di Sergio Bertolami
31 – Die Brücke, perché l’uomo è un ponte, non una meta
Il movimento artistico che rappresentò il primo momento dell’Espressionismo tedesco è quello costituito nel 1905 da quattro studenti di architettura del Politecnico di Dresda, per la precisione il Collegio tecnico reale (Königliche Technische Hochschule): Fritz Bleyl, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Heckel, Karl Schmidt-Rottluff. I primi due, i più maturi, avevano 25 anni, gli altri due, i più giovani, avevano rispettivamente 22 e 21 anni. Condividevano il programma di elaborare, piuttosto che nuove forme architettoniche, una pittura svincolata dai canoni naturalistici e accademici. I temi fondanti erano sostanzialmente simbolici, rivolti soprattutto alle introspezioni dell’animo e ai turbamenti esistenziali. Il gruppo nasceva sull’impronta di altre associazioni tedesche, come Die Scholle (la Zolla) e Die Phalanx (la Falange) di Monaco, con il proposito di richiamare a sé gli artisti rivoluzionari o comunque in fermento. A dimostrarlo era chiaramente la denominazione scelta, Die Brücke (Il Ponte), per fare da “collegamento” tra i diversi nuclei di agitazione innovatrice. Il nome pare sia stato suggerito da Schmidt-Rottluff, ispirato da un brano tratto da Così parlò Zarathustra (Thus Spoke Zarathustra) di Friedrich Nietzsche: «L’uomo è una corda, tesa tra il bruto e il superuomo, — una corda tesa su di una voragine. Pericoloso l’andar da una parte all’altra, pericoloso il trovarsi a mezza strada, pericoloso il guardar a sé, pericoloso il tremare, pericoloso l’arrestarsi. Ciò che è grande nell’uomo, è l’essere egli un ponte e non già una meta: ciò che è da pregiare nell’uomo, è l’essere egli una transizione ed una distruzione».
Nel 1906 furono chiamati a prendere parte alla Brücke anche il danese Emil Nolde, il tedesco Max Pechstein, lo svizzero Cuno Amiet e il finlandese Akseli Gallén-Kallela. Nel 1908 accolse l’invito anche l’olandese Kees van Dongen, colui che rese attivo il contatto con i Fauves di Parigi; per ultimo, nel 1910, si unì al gruppo il tedesco Otto Müller. Altri artisti, in modo più o meno assiduo, fecero parte del sodalizio: ancora un olandese, Lambertus Ziji, il ceco Bohumil Kubista e il tedesco Franz Nölken. Dalle origini geografiche dei componenti emerge palesemente il tentativo di costituire un parterre internazionale. Lo scopo, d’altra parte, era anche auto-promozionale, giacché i componenti si proponevano di organizzare esposizioni di gruppo in modo da promuovere, in patria e all’estero, l’attività collettiva. Per stringere un legame con i collezionisti, i membri della Brücke ebbero la buona idea di costituire un circolo di “membri passivi”, la cui quota di adesione annuale di dodici marchi (che divenne di venticinque dal 1912) dava diritto a una tessera, un almanacco e una cartella di xilografie eseguite dagli artisti dello stesso sodalizio. In pratica i soci ebbero modo di essere costantemente informati sulle assemblee, sugli incontri pubblici e sulle circa settanta esposizioni realizzate negli anni a seguire. Ricevettero regolarmente i Brücke Mappen, sorta di resoconti dell’attività, ed anche l’attesa cartella di grafiche a tiratura limitata. Grazie all’interessamento di Heckel, si trovarono gli spazi espositivi necessari. Dopo un esordio poco più che privato, la prima vera manifestazione pubblica non sortì pressoché alcun effetto. Tenuta nel 1906 nella sala vendite della fabbrica di lampade K.F.M. Seifer & Co, l’esposizione passò del tutto inosservata, ma nessuno si perse d’animo, perché alla prima mostra di dipinti ne seguì un’altra di stampe. L’anno successivo si optò per la Galleria Richter, nella Prager Strasse. Questa volta il gruppo riuscì ad incassare l’attenzione della critica, che, però, si manifestò ostile e denigratoria.
I quattro fondatori della Brücke provenivano da famiglie borghesi e, per quanto riguarda l’esperienza artistica, secondo alcuni, erano quasi del tutto autodidatti. Questo non è affatto vero e avremo modo di constatarlo. Nel 1901 Ernst Ludwig Kirchner, figlio di un ingegnere, inizialmente avrebbe voluto intraprendere la professione di architetto, una volta conclusi gli studi al Politecnico. È qui che fece amicizia con Fritz Bleyl. Soprattutto s’imbatté in una serie di mostre d’arte che lo convinsero a deviare il suo percorso di vita. A Monaco, tra il 1903 e il 1904, frequentò per due semestri i corsi della scuola d’arte di Wilhelm von Debscitz ed Hermann Obrist, seguì gli incontri della Secessione, che lo delusero non poco, prese direttamente atto dei lavori Jugendstil. Sempre a Monaco, in questi anni, vide una mostra di post-impressionisti belgi e francesi organizzata dall’associazione Phalanx, presieduta da Kandinskij, e a Dresda, nel 1905, ammirò opere di Van Gogh alla galleria Arnold che negli anni seguenti avrebbe portato anche lavori di Munch, Gauguin, Seurat, Klimt. Il 1905 è, soprattutto, l’anno in cui Kirchner e Bleyl concludono il percorso di studi universitari. Decidono, tuttavia, di dedicarsi alle arti figurative, unendosi a Erich Heckel, che l’anno precedente, dopo la maturità a Chemnitz, si era iscritto ad architettura come il suo compagno di liceo Karl Schmidt-Rottluff. Il gruppo della Brücke era, a tutti gli effetti, completo.
Costituitosi, come sappiamo, nello stesso anno in cui i Fauves esposero le loro prime opere al pubblico del Salon d’Automne a Parigi, il sodalizio della Brücke rappresentò a tutti gli effetti l’avvio dell’arte moderna in Germania. L’humus più favorevole al germinare della nuova arte fu la cultura del post-impressionismo: dal simbolismo allo Jugendstil, al “naturalismo lirico” delle scuole di Worpswede e di Dachau. Influenzati dai pittori più espressivi del momento – Munch, Ensor, van Gogh, Gauguin – entusiasmati dalla rivelazione dell’arte nera e oceanica, che Kirchner ebbe modo di approfondire fin dal 1904 al Museo Etnologico di Dresda, i membri della Brücke si orientarono da subito in senso antimpressionista. Non erano affatto interessati a descrivere le “impressioni”, piuttosto sentivano l’urgenza di proiettare sulla tela le risonanze emotive dei propri sentimenti individuali. Il manifesto del gruppo è inciso da Kirchner in una xilografia: «Con una profonda speranza nel progresso, in una nuova generazione di creatori e di pubblico, chiamiamo a raccolta l’intera generazione di giovani e come la gioventù è legata al futuro, desideriamo procurarci libertà d’azione e di vita, contro le vecchie forze così profondamente radicate. È al nostro fianco chiunque corrisponda con immediatezza e sincerità a quanto lo spinge a creare».
Il programma, formulato da Kirckner nel 1908, è sintetizzabile nei suoi tratti salienti: «Aspirazione ad un rinnovamento totale dell’arte tedesca col suo completo affrancamento degli influssi dell’arte francese; interpretazione di tutta la vita come arte; esaltazione della forza intatta e creativa della gioventù e della carica emozionale della vita e dell’eros; immersione nell’interiorità profonda e oscura dell’io e nelle radici del reale: senso della sacralità primigenia del vivere e liberazione dalla schiavitù della sfera del sociale, secondo quel senso antico del “sacro” che l’Europa e la Germania soprattutto esprimevano nelle sculture medievali e che anche nel mondo moderno si manifesta nella scultura dei popoli primitivi; un esasperato pessimismo con intenti di ribellione morale; ritorno, dunque, dell’uomo (che attraverso il sociale si è alienato la propria autenticità) a se stesso, in un coinvolgimento totale sia della sfera etica sia di quella politica» (Lara-Vinca Masini).
Sono questi i temi che gli artisti della Brücke ritrovano nella lettura di Nietzsche, Kierkegaard, Wedekind, Freud, Ibsen, Strindberg. In altre parole, sono distanti dai valori che permeano l’etica borghese, rigettano l’ottimismo positivistico incentrato sull’illusione di una società sempre in perenne progresso. Punto fermo sono invece le esperienze soggettive, legate ad un’arte irrazionale. Denominatore comune è, infatti, la convinzione che l’emotività interiore e passionale – costante dello spirito germanico e nel contempo ripresa di istanze di derivazione romantica – non possa essere espressa attraverso concetti e parole, ma unicamente con la forza delle immagini. Pur essendo legati da palesi analogie, queste idee rappresentano la differenza sostanziale tra Fauves ed espressionisti della Brücke. «I membri del gruppo tedesco ignorano l’edonismo raffinato e mentale dei loro compagni francesi e tendono all’urlo, alla protesta, al grido dell’anima, anteponendo alla conchiusa bellezza dell’immagine le dissonanze e gli scatti derivanti da una viva partecipazione morale. Le semplificazioni formali, i contorni marcati, le stesure di colori puri e squillanti in uno spazio non naturalistico sono tipici del primo stile della Brücke» (Eraldo Gaudioso).
Il primitivismo evidente in quest’arte espressionista tedesca è sempre assunto come evocazione di una autenticità primordiale, che trova le proprie radici anzitutto nel romanticismo e nell’area simbolista, ma che ora tende ad un tono del tutto particolare. Lungamente represso dalla società, ora esplode, dal profondo dell’inconscio, nello Urschrei, il grido primordiale, e si confonde nello «sforzo di una strutturazione astrattistica, spesso specificamente geometrica» laddove «per “geometria” intenderemo l’astrattizzazione deformatrice e ricostruttrice delle forme naturali». (Ladislao Mittner). «L’esperienza del “primitivo degli artisti di Brücke è stata attinta dal tessuto vivente delle loro vite nella Germania coloniale, piuttosto che semplicemente dalle teche polverose dei musei etnografici» (Jill Lloyd). Queste componenti primitivistiche appaiano manifeste nelle grafiche e in particolare nelle opere xilografiche, recuperate dalla tradizione popolare e dagli incisori tedeschi quattrocenteschi. Per comprendere meglio, basti immaginare l’artista al lavoro, la relazione prodigiosa tra la soggettività dell’impulso gestuale mentre scava il legno e le caratteristiche organiche che costituiscono la sua materia.
Gli artisti del gruppo frequentano la Pinacoteca di Dresda, per formarsi con la visione dei maestri, ma sono attratti soprattutto dalle stampe del Gabinetto delle incisioni, che raccoglie le grafiche di autori moderni come Henri de Toulouse-Lautrec e molte stampe giapponesi. Pechstein compie un viaggio a Parigi nel 1907 e stringe rapporti con i Fauves. Fino al 1908 sono anni di intenso lavoro comune, si frequentano assiduamente e, dipingendo insieme, rinsaldano la propria identità di gruppo. Trascorrono i mesi estivi alla ricerca di spunti naturali e primitivi. Se Gauguin s’era spinto fino a Tahiti, loro raggiungono le coste del Mare del Nord o del Baltico. Nel 1910 Pechstein, Kirchner ed Heckel soggiornano a Moritzburg, vicino Dresda, per dipingere nudi e paesaggi. Per tutto il mese di settembre dello stesso anno, in sei – Pechstein, Kirchner, Schmidt-Rottluff, Müller, Amiet ed Heckel – espongono ottantasette tele alla galleria Arnold di Dresda. Sempre nel 1910, in occasione della XX Secessione di Berlino, l’esclusione di 27 artisti, tra i quali membri della Brücke, costituisce l’occasione per una frattura e la formazione di una Neue Sezession. E in quanto a secessioni, in quello stesso anno, Kirchner, Heckel e Schmidt-Rottluff, partecipano all’esposizione del Sonderbund di Düsseldorf, il cui nome completo testimonia di per sé il carattere contrastato di queste associazioni di artisti: Sonderbund westdeutscher Kunstfreunde und Künstler, ovvero Lega separata degli amanti dell’arte e degli artisti della Germania occidentale.
Dal canto suo, anche il sodalizio della Brücke comincia a mostrare le prime incrinature, dopo anni in cui si era lavorato con unità di intenti, grazie ad affinità di sentimento e di stile. Nolde era uscito dal gruppo nel 1907 e lo stesso aveva fatto Fritz Bleyl, lasciando non solo i compagni per insegnare e sposarsi, ma anche la pittura, così da mettere a frutto la propria laurea in architettura. L’anno stesso si stacca anche Kees van Dongen. Nel 1908 Pechstein da Dresda si trasferisce a Berlino e due anni dopo Kirchner, Schmidt-Rottluff, ed Heckel vi si stabiliscono anche loro. Lasciare Dresda per la capitale è un passo importante, perché, nelle aspettative, trasferirsi da una città relativamente intima e barocca al più ampio ambiente culturale della metropoli, potenzialmente permette di trovare un pubblico molto più reattivo verso il loro lavoro. Scrive Kirchner, ammiccante, a Erich Heckel nel 1911: «Rimarrai totalmente sorpreso quando metterai piede a Berlino. Siamo diventati una famiglia numerosa e qui puoi ottenere tutto ciò di cui hai bisogno: donne e un riparo». In effetti, per un paio d’anni, la città in rapida crescita offre la frenesia e lo stimolo artistico che stanno cercando. Insieme continuano a dipingere oppure a frequentare i ritrovi degli artisti e degli intellettuali, come il caffè Grossenwahn (megalomania), il cui nome sintetizza con ironia tutto il programma. La pittura del gruppo, trattando tematiche di carattere sociale e di costume, assume un carattere ancor più violento in un crescendo drammatico di deformazioni. Oltre alle relazioni, non difettano neppure le partecipazioni alle mostre, come le tre del 1912, che rappresentano, in qualche modo, il canto del cigno della Brücke. Quella tenuta alla galleria Gurlitt dal Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), gruppo che si era formato a Monaco di Baviera nel 1911. Una seconda esposizione alla galleria Der Sturm di Herwarth Walden (12 marzo – 12 aprile). Infine la Mostra internazionale d’arte del Sonderbund di Colonia (25 maggio – 30 settembre). Quest’ultima è una concentrazione di artisti di spicco. Ci sono personalità come Picasso, Matisse, Munch e molti pittori indipendenti. Non mancano naturalmente i due gruppi della Brücke e del Blaue Reiter. In quest’occasione Kirchner ed Heckel hanno il compito di decorare una cappella edificata per l’occasione.
Già dai primi mesi del 1912, però, serpeggia il dissenso all’interno della Brücke, causato da interessi contrastanti e dalle accese rivalità che caratterizzano il mondo dell’arte berlinese. Ormai, le divergenze sono all’ordine del giorno. Come conseguenza naturale la competitività finisce col dissolvere l’affiatamento fra gli artisti del gruppo. Sebbene insieme continuino a organizzare mostre collettive a Berlino, la stretta coesione personale va allentandosi col tempo e, quel che è più, i membri si spostano verso differenti orientamenti artistici. Con il movimento del Blaue Reiter, condotto da Kandinskij e Marc, il gruppo della Brücke ha praticamente fine. Pechstein che comincia a mostrare segni di avvicinamento alla nuova formazione, viene espulso nel 1912. La cartella di stampe, preparata per i “membri passivi” con i suoi lavori, è sospesa. L’anno seguente, quando a Kirchner tocca redigere il resoconto dell’attività associativa, il suo testo appare troppo soggettivo. Nella cronaca si rappresenta come la figura di spicco. Con una certa dose autoreferenziale si riferisce a sé stesso in terza persona. Chiaramente, gli altri artisti del gruppo, non si trovano adeguatamente apprezzati.
In questo contesto, il Giudizio di Paride, un olio su tela, dipinto da Kirchner nel 1913, potrebbe avere un significato differente rispetto a un’interpretazione insolita e moderna di uno dei temi mitologici più popolari nell’arte. Figurativamente rappresenta il concorso di bellezza tra Venere, Minerva e Giunone, il cui premio, una mela d’oro, è assegnato da Paride a Venere. Qui Kirchner dipinge tre moderne dee con i loro sensuali lineamenti, simili a maschere esotiche e primitive, ispirate dalle fattezze di Erna (la sua fidanzata). Sfilano di fronte a un Paride seduto in penombra con una sigaretta in bocca. Una delle dee esibisce uno specchietto, simbolo di vanità. Forse il dipinto è semplicemente il ribaltamento delle argomentazioni che hanno portato allo scioglimento del gruppo: non Kirchner, ma i suoi compagni rispecchiano ostentazioni e vanaglorie che gli attribuiscono. È la fine. A maggio del 1913 i “membri passivi” ricevono i cartoncini che annunciano lo scioglimento formale del gruppo. La lite fra i membri della Brücke è netta e insanabile. Negli anni a seguire, per gran parte della vita. il rapporto rimane talmente difficile da portare Kirchner a rifiutare con veemenza qualsiasi associazione con loro. Nel 1919, ad esempio, arrivò a dichiarare: «Dal momento che la Brücke non ha mai avuto nulla a che fare con il mio sviluppo artistico, qualsiasi menzione al gruppo in un articolo riguardante il mio lavoro è del tutto superfluo». La realtà artistica, per fortuna, supera i più aspri rancori, perché l’esperienza comune in realtà non andrà persa. Anche se in maniera autonoma, i vecchi amici che avevano dato vita all’Espressionismo della Brücke continueranno tutti a portare avanti le istanze elaborate insieme sino al momento dello scioglimento.
IMMAGINE DI APERTURA – L’orologio al Musée D’Orsay – Foto di Guy Dugas da Pixabay