’identificazione romantica di arte e vita. Per questo motivo in vari autori troviamo che l’Espressionismo tedesco è spesso riconosciuto come il nuovo Sturm und Drang (Tempesta e Impeto), con riferimento a uno dei più importanti movimenti culturali tedeschi sviluppatosi tra il 1765 e il 1785. Come allora, il linguaggio delle arti figurative e della poesia tornavano ad essere rivoluzionate. Non si può, infatti, dimenticare lo stretto rapporto esistente fra arti e letteratura. Oggi molti conoscono Oskar Kokoschka come pittore, ma quanti ricordano i suoi drammi giovanili? Assassino, speranza delle donne è una sua rappresentazione teatrale espressionista scritta nel 1907. Pure Ernst Barlach, oltre ad essere stato uno dei pochi scultori espressionisti fu anche scrittore; lo stesso vale per Theodor Däubler che a lungo esitò fra pittura e poesia, per decidersi infine a seguire la strada della scrittura.

Locandina del film “Il gabinetto del dottor Caligari” film muto del 1920 diretto da Robert Wiene

Si comprenderà, dunque, che la definizione di una poetica dell’Espressionismo, dei suoi limiti geografici o la sua periodizzazione, sono temi particolarmente complessi. In anni recenti la critica d’Arte ha proposto qualche spostamento e accomodamento, peraltro senza giungere a un inquadramento condiviso da tutti. Il termine Espressionismo è oggi solitamente riferito alle manifestazioni sviluppate in area tedesca, sebbene, come s’è detto, l’origine sia da rintracciarsi nell’area francese dei Fauves e di Matisse. Per altri versi, anche di recente, alcuni critici parlano di un Espressionismo tedesco e di un Espressionismo francese; mentre c’è chi preferisce circoscrivere il fenomeno alla Germania e all’area mitteleuropea, mantenendo ancora attiva la distinzione netta col fenomeno francese del fauvisme. Distinzioni precise vanno poste anche per quanto concerne i limiti cronologici. Sono differenti quando si parla di arti figurative, di architettura, di letteratura e chiaramente della nuova arte come era allora considerato il cinema. In particolare, per la pittura e la grafica, la tendenza probabilmente più corretta è quella di circoscrivere gli anni dell’Espressionismo al periodo compreso tra la nascita di Die Brücke e l’inizio della Prima guerra mondiale, quando la coesione del gruppo vero e proprio si deteriora. Nel dopoguerra, si svilupperanno nuove tematiche relative alla satira sociale, dapprima con la dura ottica “veristica” di George Grosz e di Otto Dix, successivamente con il cosiddetto “realismo trascendente” di Max Beckmann. Più breve il periodo che racchiude l’effimero espressionismo architettonico, che nasce e si sviluppa nel 1918 per sfumare intorno al 1921. All’incirca contemporanea è l’apparizione di un Espressionismo cinematografico, segnato nel 1920 dal suo film simbolo: Il gabinetto del dottor Caligari.

IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay