Milano: Novecento privato. Da de Chirico a Vedova

Milano, Galleria Bottegantica
Novecento privato. Da de Chirico a Vedova
Mostra a cura di Stefano Bosi, Valerio Mazzetti Rossi, Enzo Savoia
Con la consulenza scientifica di Fabio Benzi
17 Gennaio 2020 – 29 Febbraio 2020
Sito web https://www.bottegantica.com/

Felice Casorati: Ritratto della sorella Elvira

Alcuni dei Giganti del ‘900 italiano tornano nelle sale che, nel secondo dopoguerra, li avevano accolti quali giovani protagonisti dell’arte del loro tempo. E’, il loro, un ritorno emblematico, certo non nostalgico e nemmeno celebrativo. Tuttavia importante, perché il mezzo secolo e oltre, che è trascorso da quando questi stessi ambienti di via Manzoni 45 erano occupati dalla Galleria del Naviglio, ha portato a sedimentare valori, smorzare tensioni. Ha fatto di cronaca, Storia.
Confermando la piena validità di quelle che, all’epoca, potevano apparire come personali proposte, intuizioni, visioni di un pur quotato gallerista.
Bottegantica, che oggi vivifica gli spazi che furono del Naviglio, vi propone “Novecento privato. Da de Chirico a Vedova”, dal 17 gennaio al 29 febbraio 2020. La mostra, che è a cura di Stefano Bosi, Valerio Mazzetti Rossi e Enzo Savoia, si avvale della consulenza scientifica di Fabio Benzi.
Ad esservi proposto è un excursus attentissimo di opere. Che facendo fulcro sui decenni del Naviglio opportunamente si allarga alla prima metà del Secolo Breve, per ripercorrere i momenti più straordinari vissuti dall’arte e dalla cultura dal primo dopoguerra sino agli sviluppi del secondo: dal Futurismo alla Metafisica, dal Realismo Magico al Surrealismo, dal Ritorno all’Ordine all’Informale…
“Il Novecento italiano, per metafora, è stato un oceano battuto da grandi onde. Battuto soprattutto dal perenne contrasto tra l’apologia della forma e il suo annullamento, specie a partire dagli anni Trenta. Protagonisti delle pagine più significative della storia dell’arte nazionale e internazionale, sono una serie di Maestri d’avanguardia che hanno contribuito alle rivoluzioni artistiche del XX secolo, partecipando alla creazione di nuove forme e immagini, attraverso sperimentazioni e ricerche”, ricorda Stefano Bosi.
Novecento Privato. Da De Chirico a Vedova rievoca autori e momenti fondamentali di quel secolo, scegliendo di attingere le trenta opere esposte, esclusivamente da due importati collezioni private. “Trenta opere che si legano fra loro in un dialogo appassionato, a formare idealmente una raccolta filologica dei principali fenomeni artistici italiani del secolo scorso. Una raccolta dal forte carattere meditativo e intimo, in cui è privilegiato il rapporto tra le opere e gli artisti che le hanno create”, anticipa Enzo Savoia.
La sequenza è pensata come un viaggio cronologico e visivo, un racconto analitico e didattico che attraversa il nostro territorio culturale dal post-impressionismo alle avanguardie d’inizio secolo (il Futurismo di Marinetti, Boccioni, Balla, Severini), gli anni del primo conflitto mondiale, il dopoguerra e gli anni Venti (Savinio, De Chirico, De Pisis, Sironi, Casorati, Alberto Martini, Marini), l’affermazione del regime fascista e la seconda guerra mondiale (Carrà, Campigli, Arturo Martini, Prampolini, Pirandello, Guttuso, Manzù), il post-war tra le capitali europee e New York con l’affermazione dell’arte astratta (Fontana, Burri, Capogrossi, Vedova, Pomodoro).
Il percorso espositivo è pensato per essere fruito da un vasto pubblico, grazie anche a un apparato didattico sperimentale, capace di guidare il visitatore alla comprensione profonda di ogni singola opera.
Un omaggio dunque all’universalità dell’arte, ma anche un riconoscimento ai grandi artisti italiani del XX secolo. Questo – e non solo – è NOVECENTO PRIVATO. Da De Chirico a Vedova.

IMMAGINE DI APERTURAMassimo Campigli: Due figure

L’arte della calzatura tra antica Roma, cinema colossal e moda contemporanea

Ai piedi degli dei
Le calzature antiche e la loro fortuna nella cultura del Novecento
Firenze, Palazzo Pitti, Museo della Moda e del Costume
17 dicembre 2019 – 19 aprile 2020

Decine di modelli in mostra in Palazzo Pitti a Firenze, tra caligae romane, calzari delle star del grande schermo e modelli dei più celebri stilisti del Novecento

Piedi incrociati con krepídes
metà del II secolo a.C. – terracotta di colore grigio per l’esposizione al fuoco e con minime tracce di colore – Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate”, Arezzo

Una passeggiata tra le robuste caligae dei soldati romani, i seducenti sandali delle cortigiane greche, i raffinati calzari indossati dagli dei oppure dall’aristocrazia romana; senza dimenticare la ricca varietà di calzature indossate dalle star dei colossal dedicati all’antichità, da Ben Hur al Gladiatore, e le più recenti creazioni di moda, ispirate dallo stile delle calzature del mondo classico e realizzate da protagonisti del fashion contemporaneo come Emilio Pucci, Salvatore Ferragamo, Yves Saint Laurent.

È “Ai piedi degli dei”, mostra a cura di Lorenza Camin, Caterina Chiarelli e Fabrizio Paolucci, accolta nel museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti dal 16 dicembre 2019 al 19 aprile 2020.

La mostra, incentrata su un tema tanto affascinante quanto inedito, vuole raccontare gli infiniti ruoli che la scarpa ha rivestito in Occidente dai tempi antichi ai giorni nostri. Veri e propri protagonisti del percorso espositivo, formato da circa 80 opere (alcune delle quali giunte in prestito da importanti musei internazionali come il Louvre), saranno gli esemplari delle principali tipologie di calzature usate nel periodo compreso fra il V secolo a.C. e il IV d.C. e testimoniateci sia su preziose opere d’arte, fra le quali rilievi e vasi dipinti, sia in originale, come gli eccezionali reperti provenienti dal forte romano di Vindolanda nell’Inghilterra del nord.

L’antico è messo a diretto confronto con il contemporaneo. Scarpe di alcuni tra i più grandi stilisti (come Genny, Céline, Richard Tyler, Renè Caovilla, Donna Karan) saranno esposte insieme ai modelli originali realizzati dalla più celebre manifattura italiana di calzature per il cinema, il calzaturificio Pompei, per alcuni dei film peplum divenuti veri e propri cult: si potranno ammirare i sandali di Liz Taylor-Cleopatra, i calzari di Charlton Heston-Ben Hur, quelle del Gladiatore Russell Crowe, le calighe dell’Alexander-Colin Farrell. ‘Ai piedi degli dei’ trova infine il suo naturale completamento nella multivisione, ideata e diretta da Gianmarco D’Agostino (Advaita Film) per immergere il visitatore in un universo di immagini in cui archeologia, fashion si fondono con i miti del grande schermo.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Da sempre l’Uomo ha voluto riversare nelle calzature, strumento umile e quotidiano, un riflesso di quei principi di armonia e simmetria che governavano il gusto classico. La scarpa divenne cosi essa stessa opera d’arte, un oggetto plasmato più per esigenze estetiche che pratiche. Proprio per illustrare compiutamente questo ‘destino’ della calzatura, i cui presupposti sono già nel mondo greco-romano, si è voluto allargare il tema di questa mostra a due espressioni della cultura contemporanea intimamente legate fra di loro: il cinema e la moda. Sotto il segno della classicità, i curatori hanno esplorato questo inedito aspetto della ‘Fortuna dell’Antico’, recuperando suggestioni, echi e consonanze che, attraverso le pellicole di film come Cleopatra e l’ispirazione di stilisti, creano un inaspettato legame fra passato e contemporaneità”.

Fabrizio Paolucci, curatore della mostra e direttore del Dipartimento Antichità degli Uffizi: “La scarpa non è soltanto un accessorio e questo concetto era ben chiaro già agli antichi, al pari dell’abilità che richiedeva il realizzarle. Platone, ad esempio, non esitava a definire l’arte del calzolaio una vera e propria scienza. Con la sua foggia o i suoi colori, questo indumento raccontava tutto della persona che le indossava: il sesso, la condizione economica, la posizione sociale e il lavoro. Quel che è stato sempre considerato un semplice dettaglio del vestiario, diviene ora il protagonista di un’esposizione, il cui fine è proprio quello di restituire alla scarpa il suo ruolo di prezioso documento del gusto e della tecnica del mondo greco-romano”.

UN PO’ DI STORIA DELL’ANTICA CALZATURA

Nel mondo classico la foggia delle calzature costituiva spesso connotazione tipica di ben precise categorie sociali. Le caligae chiodate, ad esempio, erano usate prevalentemente dai soldati perché ideali per le lunghe marce, mentre i calcei, simili a bassi stivaletti e spesso vivacemente colorati se indossati dalle donne, connotavano le classi più elevate (patrizi, senatori e imperatori). Le fonti tramandano che le cortigiane, invece, erano solite indossare sandali che recavano, sul lato inferiore della suola, dei chiodini disposti in maniera tale da lasciare sul terreno un’impronta con la scritta “seguimi”.

La seduzione, del resto, è da sempre un aspetto connaturato con questo capo dell’abbigliamento che, non a caso, svolgeva un ruolo simbolico di primo piano anche nel rito nuziale antico. E già nel mondo antico, la scarpa era protagonista di favole come quella di Rodopi, diretta antenata di Cenerentola, raccontata per la prima volta da Erodoto e poi da Strabone. Fin da allora, inoltre le calzature sono protagoniste di modi di dire. Cicerone, in una delle sue Filippiche, usa l’espressione “mutavit calceos” per dichiarare il mutamento del rango sociale di un personaggio, divenuto senatore, dal momento che i calcei dei senatori differivano da quelli dei patrizi.

IMMAGINE DI APERTURARilievo frammentario di Septimia Stratonice II sec. d.C. marmo – Parco Archeologico di Ostia antica, Ostia

Nel 2020, Piacenza e la sua provincia saranno belle come non mai!

Piacenza 2020
sito internet www.piacenza2020.it

La Madonna Sistina di Raffaello nella sua Piacenza (da maggio 2020). Particolare.

Si è alzato il velo sul programma di Piacenza 2020, il ricco calendario di eventi che coinvolgerà diversi ambiti che spaziano dall’arte al teatro, dalla danza allo sport, dalla musica lirica a quella classica al jazz, fino a coinvolgere il grande patrimonio enogastronomico, una delle eccellenze più riconosciute a livello internazionale.

Piacenza 2020 è promosso da un comitato composto dal Comune di Piacenza, dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, dalla Diocesi Piacenza-Bobbio, dalla Camera di Commercio di Piacenza, in linea con il tema “Crocevia di culture”, con cui si è candidata al titolo di capitale italiana della cultura.

Piacenza 2020 Crocevia di Culture – afferma Patrizia Barbieri, sindaco di Piacenza – è un progetto nato e sviluppatosi grazie alla sinergia tra le istituzioni e tra gli attori culturali piacentini che si inserisce nel più ampio quadro di Emilia 2020, il sistema di promozione territoriale che, con il volano di Parma Capitale della Cultura e con la sapiente regia di Destinazione Turistica Emilia, riunisce in un unico cartellone oltre 500 eventi che andranno in scena l’anno prossimo tra i territori di Parma, Reggio Emilia e Piacenza. Una capacità di fare squadra a livello interprovinciale che ha già garantito straordinari risultati in termini di attrattività territoriale e promozione turistica e che avrà nel 2020 il trampolino di lancio per diventare, dal 1° gennaio 2021, una sfida continua per rendere quest’angolo di Emilia una destinazione turistica primaria, capace di mettere in mostra e promuovere le eccellenze di cui è ricca e regalare emozioni tali da invitare il visitatore a tornare”.

“Il già ricco programma di Piacenza 2020 – prosegue Patrizia Barbieri – sarà in costante divenire e si costituirà giorno dopo giorno. Se l’originalità del capolavoro di Klimt ritrovato in questi giorni sarà confermata, ci metteremo subito al lavoro per organizzare una grande mostra che avrà il fulcro proprio nel Ritratto di signora dell’artista austriaco”.

“È nota la parabola dei talenti – sottolinea monsignor Gianni Ambrosio, vescovo della Diocesi di Piacenza-Bobbio -, con quel servo che, per paura, nasconde il suo talento sotto terra. Per tutti, non solo per quel servo, è facile pensare di salvare un bene nascondendolo. Ma non è la strada giusta: occorre seguire l’esempio virtuoso degli altri due servi che valorizzano ciò che hanno ricevuto”.

“L’insegnamento della parabola – continua monsignor Gianni Ambrosio – vale anche per tutta la gamma di beni culturali, architettonici, artistici che la storia ci ha consegnato. Per questo la comunità cristiana deve essere sempre più consapevole che il patrimonio ricco e prezioso deve essere valorizzato e messo a disposizione di tutti: lo splendore della bellezza, della bontà e della verità irradia e trasforma gli occhi, il cuore e la mente. Per questo ritengo doveroso favorire e promuovere ogni iniziativa per la salvaguardia e la valorizzazione di questo patrimonio: è una straordinaria risorsa per lo sviluppo economico del territorio, è uno stimolo per la crescita sociale, culturale e spirituale di tutti, dei turisti e di noi stessi, cittadini che spesso ignoriamo le molte cose belle che sono in casa nostra”.

“La Camera di Commercio di Piacenza – dichiara il suo presidente Alfredo Parietti – da sempre è presente e attenta alle iniziative del territorio. E anche in occasione di “Piacenza 2020” abbiamo voluto, con la consapevolezza del momento difficile che stiamo vivendo, contribuire al fine di rendere possibili una serie di iniziative che durante l’arco dell’anno valorizzeranno la città e la provincia di Piacenza. L’aspetto realmente qualificante che mi preme particolarmente porre in risalto, è la collaborazione tra le varie istituzioni e le associazioni locali. Questa collaborazione che fino ad ora è stata solo occasionale magari in concomitanza con alcuni eventi particolari, ora sta diventando continuativa, si è consolidata, strutturata e lo si percepisce a tutti i livelli. “Piacenza 2020” è importante ma ciò che realmente conta è che tutti gli sforzi e le attività produrranno frutti perché condivisi e portati avanti insieme”.

Massimo Toscani, presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, ricorda che “abbiamo partecipato ai progetti del programma per il 2020 – 2021 fin dalle prime formulazioni (direi fin dalla grande mostra sul Guercino a Piacenza) e lo abbiamo fatto sostanzialmente in due modi: il primo, a sostegno delle idee di altri soggetti pubblici e per lo svolgimento corrente delle attività culturali che caratterizzano la nostra città. E questo rientra tra gli scopi naturali, diciamo così, della Fondazione”.

“Il secondo modo – prosegue Massimo Toscani – è stato quello di passare all’impegno diretto su alcuni fronti di grande interesse per la valorizzazione del patrimonio (è il caso dei monumenti equestri) e di forte innovazione: penso soprattutto al Centro XNL per la documentazione delle arti contemporanee, la cui funzione non riguarderà solo la nostra città, come apparirà chiaro, bensì un sistema medio-regionale a scavalco di Emilia, Lombardia, Piemonte”.

Dal canto suo, Jonathan Papamarenghi, assessore alla Cultura del Comune di Piacenza – ha illustrato le potenzialità del sito internet www.piacenza2020.it che testimonia come “Piacenza 2020 sia un nucleo in continua evoluzione, con nuovi progetti e nuove iniziative che si stanno formando e che si svolgeranno anche al di là delle mura farnesiane. Il sito internet e i canali social a esso collegati racconteranno a un pubblico allargato il fascino di una terra così ricca di storia, di cultura e di tradizioni, e sapranno trasformare il visitatore occasionale in un turista abituale che avrà il desiderio di tornare a Piacenza e nella sua provincia”.

“Una delle cose che più mi rende orgoglioso – conclude Jonathan Papamarenghi – è vedere come tutte le istituzioni, tutte le associazioni e tutte le realtà che hanno contribuito a creare il dossier di Piacenza 2020-Crocevie di Culture, col quale ha partecipato alla candidatura di Capitale della cultura italiana, stiano lavorando come se quella sfida fosse stata vinta”.

“Il grande tema che ci siamo dati crocevia di culture – dichiara Manuel Ferrari, responsabile Culturale della Diocesi di Piacenza e Bobbio – può essere declinato sotto molteplici aspetti. Tra questi crocevia di storie, di narrazioni.  Storie di persone, storie di opere. Storie di persone straordinarie, come quelle che abbiamo cercato di raccontare nell’appena inaugurato MES (Museo Emigrazione Scalabrini), voluto dai padri Scalabriniani, un museo che entra nel circuito di Piacenza 2020 e che si candida a diventare un fiore all’occhiello per la nostra città per il modo in cui il fenomeno migratorio è raccontato, dalla fine dell’800 ai giorni nostri. L’abbiamo pensato perché fossero le storie il filo conduttore di tutto il percorso. Storie di ieri e di oggi. Storie di chi è partito e di chi è rimasto. Storie di chi ce l’ha fatta e di chi ha fallito. Ma sempre mettendo al centro l’uomo con i suoi sentimenti e le sue emozioni”.

Piacenza 2020 è parte di Emilia 2020, il sistema di promozione territoriale declinato nel segno dell’unicità e dell’esperienza, che a seguito della nomina di Parma quale Capitale italiana della Cultura 2020, riunisce in un unico cartellone le proposte di Piacenza, Reggio Emilia e della città Ducale.

Piacenza è sempre più convinta di non essere solo “terra di passo”, come scriveva Leonardo da Vinci, ma luogo capace di accogliere e “incuriosire” il visitatore con i suoi segreti da scoprire, con intrecci tra le storie da raccontare, con le sue eccellenze, dalla cupola della Cattedrale affrescata dal Guercino, ai tre salumi DOP, al Gutturnio, con il suo fiume e le sue strade, con le sue chiese e i suoi palazzi prestigiosi, alcuni dei quali torneranno agli antichi splendori, dopo importanti opere di rigenerazione urbana e di restauro.

Numerose saranno le iniziative pensate appositamente per Piacenza 2020. Tra queste l’apertura del MES – Museo dell’Emigrazione Scalabrini, allestito all’interno della Casa madre dei Missionari Scalabriniani a Piacenza.

Promosso dal Centro Missionari di San Carlo – Scalabriniani, con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, il MESsi struttura come un percorso, interattivo e multisensoriale ideato dall’architetto Manuel Ferrari con contenuti multimediali di Twin Studio che, attraverso video, immagini e suoni, conduce il visitatore ad approfondire il tema delle migrazioni, facendone comprendere il divenire storico, le dinamiche socio-politiche dal 1870 fino a oggi, le soluzioni illuminate che un grande uomo di pensiero e azione come monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), vescovo di Piacenza tra il 1876 e il 1905, definito il Padre dei migranti, ha saputo mettere in campo, mostrando come la sua azione sia ancora viva nel mondo, grazie all’operato delle congregazioni religiose e laiche da lui fondate.

Tra le altre grandi iniziative si segnala l’apertura di un nuovo spazio espositivo nel cuore della città. Nell’edificio Ex-Enel della Fondazione di Piacenza e Vigevano, nasce infatti XNL Piacenza Contemporanea un centro culturale interamente dedicato all’arte contemporanea, risultato della ristrutturazione di uno stabile industriale dei primi decenni del Novecento – la ex sede dell’Enel, in via Santa Franca, 36 -, di particolare pregio architettonico, restituito alla città come luogo per raccontare il tempo presente.

XNL Piacenza Contemporanea sarà inaugurato dalla mostra LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI. Collezionismo italiano contemporaneo, in programma dal 1° febbraio al 24 maggio 2020.

La rassegna, curata da Alberto Fiz, organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, col patrocinio del MiBACT – Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, della Regione Emilia-Romagna, con un progetto di allestimento di Michele De Lucchi e AMDL CIRCLE e la consulenza scientifica del Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano, presenta oltre 150 opere, tra dipinti, sculture, fotografie, video e installazioni di autori quali Piero Manzoni, Maurizio Cattelan, Marina Abramović, Tomás Saraceno, Andy Warhol, Bill Viola, Dan Flavin, provenienti da 18 collezioni d’arte, tra le più importanti in Italia, che indagano trasversalmente movimenti, stili e tendenze della contemporaneità. Il percorso si completa alla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi – i cui locali sono attigui a quelli di XNL – dove una serie di lavori di artisti tra cui Ettore Spalletti, Wolfgang Laib, Fabio Mauri, Gregor Schneider, Pietro Roccasalva, dialoga con i capolavori dell’Ottocento e del Novecento, raccolti dall’imprenditore e collezionista piacentino Giuseppe Ricci Oddi che costituisce un fondamentale modello di riferimento.

Anche i musei di Palazzo Farnese si presenteranno con un look rinnovato. Due sezioni particolarmente significative, dedicate alle ceramiche e alla collezione di reperti romani, proporranno nuovi allestimenti che miglioreranno la fruizione del ricco patrimonio cittadino.

La Sezione Ceramiche presenta 250 pezzi, alcuni già appartenenti alla collezione storica delle ceramiche dei musei civici, altri giunti dalla donazione Besner-Decca. All’interno delle stanze dell’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese s’incontra il consistente nucleo di maioliche lombarde settecentesche, le numerose porcellane europee e cinesi, oltre a splendidi esempi realizzati a Venezia, Nove di Bassano, Albisola, Faenza, Milano, Lodi, Pavia, Castelli d’Abruzzo, Urbania, Pesaro, e oggetti ritrovati negli scavi effettuati in città e nel territorio provinciale (di proprietà statale in deposito ai musei civici), che forniscono interessanti spunti per la ricostruzione di un profilo della produzione ceramica nel territorio piacentino tra il XVI e il XVIII secolo.

Le sale della Cittadella dei Visconti e di Palazzo Farnese, da fine marzo, accoglieranno la Sezione Romana, con oltre 500 reperti che illustreranno la storia di Piacenza dalla sua fondazione nel 218 a.C. e miglioreranno la comprensione della città romana, dall’impianto urbanistico e viario ai commerci, all’edilizia pubblica e privata, alla vita quotidiana, alle necropoli e ai culti. Nell’ultima sala si darà conto della crisi dell’impero romano e verranno esposte opere riferibili alla cultura longobarda. Arricchiranno il percorso, dispositivi multimediali, ricostruzioni di ambienti e “reperti parlanti”, ma saranno soprattutto gli oggetti e gli spazi meravigliosi in cui sono inseriti a raccontare oltre mille anni di storia della città di Piacenza.

Il complesso monastico di San Sisto, aprirà le proprie porte per condurre i visitatori alla scoperta della Madonna Sistina di Raffaello, uno dei capolavori assoluti dell’arte mondiale, che torna in modo virtuale a Piacenza, la città per la quale fu commissionata.

Da maggio 2020, all’interno di uno tra i più preziosi gioielli architettonici di Piacenza, verrà inaugurata una mostra che si snoderà in ambienti per la prima volta aperti al pubblico, e che, attraverso video-proiezioni, filmati, ricostruzioni virtuali racconterà la storia del complesso monastico e della Madonna Sistina di Raffaello, ora esposta alla Gemäldegalerie di Dresda, creata proprio per questo luogo.

Da settembre a novembre 2020, lo spazio XNL Piacenza Contemporanea celebrerà Gianfranco Ferré, raccontando il suo legame particolare con Piacenza, sviluppatosi in particolare negli anni ottanta, quando lo stilista aveva sponsorizzato il restauro degli affreschi del Guercino, all’interno della cupola della cattedrale. Affascinato dai dipinti del pittore secentesco, Ferré trasse ispirazione delle Sibille del Guercino per creare una sua collezione di abiti.

Il percorso espositivo prenderà avvio proprio dai disegni per questa collezione, e proseguirà alla Galleria Ricci Oddi, dove alcuni abiti di Ferré saranno affiancati a dipinti ottocenteschi in cui si vedono donne eleganti vestite in costume dell’epoca.

Per l’occasione, nell’ottica di una valorizzazione del patrimonio culturale cittadino, sarà creato un biglietto unico che comprenderà la visita a XNL, alla Ricci Oddi e alla Cattedrale dove salire in quota per ammirare la cupola affrescata.

Attorno a uno dei simboli di Piacenza, ovvero le statue equestri in bronzo di Alessandro e Ranuccio I Farnese, nell’attuale piazza dei Cavalli, commissionate a Francesco Mochi da Montevarchi (1580-1654), uno degli esponenti della scultura barocca, si svilupperà un’interessante operazione culturale, dedicata alla scultura. Tra settembre e ottobre 2020 una mostra abbraccerà tutto il centro storico e, dalla piazza dei Cavalli, si diffonderà in alcuni dei più bei palazzi istituzionali e privati di Piacenza, documentando la straordinaria fortuna tipologica del gruppo equestre nel tempo, attraverso una serie di opere di scultori contemporanei, da Botero a Marino Marini ed Henry Moore.

Il ricco programma espositivo di Piacenza 2020, si concluderà idealmente all’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese dove, dal 3 ottobre al 16 gennaio 2021, si terrà la mostra La natura morta tra XVII e XVIII secolo: La tavola e i rituali del cibo. L’esposizione, allestita in uno dei luoghi di rappresentanza in cui i Farnese davano udienza, ricevevano gli ospiti e organizzavano feste e banchetti, si focalizzerà sul tema della natura morta, un genere che a Piacenza, già alla fine del Cinquecento ebbe grande successo.

Per i temi trattati, l’iniziativa si collegherà con quanto verrà presentato all’interno di Natura viva, il salone del gusto dei prodotti tipici piacentini, che si terrà nella chiesa di Santa Maria del Carmine, recentemente restaurata.

La proposta di Piacenza 2020 si allarga a comprendere i campi della musica e del teatro. La programmazione del Teatro Municipale offre produzioni particolarmente significative. È il caso della prima assoluta del Falstaff di Giuseppe Verdi, con l’orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, in programma venerdì 24 gennaio (con replica domenica 26 gennaio), cui seguiranno i nuovi allestimenti della Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti (28 febbraio), della Pelléas et Mélisande di Claude Debussy (17 aprile) e del Mefistofele di Arrigo Boito.

Il Teatro Municipale sarà anche il fulcro attorno a cui si svolgerà la stagione teatrale che porterà a Piacenza alcuni degli attori più importanti e celebrati a livello nazionale, da Ale e Franz (11 e 12 febbraio) a Silvio Orlando (10-11 marzo), da Marisa Laurito (21-22 aprile) a Pippo Delbono (24 marzo).

La colonna sonora di Piacenza 2020 spazierà dalla musica classica al jazz. Tra gli appuntamenti più attesi, il 7 marzo, il concerto della Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Daniele Gatti, e il Requiem di Mozart (9 aprile) con la Young Musicians European Orchestra, il BBC Symphony Chorus e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza.

Dal 29 febbraio al 5 aprile, quindi, spazio al Piacenza Jazz Fest che, come ogni edizione, oltre a portare in città i nomi più famosi di questa particolare espressione musicale, si articola su diversi livelli: spettacolo, attività formativa, concorsi, coinvolgimento realtà culturali, scolastiche e commerciali piacentine), con una specifica attenzione al sociale (carcere, ospedale, case protette).

Non va inoltre dimenticato, a settembre, l’appuntamento con la Settimana Organistica Internazionale, rassegna di grande interesse e valore artistico, promossa dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, che propone una serie di eventi musicali e un concerto straordinario che vedrà esibirsi i solisti più prestigiosi al mondo che si cimenteranno di volta in volta con le particolari sonorità di 4 organi piacentini, posti nella basilica di S. M. di Campagna, nella basilica di S. Savino, nella basilica di S. Anna e nella basilica di S. Giovanni in Canale.

Un capitolo importante di Piacenza 2020 sarà dedicato all’enogastronomia, uno dei vanti di Piacenza e del suo territorio. Tra le numerose iniziative, dal 5 al 7 giugno, ecco la quarta edizione del Gola Gola! Food & People Festival, che proporrà una serie di iniziative legate al cibo, come cooking show, degustazioni, mercato delle specialità del territorio, dibattiti, ma capaci di esplorare storia, arte, scienza, letteratura, poesia, economia, musica e tanto altro, o la tredicesima edizione del Premio Coppa d’oro che ha come obiettivo principale di far apprezzare i salumi piacentini a denominazione di origine tutelata ad una platea nazionale e nel contempo valorizzare il territorio piacentino con le sue eccellenze.

Tra gli eventi organizzati nel territorio, si ricorda, tra luglio e agosto, il Bobbio Film Festival, ai Chiostri dell’Abbazia di San Colombano – Bobbio, la rassegna cinematografica e di incontri con gli autori diretta dal regista Marco Bellocchio.

Per Piacenza 2020, inoltre, è stato messo a punto una ricca proposta di pacchetti turistici per promuovere e far conoscere la città, con tutti i suoi tesori, e il territorio piacentino, ricco di tradizioni.
Tutto il programma di Piacenza 2020 è consultabile sul sito internet www.piacenza2020.it, progettato da Multiplo (www.multiplo.biz) e sviluppato da Remo Romano.

IMMAGINE DI APERTURA – Katja Novitskova – La rivoluzione siamo noi – Collezionismo italiano contemporaneo (01.02.2020 – 24.05.2020)

I Cieli in una stanza. Soffitti lignei a Firenze e a Roma nel Rinascimento

I Cieli in una stanza. Soffitti lignei a Firenze e a Roma nel Rinascimento
Mostra a cura di Claudia Conforti, Maria Grazia D’Amelio, Francesca Funis, Lorenzo Grieco
Firenze, Gli Uffizi, Sala Detti e Sala del Camino
10 dicembre 2019 – 8 marzo 2020

AGLI UFFIZI I CIELI DEL RINASCIMENTO, PER LA PRIMA VOLTA, PROTAGONISTI DI UNA MOSTRA

I disegni per soffitti di Michelangelo, i Sangallo e Vasari raccontanola genesi e l’ornamento di importanti edifici e chiese. Esposto, per la prima volta al pubblico, un rarissimo lacunare ligneo di età romana scoperto di recente ad Ercolano. Schmidt: “Promuovere conoscenza e sensibilità per la tutela, per evitare altri crolli come quello di San Giuseppe dei Falegnami”

Il soffitto metafora del cielo. Forme quadrate, rettangolari o ottagonali tutte riccamente decorate invitano i visitatori delle chiese e dei palazzi rinascimentali a sollevare gli occhi al cielo. Da elemento costruttivo nato per proteggere gli ambienti a ornamento che fonde nel suo insieme tutte le arti. Per la prima volta il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi dedica una mostra ad un singolo elemento architettonico.
Con questa mostra la Galleria degli Uffizi, che custodisce il maggior numero di disegni di soffitti rinascimentali, inizia a scriverne la storia. Del ricco patrimonio di disegni degli Uffizi è stata operata un’attenta selezione integrata da fogli dal Louvre, dal Museo Nazionale di Stoccolma, dalla Biblioteca di Storia dell’Arte e di Archeologia, dal Museo di Roma, dagli Archivi di Stato di Roma e di Firenze.

Oltre trenta opere esposte tra disegni tecnici, di ornato e di figura, dipinti e altri manufatti preziosi e poco conosciuti che raccontano lo splendore dei soffitti lignei nel Rinascimento e come, per la loro realizzazione, pittura e scultura fossero strettamente connesse all’architettura.

La versatilità decorativa dei lacunari fu sfruttata fin dai tempi remoti, come testimoniano i monumenti classici, dal Partenone al Pantheon.

Ad aprire la mostra, infatti, un rarissimo lacunare ligneo di età romana, per la prima volta esposto al pubblico, che conserva ancora tracce di colore, scoperto recentemente a Ercolano.

Il mondo antico modello delle arti nel Rinascimento è rappresentato anche dai magistrali disegni, mai esposti tutti insieme, di artisti, prevalentemente toscani (Giovanni da Udine e Zuccari, e degli architetti Sangallo e Dosio), che ritraggono gli spartimenti a stucco e pittura degli ambienti della Domus Aurea e di altri monumenti classici a Roma, a Tivoli e a Baia.

Il Rinascimento nei soffitti si annuncia in mostra con i colori e gli ornati classici di un maestoso lacunare quattrocentesco in castagno (2 metri per 2 metri), appositamente restaurato per l’esposizione, intagliato dal fiorentino Giovannino de’ Dolci per il Salone del mappamondo di palazzo Venezia, su incarico del papa veneziano Paolo II Barbo le cui insegne sono scolpite al centro del lacunare.

Magnifico il progetto di Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana, che evidenzia come la struttura geometrica dei soffitti a lacunari chiuda e completi la scatola prospettica dello spazio, gusto rinascimentale che ribadiscono Baldassarre Peruzzi nel modello cartaceo per il rinnovamento di San Domenico a Siena e Vasari nel progetto per il Salone dei Cinquecento.

Raffinati accordi geometrici trionfano anche nella stupefacente volta della Sala Regia in Vaticano di Antonio da Sangallo il Giovane. Questo magistrale disegno custodito agli Uffizi, raramente esposto (formato da due fogli congiunti che compongono la proiezione ortogonale della maestosa volta) forniva agli artigiani le modalità costruttive per la combinazione di astroidi, ovati e ottagoni.

I soffitti a lacunari si diffusero in Europa nel XVI secolo attraverso disegni e incisioni. Un ruolo chiave in tal senso lo svolsero le tavole incise su legno del Quarto Libro d’architettura di Sebastiano Serlio (1537).

I “cieli” a lacunari decorati sono oggi in disuso, la loro estraneità alle volumetrie delle architetture contemporanee li colloca in una dimensione storica superata, in un passato monumentale sontuoso quanto inattuale. In mostra due rari esemplari contemporanei: Wu Yuren con il lacunare “impossibile” The Truth is Concret (2015) e Claudio Parmiggiani con l’evanescente impronta del volo di farfalle (2015) ideata per Villa Medici a Roma. i due artisti interpretano e trasfigurano nelle loro opere i soffitti a cassettoni in un modo che è al tempo stesso un tradimento e un omaggio alla tradizione nobile dei “cieli”.

L’idea di dedicare una mostra a questo tema inedito e sofisticato parte da un evento doloroso: il crollo del soffitto della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami a Roma, avvenuto il 30 agosto 2018 – spiega il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Eike Schmidt. Quel giorno è andato in rovina un pezzo del nostro patrimonio artistico, che possiamo proteggere solo attraverso la conoscenza e l’attenzione costante. In questo modo si sviluppa una sensibilità per la tutela, e la mostra degli Uffizi vuole essere un tassello in questa distribuzione del sapere che diventa, alla fine, uno strumento potente nella difesa dei nostri tesori d’arte”.

La collezione del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi custodisce a Firenze copiose ed eccezionali testimonianze grafiche di questa arte, che coniuga tecnica e ornamento – precisa la curatrice Claudia Conforti, professore ordinaria all’Università di Roma “Tor Vergata”. È una delle ragioni che hanno suggerito come tema espositivo i soffitti a lacunari, un soggetto trascurato, se non ignorato, dagli studi. L’altra ragione che ci ha spinto è la voglia di stimolare i visitatori nell’alzare gli occhi al cielo quando entreranno a rivedere i monumenti fiorentini e romani. Infine, rivolgiamo un sentito invito alle istituzioni affinché possano dare vita ad un censimento di questi cieli che, intarsiati di pitture e sculture, consolidano i muri dell’edificio e l’animo di chi lo abita, attivando la memoria con la celebrazione, la narrazione e la consolazione: il corredo emotivo che dalla notte dei tempi le immagini apportano agli abitanti della terra”. 

Catalogo Giunti (176 pagine)

IMMAGINE DI APERTURAWu Yuren (1971) The Truth is Concrete n° 2 e n° 3 2015, cornice in legno, foglia d’oro

Eli Klein Gallery, New York

Monza, Arengario: Steve Mccurry – Leggere

MONZA – ARENGARIO
17 GENNAIO – 13 APRILE 2020
STEVE McCURRY LEGGERE
A cura di Biba Giacchetti e Roberto Cotroneo

L’esposizione presenta 70 immagini del fotografo statunitense, dedicate alla passione universale per la lettura, con persone, còlte in ogni angolo del mondo, nell’intimo atto di leggere.

Steve McCurry, Chiang Mai,Tailandia, 2012 © Steve McCurry

Dal 17 gennaio al 13 aprile 2020, l’Arengario di Monza ospita la mostra Leggere di Steve McCurry, uno dei fotografi più celebrati a livello internazionale per la sua capacità d’interpretare il tempo e la società attuale.
 
L’esposizione, promossa da ViDi e Comune di Monza, organizzata da Civita Mostre e Musei, in collaborazione con Sudest57, curata da Biba Giacchetti, con i contributi letterari dello scrittore Roberto Cotroneo, presenta 70 immagini, dedicate alla passione universale per la lettura, realizzate dall’artista americano (Philadelphia, 1950) in quarant’anni di carriera e che comprendono la serie che egli stesso ha riunito in un volume, pubblicato come omaggio al grande fotografo ungherese André Kertész, uno dei suoi maestri.
 
Gli scatti ritraggono persone di tutto il mondo, assorte nell’atto intimo del leggere, còlte dall’obiettivo di McCurry che testimoniano la sua capacità di trasportarle in mondi immaginati, nei ricordi, nel presente, nel passato, nel futuro e nella mente dell’uomo.
I contesti sono i più vari, dai luoghi di preghiera in Turchia, alle strade dei mercati in Italia, dai rumori dell’India ai silenzi dell’Asia orientale, dall’Afghanistan a Cuba, dall’Africa agli Stati Uniti. Sono immagini che documentano momenti di quiete durante i quali le persone si immergono nei libri, nei giornali, nelle riviste. Giovani o anziani, ricchi o poveri, religiosi o laici; per chiunque e dovunque c’è un momento per la lettura.
In una sorta di percorso parallelo, le fotografie sono accompagnate da una serie di brani letterari scelti da Roberto Cotroneo. Un contrappunto di parole che affiancano gli scatti di McCurry, coinvolgendo il visitatore in un rapporto intimo e diretto con la lettura e con le immagini.
Anche l’allestimento, grazie a sei video con i consigli di McCurry sull’arte di fotografare, è pensato per valorizzare gli ulteriori contenuti della mostra.
 
Il percorso è completato dalla sezione Leggere McCurry, dedicata ai libri pubblicati a partire dal 1985 con le foto di Steve McCurry, molti dei quali tradotti in varie lingue: ne sono esposti 15, alcuni ormai introvabili, tra cui il volume edito da Mondadori che ha ispirato la realizzazione di questa mostra. Tutti i libri sono accompagnati dalle foto utilizzate per le copertine, che sono spesso le icone che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
 
«Monza fa grandi passi in avanti con la scelta di progetti culturali innovativi e di qualità, spiegano il Sindaco Dario Allevi e l’Assessore alla Cultura Massimiliano LongoQuesta mostra è un’occasione per guardare diversamente l’opera di Steve McCurry che pone al centro della propria ricerca artistica la forza della lettura come valore universale e individuale. L’esposizione ha la capacità di coniugare qualità artistica e coinvolgimento: un’opportunità importante per guardare e comprendere il piacere necessario della lettura».
 
Per tutta la durata dell’esposizione, sono in programma attività didattiche, incontri e visite guidate gratuite per bambini. Una mostra “family friendly”, un percorso creato ad hoc per i bambini, un kit didattico in omaggio da ritirare in biglietteria appositamente creato per la visita dei più piccoli. Inoltre, all’interno dell’Arengario, un’opera ad “altezza bambino” attenderà i giovani visitatori per un’esperienza immersiva a loro dedicata.

IMMAGINE DI APERTURADalla Mostra: foto di Steve McCurry, Sana’a, Yemen, 1997 © Steve McCurry   

Modena: Kenro Izu – Requiem for Pompei

Modena – FMAV – MATA
Dal 6 dicembre 2019 al 13 aprile 2020
La mostra di
KENRO IZU – REQUIEM FOR POMPEI
A cura di Chiara dall’Olio e Daniele De Luigi
 Sito web: www.fmav.org

L’esposizione presenta 55 fotografie inedite, donate dall’artista giapponese alla Fondazione di Modena, frutto di una visione lirica di quanto è rimasto a Pompei, il giorno dopo l’eruzione del 79 d.C.

Kenro Izu, Foro, Pompei, 2016 Stampa al platino  55×42,5 cm  © Kenro Izu Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena – Fondazione Modena Arti Visive

Modena consolida il suo rapporto privilegiato con la fotografia, che l’ha portata a diventare uno dei punti di riferimento in Italia per questa particolare forma di espressione, capace di influenzare tutta la vita culturale della città, grazie all’apporto di istituzioni come la Galleria Civica e la Fondazione Fotografia Modena, entrambe confluite nel 2017 in Fondazione Modena Arti Visive.

Proprio in una delle sue sedi, FMAV – MATA, Fondazione Modena Arti Visive presenta dal 6 dicembre 2019 al 13 aprile 2020 una mostra di grande suggestione dedicata a Pompei, a cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi. L’esposizione è co-promossa dal Parco archeologico di Pompei che per l’occasione presterà alcune riproduzioni dei celebri calchi in gesso delle vittime dell’eruzione e che successivamente la ospiterà nei propri spazi espositivi.

Protagonista è il fotografo giapponese Kenro Izu (Osaka, 1949), da sempre affascinato dalle vestigia delle civiltà antiche che lo hanno portato a realizzare delle serie di immagini all’interno dei siti archeologici più importanti e conosciuti al mondo, dall’Egitto alla Cambogia, dall’Indonesia all’India, dal Tibet alla Siria.

A Modena, Kenro Izu presenta Requiem for Pompei, un progetto iniziato nel 2015, in collaborazione con Fondazione Fotografia Modena, dedicato alla città campana distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. e sepolta sotto la cenere e i lapilli. Gli scavi archeologici hanno restituito non solo gli edifici, ma anche le forme esatte dei corpi degli abitanti nel momento della morte, grazie ai calchi eseguiti sui vuoti che essi hanno lasciato sotto la coltre pietrificata.
L’esposizione propone una selezione di 55 immagini inedite, donate da Kenro Izu alla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, scattate tra le rovine di Pompei, dove l’artista ha collocato, con un poetico gesto di pietà, le copie dei calchi originali dei corpi che spiccano come bianche sagome umane.
L’intenzione di Kenro Izu non è quella di documentare i resti di Pompei, quanto di trasmettere il carattere sospeso fra meraviglia e distruzione che proviene dalle rovine, insistendo sull’idea di quanto è rimasto, il giorno dopo l’eruzione del Vesuvio.

“Kenro Izu” – nelle parole dei curatori Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi – “ha la straordinaria capacità di abbattere i muri del tempo, creando immagini sublimi che ci accomunano nello spirito agli uomini di altre epoche, luoghi e civiltà. La sua preghiera per Pompei ci avvicina alle vittime di quella lontana tragedia ma al tempo stesso, come l’artista sottolinea, porta il nostro pensiero ai drammi analoghi che possono verificarsi oggi in qualunque momento e luogo del mondo”.

Per Daniele Pittèri, direttore di Fondazione Modena Arti Visive, “Le tracce umane che Kenro Izu dissemina fra le rovine della Pompei spazzata via dalla violenza della natura, anche grazie allo straordinario bianco e nero delle sue immagini, così nitide e dolenti, tessono la partitura per un requiem della civiltà contemporanea, su cui incombe la possibilità della catastrofe, per mano non solo di una natura costantemente bistrattata che prima o poi chiederà pegno, ma anche per mano della scelleratezza umana e dell’ansia distruttiva che in quest’epoca la anima. Con il contrasto fra l’immobilità dei corpi umani pietrificati e le rovine monumentali divenute paesaggio in un tutt’uno con la natura circostante, con la staticità ‘definitiva’ delle sue immagini, Kenro Izu prefigura un futuro amaro per l’umanità, immemore del passato e incapace di valutare le conseguenze del proprio agire”.

I calchi di Pompei, che da sempre suscitano la curiosità e talvolta la morbosità dei visitatori, sono stati la grande intuizione di Giuseppe Fiorelli che è riuscito in tal modo a dare forma al dolore della morte, restituendo memoria e pietà alle vittime dell’eruzione.”– sottolinea Massimo Osanna, Direttore del Parco Archeologico di Pompei  “Pompei è già, in tal senso, un Requiem per quanti subirono quella tragedia, ma è ancor più una riflessione sulla piccolezza e l’impotenza dell’essere umano di fronte al suo destino. Il maestro Kenro Izu, con le sue commoventi fotografie, riesce a rinnovare questo senso profondo che conserva la città antica, questa compassione nei confronti di un dramma umano, talvolta offuscato dall’aspetto turistico e massificato delle visite. L’apertura del Parco Archeologico verso tutte le forme di arte contemporanea, dalla pittura alla scultura, alla fotografia, è fortemente voluta per ribadire che Pompei rappresenta, oltre che la testimonianza di una civiltà, anche un simbolo, una riflessione sulla vita e la morte, declinati a seconda della sensibilità di ogni epoca e artista.”

Kenro Izu, che sarà anche visiting professor delMaster sull’immagine contemporanea della scuola di alta formazione di Fondazione Modena Arti Visive, sarà protagonista dell’artist talk Kenro Izu: Pompei tra storia, materia e spirito, in dialogo con i curatori della mostra, mercoledì 11 dicembre alle ore 18 negli spazi di FMAV – MATA.

Note biografiche

Kenro Izu (1949, Osaka) inizia a fotografare negli anni Sessanta, completando la sua formazione presso il College of Arts della Nihon University di Tokyo. Nel 1970 si trasferisce a New York nel 1970, dove tuttora vive e lavora. Nel 1979 compie il suo primo viaggio in Egitto e, impressionato dall’imponenza delle Piramidi e dal senso di trascendenza trasmesso dalle rovine, dà inizio a una delle sue serie più famose, Sacred Places, che lo porterà nei successivi decenni a fotografare i più importanti siti archeologici del mondo, dalla Cambogia al Tibet, dall’India all’Europa, fino al Messico, al Perù e all’Isola di Pasqua.

Affascinato dalla sublime bellezza delle vestigia antiche, individua nel recupero di stili e tecniche di stampa tipici della fotografia ottocentesca il mezzo più adatto per imprimere nelle sue immagini le magiche atmosfere dei luoghi incontrati. Le sue fotografie sono platinotipie, cianotipie e stampe alla gelatina d’argento, che l’artista realizza manualmente in camera oscura da negativi di grande formato. Le sue opere sono state presentate in occasione di numerose mostre personali e collettive, organizzate presso il Rubin Museum of Art, New York (2004), il Tokyo Metropolitan Teien Art Museum (2005), l’Art Museum, University of Kentucky di Lexington (2007), il Detroit Institute of Art, il Kiyosato Museum of Photographic Art di Yamanashi, in Giappone (2008), il Museum of Photographic Arts, San Diego (2009). 

Suoi lavori sono conservati all’interno delle collezioni fotografiche del Boston Museum of Art, Canadian Center for Architecture, Fondazione di Modena, J. Paul Getty Museum, Comune di Modena – Galleria Civica, Houston Museum of Fine Art, Kiyosato Museum of Photographic Arts, Metropolitan Museum of Art, Museum of Photographic Arts, San Francisco Museum of Modern Art, Santa Barbara Museum of Arts e Tokyo Metropolitan Museum of Photography

IMMAGINE DI APERTURA – Kenro Izu, Requiem for Pompei

Reggio Emilia: Zavattini oltre i confini

Reggio Emilia, Palazzo Da Mosto
14 Dicembre 2019 – 01 Marzo 2019
ZAVATTINI OLTRE I CONFINI. Un protagonista della cultura internazionale
Mostra a cura di Alberto Ferraboschi
Sito web: www.palazzomagnani.it

Cesare Zavattini e De Sica all’aeroporto di Fiumicino in partenza per New York
col volo TWA 841 del 7 febbraio 1966

Il 13 ottobre 1989, giusto trent’anni anni fa, moriva Cesare Zavattini. Tre decenni paiono poter essere un giusto tempo per analizzare un personaggio così complesso, originale e appassionato quale è stato Zavattini. A lui – nelle diverse vesti di uomo di cinema, scrittore, fumettista, personaggio dal forte impegno politico – molti studi sono stati dedicati in Italia e nel mondo.
Tuttavia un aspetto è rimasto, se non in ombra, certo meno indagato ed è quello che la Biblioteca Panizzi e l’Archivio Cesare Zavattini hanno approfondito in questi anni: il ruolo di Za all’estero, in tempi, i suoi, impregnati dal clima della Guerra Fredda e delle contrapposizioni ideologiche.

I risultati di queste ricerche costituiranno l’oggetto dell’esposizione dal titolo “Zavattini oltre i confini”, promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani, Regione Emilia-Romagna-IBC, Comune di Reggio Emilia e Archivio Cesare Zavattini che prenderà il via il prossimo 14 dicembre nella storica sede di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia.
L’Archivio Cesare Zavattini e la Biblioteca Panizzi che conserva l’archivio stesso, hanno condotto un’indagine realmente sistematica intorno all’intensa attività svolta dall’autore luzzarese al di fuori del contesto nazionale. Ne è emerso il ruolo cruciale di Za nel promuovere aspetti salienti della cultura italiana del secondo Novecento e in particolare del neorealismo, nell’orizzonte europeo e più in generale nel panorama internazionale, grazie alla sua intensa partecipazione a convegni, congressi, conferenze, corsi di formazione nei paesi decolonizzati o in via di sviluppo, alle collaborazioni con riviste e a co-produzioni cinematografiche.

Il progetto espositivo, curato da Alberto Ferraboschi, si impronta su due linee direttrici, da un lato indaga l’attività svolta nei diversi ambiti artistici (cinema, letteratura, pittura, ecc.) e geografici (sia in Europa che nel Nuovo Continente); dall’altro approfondisce temi e vicende particolari, come quello del viaggio (ad esempio sulle orme di Van Gogh), della pace, dei rapporti con lo scrittore latino-americano Garcia Marquez e con gli ambienti cosmopoliti ebraici.

Nell’esposizione di Palazzo da Mosto, confluiranno materiali documentari e iconografici che raccontano tutte le attività e la rete di rapporti intessute da questa eclettica personalità: migliaia di carte originali, dattiloscritte e manoscritte, annotazioni autografe, insieme a fotografie, video, manifesti e libri.
Arricchiscono la mostra alcuni dei suoi inseparabili oggetti, la macchina da scrivere, il basco, la borsa da viaggio, oltre ai 150 quadri provenienti dalla Pinacoteca di Brera di Milano, facenti parte della celebre collezione di 8X10 che Cesare Zavattini aveva raccolto nel corso degli incontri con alcuni tra i più importanti artisti del Novecento. Tra i tanti saranno in mostra Giacomo Balla, Antonio Ligabue, Alberto Burri, Enrico Baj, Renato Guttuso, Giorgio De Chirico, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Bruno Munari, Claudio Parmiggiani, Gillo Dorfles, Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros, Mario Sironi, Alberto Magnelli e poi ancora Pietro Consagra, Roberto Crippa, Fortunato Depero, Filippo De Pisis, Gianni Dova, Michelangelo Pistoletto, Mimmo Rotella e tanti altri.
Ultima sala del percorso espositivo sarà dedicata agli scatti inediti di uno dei maggiori fotografi italiani, Gianni Berengo Gardin, realizzate in occasione del lavoro che ripropone la “Luzzara” di Cesare Zavattini nel libro fotografico “Un Paese vent’anni dopo”.

Nell’ambito dell’iniziativa è prevista la stampa del catalogo di mostra, “Zavattini oltre i confini”, in cui sarà pubblicato al suo interno tutta la documentazione presente nell’esposizione, insieme ai recenti contributi dei membri del Comitato Scientifico dell’Archivio Cesare Zavattini. Il catalogo, tradotto anche in inglese, comprende saggi innovativi sui rapporti e l’influenza di Zavattini con la Francia (Stefania Parigi), Spagna (Alberto Ferraboschi e David Brancaleone), America Latina (David Brancaleone), Stati Uniti (Giorgio Bertellini), Europa Orientale (Francesco Pitassio) e Africa (C. Mario Lanzafame e C. Podaliri. Specifiche ricerche sono poi dedicate al tema del viaggio nell’opera di Zavattini (Guido Conti), all’impegno per la pace (Valentina Fortichiari), al progetto su Van Gogh (Nicola Dusi), al rapporto con lo scrittore Garcia Marquez (Gualtiero De Santi) e con gli ambienti cosmopoliti ebraici (Giorgio Boccolari)”.

La mostra sarà inoltre corredata da proposte didattiche rivolte a bambini e ragazzi delle scuole primarie e secondarie a cura delle sezioni didattiche della Biblioteca Panizzi e della Fondazione Palazzo Magnani.
L’assessore alla Cultura di Reggio Emilia, Annalisa Rabitti, afferma: “Questo nostro omaggio ad un grande della cultura italiana sarà un modo per approfondire la straordinarietà della figura e la poliedricità degli interessi culturali e sociale di Zavattini. Reggiano che si sentiva di casa nel mondo e dal mondo è stato ammirato ed amato”.

“Dall’indagine sulla dimensione internazionale di Zavattini – continua il curatore Alberto Ferraboschi – emerge l’ampio spettro d’attività dell’autore riguardante non solo la produzione cinematografica ma anche la letteratura nonché altre forme di scambi internazionali (partecipazione a delegazioni artistico-culturali, mostre, convegni, ecc.). L’insieme di queste pratiche e contatti consente di tracciare il profilo internazionale di un intellettuale promotore di una vera e propria diplomazia culturale”.

IMMAGINE DI APERTURACesare Zavattini in viaggio

Treviso: Natura in posa

TREVISO – MUSEO SANTA CATERINA
DAL 30 NOVEMBRE 2019 AL 31 MAGGIO 2020
NATURA IN POSA
Capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea

Martin Parr, SPAIN. Benidorm. 1997. © Martin Parr/Magnum Photos.

L’esposizione documenta come il soggetto della Natura morta si sia sviluppato tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il XVII secolo a livello europeo, attraverso 50 capolavori provenienti dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, presentati ora, per la prima volta, in Italia.

La rassegna è parte di un ampio progetto di promozione messo a punto dalla Città di Treviso insieme a importanti partner istituzionali allo scopo di valorizzare, in Italia e all’estero, le eccellenze culturali, artistiche ed enogastronomiche della città e dell’intero territorio della Marca trevigiana e del suo straordinario patrimonio di tradizioni.

La prima tappa di questo progetto promosso dalla Città di Treviso e Civita Tre Venezie, in collaborazione con il Kunsthistorisches Museum di Vienna, è la mostra NATURA IN POSA. Capolavori dal Kunsthistorisches Museum di Vienna in dialogo con la fotografia contemporanea, in programma dal 30 novembre 2019 al 31 maggio 2020, al Museo Santa Caterina a Treviso.

L’originale esposizione, curata da Francesca Del Torre, con Gerlinde Gruber e Sabine Pénot, documenta come il soggetto della Natura morta si sia sviluppato tra la fine del Cinquecento e lungo tutto il XVII secolo, invitandoci a guardare sotto una nuova luce uno dei generi più suggestivi della pittura europea.

La prestigiosa collezione del Kunsthistorisches Museum di Vienna mette a disposizione, per l’occasione, 50 capolavori – presentati per la prima volta in Italia – di Francesco Bassano, Jan Brueghel, Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Weenix, Gerard Dou, Evaristo Baschenis, Gasparo Lopez dei Fiori, Elisabetta Marchioni.

Il percorso, al tempo stesso tematico e cronologico, muove i primi passi dalla seconda metà del Cinquecento, con un’accurata selezione di scene di mercato e rappresentazioni delle stagioni di Francesco Bassano e di Lodovico Pozzoserrato, ancorando solidamente il tema nel contesto geografico del Veneto.

Il confronto con i mercati fiamminghi di Frederik van Valckenborch e Jan Baptist Saive il vecchio conduce il visitatore Oltralpe. È qui soprattutto, nel contesto geografico, culturale e politico dei Paesi Bassi, che tali creazioni si perfezionano e specializzano, declinandosi in alcune categorie, come le nature morte scientifiche con i mazzi di fiori, le vanitas o allegorie della caducità, le tavole apparecchiate, le nature morte religiose, le scene di caccia.

Artisti quali Jan Brueghel, Pieter Claesz, Willem Claesz Heda, Jan Weenix, Gerard Dou realizzano capolavori che incantano per fasto, creatività e perfezione di esecuzione. Un gruppo di nature morte italiane illustra, poi, attraverso le opere di Evaristo Baschenis, Gasparo Lopez dei Fiori, Elisabetta Marchioni la diffusione del genere nei vari centri artistici a sud delle Alpi.

Alcuni prestiti provenienti dalle collezioni di musei del Veneto, inoltre, sottolineano il successo di questo genere in Italia.

Completa la mostra la sezione, a cura di Denis Curti, dedicata alla fotografia contemporanea che testimonia come il tema della natura morta sia presente negli scatti di alcuni degli artisti più importanti e celebrati a livello internazionale.

La selezione di queste immagini parte dall’assunto che la fotografia è sempre il risultato di una messa in scena. Ogni scatto è il punto di arrivo di un’azione consapevole che vuole declinare con forza la necessità di penetrare la realtà e di andare oltre le apparenze. Si passa quindi dalle Vanitas, capaci di trarre in inganno di David LaChapelle, ai crudi e ironici reportage di Martin Parr sul consumo di massa, dai magnifici e sensuali fiori di Robert Mapplethorpe ai Flowers di Nobuyoshi Araki, dalla serie dedicata alle zuppiere di Franco Vimercati all’idea di classicità pittorica di Hans Op De Beeck, al progetto Herbarium di Nino Migliori.

Il termine Natura morta, nato in Francia nel Settecento e poi adottato anche in Italia, indica una categoria di opere d’arte che ha come soggetto scene di mercato e di cucina, mazzi di fiori, frutta, tavole apparecchiate, strumenti musicali, accessori per la caccia. La cultura “nordica” descrive tali composizioni con il titolo di still leffenstill leben e still life in tedesco e in inglese – a significare pitture che ritraggono oggetti immobili (still) al naturale. Il termine nordeuropeo mette inoltre in rilievo la dimensione contemplativa di queste rappresentazioni che invitano lo spettatore alla meditazione sulla caducità delle cose umane.

La ricchezza delle invenzioni, la varietà dei soggetti, la creatività dei diversi artisti e la preziosità di esecuzione caratterizzano tale genere di pittura che conquistò il rango di rappresentazione autonoma nei Paesi Bassi intorno al 1600. Tali soggetti affondano le radici nella cultura della Roma antica e sono presenti nel corso del medioevo soprattutto nei codici miniati, ma anche nella pittura, fino a svilupparsi nel naturalismo gotico. In forma di dettagli preziosi quali fiori, libri, vasi, tessuti in soggetti religiosi, questi temi, che spesso assolvono funzioni prospettiche e illusionistiche, riemergono nel Quattrocento prevalentemente come citazioni della vita quotidiana, inseriti in rappresentazioni di soggetti religiosi.

Essi si affermano progressivamente nel corso del Cinquecento in funzione decorativa, spesso inseriti nelle grottesche, come raffigurazioni delle stagioni e scene di mercato, a commento ed esemplificazione di scene religiose. Un ruolo di grande rilievo e impulso è ricoperto dalle illustrazioni scientifiche tipiche della riscoperta degli studi naturalistici a partire dalla seconda metà del secolo.

Accompagna la mostra un catalogo edito da Marsilio Editori.

IMMAGINE DI APERTURAAnonimo, Natura morta con astice, Seconda metà XVII secolo, Olio su tela, 48 cm × 41,5 cm, Courtesy KHM-Museumsverband

Piacenza: MES – Museo dell’Emigrazione Giovan Battista Scalabrini

A Piacenza
Domenica 1° dicembre 2019
Apre il
MES – Museo dell’Emigrazione Giovan Battista Scalabrini

Allestito all’interno della Casa madre dei Missionari Scalabriniani, il MES si struttura come un percorso multimediale in grado di ripercorrere l’esperienza migratoria in tutte le sue fasi, dalla partenza, al viaggio, all’arrivo e all’inserimento in un paese straniero.

Dedicato a Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza dal 1876 al 1905, definito il “Padre dei migranti”, il museo farà conoscere uno dei fenomeni avvertiti con massima attenzione dalla società attuale.

All’interno della proiezione a 270°, situazione migratoria a partire dal 1870,
ritratti di persone che hanno lasciato gli Appennini e raccontano le loro storie
All’interno della proiezione a 270°, situazione migratoria a partire dal 1870,
ritratti di persone che hanno lasciato gli Appennini e raccontano le loro storie

Dal 1° dicembre 2019, Piacenza si arricchisce di un nuovo spazio culturale, interamente dedicato all’esperienza migratoria, uno dei fenomeni avvertiti con massima attenzione dalla società attuale. All’interno della Casa madre dei Missionari Scalabriniani, infatti, si apre il MES – Museo dell’Emigrazione Scalabrini.

Promosso dal Centro Missionari di San Carlo – Scalabriniani, con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, il MES andrà ad arricchire il programma di Piacenza 2020, in linea con il tema “Crocevia di culture”. Si struttura come un percorso multimediale, interattivo e multisensoriale ideato dall’architetto Manuel Ferrari con contenuti multimediali di Twin Studio che, attraverso video, immagini e suoni, condurrà il visitatore ad approfondire il tema delle migrazioni, facendone comprendere il divenire storico, le dinamiche socio-politiche dal 1870 fino ad oggi, le soluzioni illuminate che un grande uomo di pensiero e azione come monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), vescovo di Piacenza tra il 1876 e il 1905, definito il Padre dei migranti, ha saputo mettere in campo, mostrando come la sua azione sia ancora viva nel mondo, grazie all’operato delle congregazioni religiose e laiche da lui fondate.
L’esperienza migratoria è presentata nei suoi momenti salienti: dalla partenza con tutte le sofferenze legate al distacco dai propri cari e dalla propria terra, all’opera ignominiosa dei “sensali di carne umana”, come li definiva lo stesso Scalabrini, ai pericoli del viaggio, alle difficoltà d’inserimento in un paese straniero e spesso ostile che li costringeva ad accettare i lavori più umili e degradanti e ad affrontare ogni sorta di sacrifici per dare un futuro alla famiglia e per aiutare i parenti rimasti in patria

Il MES intende soprattutto fare luce su una vicenda storica, come l’emigrazione italiana, sulla quale è calato il silenzio, proprio nel momento in cui si fa ogni giorno più acuto il dramma di intere generazioni che, ieri come oggi, fuggono dalla povertà e dalla miseria, dalla guerra e dalla violenza, dallo sfruttamento e dalla persecuzione.
Il percorso espositivo, suddiviso in quattro sale, si apre con quella che racconta la storia della migrazione, in particolare di quella piacentina ed emiliano-romagnola, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, attraverso immagini, suoni, testi, interamente tratti dal repertorio archivistico della Casa Madre dell’Ordine Scalabriniano, proiettati in uno spazio circolare. Le citazioni audio di Giovanni Battista Scalabrini consentono un’esperienza immersiva capace di esemplificare il disagio vissuto da chi ha scelto di emigrare.
Da qui si accede a una piccola stanza simile a quella che si poteva incontrare in una casa rurale tipica del territorio piacentino – con il grande camino, un pagliericcio, le valigie pronte per la partenza. Testimonianze, immagini, documenti inediti, raccontano la vita delle persone che a causa di un malessere non più sostenibile scelsero di cercare fortuna altrove con i mezzi allora disponibili.

La seconda sala, ripropone l’esperienza del viaggio a partire dalle citazioni dei viaggiatori dell’epoca che fanno ben comprendere le enormi difficoltà cui andava incontro chi cercava un futuro migliore per sé e per i propri familiari.
Il visitatore è accolto dalla ricostruzione di una biglietteria del tempo e dalla riproduzione in grande scala della Giulio Cesare, una delle navi transatlantiche più veloci del tempo. Qui viene distribuito il biglietto di viaggio e, dopo il timbro e i controlli di rito, si entra fisicamente nella pancia dell’imbarcazione, ovvero in una scomoda e buia terza classe arredata con i lettini in ferro. L’esperienza del viaggio è rivissuta attraverso un oblò posto al centro dell’ambiente, su cui scorreranno tutte le tappe del viaggio: dalla partenza dal porto d’imbarco, al viaggio in mare aperto, con i canti e passatempi per rendere sopportabile quell’interminabile tragitto, fino all’arrivo nel porto di Ellis Island, con lo sguardo rivolto alla Statua della Libertà.

Il racconto continua con la sezione “Gli italiani nel mondo e la visione di Scalabrini”, in cui viene mostrato quanto dovettero subire i nostri connazionali, una volta arrivati in Europa e in America. Le discriminazioni e le difficoltà che furono costretti a fronteggiare non lasciarono insensibile Giovanni Battista Scalabrini, che sentì urgente il dovere di dare immediato sostegno alle famiglie dei migranti.
Varcata la soglia della terza sala, il visitatore è accolto da un ologramma del Vescovo, che racconta la sua visione del fenomeno migratorio in atto e le scelte adottate in aiuto a queste persone. La metafora dell’intensa vita del vescovo è tradotta da uno schedario, al cui interno sono presenti supporti multimediali video e oggetti dal grande valore storico-testimoniale, che espongono le tappe più significative del suo operato. All’interno di antiche valigie di cartone, alcuni video raccontano i due viaggi di Scalabrini in America.

Il percorso si conclude con la sala dedicata alle migrazioni oggi, attraverso i dati messi a disposizione dagli scalabriniani presenti con missioni e case in tutto il mondo. Una serie di ritratti video-fotografici di immigrati a Piacenza nell’ultimo ventennio consente, attraverso testimonianze toccanti, di comprendere l’azione dei padri scalabriniani nella direzione della “cultura dell’accoglienza” verso una “casa comune”.
L’inaugurazione del Museo dell’Emigrazione è parte del programma di Piacenza 2020, il ricco calendario di eventi culturali, promosso dal Comune di Piacenza, dalla Fondazione Piacenza e Vigevano, dalla Diocesi Piacenza-Bobbio, dalla Camera di Commercio di Piacenza, in linea con il tema scelto: “Crocevia di culture”.

Cenni biografici

Giovanni Battista Scalabrini nacque l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco (Como). Ordinato sacerdote nel 1863, divenne professore e rettore del seminario diocesano S. Abbondio di Como e, nel 1870, parroco di San Bartolomeo a Como. Nel 1876, venne ordinato vescovo della diocesi di Piacenza che resse fino alla morte. Durante il suo apostolato, fondò le Scuole della Dottrina Cristiana, pubblicò la rivista il “Catechista Cattolico”, celebrò il primo Congresso Catechistico nazionale nel 1889, meritandosi l’appellativo di “Apostolo del Catechismo” da papa Pio IX.
Come “Padre degli emigranti”, fondò nel 1887 la Congregazione dei missionari di San Carlo. Due anni più tardi, nel 1889, istituì l’associazione laicale San Raffaele per l’assistenza ai migranti e, nel 1895, le Suore missionarie di San Carlo. Intraprese due viaggi per visitare le missioni scalabriniane in America: nel 1901 negli Stati Uniti e nel 1904 in Brasile. Morì a Piacenza il 1° giugno 1905.
È stato proclamato beato da papa Giovanni Paolo II, il 9 novembre 1997.

Missionari scalabriniani

La Congregazione dei missionari scalabriniani è nata a Piacenza nel 1887 per assistere gli emigranti italiani che partivano in massa per le Americhe. Nei decenni la missione di assistenza ai migranti si è estesa ad altri continenti, nazionalità e soggetti della mobilità umana. Da oltre 50 anni la congregazione è internazionale sia nei suoi destinatari sia nei suoi componenti. Oggi i missionari sono circa 700, di circa 40 nazionalità diverse e operano in 34 paesi.
In Europa e in Africa, unite in un’unica Regione scalabriniana, si contano oggi 200 missionari presenti in 29 città di 10 nazioni, tutti impegnati in una variegata gamma di servizi sociali e religiosi offerti a migranti, rifugiati, richiedenti asilo e marinai di diverse nazionalità e confessioni religiose. L’azione di missionari, religiosi e sacerdoti è coadiuvata da circa 600 operatori laici che, a tempo pieno o a tempo parziale, partecipano alle varie attività di assistenza.

IMMAGINE DI APERTURA – Riproduzione di una stanza di abitazione degli appennini di fine ‘800

Vicenza – Un architetto al tempo di Canova: Alessandro Papafava

30 Novembre 2019 – 13 Settembre 2020
Vicenza, Palladio Museum
UN ARCHITETTO AL TEMPO DI CANOVA: Alessandro Papafava e la sua raccolta
Sito web: https://www.palladiomuseum.org/exhibitions/papafava

Collaboratore di Giacomo Quarenghi, Padiglione corinzio

Apre sabato 30 novembre la mostra su una vicenda straordinaria: una raccolta di disegni di architettura rimasta intatta perché protetta per secoli nell’archivio di una nobile famiglia padovana, in grado di trasportarci in un mondo lontano, quello di Alessandro Papafava (1784-1861), architetto padovano cresciuto in tempi difficili ma fervidi di passioni, all’indomani della caduta della Serenissima.
L’eccezionale raccolta di 49 fogli di vario formato e di stampe di celebri architetti a cavallo tra due secoli – fra cui Giacomo Quarenghi, Giuseppe Camporese e l’inglese Joseph Michael Gandy – venne riunita da Alessandro tra il 1803 e il 1807. In quegli anni il giovane Papafava si trovava a Roma per volere della madre, preoccupata di allontanarlo dai suadenti ideali napoleonici che nel Veneto avevano sedotto più di un giovane aristocratico. Dopo un periodo trascorso tra Budapest, Dresda, Vienna e Berlino, era rientrato in Italia e, su consiglio del conterraneo Antonio Canova, aveva iniziato a studiare architettura presso l’Accademia di San Luca.

Dopo due secoli, questo prezioso materiale è stato generosamente donato dalla famiglia Papafava dei Carraresi al Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza perché fosse conservato al Palladio Museum. La donazione è stata fatta in memoria del conte Novello Papafava dei Carraresi e di sua moglie Bianca Emo Capodilista per volontà dei figli Benedetta, Alberto, Fina, Marsilio, Alessandro, Donata, nonché degli eredi dei non più viventi Lieta e Francesco.
La raccolta, conservata integra dalla famiglia Papafava per più di 200 anni, è costituita da materiali di altissima qualità grafico-pittorica e riveste un valore storico enorme: essa ci restituisce infatti una rara istantanea degli interessi di un giovane studente di architettura fra Sette e Ottocento, totalmente immerso nella cultura architettonica negli anni in cui i modelli del Neoclassicismo romano arrivarono nel Veneto, rivoluzionandone il gusto. Alessandro Papafava, giovane ed entusiasta studioso d’arte, oltre all’Accademia frequentava i più influenti atelier artistici, come i laboratori di Canova e della pittrice Angelika Kauffmann e quelli degli architetti Giuseppe Camporese, Vincenzo Balestra e Mario Asprucci, acquistando da loro le stampe e i bellissimi disegni acquerellati, insieme a quelli dell’inglese Joseph Michael Gandy, autore delle immaginifiche vedute dei progetti di Sir John Soane, e di Giacomo Quarenghi (di cui nel 2017 si è celebrato il bicentenario della morte). Tornato a Padova, Alessandro Papafava utilizzò quanto imparato a Roma sia nella riprogettazione delle sale e degli arredi dell’appartamento neoclassico nel palazzo di famiglia a Padova sia nel ridisegno austero delle facciate e degli interni nella villa di Frassanelle, ai piedi dei Colli Euganei.

Così facendo, mettendosi in contatto con l’ambiente artistico locale – conosceva certamente Giuseppe Jappelli – e condividendo i suoi studi, i “suoi disegni” e la sua esperienza, Alessandro contribuì concretamente all’affermazione e alla diffusione dello stile neoclassico nel Veneto. Per tutto il resto della sua vita continuò a coltivare gli stessi interessi, ricoprendo numerosi incarichi civici ed essendo nominato Membro dell’Accademia di Belle Arti di Venezia e Deputato della Congregazione Provinciale di Padova.
La cura della mostra e del catalogo, dedicati alla collezione e al mondo di Alessandro Papafava, è stata affidata a due celebri studiosi: lo specialista irlandese Alistair Rowan, già presidente del Society of Architectural Historians of Great Britain e profondo conoscitore della raccolta, e Susanna Pasquali, docente alla Sapienza di Roma e membro del Consiglio scientifico del CISA Andrea Palladio, curatrice, fra l’altro, del volume dedicato al Settecento nella Storia dell’architettura nel Veneto (Marsilio 2012). Al loro fianco hanno lavorato specialisti dell’arte e dell’architettura del Sette-Ottocento, da Piervaleriano Angelini (Osservatorio Quarenghi, Bergamo) a Elena Catra (Università Ca’ Foscari, Venezia), da Fabrizio Di Marco (Università La Sapienza, Roma) a Stefano Grandesso (Galleria Carlo Virgilio & C., Roma).

IMMAGINE DI APERTURAAlessandro Papafava, Studio accademico di capitello corinzio e relativa trabeazione.