11- Letture estive: “Feria d’agosto” di Cesare Pavese – Il prato dei morti

La scelta delle letture estive è talmente impegnativa che si preferirebbe essere già a settembre. Naturalmente stiamo scherzando, perché i suggerimenti offerti sono talmente tanti che potremmo trascorrere tutto il tempo a passarli in rassegna. La Redazione Il Libraio, ad esempio, fornisce una lunga e documentata lista di Libri da leggere: oltre 200 consigli per l’estate 2022. Dovete solo acquistare il libro che preferite e portarvelo sotto l’ombrellone.

In verità, l’espressione “libro da ombrellone” sembra alquanto irriverente trattandosi di letture, che certo non vorremmo fossero del tutto disimpegnate e superficiali. La proposta che vi facciamo è, quindi, (ri)scoprire un bel libro di un grande autore italiano del Novecento. Un libro solo, da leggere, capitolo dopo capitolo, dovunque voi siate.

Feria d’agosto di Cesare Pavese, raccoglie brevi racconti incentrati sugli anni giovanili dell’autore: la vita in campagna, le vigne, l’infanzia in contrapposizione col mondo degli adulti, la voglia di lasciare quelle colline e conoscere il mondo. Infine, la città, le case, le feste, le amicizie. Sono temi che si ritrovano anche in altri capolavori di Cesare Pavese. Sono i temi che per tutto il mese d’agosto ci accompagneranno sulle pagine di Experiences. Buona lettura e buone ferie, per voi e per noi.

Parte seconda: La città

Il prato dei morti

La finestra donde si poteva assistere ai delitti dava su un largo erboso, chiuso in fondo da certe baracche di legno. Sotto la finestra correva un canale, di quelli traboccanti ma lenti, che escono da sotto le case per una griglia nera. Un tempo il canale serviva ai suicidi ma adesso non se ne fanno più. La mattina si trovava sullo spiazzo solitario la vittima, distesa nel sangue, accoppata, o anche strangolata. Facevano pena le ragazze, vestite di colore, a volte eleganti. C’era una sala da ballo sul viale, a duecento metri, con grandi pergolati e gioco di bocce. Di là venivano queste ragazze. Venivano anche gli uomini – sportivi, operai, negozianti – e questi finivano quasi sempre accoltellati.

Dalla finestretta, nelle notti di luna, si vedeva benissimo la scena. Una coppia girava l’angolo – uomo e donna, oppure due uomini, a volte persino due vecchi – e costeggiando il canale avanzavano sullo spiazzo con un’inesplicabile temerità. È che quasi sempre discutevano, oppure, se tacevano, erano assorti nel farsi il broncio, nel disperarsi, nel tranquillare l’altro. Così accadeva che arrivassero fin nel prato, sotto la luna, e qui l’improvviso intralcio dell’erba li faceva alzare il capo e guardarsi intorno. Le loro parole suonavano limpide nella notte. Quasi mai erano grida o ruggiti di isterici e cavernosi. Parlavano invece con un’ombra di stanchezza, come se quelle cose le avessero già dette e ridette all’infinito e si trattasse adesso di ricapitolare per concludere. Questo scambio d’idee prima del delitto, avveniva sempre. Forse, in passato, sullo spiazzo deserto s’erano aggrediti degli sconosciuti, ma ormai non accadeva più da un pezzo. Del resto come tendere imboscate in quell’angolo morto dove non passava mai nessuno? No, là si andava da pari a pari, come a passeggio. C’è da scommettere che alla vittima, quando cacciava il suo grido soffocato come un gemito, e le rare volte che restava poi sull’erba a rantolare e dibattersi ancora, guizzava in mente il pensiero di aver sempre saputo che sarebbe finita così.

Né mancava l’assassino che, compiuto il fatto, si fermava irresoluto a guardare il cielo, l’orizzonte basso. Probabilmente si chiedeva quale fosse di chiaro giorno l’aspetto dello spiazzo, e cercava di spogliare la scena del suo orrore lunare e immaginarla come un luogo qualunque sotto il sole, incorniciato da colline nel fondo come tutta la città.

Erano quelli i momenti che giungeva da sopra le case un clamore d’orchestra o un cozzo di bocce. Allora l’assassino scappava. Scappava e spariva, non si capiva mai dove. Molti probabilmente tornavano alla sala da ballo, rallentando il passo via via che s’avvicinavano, e gettando un’occhiata atona nella grande specchiera d’ingresso. Una volta ce ne fu uno che attraversò la strada e venne a lavarsi le mani nell’acqua del canale. Ma fu uno solo.

La vittima restava sotto la luna fino al mattino. Guardando dalla finestretta nella notte chi poteva sapere dei suoi lividi o del lago di sangue? Queste cose sarebbero esistite al mattino: adesso i minuti passavano tranquilli, l’orchestra aveva chiuso da un pezzo e anche la passione gli interessi il furore che per un istante avevano empito la notte, erano dileguati, come i vapori allo spuntare della luna. Nemmeno faceva freddo. C’era soltanto una persona che in tutta la notte si sentiva nelle ossa un po’ di gelo, e questa persona era scappata. La vittima riposava in pace.

Una notte ce ne furono due. Venne un tale con una ragazza e la strozzò. Dopo mezz’ora di luna, sbucarono all’angolo un paio di uomini anziani, un po’ ciondolanti, che andarono lì lì per cascare nel canale. Ma gli ubriachi sanno quello che vogliono. Presero il prato rimproverandosi un’antica villania. A due passi dalla prima vittima si sentì un sospiro rauco e uno dei due restò in piedi, pulendosi il coltello sui calzoni. Poi se ne andò, sotto la luna.

Non pareva che valesse più la pena di guardare: per quella notte era finita. Chi non avesse assistito prima, non avrebbe mai conosciuto i due mucchi scuri, distesi accanto immobili. Era notte alta; l’acqua gorgogliava nel canale, la luna regnava sola. Fu allora che un brontolío roco (la finestretta era alta: possibile che di là si sentisse?) riempì tutta la notte.

Diceva: — Donna, è lontano da casa?

E la voce di lei: — Facciamo ancora un giro, poi devo scappare.

Il dialogo cessò. Era evidente che i due non avevano altro da dirsi e tacquero in pace. Ma poco dopo la ragazza riprese:

— Torneremo domani e saremo noi soli.

— Che cosa vuoi dire? che non sopporto la strada?

Si sentí piagnucolare: — Non hai vergogna della luna?

— Donna, è lontano da casa?

Adesso parlavano, parlavano. Ciascuno con la sua voce più sola, come convinto che l’altro non l’ascoltava, come se l’ascoltasse la luna. Era notte avanzata, e cominciavano a passare nuvole davanti alla luna, nascondendo lo spiazzo le baracche ogni cosa. Faceva pena pensare che i due morti si sforzassero così inutilmente. Ma un poco alla volta le voci s’assottigliarono e sotto un nuvolone più grande degli altri tacquero definitivamente.


Edizione completa sulla pagina dedicata a Feria d’agosto di liberliber.it . Testo digitalizzato da Claudio Paganelli, paganelli@mclink.it, revisionato da Catia Righi, catia_righi@tin.it, e Ugo Santamaria.