Milano – Ritorna visibile al pubblico il Raffaello dell’Ambrosiana

Al termine del restauro conservativo dal 27 marzo 2019 ritorna visibile al pubblico Il Raffaello dell’Ambrosiana. In principio il Cartone.
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IMMAGINE DI APERTURA – il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello; © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Malcangi / Mondadori Portfolio

Dopo quattro anni di intenso lavoro, è giunto al termine il restauro del Cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Il progetto di restauro e valorizzazione e il nuovo allestimento, in cui l’opera verrà inserita, saranno mostrati alla città e al pubblico internazionale il 27 marzo 2019 con l’evento espositivo Il Raffaello dell’Ambrosiana. In Principio il Cartone. Fondazione Fiera Milano, partner ufficiale della Veneranda Biblioteca Ambrosiana per il biennio 2018-2019, contribuirà a sostenere le attività promozionali del Cartone di Raffaello, completamente restaurato, così come quelle di valorizzazione del patrimonio leonardesco dell’Istituzione, realizzate in occasione del V Centenario della morte del genio fiorentino.

Si tratta del più grande cartone rinascimentale a noi pervenuto (misura 285×804 centimetri) ed è interamente realizzato dalla mano di Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520) come disegno preparatorio, a grandezza naturale, della Scuola di Atene, uno dei quattro affreschi commissionati nel 1508 a Raffaello da Papa Giulio II per decorare la Stanza della Segnatura in Vaticano. Benché l’opera sia nota come Scuola di Atene, il titolo corretto è La Filosofia: le quattro pareti della Stanza della Segnatura propongono infatti – secondo un complesso programma iconografico – la Filosofia, la Teologia (Disputa sul Santissimo Sacramento), la Giurisprudenza (Le Virtù) e la Poesia (Il Parnaso).

Il Cartone dell’Ambrosiana si è conservato integralmente poiché non venne effettivamente utilizzato per trasportare il disegno di Raffaello sulla parete, ma per mostrare al Papa l’effetto complessivo dell’opera una volta ultimata. Il capolavoro, diviso in “duoi pezzi di disegno di Raphaele d’Urbino in cartone”, arrivò in Ambrosiana nel 1610 come prestito dal conte Fabio II Visconti di Brebbia, per essere poi ceduto definitivamente nel 1626 dalla vedova Bianca Spinola Borromeo, per l’esorbitante somma di seicento lire imperiali. Nel maggio del 1796, venne requisito dal commissario francese Peignon, che cita il Cartone in testa alle opere da confiscare all’Ambrosiana: a Parigi si avviò una lunga procedura per il restauro dell’opera. Il 30 settembre 1815 il Cartone venne consegnato dal Direttore Generale del Louvre alla Commissione austriaca per il recupero delle opere d’arte provenienti dalle regioni italiane di dominio austriaco. Trasferito nel 1918 a Roma per essere tutelato dai rischi dei bombardamenti bellici, nel 1942 venne messo al sicuro nel caveau della cassa di Risparmio delle Province Lombarde; nel 1946 venne esposto alla mostra di Lucerna organizzata per recuperare fondi per la ricostruzione dell’Ambrosiana. L’ultimo rinnovamento della sala 5 della Pinacoteca Ambrosiana, a cura di Luigi Caccia Dominioni, avvenne nel 1966.

Nel 2014 la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, per il tramite della Fondazione Cardinale Federico Borromeo, avviò sul Cartone una lunga e laboriosa attività di indagine e opera di restauro conservativo, coordinato da un prestigioso Comitato Scientifico composto dal Collegio dei Dottori della Biblioteca Ambrosiana e da Esperti dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, dei Musei Vaticani, della Soprintendenza di Milano e del Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, con la consulenza tecnica di Pinin Brambilla Barcilon, affiancati da docenti di diverse Università italiane. L’intervento è stato interamente sostenuto dal contributo della società RaMo SpA, per volontà del Fondatore Giuseppe Rabolini. Al termine delle operazioni di restauro, dirette e coordinate da Maurizio Michelozzi, il Cartone verrà inserito in una nuova teca, a sostituzione di quella realizzata nel 1966 da Luigi Caccia Dominioni, e tornerà visibile al pubblico completamente restaurato dal 27 marzo 2019.
Progettata e realizzata dalla società Goppion SpA per rispettare i delicati vincoli conservativi dell’opera e, insieme, per permettere la visione del cartone senza interferenze, la nuova teca si compone di un’imponente lastra di vetro protettivo di circa 24 mq.

Contestualmente, è in corso un riallestimento della sala espositiva, interamente dedicata al Cartone di Raffaello, su progetto di Stefano Boeri Architetti, con apparati che illustreranno il restauro e la storia di questo capolavoro, ed elementi unici di arredo realizzati ad hoc da Riva 1920. L’operazione rafforza la presenza dell’opera e della Pinacoteca stessa all’interno di un circuito “ideale” della Milano rinascimentale: in un’area di pochi chilometri quadrati saranno visitabili l’Ultima Cena di Leonardo (Santa Maria delle Grazie), la Pietà Rondanini di Michelangelo (Castello Sforzesco) e appunto il Cartone della Scuola di Atene di Raffaello restaurato. Inoltre, grazie alla ricchezza delle collezioni e alla trasversalità dei percorsi, la Pinacoteca si apre alla città proponendo numerose visite guidate e attività didattiche per scuole, famiglie e per il pubblico adulto, ideate e realizzate da Ad Artem e Milanoguida. Infine, i visitatori della Pinacoteca potranno usufruire di nuove audioguide, create dalla società Seelabs Soluzioni e Servizi srl, grazie al contributo del Gruppo Esprinet che doterà il Museo dei devices necessari. L’esposizione del Cartone sarà accompagnata da una pubblicazione bilingue italiano/inglese (Electa editore) con testi di Alberto Rocca, Direttore della Pinacoteca Ambrosiana.

Il cartone preparatorio della Scuola di Atene di Raffaello; © Veneranda Biblioteca Ambrosiana / Malcangi / Mondadori Portfolio

Milano, Banca Generali – “Hana to Yama” di Linda Fregni Nagler

La mostra visitabile dal 17 dicembre 2018 al 7 aprile 2019 nella sede di Banca Generali Private, in piazza S. Alessandro 4 a Milano

IMMAGINE IN APERURA – Linda Fregni Nagler, Jinrikisha (YS_ FUJI_LFN_032), 2018 Hand Colored Gelatin Silver Print, cm 22,3 x 29,3, framed cm 42,4 x 43,7

Banca Generali presenta nella sede Private di Piazza Sant’Alessandro 4 a Milano la mostra d’arte “Hana to Yama” di Linda Fregni Nagler, una delle artiste italiane più interessanti e apprezzate nel panorama internazionale. La personale propone più di 30 fotografie legate alla sua ricerca pluriennale sulla “Scuola di Yokohama” sviluppatasi in Giappone nella seconda metà dell’Ottocento in concomitanza con l’apertura delle frontiere e la modernizzazione del paese, che attirò all’epoca molti artisti e intellettuali in quello che venne definito una sorta di nuovo “grand tour d’oriente”.

L’idea di esporre per la prima volta a Milano, dove la Nagler vive e lavora, questa serie dedicata alla fotografia giapponese nasce dalla proposta di Banca Generali e del curatore Vincenzo De Bellis, Direttore Associato e Curatore del Walker Art Center di Minneapolis negli Stati Uniti e Co-Direttore della Fondazione Furla in Italia – di portare nuova luce sul talento italiano. Dopo sette anni con vari esperimenti espositivi, la banca private ha infatti scelto di istituire un nuovo progetto triennale: BG Art Talent punta a valorizzare la creatività italiana nelle sue varie espressioni artistiche, con particolare attenzione alle proposte più innovative tra gli artisti contemporanei attraverso un programma di acquisizioni e esposizioni.

Patrocinata dal Comune di Milano, “Hana to Yama” offre un nuovo scorcio su uno stile fotografico che univa la tecnica occidentale della stampa all’albumina con la tradizionale maestria dei pittori locali, con risultati artistici innovativi e di notevole pregio. Grande collezionista di fotografie storiche e affascinata dalle peculiarità di questa scuola, Linda Fregni Nagler porta avanti da diversi anni un percorso di raccolta di soggetti appartenenti a questo genere fotografico con l’obiettivo di far rivivere un mondo in via di estinzione e richiamare il carattere artistico di queste immagini, per le quali si presenta anche una grande difficoltà di attribuzione.

L’Amministratore Delegato Gian Maria Mossa: “Siamo davvero felici di ospitare nei nostri spazi questa personale di Linda che rappresenta un qualcosa di unico e molto originale anche per l’attento pubblico di appassionati d’arte a Milano. Il suo lavoro colpisce non solo per la straordinaria eleganza ed espressività, ma anche per il grande studio che c’è alle spalle, come si evince dall’attenzione ai dettagli frutto dell’immenso lavoro di raccolta e catalogazione, ri-fotografia e pittura nella ricostruzione delle opere. Un ringraziamento sincero a Linda per la raffinatezza di questa mostra e a Vincenzo per la passione dimostrata e la disponibilità nel voler accompagnarci in questo percorso assieme a favore del talento italiano

Il curatore Vincenzo De Bellis: “Linda Fregni Nagler da anni porta avanti una ricerca puntuale sulla natura, sui meccanismi e sulle ambiguità del linguaggio fotografico che fanno di lei una delle rappresentanti più interessanti e significative dell’arte Italiana della sua generazione. Una generazione che si appresta alla piena maturità artistica”.Tornando ai dettagli della mostra; il titolo della mostra, “Hana to Yama” (Fiori e Montagna), rispecchia i due nuclei di fotografie presentati: i venditori ambulanti di fiori e le vedute del Monte Fujiyama, ovvero i due tipici soggetti che ricorrono nella Scuola di Yokohama.

L’artista ha ri-fotografato gli originali in suo possesso, li ha stampati in camera oscura su carta cotone e li ha colorati a mano, dopo un lungo processo di ricerca e messa a punto di materiali e pigmenti che oggi possono essere assimilati a quelli della Yokohama Shashin. Nel suo studio si è, di fatto, messa in atto una catena di lavoro simile a quella degli studi giapponesi.

Il percorso espositivo prende avvio dai Flower seller che ritraggono venditori ambulanti di fiori che attiravano l’attenzione dei viaggiatori occidentali con le piccole architetture portatili con le quali trasportavano i fiori, elementi della natura imprescindibili nel quotidiano giapponese. Linda Fregni Nagler ripropone queste immagini in otto fotografie di grande formato in cui i soggetti posano, consapevoli di essere guardati, nello studio del fotografo, davanti a un fondale neutro, assumendo pose fiere e ieratiche.

La mostra prosegue con le viste del Fujiyama. Si tratta di fotografie per lo più anonime, scattate dai punti privilegiati per la vista della montagna. Nelle immagini originali, questi luoghi ricorrono e creano dei cortocircuiti visivi: si assomigliano tutte ma sono sempre diverse, a volte in dettagli che non si riconoscono al primo sguardo, perché sono state scattate in tempi diversi, da fotografi diversi, con apparecchi fotografici diversi. L’artista li ha raggruppati, ri-fotografati, ristampati e colorati a mano, cercando di uniformare le atmosfere luminose e cromatiche di questi piccoli nuclei fotografici. Accompagna la mostra un volume Humboldt books in duplice lingua, italiano e inglese.

Bassano del Grappa (Vi), Museo Civico – Valentina. Una vita con Crepax

Bassano del Grappa (Vi), Museo Civico
Valentina. Una vita con Crepax
Mostra a cura dell’Archivio Crepax
1 Dicembre 2018 – 15 Aprile 2019
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IMMAGINE IN APERTURA – Guido Crepax: Cover del Long Playing Nuda dei Garybaldi, 1972

Guido Crepax: Un Poco, 1966

Valentina, la donna di una vita. Per Guido Crepax ma anche per milioni di uomini (e di donne) nel mondo. Arriva ai Musei Civici di Bassano del Grappa, affascinante protagonista di una esposizione originale quanto spettacolare, totalmente nuova rispetto alle recenti mostre che a lei e al suo creatore sono state dedicate in anni anche recenti a Roma e a Milano.
A Bassano, Valentina Rosselli, in arte solo Valentina, accoglierà amici e ospiti, dal 1 dicembre al 15 aprile, da bellissima padrona di casa.
Nessuno noterà i suoi molti anni, oltre 70, attraversati con l’intangibilità che appartiene al sogno e al disegno.
Protagonista di una vita normale e onirica, di cui la seconda è fuga dalle difficoltà della prima. Una vita molto reale, marchiata dall’anoressia, dalle allucinazioni, dalle difficoltà. Una difficile quotidianità superata dalla realtà altra, quella del sogno, là dove tutto è consentito e nulla è impossibile o censurabile. Donna forte e fragilissima, donna normale, quindi. E anche per questo Valentina è il ritratto di un’epoca, oltre che il frutto di un uomo di genio, il suo creatore, Guido Crepax.

Chiara Casarin, direttore dei Musei Civici di Bassano del Grappa, e Giovanni Cunico, Assessore alla Cultura del Comune, spiegano il perché di questa mostra bassanese: “Valentina è una delle icone femminili più affascinanti della storia del fumetto italiano. Il suo creatore, Guido Crepax, sarebbe stato il più ambito ospite nella nostra commissione per la Biennale di Incisione e Grafica Contemporanea che si terrà nella primavera del 2019 che questa mostra vuole anticipare nella stessa sede (la Galleria Civica dei Musei di Bassano del Grappa) e con un omaggio, una dedica al grande autore internazionalmente ammirato. Il progetto espositivo è stato concepito dai tre figli di Crepax ad hoc per questa occasione e si conferma come momento di produzione culturale rivolta al pubblico più ampio e vede il suo focus nel lavoro di un artista contemporaneo volto alla valorizzazione delle tradizioni e del genius loci a partire dalle collezioni dei Remondini, con le loro stampi popolari, per arrivare alla sesta Biennale che ormai è un appuntamento consolidato della città sul Brenta”.
Valentina e Crepax sono i co-protagonisti della mostra al Museo Civico che ripercorre le tappe della vita di entrambi.

“In questa ricerca delle origini del lavoro di una vita, che trascende l’ambito del fumetto e colloca l’Autore e il suo personaggio tra i testimoni di quarant’anni di vita italiana, la città di Venezia è un tassello fondamentale nella sua formazione”, anticipano i curatori. Infatti, vent’anni prima della nascita di Valentina (pubblicata per la prima volta sulla rivista Linus nel 1965), un Crepax appena dodicenne, aveva realizzato, proprio a Venezia (dove aveva abitato con la famiglia tra il ’43 e il ’45 per sfuggire alla guerra), i suoi primi albi a fumetti ispirati a film horror degli anni ’30/’40 e sognava di diventare un autore di storie a fumetti. Figlio d’arte di un musicista, primo violoncello alla Fenice di Venezia e poi alla Scala di Milano, e fratello di un’emergente manager discografico, Crepax ottenne i primi incarichi professionali in ambito musicale illustrando centinaia di cover di dischi di tutti i generi musicali. Notato come illustratore adatto per la pubblicità, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, realizzò importanti campagne pubblicitarie per Shell, Dunlop, Campari e i tessuti Terital. Contemporaneamente, lavorò anche a sigle e scenografie per alcuni programmi televisivi, scenografie di spettacoli teatrali e storyboard cinematografici. Disegnò anche centinaia di illustrazioni per riviste (Novella, Tempo Medico, ecc.) e copertine di libri. Dopo una parentesi dedicata al principale passatempo dell’autore (realizzare giochi da tavolo basati sulla sua passione per la ricostruzione storica e caratterizzati dal suo incredibile gusto estetico), la mostra si focalizza sul personaggio di Valentina che, unico nel mondo dei fumetti, invecchia, vive in una realtà possibile (anche se con frequenti divagazioni oniriche) ed ha una psicologia complessa, passioni e idee che possono essere comuni a molte donne reali. L’ultima tappa del percorso dedicato all’evoluzione artistica dell’autore (al piano terra) sarà dedicata alla scelta di Crepax, innovativa per il mondo tradizionale del fumetto, di fare delle donne le protagoniste delle proprie storie. Non solo per un fatto estetico o legato alla valenza erotica delle sue storie, ma per distinguersi dagli altri fumetti, uscire dal solco della tradizione, esplorare mondi psicologici e stili narrativi nuovi e, talvolta, anche per far discutere, riflettere, scandalizzare. Il primo piano sarà dedicato, invece, ai tanti contenuti video dedicati all’Autore e al personaggio di Valentina e ai possibili sviluppi futuri: la video arte e la colorazione delle pagine legate in un’installazione dove le pagine si colorano progressivamente e grandi tavole su cavalletti forniscono un saggio dell’ultimo progetto editoriale di Archivio Crepax: la nuova collana con le storie più belle a colori realizzata per la Repubblica.

Mantova, Castello di San Giorgio – Pietre colorate molto vaghe e belle

Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova
e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze
“Pietre colorate molto vaghe e belle”
Arte senza tempo dal museo dell’Opificio delle Pietre Dure

Castello di San Giorgio
20 ottobre 2018 – 31 marzo 2019
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IMMAGINE IN APERTURA – Manifattura granducale, Formella con pappagallo su albero di pero, ultimo quarto XVII secolo, commesso di pietre dure e tenere, Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure

Giuseppe Zocchi (1711-1767), Modello per l’Allegoria della Terra, 1750, olio su tela, Firenze, Museo dell’Opificio delle Pietre Dure

Dal 20 ottobre 2018 al 31 marzo 2019, il Castello di San Giorgio del Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova ospita la mostra “Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo dal Museo dell’Opificio delle Pietre Dure”,una preziosa raccolta di opere d’arte realizzate con la particolare tecnica artistica detta ‘commesso’ che consente di creare, sulla base di un modello pittorico, immagini ottenute dal paziente assemblaggio di piccole sezioni di pietre colorate: porfidi, diaspri, agate, lapislazzuli che, accuratamente selezionati, tagliati e accostati, appaiono come una vera e propria ‘pittura di pietra’.
L’esposizione, a cura di Sandra Rossi, Peter Assmann e Anna Patera, con la collaborazione scientifica di Riccardo Gennaioli, sarà arricchita da una sezione interamente dedicata alle antiche tecniche di lavorazione e ai pregiati materiali utilizzati, che offrirà al visitatore la possibilità di cogliere in pieno la perizia tecnica che sta alla base di queste preziose e raffinate realizzazioni destinate a una committenza regale.

Sarà questa l’occasione per vedere alcuni preziosi fogli che fanno parte del cospicuo patrimonio grafico della Manifattura, conservato nel Gabinetto Disegni e Stampe del Museo dell’Opificio, una raccolta di oltre tremila pezzi, in gran parte inediti, che testimoniano l’attività delle Botteghe Granducali nel corso dei secoli, documentando i diversi passaggi creativi ed esecutivi della produzione artistica.
All’interno del percorso di visita sarà inoltre possibile ammirare il dipinto di Giuseppe Zocchi, l’Allegoria della Terra (1750), e la sua preziosa trasposizione in pietra attualmente conservata al Complesso della Hofburg a Vienna, realizzata dalla Manifattura Granducale nel 1752 su commissione dell’imperatore Francesco Stefano di Lorena, per abbellire la sua residenza viennese con una intera pinacoteca in pietra dura, “senza tempo”.
Accanto a queste sarà esposta, per la prima volta al pubblico, la trasposizione moderna dell’Allegoria della Terra in commesso in pietre dure, realizzata dal Laboratorio del Settore Mosaico e commesso in pietre dure dell’Opificio con lo scopo di ripercorrere dal punto di vista pratico il procedimento creativo e cogliere i segreti più reconditi dell’antica tecnica esecutiva. 
Tale realizzazione costituisce una pregevole eccezione nell’ambito dell’attività istituzionale dell’Opificio delle Pietre Dure che dopo l’Unità d’Italia si è progressivamente trasformato da Manifattura di corte a Istituto specializzato nel restauro delle opere d’arte, sede di una Scuola di Alta Formazione e di Studio che prepara i futuri restauratori di beni culturali. Conoscere la tecnica significa infatti essere in grado di comprendere il modus operandi degli artisti e saper restaurare con la massima perizia e consapevolezza i capolavori del passato.Un filo ininterrotto nei secoli lega la storia antica con l’attuale Istituto in un logico e naturale trasferimento di competenze.
La mostra fa parte delle iniziative organizzate per l’Anno europeo del Patrimonio Culturale 2018 ed è frutto della collaborazione tra il Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Accompagna la mostra il catalogo pubblicato da Tre Lune Edizioni.

Musei reali di Torino – Ad acqua. Vedute e paesaggi di Baghetti: tra realtà e invenzione

Musei reali di Torino – Galleria Sabauda, Spazio Scoperte
Ad acqua. Vedute e paesaggi di Baghetti: tra realtà e invenzione
Mostra a cura di Giorgio Careddu
30 novembre 2018 – 31 marzo 2019

Giuseppe Pietro Bagetti, Veduta di paese, Musei Reali Torino-Galleria Sabauda, GS Inv. 716, Cat. 100 bis

Fine disegnatore e interprete sensibile della pittura di paesaggio, Giuseppe Pietro Bagetti (Torino,1764 –1831) seppe sfruttare magistralmente le potenzialità dell’acquarello per realizzare vedute e battaglie che lo resero celebre già presso i suoi contemporanei, al punto da suscitare l’apprezzamento dello stessoNapoleone Bonaparte. I Musei Reali di Torino dedicano al pittore la mostra Ad acqua. Vedute e paesaggi di Bagetti: tra realtà e invenzione, visitabile dal 30 novembre 2018 fino al 31 marzo 2019 all’interno dello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda che, giunto al suo quarto appuntamento, continua a proporre al pubblico opere ricercate e spesso inedite all’interno del percorso espositivo. La mostra – curata da Giorgio Careddu e inserita nell’ambito di un progetto sull’acquarello in Piemonte promosso dall’Accademia Albertina di Torino -approfondisce alcuni momenti del cammino artistico di Bagetti e mette in evidenza la capacità creativa e la competenza geografica dell’artista nel riprodurre scene urbane e rurali, presentando una selezione di 39 opere appartenenti ai fondi di grafica della Biblioteca Reale e della Galleria Sabauda.

L’esposizione prende avvio dalla serie delle Vedute del Piemonte e del Nizzardo, incise a partire dal 1793, che associano all’esigenza di documentare fedelmente i luoghi rappresentati una spiccata attenzione verso gli aspetti metereologici. Una coppia di paesaggi di Pietro Giacomo Palmieri rendono poi omaggio al maestro che indirizzò Bagetti verso la tecnica della pittura ad acquarello, tecnica considerata come una novità, e verso gli aggiornamenti culturali che provenivano dagli altri paesi d’Europa e dal quale il pittore torinese seppe cogliere importanti suggestioni nel modo di interpretare la natura. Tempesta con nubifragio e Paesaggio con ruderi e città sullo sfondo ben rappresentano l’arte del celebre vedutista, in quanto caratterizzati entrambi dal gusto per il pittoresco che costituisce uno degli aspetti tipici del suo linguaggio figurativo.

Agli anni successivi all’annessione del Piemonte alla Francia, avvenuta nel 1802, risalgono alcuni schizzi a monocromo, preliminari alla redazione definitiva degli acquarelli oggi conservati al Museo di Versailles, che ritraggono la topografia delle località piemontesi scenario delle vittoriose campagne napoleoniche. L’attività della tarda maturità in cui Bagetti si dedica, su sollecitazione di re Carlo Felice, alla pittura d’invenzione è invece testimoniata nel percorso espositivo da quattro paesaggi boschivi nei quali la natura viene indagata nei suoi vari aspetti botanici, geologici e fisici.Contestualmente alla mostra e in collaborazione con l’Associazione Amici di Palazzo Reale, potrà anche essere visitata la straordinaria collezione di 68 acquerelli realizzati da Bagetti e attualmente conservati nell’Appartamento del re Vittorio Emanuele III, comprendenti anche i dipinti raffiguranti le battaglie vittoriose di Casa Savoia.

Schio (Vicenza) Palazzo Fogazzaro – Giovanni Demio e la maniera moderna tra Tiziano e Tintoretto

Schio (Vicenza) Palazzo Fogazzaro
Giovanni Demio e la maniera moderna tra Tiziano e Tintoretto    
Dal 31 ottobre – Prorogata fino al 5 maggio

Definito da Andrea Palladio “huomo di bellissimo ingegno”Giovanni Demio, nato a Schio intorno al 1500-1505, è uno degli artisti più eccentrici e sfuggenti che si siano espressi in Italia nei decenni centrali del Cinquecento. Un caso emblematico di maestro “girovago”, oltre che nella sua città natale e nella vicina Vicenza, operò nel territorio benacense, a Venezia, Brescia, Padova, Milano, Napoli, Salerno, Pisa, Orvieto e, presumibilmente, a Verona, Firenze e Roma. Dal 31 ottobre 2018 al 31 marzo 2019 nelle sale di Palazzo Fogazzaro, saranno riunite, per la prima volta, le opere più importanti dell’artista scledense provenienti da chiese, musei e collezioni private di tutta Italia nella mostra dal titolo “Giovanni Demio e la maniera moderna. Tra Tiziano e Tintoretto” – promossa e sostenuta dal Comune di Schio, su progetto di Contemplazioni a cura di Vittorio Sgarbi con la direzione artistica di Giovanni Lettini, Sara Pallavicini, Stefano Morelli e la ricerca scientifica di Pietro Di Natale. 

Il percorso espositivo dedicato a Giovanni Demio si configura come un raffinato racconto sul Maestro e sulla sua produzione, fatta di ricerca e contaminazioni provenienti da tutta l’arte italiana ed europea del ‘500, come afferma Vittorio Sgarbi: «un ribelle, Demio, fuori quota, incontrollabile, imprevedibile, pronto a contaminarsi con tutti i pittori più forti di vita. Eppure, alla fine, un formalista, sempre più lontano dal naturalismo padano e sempre più vicino a un delirio visionario alla El Greco». Le opere raccolte mostrano il talento dell’artista, abile nel dar vita a suggestioni inimitabili ed emozioni tangibili grazie alla sua costante, personale ed elaborata ricerca manieristica come nei giovanili Compianti di Merano e di Lavenone, nella Madonna adorante il Bambino del Museo di Castelvecchio di Verona, nella pala con Martirio di san Lorenzo di Torrebelvicino, nelle ante d’organo della chiesa di San Pietro a Schio, nella Sacra conversazione di collezione privata, nel Riposo nella fuga in Egitto della Galleria Palatina di Firenze, o nella miniatura del Museo Civico Ala Ponzone di Cremona, e ancora nell’Adorazione dei pastori di Santa Maria in Vanzo a Padova oppure nell’Adorazione dei Magi di Casa Martelli di Firenze, nell’Adorazione dei Magi e nell’affresco con Santa Caterina della Pinacoteca di Palazzo Chiericati a Vicenza. 

Tiziano, Tintoretto, Veronese, Moretto, Romanino, Jacopo Bassano, Schiavone, i grandi maestri del Cinquecento che influenzarono il percorso stilistico e biografico di Giovanni Demio, arrivano oggi a Schio, con le loro opere provenienti da quei luoghi d’Italia che Demio rincorse e raggiunse. Un avvenimento unico. Il loro originale modo di rendere omaggio a colui che apprese dalla loro arte dandone vita a un’altra altrettanto unica e suggestiva.  Alla fine del percorso espositivo, i visitatori saranno accolti da un’esperienza di realtà virtuale resa possibile da Sparkling e Venetcom: un viaggio immersivo nella chiesa milanese di Santa Maria delle Grazie dove, nella Cappella Sauli la pala d’altare e l’intera decorazione comprendente gli affreschi e i bassorilievi, sono state eseguite proprio da Giovanni Demio. 

La mostra, desiderata con fervore da Vittorio Sgarbi, non solo rende giustizia a questo grande artista, dall’innegabile abilità stilistica, ma, grazie ai fondi stanziati per realizzarla, ha reso possibile un’importante operazione di restauro che ha consentito di riportare alla luce le sue opere, sottraendole dall’ineluttabile scorrere del tempo, restituendole al grande pubblico e alla città di Schio. «Si tratta di un altro importante passo nel percorso di crescita della nostra amata Città. Schio vanta tra i propri cittadini nomi importanti, che, in vari settori, hanno portato lustro al nostro territorio. Ringraziarli, ricordarli e valorizzarli con manifestazioni di qualità elevata è il giusto tributo che dobbiamo loro per quanto hanno realizzato» ha dichiarato Valter Orsi, sindaco di Schio

L’importanza storico artistica di questa operazione è evidente anche nel catalogo “Giovanni Demio e la maniera moderna. Tra Tiziano e Tintoretto” a cura di Vittorio Sgarbi e Pietro Di Natale, edito da Contemplazioni, una pubblicazione scientificamente molto rilevante per la storia dell’arte: qui ricerche inedite e contribuiti dei massimi studiosi del manierismo veneto fanno luce sulla storia e sulle opere di Demio e dei suoi contemporanei riservando dei veri e propri colpi di scena.  

Urbino Galleria Nazionale delle Marche – Giovanni Santi. “Dapoi…me dette alla mirabil arte de pictura”

Urbino Galleria Nazionale delle Marche
Giovanni Santi. “Dapoi…me dette alla mirabil arte de pictura”

Mostra a cura di Maria Rosaria Valazzi e Agnese Vastano
30 novembre 2018 – 17 marzo 2019

Segnata dal giudizio negativo di Giorgio Vasari, svilita dal confronto con l’eccezionale statura artistica del figlio Raffaello, la figura di Giovanni Santi è rimasta in ombra per secoli ed ancora poco nota anche oggi, pur dopo gli studi fondamentali di Ranieri Varese. Dal 30 novembre 2018 al 17 marzo 2019, con la mostra Giovanni Santi. “Da poi … me dette alla mirabil arte de pictura”, la Galleria Nazionale delle Marche | Palazzo Ducale di Urbino contribuirà a restituire il giusto ruolo all’artista in quel contesto urbinate che costituì un momento imprescindibile di avvicinamento alla formazione e alla cultura ‘visiva’ di Raffaello.

La poliedrica personalità umanistica di Giovanni Santi – dimostrata dall’ampia produzione letteraria – sarà testimoniata dal manoscritto originario del suo capolavoro, la Cronaca rimata, proveniente dalla Biblioteca Apostolica Vaticana e visibile in mostra. E dal Vaticanoverrà anche il San Girolamo, che assieme alle opere provenienti dalla National Gallery di Londra, dal Museo Puškin di Mosca ed alla quasi totalità di quelle presenti in loco o provenienti dal territorio, tenterà di rendere visibile quella rete di relazioni e di reciproche interferenze artistiche che interessarono l’ambiente urbinate in età federiciana. Urbino, patria di Giovanni Santi, e il Palazzo Ducale – presso il quale fu molto attivo – vedranno restituito al pubblico, per tutta la durata della mostra, l’intero ciclo pittorico concepito originariamente per il Tempietto delle Muse: le otto tavole – sette rappresentanti le Muse ed una Apollo – opera di Giovanni Santi e Timoteo Viti, gentilmente concesse in prestito da Palazzo Corsini in Firenze, saranno ricollocate all’interno del loro ambiente originario.

A testimonianza del contesto culturale nel quale operò Giovanni Santi, saranno presentate delle opere coeve come l’Annunciazione di Fano del Perugino o l’Angelo Musicante di Melozzo da Forlì del Vaticano, che affiancheranno i capolavori di Piero della FrancescaGiusto di GandPedro Berruguete, etc., già presenti nelle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche. Ed ancora, opere di scultura, come la Madonna con Bambino dalla Pinacoteca Civica di Jesi di Domenico Rosselli, già attivo nel cantiere del palazzo urbinate per il Duca Federico, o l’inginocchiatoio intarsiato proveniente dalla Cappella Oliva nella chiesa di S. Francesco di Montefiorentino a Frontino – della quale si esporrà anche la pala del 1489 – che affiancherà i straordinari intarsi dello Studiolo e delle preziose porte dell’appartamento ducale.

Le curatrici della mostra – Maria Rosaria Valazzi e Agnese Vastano – intendono quindi contribuire a ricollocare la figura di Giovanni Santi nella giusta prospettiva storica che merita: riscattarne dall’oblio la capacità critica dimostrata dalla Disputa de la pictura; dimostrarne le doti imprenditoriali che seppero caratterizzare l’intensa attività produttiva divisa tra opere di grande impegno e realizzazioni “seriali” di piccolo formato; analizzarne gli aspetti tecnici che caratterizzarono la qualità materica della produzione santiana. Parallelamente alla mostra ospitata nel Palazzo Ducale di Urbino, verrà pubblicato un itinerario alla scoperta di quelle opere di Giovanni Santi che, essendo inamovibili, sono rimaste nelle loro sedi originarie distribuite sul territorio. In particolare ad Urbino, oltre al Palazzo Ducale viene coinvolta la Casa di Raffaello dove visse Giovanni Santi con il figlio adolescente, ma anche la Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli, la pala della Visitazione nella chiesa di S. Maria Nova a Fano e la Madonna con Bambino ed i SS. Elena, Zaccaria, Sebastiano e Rocco nella Pinacoteca Civica di Fano ed altri numerosi siti del territorio marchigiano.

Gorizia, Museo della Moda – Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono

Gorizia, Museo della Moda e delle Arti Applicate
Occidentalismo. Modernità e arte occidentale nei kimono della Collezione Manavello. 1900-1950
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La mostra è stata prorogata fino al 5 maggio 2019

Il Museo della Moda e delle Arti Applicate di Gorizia del Servizio Musei e Archivi Storici di ERPAC – Ente Regionale Patrimonio Culturale della Regione Friuli Venezia Giulia, propone una mostra interamente dedicata ai kimono. Non kimono qualunque, ma quelli prodotti in Giappone tra il 1900 e gli anni Quaranta, pezzi che riflettono la volontà imperiale di occidentalizzare il Paese. Così come, nel secolo precedente, il Giapponismo era deflagrato in tutta Europa, influenzando una parte significativa della produzione artistica, all’inizio del Novecento il gusto occidentale esplode in Giappone. E questa ventata di novità investe anche il capo-simbolo della tradizione: il kimono. Ai motivi tradizionali si affiancano disegni coloratissimi che richiamano, in modo puntuale, il Cubismo, il Futurismo e le altre correnti artistiche europee. C’è anche un singolare kimono che celebra il patto tripartito Roma-Berlino-Tokyo del 1940, dove la bandiera italiana è seminascosta dentro le cuciture mentre il Sol Levante e la svastica campeggiano ovunque.

Tanto è stato detto e scritto sull’Orientalismo e segnatamente sullo Japonisme, ovvero sull’influenza delle arti giapponesi su quelle europee tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, ma poco si sa ancora dell’inverso rapporto, ovvero di quel fenomeno complesso e sfaccettato che portò talune arti giapponesi ad assimilare forme e contenuti di matrice schiettamente occidentale: avvenne con la pittura, che interpretò originalmente la lezione prospettica, ed avvenne con i kimono che, più di ogni altra forma d’arte, furono influenzati dal mutamento della società giapponese del tempo trasferendone fedelmente gli effetti sul tessuto, utilizzato alla stregua di una superficie pittorica.

Tra i pochissimi musei dedicati alla moda presenti sul territorio nazionale, il Museo della Moda di Gorizia è ora anche il primo museo italiano a indagare un particolarissimo settore dell’arte, offrendo al pubblico uno spaccato inedito e sorprendente di storia culturale.
Il periodo è uno dei più complessi e travagliati della storia giapponese, ovvero quello del passaggio da stato feudale a temuta superpotenza, culminato con il secondo conflitto mondiale. Da un punto di vista socio-culturale, il Paese del Sol Levante visse questo lasso di tempo (fine Ottocento/anni Quaranta del Novecento) con un atteggiamento conflittuale, in bilico fra il brivido delle novità provenienti da Oltreoceano ed il rassicurante attaccamento alla tradizione.

Nell’immaginario collettivo occidentale il kimono rappresenta l’icona stessa del Giappone nella sua veste suadente di raffinatezza ed esotismo. Ma pochi sanno che una cospicua parte dei kimono prodotti entro la prima metà del Novecento, cioè i kimono Meisen, sfugge decisamente a questa categoria, adottando fantasie suggerite dai movimenti d’Avanguardia (si va dalla Secessione viennese alla Scuola di Glasgow, dal Futurismo al Cubismo, dal Divisionismo all’Espressionismo astratto di Jackson Pollock), ispirate a contemporanei fatti di storia oppure ancora alle conquiste tecnologiche, in un eccitante e quanto mai sorprendente caleidoscopio di colori, fantasie, tecniche di decorazione e di tessitura, anche queste ispirate alla produzione tessile occidentale.

La mostra presenta 40 pezzi, tra kimono e haori (sovrakimono), una selezione particolarmente significativa del contesto illustrato, per far conoscere al pubblico un settore della produzione tessile giapponese fino ad oggi poco esplorato. I capi in mostra sono vesti raffinate, destinate ad un ceto medio-alto, non confezionate per l’esportazione. Potevano essere apprezzate da persone di una certa cultura o anche semplicemente curiose o desiderose di apparire al passo con i tempi. Avevano certo tutte una visione: il loro Paese alla pari con le grandi nazioni del mondo, capace di assimilare le loro conoscenze, i loro costumi ma con l’orgoglio della propria diversità. I 40 esemplari esposti, insieme a obi, stampe, illustrazioni e riviste, provengono da una importante collezione italiana, la Collezione Manavello. Tale collezione nel suo complesso è ben più numerosa, includendo capi da uomo, donna e bambino, sia tradizionali che non, oggetti e suppellettili attinenti all’abito e al suo contesto, quali calzature e accessori per capelli, oggetti per la cerimonia del tè, bambole e documentazione cartacea.

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. I corali francescani

Bologna, Museo Civico Medievale – Lodi per ogni ora. i corali francescani provenienti dalla basilica di san Francesco
A cura di Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti
Dal 15 settembre 2018 al 17 marzo 2019
website: http://www.museibologna.it/arteantica

Organizzata in occasione della decima edizione del Festival Francescano, la mostra Lodi per ogni ora. I corali francescani provenienti dalla Basilica di San Francesco, curata da Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti, espone una serie di importanti codici liturgici francescani databili dal XIII al XV secolo, conservati al Museo Civico Medievale di Bologna.

Fin dal Duecento l’illustrazione dei manoscritti ha costituito uno strumento espressivo essenziale per l’Ordine dei Frati Minori. Grazie alle scelte iconografiche e tematiche codificate dall’Ordine, le immagini dei libri francescani rappresentarono un elemento fondamentale per esaltare la figura del santo fondatore, offrendo una lettura in chiave strettamente cristologica della sua vita, che legittimava il ruolo di rinnovamento della Chiesa operato dalla Congregazione francescana. Infatti, sfogliando le pagine di Antifonari e Graduali del XIII secolo spesso ricorrono le raffigurazioni della Predica agli uccelli e delle Stimmate come appare nel manoscritto 526, qui esposto insieme ad altri graduali (mss. 525, 527), realizzati intorno al 1280-85 per il convento di San Francesco a Bologna. A decorarli fu chiamato uno dei protagonisti assoluti della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, così chiamato per aver decorato la celebre Bibbia oggi conservata presso la biblioteca capitolare della città catalana.

Se nell’episodio della Predica agli uccelli gli artisti potevano indugiare in ricerche di naturalismo espressivo, in quello delle Stimmate era possibile invece sperimentare effetti di grande drammaticità, come documenta l’analoga figurazione del graduale ms. 526, felice connubio tra le più sofisticate sperimentazioni pittoriche della tradizione bizantina e la veemenza espressiva di certa pittura toscana di questi anni.
Nella serie di Antifonari (mss. 528, 529, 533), realizzata nei primissimi anni del Trecento a compimento del precedente ciclo di Graduali, il linguaggio ancora aulico del Maestro della Bibbia di Gerona rivive in talune figurazioni seguendo connotazioni più moderne che già lasciano presagi- re una conoscenza dei fatti nuovi della cultura giottesca (ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi), la cui diffusione dovette seguire inizialmente canali privilegiati all’interno dello stesso Ordine.

Tra le figure che si pongono a maggior confronto con l’artista fiorentino va annoverato Neri da Rimini che realizzò nel 1314, assieme al copista Fra Bonfantino da Bologna, l’antifonario ms. 540 destinato al convento francescano della città romagnola. Risale invece alla metà circa del XV secolo la serie di corali francescani (mss. 549 – 551, 553) che in parte recano entro alcuni capilettera calligrafici la firma di Guiniforte da Vimercate e la data 1449. La decorazione di questo ciclo, risultato della collaborazione di maestranze di estrazione lombarda e locale, venne coordinata dal bolognese Giovanni di Antonio il quale si riservò personalmente la realizza- zione di alcune parti (ms. 551).
Accanto a lui sono all’opera personalità bolognesi dalla parlata più corsiva (mss. 550, 551, 553), ma anche il Maestro del 1446 (ms. 549) considerato uno dei più abili interpreti dell’ultima stagione della miniatura tardogotica cittadina che ebbe proprio in questa serie liturgica francescana una delle sue più tardive manifestazioni.

Nell’ambito del Festival Francescano, venerdì 28 settembre alle ore 16.30 la Sala del Lapidario del Museo Civico Medievale ospita la conferenza Oltre Giotto: ‘la maniera dolcissima e tanto unita’ di Claudia D’Alberto (storica dell’arte, ricercatrice Marie-Curie COFUND Università di Liegi – Unione Europea ‘Horizon 2020’). Percorso indiziario volto alla scoperta della “bellezza artistica francescana” meno nota, l’incontro è un’occasione per parlare di Puccio Capanna, pittore che ad Assisi fu il più importante appaltatore di imprese decorative commissionate, fra prima e seconda metà del XIV secolo, dall’Ordine francescano e dalle confraternite. Ingresso libero, fino a esaurimento posti disponibili.

Palazzo Reale,Teatro del Falcone: Anton Maria Maragliano 1664-1739

Anton Maria Maragliano 1664 – 1739
Museo di Palazzo Reale
Mostra a cura di Daniele Sanguineti
Dal 10.11.2018 al 10.03.2019

Anton Maria Maragliano, Madonna con bambino, Genova

Palazzo Reale, nel Teatro del Falcone, apre al pubblico dal 10 novembre 2018 al 10 marzo 2019, una grande mostra, a cura di Daniele Sanguineti e con la direzione di Luca Leoncini, dedicata alla celebre figura di Anton Maria Maragliano, rinomato autore di sculture lignee. Per la prima volta si potranno ammirare, a confronto tra loro, i capolavori del maestro, testimoni della potenza persuasiva del legno dipinto e dorato a personificare i protagonisti del Paradiso: dalle eleganti statue mariane agli aggraziati Crocifissi fino alle grandiose macchine processionali con i martirii dei santi. Si tratta del primo evento espositivo utile a dar conto del profilo monografico dell’artista, affrontato negli ultimi vent’anni in maniera specifica e approfondita da Daniele Sanguineti che ha apportato un capillare apporto archivistico e filologico, incrementando notevolmente il catalogo delle opere.

La capacità di corrispondere alle esigenze della committenza attraverso immagini bellissime e di forte impatto emotivo rese possibile, a partire dall’inizio del Settecento, l’ottenimento di un vero e proprio monopolio che costrinse lo scultore alla dotazione di un assetto imprenditoriale articolato. Ben due generazioni di allievi furono accolte nelle stanze di Strada Giulia, nel cuore di Genova, dove Maragliano aveva la bottega, dando corso a quel fenomeno di divulgazione del linguaggio del maestro che rappresenta l’aspetto più affascinante, benché problematico, dell’approccio allo scultore: e gli allievi degli allievi perseguirono questa divulgazione oltrepassando la fine del secolo.

La mostra, allestita negli ambienti del Teatro del Falcone, proporrà un percorso espositivo dalla doppia impostazione: da un lato l’iter cronologico, con i modelli culturali di riferimento, gli esordi, la bottega e l’intervento progressivo degli allievi, dall’altro una serie di sezioni tematiche, articolate in suggestive aggregazioni di opere per iconografia o impatto scenografico.

L’esposizione si aprirà con una sezione dedicata ai precedenti con le opere degli artisti su cui il giovane Maragliano si formò, da Giuseppe Arata e Giovanni Battista Agnesi a Giovanni Battista Bissoni e Marco Antonio Poggio. Seguiranno i luoghi di Maragliano evocati attraverso una serie di documenti, incisioni e acquerelli utili a raccontare le fasi di apprendistato e gli ambienti che hanno ospitato lo spazio di lavoro del maestro nel corso degli anni. Il magnifico San Michele Arcangelo di Celle Ligure, richiesto a Maragliano nel 1694, e il San Sebastiano per i Disciplinanti di Rapallo, commissionato nel 1700, testimoniano, in un’apposita sezione, il ruolo dei modelli in sintonia con la più aggiornata cultura figurativa radicata a Genova grazie al pittore Domenico Piola e allo scultore francese Pierre Puget. Queste sculture, capaci di tradurre nella tridimensionalità del manufatto la grazia coinvolgente propria della pittura coeva e della scultura berniniana, rivelano il nuovo, delicato dinamismo della cultura barocca. La pratica di lavoro, dalla manipolazione dei modelli in creta alla collaborazione con i pittori – specie quelli di Casa Piola – costituirà un approfondimento di particolare interesse che renderà comprensibile il progetto ideativo nell’interezza del suo iter.

L’accostamento progressivo di alcuni Crocifissi, grandi o piccoli, da cappella, da altar maggiore o da processione, mostra il sostanziale rinnovamento conferito da Maragliano all’iconografia fino all’ottenimento di un cliché replicabile da parte degli allievi. 
Una serie di spettacolari Madonne, sedute in trono, e una straordinaria cassa processionale – il Sant’Antonio Abate contempla la morte di san Paolo eremita oggi pertinente all’omonima confraternita di Mele – restituiscono le valenze di teatralità delle composizioni maraglianesche, per le quali il biografo Ratti, riportando il giudizio del popolo, scriveva: “…han tutta l’aria di Paradiso”. Le tematiche penitenziali, da Settimana Santa, saranno illustrate nella coinvolgente sezione La passione secondo Maragliano. Accanto ad opere dal piccolo formato, tra cui le statue da presepe, che permetteranno di apprezzare pienamente la perizia tecnica del maestro, saranno inoltre esposti oggetti raffinatissimi, di ambito sacro e profano, commissionati da famiglie nobiliari per le proprie raccolte private. Il percorso si conclude con un’allusione alla complessa gestione dell’eredità maraglianesca, grazie alla presenza di alcuni pezzi realizzati dai principali allievi.

Vista la ricca presenza di opere di Maragliano nel tessuto cittadino, la mostra proseguirà in città dove saranno opportunamente segnalate sculture e casse processionali ancora oggi custodite nei luoghi d’origine, come la Pietà di San Matteo, i Dolenti della cappella Squarciafico in Santa Maria delle Vigne, il San Pasquale della Santissima Annunziata, che non potrebbero essere movimentate per la loro complessità. I diversi siti verranno così coinvolti nell’itinerario espositivo, creando accessi facilitati per i visitatori, anche in collaborazione con l’Ufficio Arte Sacra della Curia Arcivescovile di Genova. Un ulteriore collegamento alla mostra riguarderà la Pinacoteca dell’Accademia Ligustica dove sarà allestito un presepe con le statue afferenti alle collezioni civiche (Museo Luxoro), per dar conto dell’impronta maraglianesca sulla produzione di statuaria presepiale di secondo Settecento.

L’importante evento espositivo, sostenuto dal prezioso e sostanzioso supporto della Compagnia di San Paolo, sarà accompagnato da un catalogo scientifico con saggi e schede delle opere esposte. Un ulteriore aspetto, assolutamente imprescindibile, è che molte delle sculture in mostra sono state restaurate nel 2015 grazie ai finanziamenti stanziati in occasione del Bando San Paolo “La grande Scuola di Anton Maria Maragliano”, dedicato alle opere di Maragliano e dei maraglianeschi sul territorio. L’occasione sarà dunque preziosa per poter presentare gli esiti di questi importanti interventi conservativi e riscoprire pienamente il talento e le prerogative del celebre artista.