Vicenza, Basilica Palladiana: La Pop/Beat Art in Italia – Liberi di Sognare

Renato Mambor, Natura morta e materia, 1966, collezione privata, Firenze – courtesy Tornabuoni Arte

Una mostra viva, comprensibile, popolare, che riporti nella collettività la leggerezza e la propositività sociale di quegli anni, attualizzando quella ‘Libertà di sognare’ che oggi può rivelarsi salvifica dopo le costrizioni del lockdown. Un progetto sul ‘sentire comune’ di artisti, letterati, musicisti di un ventennio cruciale del nostro Paese, superando le barriere strettamente storiografiche, le rispettive rivendicazioni tematiche individuali, le stesse classificazioni Pop e Beat in gran parte nemmeno condivise dagli stessi artisti che han finito col farne parte.

Roberto Floreani

POP/BEAT – Italia 1960-1979 Liberi di Sognare

Vicenza, Basilica Palladiana
2 marzo – 30 giugno 2024

È questo il progetto di pittura, scultura, video e letteratura, inedito per l’Italia, che l’artista Roberto Floreani ha ideato e curato per il Comune di Vicenza e Silvana Editoriale – che ne hanno assunto la coproduzione – per i prestigiosi spazi della Basilica Palladiana, con opere provenienti dai principali musei, gallerie e collezioni private nazionali.

Per la prima volta vengono raccontate ed esposte insieme le generazioni Pop e Beat italiane, testimoni di un sentire comune di quegli anni, legato a una visione ottimistica del futuro e all’impegno movimentista del Sessantotto, rendendosi quindi originali e autonome dalle suggestioni Pop e Beat americane, per troppi anni indicate come determinanti. Sarà messa in evidenza l’unicità propositiva e la statura assoluta della Pop italiana in Europa, nonché le differenze sostanziali e l’autonomia dei suoi artisti rispetto a quelli americani. In Italia si alimenterà infatti una frequentazione dal basso, sensibile alla tradizione artistica nazionale, al paesaggio, all’avanguardia futurista, che sarà protagonista dei mutamenti sociali, politici e culturali nelle piazze, nelle strade, nelle fabbriche, nelle università: istanze diventate oggetto di gran parte delle opere e dei documenti esposti. Distanti, quindi, da quelle degli artisti e letterati americani, presto vezzeggiati in ambito mercantile e universitario, spesso ricevuti come autentiche star e orientati all’evidenza dei prodotti di consumo della società di massa amplificati dalla pubblicità.

La sezione Pop, con quasi un centinaio di opere selezionate di trentacinque artisti, privilegerà i grandi formati che verranno spettacolarizzati da un’ampia sezione di sculture.

Saranno presenti opere di Valerio Adami, Franco Angeli, Enrico Baj, Paolo Baratella, Roberto Barni, Gianni Bertini, Alik Cavaliere, Mario Ceroli, Claudio Cintoli, Lucio Del Pezzo, Fernando De Filippi, Bruno Di Bello, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Pietro Gallina, Piero Gilardi, Sergio Lombardo, Roberto Malquori, Renato Mambor, Elio Marchegiani, Umberto Mariani, Gino Marotta, Titina Maselli, Fabio Mauri, Aldo Mondino, Ugo Nespolo, Pino Pascali, Michelangelo Pistoletto, Concetto Pozzati, Mimmo Rotella, Sergio Sarri, Mario Schifano, Giangiacomo Spadari, Tino Stefanoni, Cesare Tacchi, Emilio Tadini.

La temperatura Beat in mostra sarà garantita dalla musica di quegli anni, diffusa in loop, e rappresentata dai rari documenti originali di Gianni Milano, mentore di un’intera generazione, Aldo Piromalli, Andrea D’Anna, Gianni De Martino, Pietro Tartamella, Eros Alesi, Vincenzo Parrella e molti altri, nonché dalla vicenda artistica militante dell’Antigruppo siciliano.

Alla generazione Beat, fino ad oggi conosciuta (poco) per i fermenti a Milano e Torino, verrà finalmente restituita un’identità nazionale, considerando la generosa e meno nota esperienza proprio dell’Antigruppo siciliano, guidato dalla figura carismatica di Nat Scammacca, di cui saranno esposte le pubblicazioni fondative, relative alla sua Estetica Filosofica PopulistaAntigruppo in chiara polemica con la Beat salottiera ed egemonica del Gruppo ’63, legato all’influenza dei grandi editori del nord e dei concorsi letterari, e molto meno attento alle pulsioni popolari. Antigruppo che merita quindi un’attenta rivalutazione per la sua attività artistica e sociale meritoria, spontanea, instancabile.

Il progetto di Floreani ricontestualizzerà la stessa natura della Pop e della Beat italiane, dando priorità a ciò che gli artisti stessi dichiaravano circa la loro ricerca, non sentendosi spesso affatto etichettabili come Pop, proprio per l’originalità del loro punto di vista rispetto agli americani, nonché percorrendo un tragitto che dalla Libertà di sognare approderà fatalmente alla Fine del sogno degli anni di piombo, della disillusione e della diffusione delle droghe pesanti, messe in scena in tutta la loro crudezza al Festival di Castelporziano nel 1979.

Vicenza, grazie anche all’impegno dell’assessorato alla cultura, al turismo e all’attrattività della città e dell’assessorato all’istruzione, diventerà dal 2 marzo al 30 giugno 2024 un autentico laboratorio.

Eventi collaterali ad hoc saranno proposti in alcuni dei principali luoghi monumentali della città, in collaborazione con la Biblioteca civica Bertoliana, il festival New Conversations – Vicenza Jazz, il Cinema Odeon, il Festival di poesia contemporanea e musica Poetry Vicenza, il Centro di produzione teatrale La Piccionaia, l’Associazione culturale Theama Teatro e il Conservatorio di musica di Vicenza “Arrigo Pedrollo”.

Anche le scuole saranno coinvolte, a partire da una specifica sezione didattica allestita al piano terra della Basilica Palladiana, nel Salone degli Zavatteri.

Sarà, quindi, una grande festa collettiva, dove tutti saranno Liberi di sognare.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Silvana Editoriale, a cura di Roberto Floreani, con testi di Roberto Floreani, Gaspare Luigi Marcone, Alessandro Manca.


La sezione dedicata alla Beat Gen, affiancata alla Pop italiana, rappresenta l’autentica novità dell’intero progetto, soprattutto nella sua estensione al misconosciuto Antigruppo siciliano, che conferisce identità nazionale a un sentire comune fino ad oggi circoscritto soprattutto a Torino e Milano.

Ci sono alcune dichiarazioni di quegli anni che rendono meglio di ogni altra cosa la temperatura di quella stagione: “Mi fate tenerezza, siete i nostri nipotini, ma il Beat è morto”, che Allen Ginsberg, il vate della Beat Generation disse a Gianni Milano, pari grado in Italia; e inoltre: “Perché siamo capelloni beat, randagi agnelli angeli fottuti”, scritta da Gianni De Martino, altro protagonista di quegli anni.

Indubbiamente l’Italia viene scossa dall’uscita nel 1964 del libro Poesia degli ultimi americani, curato da Fernanda Pivano, che sposta l’ottica dei giovani da Pavese, Baudelaire, Fenoglio, Svevo, verso Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Lawrence Ferlinghetti, Gregory Corso, permeati da un’idea di ribellione e di autonomia totale verso il passato.

Il vocabolo Beat nasce negli Stati Uniti da un dialogo tra Jack Kerouac e Clellon Holmes nel 1948, diffuso poi al grande pubblico dal “New York Times” solo verso la fine del 1952: nell’uso comune di quegli anni sarà attribuita a un soggetto che ha toccato il fondo del mondo, senza un soldo e un posto dove stare. Mentre la Pop Art negli States prenderà identità precisa a New York solo un decennio dopo.

In Italia le tendenze Pop e Beat, pur nell’improprietà delle due definizioni, avranno una genesi più ravvicinata: con la prima di fatto identitaria a partire dal 1962 e la seconda che darà tracce già dal 1965. Entrambe saranno accomunate quindi da un sentire comune attento ai fermenti sociali, politici, economici e di costume di quegli anni e diventeranno lo specchio delle utopie, delle illusioni e delle speranze di buona parte di quella generazione. La declinazione musicale di quegli anni, infatti, fa ancora parte dell’immaginario collettivo di una larga parte della popolazione adulta di oggi.

Tuttavia, la ricezione di quel fortissimo messaggio libertario d’oltreoceano verrà immediatamente assimilata a misura della realtà italiana, in quella Torino dei “capelloni” che diverrà la capitale del giovanilismo alternativo: “randagi agnelli angeli fottuti”, come sintetizzato dall’illuminante dichiarazione di Gianni De Martino. In tal senso, preziosa è la testimonianza di Gianni Milano, che racconta della spasmodica ricerca di quei figli dello stupore assetati di libertà che contestano la società, l’istituzione, la famiglia, la scuola, il sistema. Fermento che sorge dal basso, peculiarità distintiva nazionale e che si catalizza in un campeggio spontaneo, improvvisato, battezzato Nuova Barbonia, pressoché privo di strutture dove i Capelloni vogliono decidere della loro vita, senza condizionamenti e che sarà sgomberato con la forza dalla Polizia, in un tripudio repressivo di stampa senza precedenti. Una Beat italiana nata dalla protesta, dalla contestazione che sarà quasi immediatamente fagocitata dalla politica, aggregata a quel movimentismo che condurrà, da lì a pochi anni, al Sessantotto e alla stessa contestazione della Beat americana vista come frutto di un paese imperialista, che già evidenzia i suoi contrasti in casa con la tragica guerra del Vietnam.

La Beat italiana si identificherà presto nella sottocultura, nel sottoproletariato, dove giovani quasi analfabeti volevano scrivere poesie, atmosfera distante da quella respirata nelle università americane e nella libreria City Lights di Ferlinghetti, anche fortunato editore di caposaldi mondiali quali la poesia L’Urlo di Allen Ginsberg, già protagonista in tutte le università americane per narrare, recitare e diffondere la propria esperienza di libertà.

La Beat italiana sarà distantissima da quel mondo, nel migliore dei casi cercherà di autoprodursi, autodiffondersi, di sopravvivere, distante dalle dorate realtà delle case editrici nazionali impegnate nella pubblicazione degli autori americani.

Per questo motivo, riuscire a esporre in mostra i rarissimi testi di quegli anni, di quelle edizioni con tirature minimali, senza distribuzione, senza diffusione libraria e oramai sparite dal mercato, rappresenta oggi un contributo significativo ai fermenti di allora.

Nello stesso periodo, passata da poco la metà degli anni sessanta, emerge un’altra realtà seminale della Beat italiana, a Erice, in provincia di Trapani. Una realtà collettivistica guidata dalla figura carismatica di Nat Scammacca che si doterà, fin dagli esordi, di un corposo Manifesto fondativo in 21 punti. La valorizzazione dell’Antigruppo rappresenta un tassello fondamentale per dotare la tendenza Beat italiana di un respiro nazionale fino ad oggi mai considerato, di riconoscere a un nutrito gruppo dell’estremo sud uno spessore teorico pressoché sconosciuto al nord e quindi mai considerato nel racconto di quegli anni. Nat Scammacca redige i 21 punti di polemica aperta, dovechi non è del nostro gruppo è falso”, ovvero schiavo di quelle case editrici che si sono allontanate dal popolo, autocelebrandosi nei salotti dorati del capitalismo.

L’Antigruppo, di nome e di fatto, si oppone al monopolio del Gruppo ’63 – di cui vale ricordare l’atto fondativo proprio a Palermo – egemonico e distante dalla realtà di quella base che dovrebbe invece rappresentare: “la loro verità è bugia, quindi”. Due i principali obiettivi della polemica: Edoardo Sanguineti, il coordinatore, e Umberto Eco, l’affabulatore. Quella dell’Antigruppo è una feroce contestazione marxista alla sinistra imborghesita e un’opposizione assoluta al fascismo, pur con evidenti reminiscenze verbali e strutturali riconducibili alla comunicazione dei gruppi futuristi, pur molto attenti all’emancipazione delle estreme periferie nazionali.

Guidati da Nat Scammacca, gli affiliati Crescenzio Cane, Gianni Diecidue, Ignazio Apolloni, Antonino Cremona, Santo Calì, Pietro Terminelli, Emanuele Mandarà, Ugo Minichini, Giuseppe Addamo e molti altri saranno ricevuti nell’aprile del 1973 da Lawrence Ferlinghetti nella libreria City Lights a San Francisco, dove verrà loro attribuito un grande contributo culturale: “POPULIST MANIFESTO – for poets with love […] they are a fantastic production!”. Nonché riconosciuto Scammacca come più rilevante poeta Beat italiano.

Rispetto alla Beat Gen riconosciuta fino ad oggi, l’Antigruppo si doterà, negli anni, di testi teorici-popolari di grande rilevanza sociale: primo fra tutti “Estetica Filosofica Populista dell’Antigruppo siciliano”, che supportato dai ciclostilati (!) Antigruppo 1971, Esistenza e Antigruppo – 21 punti di polemica aperta, rappresentano la testimonianza più concreta dell’autonomia espressiva, sociale e movimentista della poetica Beat italiana, rispetto a quella americana.

Tutti scritti di difficile reperimento, perché auto-pubblicati in pochissime copie o rilegati da ciclostilati, che saranno esposti in mostra, in gran parte autografati dai protagonisti, presentando dei testi per la quasi totalità ancora inediti.


Mostra e catalogo a cura di
Roberto Floreani
 
Mostra prodotta da
Comune di Vicenza
Silvana Editoriale
 
Catalogo
Silvana Editoriale
 
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