Grazzano Visconti (PC), Parco di Castello Visconti: Verde Grazzano 2019

Grazzano Visconti (PC), Parco di Castello Visconti
VERDE GRAZZANO 2019

Le eccellenze del florovivaismo italiano. Con presenze di rilievo anche dall’estero
27 Settembre 2019 – 29 Settembre 2019
Link:
http://www.verdegrazzano.it
http://grazzanovisconti.com/

L’elenco degli espositori scelti per “rendere davvero unico “Verde Grazzano 2019” (nel Parco del Castello di Grazzano Visconti, dal 27 al 29 settembre) nel pur fittissimo calendario italiano di mostre di giardinaggio, sta prendendo forma definitiva. Ma già adesso “Verde Grazzano” è in grado di assicurare la presenza delle eccellenze delle aziende florovivaistiche italiane e non solo. E altre presenze sono in via di definizione. Per una manifestazione che è appena alla sua seconda edizione, il traguardo qualitativo raggiunto è realmente eccezionale. Tanto più che si tratta, rigorosamente, di aziende leader del loro settore, scelte a rappresentare il loro specifico segmento di produzione. Un solo espositore – ritenuto il migliore – per ciascuna tipologia o famiglia di piante. Una scelta di qualità e decisamente controcorrente. Del resto il “porsi fuori dal mazzo” di Verde Grazzano è evidente già nel suo collocarsi nell’autunno anziché a primavera, momento privilegiato per le tradizionali mostre-mercato. Una scelta affatto casuale, ma molto “tecnica”. E’ infatti l’autunno la stagione perfetta per piantumare nuovi giardini o per rinnovarli, sia che si tratti di parchi che di terrazzi. E chi si accinge a porre mano al proprio giardino trova a Grazzano Visconti quanto di meglio offra oggi il nostro mercato, con in più alcune “presenze” internazionali di rilievo. Tra queste la slovena VRT Rifnik specializzata in piante rare ed insolite e la polacca Streptocarpus, riferimento in Europa per le “primule del capo”. Ha già un forte seguito in Italia la francese Pepinieere, che eccelle per i piccoli arbusti, mentre Michael Schick dalla Germania porterà un’enciclopedica collezione di semi di pomodoro.

Tra le eccellenze italiane, ecco alcuni esempi: Vivai Barni e La Campanella di certo offriranno le rose più interessanti. Le moderne, i primi; quelle antiche, la seconda. Pier Luigi Priola proporrà il meglio di perenni e graminacee mentre Vivai Tintori esporranno la loro collezione di agrumi, come Floricoltura Billo si concentrerà in mostra sulla sua ricca proposta di Dianthus, ovvero garofani. Le ortensie saranno quelle dei Vivai Tara mentre i Vivai Nifantani Liviana offriranno i loro arbusti da fiore. Il popolare comparto delle aromatiche sarà presente grazie ad Inflora mentre Le figlie del Vento esporranno le loro Tillandsia.  I Vivai Giani saranno presenti con le loro piante rampicanti e Minari Buxus naturalmente con i loro bossi. Le orchidee saranno quelle delle Orchidee del Lago Maggiore così come le peonie saranno quelle della Tenuta delle Commande e le piante da frutto, antiche e non, di Maioli Piante. Di peperoncini trasformati si occuperà Bortolon   Filippo, come Dennis Barroero delle piante da bacca. Di dahlie e, ancora, di peperoncini si occuperà Floricoltura Fenix. Un primo “assaggio”, quello qui sopra delineato, di una manifestazione che non nasconde affatto le sue ambizioni. Luchino Visconti di Modrone, Allegra Caracciolo Agnelli e Federico Forquet – i promotori di “Verde Grazzano” – intendono proporre ai pollici verdi non solo italiani un’occasione di incontro di grande livello, concentrata sul meglio, in un contesto unico per storia e bellezza. Una mostra mercato dal bel sapore di casa, dove incontrarsi è un piacere pari a quello di cercare novità e conferme, di confrontarsi con espositori che sanno tutto delle loro piante proprio perché non le hanno acquistate da terzi ma le hanno cresciute, e spesso create, nei loro vivai.

PER INFO: info@verdegrazzano.it

IMMAGINE DI APERTURAParco e castello di Grazzano Visconti (PC), a 12 km a sud-est di Piacenza

Verona – Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinskij

Verona, Palazzo della Gran Guardia
IL TEMPO DI GIACOMETTI DA CHAGALL A KANDINSKY
Capolavori dalla Fondazione Maeght
16 Novembre 2019 – 05 Aprile 2020

http://www.lineadombra.it

Alberto Giacometti, L’uomo che cammina I, 1960, bronzo, cm 183 x 26 x 95,5.
Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght © Claude Germain – Archives Fondation Maeght (France) © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy 2019

Il Comune di Verona e Linea d’ombra, assieme alla Fondazione Marguerite e Aimé Maeght, con l’apporto fondamentale del Gruppo Baccini in qualità di main sponsor, hanno siglato un accordo che porterà a Verona, nel Palazzo della Gran Guardia, una grande mostra organizzata da Linea d’ombra e curata da Marco Goldin, che così tornano in città a cinque anni di distanza dagli ultimi successi scaligeri.
Il tempo di Giacometti da Chagall a Kandinsky. Capolavori dalla Fondazione Maeght (dal 16 novembre 2019 al 5 aprile 2020, tutto su www.lineadombra.it, apertura prenotazioni 9 settembre 2019 al call center di Linea d’ombra 0422 429999) è una superba incursione, con un centinaio di opere tra sculture, dipinti e disegni, nel terreno del più alto Novecento internazionale, avendo Parigi quale centro. Una vera e propria monografica dedicata ad Alberto Giacometti, con oltre settanta opere, unitamente ad altri artisti che gravitavano nella Parigi soprattutto degli anni tra le due guerre ma anche nel decennio successivo, da Kandinsky a Braque, da Chagall a Miró, con un’ulteriore ventina di dipinti celebri, spesso di grande formato.
“L’Amministrazione Comunale di Verona è particolarmente lieta di presentare questa mostra –affermano all’unisono il Sindaco, Federico Sboarina e Francesca Briani, Assessore alla Cultura e al Turismo −, mostra prodotta e organizzata da Linea d’ombra, secondo il progetto di Marco Goldin. Si tratta di uno splendido spaccato dell’ambiente che ha caratterizzato la vita e l’opera di Alberto Giacometti, considerato a ragione il più importante scultore del XX secolo. Un intero mondo fatto anche di straordinarie relazioni con altri artisti famosi come lui, tutto ciò reso possibile grazie all’intervento della Galleria prima, e della Fondazione poi, fondate da Aimé e Marguerite Maeght. Si tratta quindi di una storia corale e non di una, pur bellissima, monografia sull’opera di un artista straordinario come Alberto Giacometti”.
Dal canto suo Elisa Baccini, presidente del Gruppo Baccini che sponsorizza la mostra, sottolinea come “abbiamo scelto di assumerci un impegno di grande rilevanza nei confronti di un’Amministrazione, di un’impresa e del pubblico, diventando il main sponsor di questa mostra. Mirare a progetti di alta qualità e portarli alla loro riuscita, non sempre è cosa scontata. Lavori siffatti richiedono tra l’altro il giusto tempo per essere compresi, in un mondo, qual è quello nel quale viviamo, abituato piuttosto a cogliere rapidamente e consumare in fretta. Come Famiglia Baccini cerchiamo invece di percorrere una strada diversa, attraverso varie tipologie di impresa e di prodotto. Quello che vogliamo immaginare, all’inizio di questa bella storia realizzata anche con il nostro sforzo economico e imprenditoriale, è che tanto di noi e della bellezza resterà vivo nel tempo e nelle memorie”.
Marco Goldin cura l’esposizione, tornando in questo modo al suo amore per il XX secolo e agli studi sul Novecento, da cui è partito fin dagli anni universitari: “Giacometti è stato una delle mie primissime passioni nel campo dell’arte, poco dopo i vent’anni. Lo cercavo nei libri, nelle mostre e nei musei d’Europa. Ho immensamente amato dapprincipio i suoi disegni, diversi dei quali ho infatti scelto di portare in Gran Guardia. Poi i suoi quadri così sincopati, soprattutto le figure e le nature morte, anch’essi presenti a Verona, e naturalmente le celeberrime sculture. Sono felice di poter rendere omaggio a Giacometti in Italia con questa mostra così vasta, con opere che ne attraversano tutta la carriera, dal suo tempo giovanile in Svizzera alle sculture inaugurali attorno ai quindici anni fino alle prove surrealiste e a quelle, ormai facenti parte dell’immaginario collettivo, della maturità”.
E’ giusto dire che questa mostra servirà anche a rievocare una delle più straordinarie avventure culturali in Europa dalla metà del secolo in poi, quella di Aimé e Marguerite Maeght, che prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale fondano a Cannes una loro galleria. Nell’ottobre 1945 aprirà la galleria parigina, dove due anni dopo verrà presentata, con un successo senza precedenti, l’Esposizione internazionale del Surrealismo, in collaborazione con Duchamp e Breton. Nel 1964 poi viene inaugurata a Saint-Paul-de-Vence la Fondazione Maeght, con un insieme architettonico concepito per presentare l’arte moderna e contemporanea in tutte le sue forme. La Fondazione possiede oggi una delle più importanti collezioni in Europa di dipinti, disegni, sculture e opere grafiche del XX secolo, con nomi di grande importanza che sono stati legati alla famiglia Maeght per decenni, Giacometti in primis.
“E’ affascinante già ora immaginare – conclude Marco Goldin – nel vasto salone centrale della Gran Guardia la Grande donna in piedi, scultura filiforme di quasi tre metri di altezza, fino alla scultura più celebre tra tutte, L’uomo che cammina, che sarà esposto al suo fianco. Nel mezzo la ricostruzione precisa, e poetica, dell’intera vita di Giacometti, tra disegni e pitture e soprattutto tante tra le sue famosissime sculture, dai busti e le teste del fratello Diego, ai cani, ai gatti, alle foreste fatte di figure quasi liquefatte. Fino alla notissima figura femminile del 1956, detta Donna di Venezia, esposta alla Biennale veneziana di quell’anno e che tanto successo riscosse. Ebbene, di quella figura la Fondazione Maeght possiede tutte le nove variazioni, che puntualmente giungeranno a Verona per essere esposte, per un confronto che rare volte nel mondo intero si è fatto”.
Come sempre accaduto, Linea d’ombra riserva una particolare attenzione al mondo della scuola, per cui fin d’ora si può annunciare l’incontro tenuto da Marco Goldin, e aperto agli insegnanti, del 6 maggio 2019, alle ore 17, nell’auditorium della Gran Guardia a Verona. Al racconto della mostra, che così verrà conosciuta in anteprima anche con la proiezione di tante immagini, si affiancheranno le proposte di visite guidate dedicate proprio alle scolaresche, condotte in modo differenziato per le varie età. La mostra si presta infatti moltissimo a questo percorso di approfondimento.

Organizzazione
Linea d’ombra
Tel 04223095
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www.lineadombra.it

Ufficio Stampa
Studio ESSECI di Sergio Campagnolo
Tel. 049663499
Referente Stefania Bertelli gestione1@studioesseci.net

Comune di Verona
Ufficio Stampa e Web
Piazza Bra 1
Tel. 045 8077714 – 7358 – 7752 – 7722
www.comune.verona.it
ufficio.stampa@comune.verona.it

IMMAGINE DI APERTURAAlberto Giacometti, Il cane, 1951, bronzo, cm 47 x 100 x 15. Saint-Paul-de-Vence, Fondation Marguerite et Aimé Maeght © Claude Germain – Archives Fondation Maeght (France) © Alberto Giacometti Estate / by SIAE in Italy 2019

Campioni nel cuore. Ercole Colombo. Il fotografo della Formula1

All’Arengario di Monza
Dal 5 al 22 settembre 2019
Campioni nel cuore
60 fotografie di Ercole Colombo

Ercole Colombo, Gilles Villeneuve, Argentina, 1981. “Una fotografia a me particolarmente cara. Il manifesto di Gilles: lui era proprio così, sempre”

La mostra, che si è aperta nel weekend del Gran Premio d’Italia di Formula 1, presenta le immagini che immortalano gli eroi più celebrati dello sport motoristico, da Lauda a Schumacher, da Alonso a Villeneuve, da Mansell a Senna a molti altri.

In occasione del Gran Premio d’Italia, in programma domenica 8 settembre 2019, al Monza Eni Circuit, l’Arengario di Monza ospita, dal 5 al 22 settembre 2019, la mostra Campioni nel cuore che presenta 60 immagini di Ercole Colombo, realizzate dal “Fotografo della Formula 1”, in oltre 700 Gran Premi. L’esposizione, curata da Giorgio Terruzzi, promossa e organizzata dal Comune di Monza, in collaborazione con ViDi – Visit Different e con Motorsport images, è una sorta di storia minima dello sport motoristico, vista attraverso i suoi campioni e i suoi eroi più celebrati, da Enzo Ferrari a Michael Schumacher, da Niki Lauda a James Hunt, da Fernando Alonso a Gilles Villeneuve, da Nigel Mansell ad Ayrton Senna a molti altri ancora.

“Attraverso gli occhi di Ercole – sottolinea Dario Allevi, Sindaco di Monza – i suoi scatti e le sue inquadrature ho conosciuto – quando ero bambino – la potenza e l’energia del mondo del motorsport. Sì, perché la fotografia è quella magia che cattura l’attimo imprevisto, lo sguardo sorpreso, il sorpasso improvviso e fissa per sempre le immagini “icone” che hanno fatto la storia della Formula 1”. La rassegna testimonia anche il legame che l’artista ha con la città in cui è nato e con il suo Autodromo che ha visto nascere la sua passione per il motorismo quando, giovanissimo all’età di sei anni, veniva portato dal padre ad assistere alle gare dove duellavano campioni del calibro di Giuseppe Farina, Alberto Ascari e Juan Manuel Fangio.

Ercole Colombo, reporter di sport tra i più apprezzati a livello internazionale, mette in scena un racconto per immagini degli eroi del volante, sia negli intensi momenti della gara che in quelli della vita privata. Scatti che rimandano momenti di grande tenerezza, come il bacio di Enzo Ferrari a Gilles Villeneuve, uno dei piloti che il Drake ha più amato, ma anche di enorme malinconia, come il ritratto di Colombo ad Ayrton Senna, raccolto nei test di Imola nel 1994, la settimana precedente la sua tragica scomparsa. C’è molto ‘Rosso’ in questa rassegna, che documenta il rapporto privilegiato che Colombo ha da sempre intrattenuto con l’universo Ferrari. Ecco allora gli scatti che ripercorrono 90 anni di storia del Cavallino attraverso i piloti che più hanno saputo accrescerne il mito, da Niki Lauda che vinse due mondiali con l’auto di Maranello, a Michael Schumacher, che ne vinse cinque consecutivamente, ad altri interpreti quali Clay Regazzoni, Fernando Alonso, Jody Scheckter, Michele Alboreto. Il percorso espositivo si conclude idealmente con una sezione che raccoglie una serie di testimonianze di piloti che raccontano il loro rapporto con Ercole Colombo.

«Il protagonista di questa mostra è il Gran Premio d’Italia – spiega l’Assessore alla Cultura del Comune di Monza Massimiliano Longo – che compie novant’anni. Una storia lunga quasi un secolo che sarà raccontata per immagini in questa straordinaria mostra fotografica allestita che ripercorre l’ultimo mezzo secolo di corse. Il #MonzaFuoriGP ribadisce così il suo legame, sempre più forte, con il mondo dei motori». Per consentire al maggior numero possibile di appassionati di motorismo, venuti a Monza per il Gran Premio, di ammirare le immagini di Ercole Colombo, la mostra, nel weekend tra giovedì 5 e sabato 7 settembre, rimarrà aperta con orario continuato dalle 10.00 alle 23.00.

Note biografiche

Ercole Colombo è nato a Monza il 18 Novembre 1944. La passione per le corse automobilistiche e la fotografia lo hanno portato dal 1970 ad oggi a diventare uno dei più assidui e stimati professionisti del settore. Nella sua lunga carriera ha raccolto un archivio con oltre 5 milioni di immagini ed ha pubblicato le sue foto sulle maggiori testate giornalistiche italiane e straniere (Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, La Stampa, Repubblica, Autosprint, Quattroruote, Sport Week, Tv Sorrisi e Canzoni, Specchio, Autobild, Auto Forum, l’Auto Journal, Autosport). Dal 1980 al 1992 ha fotografato la Coppa del Mondo di Sci, le Olimpiadi di Sarajevo (1984) e Calgary (1988), i Campionati del Mondo a Schladming (1982), Bormio (1985), Crans-Montana (1987) e Saalbach (1991). Ercole Colombo può essere definito una delle memorie storiche della F.1 e nel corso degli anni ha firmato una trentina di libri sul mondo dei motori. Da “Ferrari Campione del Mondo” (1975) fino a “I Love Ferrari” (2009), “Wrooom 20th” (2010) e “Wrooom 2011”, “Ayrton Senna l’ultima notte” (2016) e “Wow Gilles” (2017).

Nel 1983 è stato l’unico fotografo italiano invitato dai Musei di Arte Moderna di Long Beach e di San Francisco per partecipare alla mostra “Passione e precisione”, che ha toccato i più importanti musei delle città americane allo scopo di illustrare “Cento anni di corse automobilistiche”. In tre edizioni (1993, 2004, 2012) è stato invitato a presentare i suoi lavori a “Dia Sotto le Stelle”, Festival Internazionale di Audiovisivi. Le sue immagini hanno animato una quantità di mostre in Italia, Cina, Russia, Stati Uniti e Argentina. Nel 2011 a Tokyo, con la mostra dal titolo “RossoXRosso”, le sue foto sono state vendute in una asta benefica per raccogliere fondi a favore delle popolazioni colpite dal grave disastro di Fukushima. La manifestazione è stata ripetuta nel 2012 al Museo Nazionale di Kyoto.Nel corso della sua attività ha ricevuto significativi riconoscimenti tra i quali, direttamente dalle mani di Enzo Ferrari, il prestigioso Premio Dino Ferrari nel 1979. Nel 1984 ha ottenuto il titolo di “Fotografo dell’Anno di F1”.

Nel 2016 ha realizzato la Mostra “Ayrton Senna l’ultima notte” presso il Museo della Velocità all’Autodromo di Monza e successivamente al Museo Lamborghini dove ha registrato oltre 100.000 visitatori. Nel 2017 la Mostra “Wow Gilles” è stata esposta allo Spazio Oberdan di Milano, quindi al Museo della Velocità all’Autodromo di Monza e all’Arengario di Monza. Nel 2018 è entrato a far parte del “Paddock Hall of Fame” che raggruppa i personaggi più illustri della F1. Nel 2018 a Monza, in occasione del GP d’Italia, ha tagliato il traguardo del 700° Gran Premio di Formula 1 mentre quest’anno fotograferà il suo 50° Gran Premio d’Italia.

Informazioni: Tel. 02 36638600

IMMAGINE DI APERTURAGran Premio d’Italia –Monza 10 settembre 1978 “Il caos dopo il via. L’incidente che causò la morte di Ronnie Peterson. Un momento drammatico, seguito da una tensione formidabile”.

Photolux Festival di Lucca – Les Rencontres International de la Photographie di Arles

1° LUGLIO – 22 SETTEMBRE 2019
PHOTOLUX FESTIVAL DI LUCCA
PRESENTA
A LES RENCONTRES D’ARLES
LA MOSTRA DI
YVONNE DE ROSA

L’esposizione, realizzata in collaborazione con la Biennale Internazionale di Fotografia di Lucca, diretta da Enrico Stefanelli, è inserita all’interno del circuito ufficiale del più prestigioso festival dedicato alla fotografia e propone le immagini dell’artista napoletana, tratte dalla serie Negativo 1930.

Yvonne de Rosa – Negativo 1930 

Photolux Festival di Lucca, la Biennale Internazionale di Fotografia, diretta da Enrico Stefanelli, è nuovamente protagonista de Les Rencontres International de la Photographie di Arles, uno degli appuntamenti più importanti e riconosciuti a livello mondiale.
Dal 1° luglio al 22 settembre 2019, alla Fondation Manuel Rivera-Ortiz, l’artista napoletana Yvonne De Rosa rappresenterà la manifestazione toscana con le opere tratte dalla serie Negativo 1930, esposte all’interno del circuito ufficiale dei Rencontres.

È davvero un onore – afferma Enrico Stefanelli, direttore di Photolux – essere nuovamente presenti nel circuito ufficiale di Les Rencontres d’Arles. Questo è un chiaro segnale di quanto la Biennale Internazionale di Fotografia di Lucca abbia raggiunto una solida credibilità internazionale, grazie alle sue proposte espositive di alta qualità e alla fitta rete di rapporti che ha saputo intessere con istituzioni straniere. Mi corre l’obbligo di esprimere un doveroso ringraziamento alla Manuel Rivera-Ortiz Foundation for Documentary Photography & Film la cui partnership è stata fondamentale per l’organizzazione di questa mostra.
Negativo 1930 di Yvonne De Rosa, curata da Enrico Stefanelli e Laura Nobile, direttrice della L A Noble Gallery di Londra, racconta la storia, realmente accaduta in un piccolo paese della Campania negli anni trenta, di Nina, una giovane ragazza che si era innamorata di Peppino, un pescatore. Rimasta incinta, Nina comunicò la notizia a Peppino che la strangolò a morte.
Nina, a malapena riconoscibile, fu ritrovata in mare due settimane dopo, era totalmente calva a causa dell’acqua salata che aveva bruciato la cute del capo. Durante le indagini della polizia, venne reso noto il suo stato di gravidanza. Per il disonore, il padre ripudiò la figlia, il funerale non venne mai celebrato e il corpo traslato in un ossario. Peppino, accusato di omicidio, venne processato e dichiarato colpevole. La famiglia cancellò Nina dalla sua memoria, fino a quando Anna, nipote di nove anni della ragazza scomparsa, iniziò ad avere delle visioni, nelle quali le appariva una donna calva e nuda. Vennero celebrate molte messe, nel tentativo di porre fine a queste visioni, e molti abitanti del paese sostenevano di vedere aggirarsi il fantasma di Nina, fino a quando la sentirono dire “Finalmente sto andando via per un lungo viaggio”.

Yvonne De Rosa ha lavorato sul campo, visitando il villaggio di Nina e incontrando Anna che le ha mostrato i luoghi della vicenda e quelli in cui la ragazza era ‘apparsa’. Negativo 1930 indaga i temi del dolore collettivo, della colpa e del complotto, combinando fotografie caratterizzate da uno ‘spirito’ contemporaneo e dai toni ultravioletti con immagini del paesaggio e dei luoghi chiave della vicenda, così come la ricostruzione e le interpretazioni di questa squallida vicenda.

La nuova edizione di Photolux – Biennale Internazionale di Fotografia, quest’anno intitolata MONDI, è in programma a Lucca dal 16 novembre all’8 dicembre 2019.
Lucca, giugno 2019 YVONNE DE ROSA. Negativo 1930
Arles, Fondation Manuel Rivera-Ortiz (18 Rue de la Calade)
1° luglio – 22 settembre 2019
Orari: tutti i giorni, dalle 10.00 alle 19.00
Informazioni: T. +33 (0)4 90 96 76 06

Ufficio stampa: CLP Relazioni Pubbliche

IMMAGINE DI APERTURAYvonne de Rosa – Negativo 1930 (Particolare)

Ferdinando Scianna – Viaggio Racconto Memoria

VENEZIA/TRE OCI
DAL 31 AGOSTO 2019 AL 2 FEBBRAIO 2020
FERDINANDO SCIANNA
Viaggio Racconto Memoria
https://www.ferdinandoscianna.it/

La grande antologica racconta, attraverso 180 opere, oltre cinquant’anni di carriera di uno dei maestri della fotografia contemporanea.
Per l’occasione, verrà esposta una serie d’immagini di moda che Scianna ha realizzato a Venezia, testimonianza del suo forte legame con la città lagunare.

Ferdinando Scianna, Marpessa. Caltagirone, 1987 © Ferdinando Scianna 

Dal 31 agosto 2019 al 2 febbraio 2020, la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita l’antologica di Ferdinando Scianna (Bagheria, PA, 1943), una delle figure di riferimento della fotografia contemporanea internazionale.
La mostra, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, art director, organizzata da Civita Mostre e Musei e Civita Tre Venezie e promossa da Fondazione di Venezia, ripercorre oltre 50 anni di carriera del fotografo siciliano, attraverso 180 opere in bianco e nero, divise in tre grandi temi – Viaggio, Racconto, Memoria.
Per l’occasione, verrà esposta una serie d’immagini di moda che Scianna ha realizzato a Venezia come testimonianza del suo forte legame con la città lagunare.

“Dopo la mostra del 2016 sui 500 anni del Ghetto ebraico di Venezia – afferma Emanuela Bassetti, presidente di Civita Tre Venezie – Ferdinando Scianna torna alla Casa dei Tre Oci, con l’antologica che ne ripercorre mezzo secolo di carriera.
L’iniziativa è la nuova tappa di un progetto nato dalla collaborazione tra Civita Tre Venezie e Civita Mostre e Musei, frutto di un pensiero condiviso che ha come obiettivo l’analisi dei linguaggi artistici della contemporaneità, in particolare quello della fotografia e dei suoi più importanti esponenti”.
“L’esposizione – prosegue Emanuela Bassetti – è anche un modo per consolidare il forte legame esistente tra Ferdinando Scianna e Venezia, testimoniato dalla serie di immagini di moda che il fotografo siciliano ha scattato tra le calli e i campi della città”.

Ferdinando Scianna ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia negli anni sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di narrazioni, non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e con la sua modella icona Marpessa. Poi i reportage (è il primo italiano a far parte, dal 1982, dell’agenzia fotogiornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni.

Dotato di grande autoironia, Scianna ha scelto un testo di Giorgio Manganelli per sintetizzare questa sua mostra: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…”.
Come fotografo – ha affermato lo stesso Scianna, parlando del suo lavoro – mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo”.

Per approfondire i contenuti dell’esposizione, Casa dei Tre Oci ha predisposto un articolato progetto didattico rivolto sia alle scuole che ai gruppi di adulti e famiglie, con visite-esplorazione e laboratori su prenotazione, un ciclo d’incontri in mostra e una serie di visite guidate con i curatori. Ai visitatori sarà fornita un’audioguida (in italiano e in inglese), attraverso la quale sarà lo stesso Scianna a raccontare in prima persona il suo modo di intendere la fotografia e non solo. Un vero e proprio racconto parallelo, per conoscere da vicino il suo percorso umano e di fotografo. Nella Sala video di Casa dei Tre Oci verranno inoltre proiettati tre film-documentari dedicati alla sua vita professionale.

Accompagna la mostra un catalogo Marsilio Editori.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Ferdinando Scianna è nato a Bagheria, in Sicilia, nel 1943. Proprio nella sua città inizia a dedicarsi alla fotografia ancora giovanissimo, agli inizi degli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua terra d’origine. Decide molto presto di diventare fotografo, sconvolgendo i progetti dei propri genitori che lo volevano avvocato o medico. Già i primi ritratti delle persone di Bagheria, che Scianna ritrae con tono curioso e partecipe, risultano carichi d’intensità. Nel 1961 si iscrive a Lettere e Filosofia all’Università di Palermo, mentre la sua passione per la fotografia inizia a strutturarsi. Diventa allievo del grande critico Cesare Brandi e mostra le proprie foto a Enzo Sellerio che gli farà scoprire l’universo culturale bressoniano. Sono anche gli anni in cui si forma una coscienza politica determinante per l’evoluzione della sua fotografia, così come il vincolo con la propria terra d’origine e le tradizioni siciliane. Circa due anni dopo, un incontro fondamentale per la sua vita professionale e personale: entra in contatto con Leonardo Sciascia, lo scrittore con il quale a soli 21 anni pubblica il saggio Feste Religiose in Sicilia, libro che ottiene il prestigioso Premio Nadar. Il volume crea molte polemiche, soprattutto a causa dei testi di Sciascia, che mostra l’essenza materialistica delle feste religiose. Ma anche le foto del giovane Scianna hanno il loro impatto.

“La fotografia era la possibilità del racconto di una vicenda umana. Questo il mio maestro mi fece capire, e mi introdusse ad una certa maniera di vedere le cose, di leggere, di pensare, di situarsi nei confronti del mondo”. Sull’onda del successo del libro, Scianna si trasferisce a Milano dove lavora per l’Europeo come fotoreporter, poi inviato speciale e corrispondente da Parigi, dove vive per 10 anni. A Parigi inizia anche a dedicarsi con successo alla scrittura. Collabora con varie testate giornalistiche, fra cui Le Monde Diplomatique e la Quinzaine Littéraire. “Mi ritrovavo più a scrivere che a fotografare, ma sapevo di essere un fotografo che scrive”, racconta Scianna. Proprio nella capitale francese, il suo lavoro viene particolarmente apprezzato, da Henri Cartier-Bresson, che nel 1982 lo inviterà a presentare la sua candidatura all’agenzia Magnum Photos, da lui fondata nel 1947. Torna a Milano e lascia l’Europeo per dedicarsi alla fotografia: “L’agenzia è lo strumento di un gruppo di fotografi indipendenti, una struttura in grado di valorizzare il tuo lavoro tanto meglio quanto più sai utilizzare questo strumento. Magnum continua a sopravvivere secondo l’utopia egualitaria dei suoi fondatori, in modo misterioso riesce a far convivere le più violente contraddizioni”.

A Milano lavora per vari giornali. Inizia anche a fotografare per due giovani designer emergenti, Dolce e Gabbana. Un incontro casuale, che darà vita ad una delle collaborazioni meglio riuscite nella fotografia di moda. A Scianna viene richiesto di realizzare un catalogo inserendo la splendida modella Marpessa nel contesto della sua Sicilia. Scianna riesce a mescolare magistralmente i registri visivi del mondo della moda con l’esperienza del fotoreporter, creando un risultato originale che spezza la monotonia patinata della fotografia di moda. É un successo che lo porterà a collaborare con prestigiose riviste internazionali e a realizzare altri servizi di moda in cui affianca con maestria artificio ed autenticità. Questa improvvisa ed inaspettata svolta, apre il mondo fotografico di Scianna a nuove esperienze, parallele a quelle più tradizionali del fotogiornalismo: pubblicità e fotografie commerciali, senza mai abbandonare il reportage sociale, i ritratti ed il giornalismo.

IMMAGINE DI APERTURAFerdinando Scianna, Celia Forner. Sevilla, 1988 © Ferdinando Scianna. (Particolare)

Giovanni Oteri (G8) – Da Pollock al sole di Sicilia

MILAZZO Palazzo D’Amico
Mostra 4-5-6 luglio 2019
Sgocciolature
Personale di pittura astratta di Giovanni Oteri (G8)

Il pubblico degli estimatori di Giovanni Oteri (G8) incontra il maestro dell’astrattismo messinese a Palazzo d’Amico di Milazzo, per una mostra che apre al territorio le esposizioni-dialogo. Questo perché, oltre ad ammirare le opere, sarà possibile colloquiare con l’artista e, il 4 luglio, seguire una conversazione dell’arch. Sergio Bertolami sull’Espressionismo astratto. Si getterà uno sguardo all’astrattismo lirico di Vassily Kandinsky, a quello geometrico di Piet Mondrian, fino ad oltrepassare l’Oceano per approdare alla cosiddetta “scuola di New York”, che divenne il fenomeno più significativo sviluppatosi a partire dal secondo dopoguerra. Materia, colore, segno, da mezzi espressivi si trasformano nei veri protagonisti dell’opera d’arte (sempre più autobiografica) e Jackson Pollock sarà di questa tendenza il più noto rappresentante di ogni attività espressiva astratta. Giovanni Oteri (G8) parte dal protagonista americano e ne sviluppa i linguaggi, alla ricerca di fluttuazioni coloristiche che sappiano rispecchiare la propria terra, che è la Sicilia. Una ricerca gioiosa, a differenza del panorama angoscioso e perturbato dell’arte contemporanea. Un divertimento che l’artista messinese conduce da solo nel proprio laboratorio o all’aria aperta, ma anche attorniato da giovani entusiasti di esprimere sotto la sua guida la tecnica del Dripping, dal verbo inglese “to drip”: gocciolare, sgocciolare, colare, grondare. Il colore, ultimamente frammisto ad elementi materici, rimane impresso sulla tela come traccia dei movimenti dell’artista, con l’intento di rendere visibile la ricerca della propria interiorità. D’altra parte, era proprio Jackson Pollock che asseriva: “Dipingere è azione di autoscoperta. Ogni buon artista dipinge ciò che è”.

Dripping: Jackson Pollock by Hans Namuth

Firenze, Palazzo Strozzi e Museo del Bargello: Verrocchio, il maestro di Leonardo

Firenze, Palazzo Strozzi, con una sezione speciale al Museo Nazionale del Bargello
Verrocchio, il maestro di Leonardo
a cura di Francesco Caglioti e Andrea De Marchi
Promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi e Musei del Bargello con la collaborazione della National Gallery of Art, Washington DC
9 marzo – 14 luglio 2019

Andrea del Verrocchio e bottega –  L’arcangelo Raffaele e Tobiolo 1470-1472 

Dal 9 marzo al 14 luglio 2019 Verrocchio, il maestro di Leonardo presenta per la prima volta a Palazzo Strozzi, con una sezione speciale al Museo Nazionale del Bargello, straordinari capolavori di Andrea del Verrocchio, a confronto serrato con opere capitali di precursori, artisti a lui contemporanei e discepoli, come Desiderio da Settignano, Domenico del Ghirlandaio, Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Bartolomeo della Gatta, Lorenzo di Credi e Leonardo da Vinci. Nel 2019 si celebra il cinquecentesimo anniversario della morte di quest’ultimo, il suo più grande allievo, e l’esposizione di Palazzo Strozzi e del Museo Nazionale del Bargello si offre come uno dei più importanti eventi a livello internazionale nell’ambito delle celebrazioni leonardiane.

Curata da due tra i maggiori esperti del Quattrocento, Francesco Caglioti e Andrea De Marchi, la mostra comprende oltre 120 opere tra dipinti, sculture e disegni, con prestiti provenienti da oltre settanta tra i più importanti musei e collezioni private del mondo come il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery of Art di Washington DC, il Musée du Louvre di Parigi, il Rijksmuseum di Amsterdam, il Victoria and Albert Museum di Londra, le Gallerie degli Uffizi di Firenze. La mostra costituisce la prima retrospettiva mai dedicata a Verrocchio, mostrando al contempo gli esordi di Leonardo da Vinci, con sette sue opere, alcune delle quali per la prima volta esposte in Italia. Una mostra straordinaria che offre uno sguardo sulla produzione artistica a Firenze tra il 1460 e il 1490 circa, l’epoca di Lorenzo il Magnifico.

Artista emblematico del Rinascimento e prototipo del genio universale, Verrocchio sperimentò nella sua bottega tecniche e materiali diversi, dal disegno alla scultura in marmo, dalla pittura alla fusione in bronzo. Egli formò un’intera generazione di maestri, con i quali ha sviluppato e condiviso generosamente il proprio sapere. Nella storia dell’arte solo Giotto, Donatello e Raffaello hanno dato origine a una “scuola” paragonabile a quella di Verrocchio. Tramite il suo insegnamento si formarono artisti che hanno diffuso in tutta Italia, e fuori, il gusto e il linguaggio figurativo fiorentino, come testimoniano opere quali il David in prestito dal Museo Nazionale del Bargello, uno dei simboli assoluti dell’arte del Rinascimento e della città di Firenze stessa, e il Putto col delfino, in prestito dal Museo di Palazzo Vecchio, opera capitale e modello di naturalezza. Alla scultura si affiancano dipinti supremi come la Madonna col Bambino della Gemäldegalerie di Berlino o la Madonna col Bambino e angeli e l’Arcangelo Raffaele e Tobiolo della National Gallery di Londra: capolavori presentati insieme per la prima volta, che attestano lo straordinario talento di Verrocchio nel campo della pittura, in cui diviene punto di riferimento per i suoi celebri allievi. Formidabile, inoltre, la selezione di disegni e dipinti su lino provenienti da alcuni dei più importanti musei del mondo, che permetteranno un confronto vivo e diretto tra i lavori del maestro e quelli dei suoi allievi, come nel caso della celebre Dama dal mazzolino del Bargello posta accanto allo studio di Braccia e mani femminili di Leonardo da Vinci, generosamente concesso in prestito da Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Parte fondamentale della mostra sono infatti opere del giovane Leonardo, che negli anni Settanta lavorò nella bottega di Verrocchio, contribuendo al passaggio verso la Maniera Moderna, uno dei temi più avvincenti dell’arte di tutti i tempi. L’esposizione si propone di illustrare l’inesauribile vena creativa del maestro in un intreccio profondo e continuo tra pittura e scultura, presentando la sua opera nel dialogo costante con allievi fuori dal comune, per i quali la sua bottega fu luogo di intensa sperimentazione e condivisione.

IMMAGINE DI APERTURAAndrea del Verrocchio (Firenze, 1435 circa – Venezia, 1488), Madonna col Bambino, 1470 o 1475 circa, Tempera e olio su tavola, 54.6 x 75.8 cm, Be rlino, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie | © Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie / Christoph Schmidt

Ferrara, Castello Estense: L’arte per l’arte – Dipingere gli affetti

Ferrara, Castello Estense
L’arte per l’arte – Dipingere gli affetti: la pittura sacra a Ferrara tra Cinque e Settecento
Mostra a Cura di Giovanni Sassu con la collaborazione di Tito Manlio Cerioli e Romeo Pio Cristofori
26 Gennaio 2019 – 26 Dicembre 2019

Ippolito Scarsella (1551-1620), Martirio di Santa Margherita, 1611, tela cm 246,5 x 156,5, Ferrara, Azienda Servizi alla Persona, inv. DOC51 (in deposito presso i Musei di Arte Antica)

Torna al Castello Estense di Ferrara “L’arte per l’arte”, il progetto del Comune di Ferrara, promosso in collaborazione con la Fondazione Ferrara Arte, dedicato alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico della città reso inaccessibile dopo il sisma del 2012. Dopo le opere di De Pisis, Boldini, Previati e Mentessi delle Gallerie d’Arte Moderna, protagoniste delle prime due esposizioni del progetto l’Arte per l’Arte, l’attenzione si sposta ora verso il periodo dal Cinque al Settecento. Le sale riccamente affrescate dell’ala sud e dei Camerini del Castello ospiteranno infatti la quadreria di proprietà dell’ASP – Azienda Servizi alla Persona di Ferrara, depositata presso i Musei di Arte Antica.

Si tratta di un vero e proprio capitale artistico, pressoché sconosciuto eppure di grande rilevanza storica, che l’esposizione al Castello mira a restituire al grande pubblico. L’esperienza di visita assumerà i contorni di un viaggio nel tempo affascinante e sorprendente che spazierà dal tramonto del dominio Estense fino al secolo dei Lumi. Le tappe di questo itinerario ci condurranno al cospetto dei due importanti protagonisti della rivoluzione naturalistica di inizio Seicento: Ippolito Scarsella detto Scarsellino e Carlo Bononi. La soave magnificenza del primo e la dolente bellezza del secondo, caratterizzano la Ferrara di quegli anni facendone uno dei più intriganti centri artistici dell’epoca. Contestualmente, faremo la conoscenza di personalità cronologicamente precedenti e parallele come, ad esempio, Giuseppe Mazzuoli detto il Bastarolo, il cui il manierismo castigato è fondamentale nella seconda metà del Cinquecento, Gaspare Venturini, pittore molto attivo per i duchi e per committenti religiosi, e l’enigmatico Giuseppe Caletti, curiosa figura di artista “maledetto” operante nella prima metà del Seicento. La seconda metà del XVII secolo è caratterizzata dal mitigato universo figurativo di Giuseppe Avanzi, pittore di mediazione che schiuderà il sipario al Settecento dove si imporranno le singolari personalità di Giacomo Parolini e Giuseppe Zola.

L’esposizione di queste opere è stata preceduta da una campagna di manutenzioni e restauri eccezionale: dopo i recenti recuperi delle tele di Scarsellino curati dai Musei di Arte Antica, in previsione dell’esposizione sono state ben 34 le tele restaurate e 14 quelle per le quali sono state approntate manutenzioni. Un risultato a dir poco eccezionale, raggiunto grazie ai finanziamenti messi a disposizione dalla Fondazione Ferrara Arte, dall’ASP – Azienda Servizi alla Persona, dal CFR e dal CIAS dell’Università degli Studi di Ferrara, con le operazioni conservative dirette dai Musei di Arte Antica sotto l’Alta Sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Bologna. Ma perché Dipingere gli affetti? Per una doppia evocazione simbolica. La prima riguarda il linguaggio: le opere che saranno esposte in Castello si muovono nel solco degli orientamenti successivi al Concilio di Trento che delegavano all’arte il basilare compito di mediare tra il fedele e la religione, tra il visibile e l’invisibile, attraverso forme naturalistiche, emotive e familiari, nelle quali l’uomo del Sei e Settecento si potesse riconoscere. La seconda attiene alla vocazione umanitaria che animava i luoghi da cui esse erano originariamente collocate. Non delle chiese qualsiasi, ma gli altari, le cappelle e gli ambienti di istituti religiosi che ponevano al centro del loro operare l’aiuto verso gli altri, fossero essi orfani, indigenti, bisognosi o donne in difficoltà. Un insieme di esperienze animato da figure di primo piano della corte Estense – da Alfonso II a Barbara d’Austria, fino a Margherita Gonzaga – ma anche di una fetta consistente della nobiltà e della borghesia cittadina, impegnata nell’attività di carità e solidarietà.

Ed è così che protagonista di questa mostra sarà anche la città di Ferrara, nel tentativo di ricomporre il tessuto connettivo di un’«araldica della beneficenza» (per usare una felice definizione di Andrea Emiliani) che costituì la manifestazione più tangibile di quella pietas sei e settecentesca animata da empatica affettività e impegno sociale. Un attivismo che portò ad ornare alcuni dei luoghi sacri più rappresentativi, oggi quasi tutti scomparsi o mutati per fattezze o destinazioni d’uso, come i conservatori femminili di Santa Barbara e di Santa Margherita, o l’Opera Pia della Povertà Generale. Un vero e proprio viaggio nel tempo, insomma, alla ricerca delle radici moderne di Ferrara. Questo vale non solo sotto il profilo storico-artistico, ma anche dal punto di vista sociale: il fatto che queste opere siano state ereditate dall’ASP – Azienda Servizi alla Persona di Ferrara, e che quest’ultima abbia collaborato e sostenuto la realizzazione del progetto espositivo, rappresenta il filo rosso che collega l’attività umanitaria degli antichi Istituti caritatevoli, con l’attuale declinazione delle politiche attive per il welfare della città.

IMMAGINE DI APERTURAIppolito Scarsella (1551-1620), Madonna di Reggio e Santi, 1600 circa, tela cm 144,5 x 112,5, Ferrara, Azienda Servizi alla Persona, inv. DOC18 (in deposito presso i Musei di Arte Antica)

Primo strumento digitale per esplorare il Codice Atlantico di Leonardo

www.codex-atlanticus.it

Un nuovo sito internet sviluppato da The Visual Agency in collaborazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, consente di avere una visione d’insieme del capolavoro del genio fiorentino. L’applicazione, attraverso una visualizzazione assolutamente innovativa basata sugli argomenti trattati, permette di sfogliare il Codice Atlantico e mettere in luce l’evoluzione del pensiero leonardesco negli anni.

In occasione delle celebrazioni per i cinquecento anni dalla scomparsa di Leonardo da Vinci, The Visual Agency, società milanese di information design specializzata in infografica e data visualization, in collaborazione con la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, ha concepito, progettato e sviluppato un innovativo strumento che consentirà di approfondire, come mai si era fatto in precedenza, il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci, il vero “tesoro leonardiano” conservato alla Biblioteca Ambrosiana. Dal 15 aprile 2019, infatti, è online www.codex-atlanticus.it, un sito internet in italiano e inglese, in grado di offrire una visione panoramica e di dettaglio dell’evoluzione del pensiero leonardesco negli anni.

“La data visualization è la principale competenza della nostra agenzia – afferma Matteo Bonera, Creative Director The Visual Agency – ed è stata applicata a questo progetto di digital humanities, diventando un linguaggio di analisi e sintesi capace di fare luce sulla complessità di un’opera così articolata”. “Il progetto sviluppato da The Visual Agency – dichiara mons. Francesco Braschi, dottore della Biblioteca Ambrosiana -, a cui il Collegio dei Dottori ha voluto dare il suo convinto supporto, per i suoi caratteri di innovazione, rigorosità e accessibilità a chiunque, corrisponde pienamente alla missione affidata da Federico Borromeo alla Biblioteca Ambrosiana. Il nostro fondatore, infatti, più di quattro secoli fa aveva ben chiaro il proprio progetto culturale, ovvero unire la più elevata qualificazione a livello accademico e scientifico con la più alta capacità nella divulgazione e condivisione della conoscenza in tutte le sue forme: teologico-filosofica, storica, letteraria, artistica”.

“Poter “svelare” in modo accessibile e accattivante i temi trattati nel Codice Atlantico – continua monsignor Braschi – significa avvicinare i visitatori della Biblioteca e gli utenti del sito a una comprensione più veritiera di Leonardo e della sua opera, troppo spesso frettolosamente e superficialmente ridotti al rango di “icona” ultimamente incomprensibile. Nel riconoscere il genio di Leonardo, Federico Borromeo non mancava di sottolineare come la mancanza di veri amici, capaci di incanalare la sua insaziabile sete di conoscenza, gli avesse impedito di far fruttare appieno i suoi talenti. Un giudizio prezioso, che ci permette di trarre dalla frequentazione di questo straordinario personaggio un aiuto a comprendere anche la nostra vita”.

I visitatori di www.codex-atlanticus.it potranno sfogliare il Codice partendo da una panoramica generale organizzata per materie trattate e anno di stesura delle pagine. Selezionando una particolare materia o argomento è possibile evidenziare le pagine interessate. Molto interessante è la funzione che consente di organizzare il Codice seguendo l’ordine cronologico nel quale è stato redatto. Selezionando una pagina specifica è possibile vedere le immagini di recto e verso del foglio, approfondire gli argomenti trattati e risalire alle pagine simili. L’accesso al sito è gratuito e non richiede una registrazione ed è ottimizzato per la fruizione attraverso dispositivi mobili e tablet. Inoltre, nella sala Federiciana della Biblioteca Ambrosiana, che accoglie a rotazione alcuni dei fogli più significativi del Codice Atlantico, è presente un totem con schermo sensibile al tatto, per ricreare in situ le stesse esperienze di visita a di approfondimento, che si possono avere sul sito www.codex-atlanticus.it.

L’intero progetto si basa su una ricerca svolta sul volume Il Codice Atlantico di Leonardo da Vinci: indici per materie e alfabetico di Augusto Marinoni, a cura di Pietro C. Marani. La grande mole di informazioni ricavata è stata elaborata per ottenere i dati relativi alla datazione e all’individuazione degli argomenti trattati  in ogni singolo foglio del codice (organizzati in cinque materie: Architettura e Arti Applicate, Fisica e Scienze Naturali, Geometria e Algebra, Scienze Umane, Strumenti e Macchine) e per creare un enorme database che consente di risalire, a partire da ogni frammento di pagina, all’anno in cui era stato scritto, alla materia e alla sotto-materia di cui trattava.

Codex-Atlanticus.it
Una nuova luce sulla più grande opera di Leonardo da Vinci

Venezia, Palazzo Contarini Polignac – Förg in Venice

Venezia, Palazzo Contarini Polignac –
Förg in Venice
Evento Collaterale della Biennale Arte 2019
Mostra Elisa Schaar
Dall’11 maggio al 23 agosto 2019

Günther Förg: Untitled (Mask), 2000, Bronze, travertin plinth 42 x 12.5 x 10 cm / 16 1/2 x 4 7/8 x 3 7/8 in.© Estate Günther Förg, Suisse / VG Bild-Kunst, Bonn 2019. Courtesy Estate Günther Förg, Suisse and Hauser & Wirth

Förg in Venice offre un’approfondita ricognizione delle opere dell’artista all’interno dell’impareggiabile contesto veneziano di Palazzo Contarini Polignac, Venezia

Il Dallas Museum of Art (DMA) è lieto di presentare la mostra di Günther Förg (1952-2013), che sarà ospitata nello storico Palazzo Contarini Polignac a Venezia durante la Biennale Arte 2019. Evento Collaterale ufficiale della 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, Förg in Venice farà seguito a Günther Förg: a Fragile Beauty, la prima mostra americana in oltre trent’anni dedicata all’artista, organizzata nel 2018 dal Dallas Museum of Art in collaborazione con lo Stedelijk Museum di Amsterdam. Realizzata in stretta cooperazione con l’Estate di Günther Förg, Förg in Venice metterà in mostra oltre 30 opere del percorso multidisciplinare di Förg – dai dipinti alle meno note sculture – per riflettere sui metodi intuitivi e di ampio respiro di questo artista intellettuale e poliedrico. La mostra è curata dalla Dottoressa Elisa Schaar, storica dell’arte, e segue la ricerca resa disponibile dalla precedente mostra di Dallas, curata dalla Dottoressa Anna Katherine Brodbeck, Curatrice Capo del Dipartimento di Arte Contemporanea del DMA.

“Dopo l’importante mostra del Dallas Museum of Art dedicata all’artista nel 2018, siamo lieti di presentare il lavoro di Günther Förg al pubblico internazionale di Biennale Arte 2019, coinvolgendo nuove generazioni mondiali nello stesso modo in cui l’operato dell’artista ha influenzato la storia dell’arte per generazioni” ha dichiarato il Dottor Agustín Arteaga, Direttore del DMA. Nato nel 1952 a Füssen, Algovia, Germania, Förg è uno dei più significativi artisti tedeschi della generazione del dopoguerra, noto per il suo stile sperimentale e provocatorio legato alla storia dell’arte. Attraverso la sua innovativa produzione interdisciplinare che ha sfidato i limiti delle discipline artistiche, Förg ha esplorato un linguaggio di astrazione ed espressionismo, appropriandosi di metafore prese in prestito da architettura e arte moderna. L’Italia e l’architettura italiana hanno giocato un ruolo centrale nello sviluppo della carriera di Förg. Il suo primo viaggio in Italia, nel 1982, stimolò la sua nota serie di fotografie sugli edifici di importanza culturale e politica, dai monumenti italiani alle costruzioni in stile Bauhaus a Tel Aviv. Attraverso la fotografia, Förg riuscì a esplorare la relazione tra arte, architettura e interventi spaziali, un tema ricorrente in tutta la sua produzione che la mostra di Venezia metterà in risalto. Alcuni lavori di Förg furono esposti già alla 45. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia nel 1993 all’interno della mostra Il Viaggio verso Citera, ma Förg in Venice realizzerà il desiderio dell’artista di esporre durante la Biennale Arte con una personale, un sogno rimasto incompiuto quando era in vita.

Förg in Venice presenterà questo poliedrico artista sotto una nuova prospettiva, in un’ambientazione veneziana senza eguali dove gli arredi e le decorazioni giocheranno un ruolo chiave nel contestualizzare l’arte. La mostra offrirà una panoramica approfondita dei temi estetici e concettuali affrontati da Förg, non solo dal punto di vista della produzione artistica ma anche in relazione al contesto in cui le opere sono esposte. L’artista riteneva che lo spazio, l’ubicazione e il posizionamento di una sua opera fossero intrinseci all’opera stessa. Durante la sua carriera, Förg dipinse sulle pareti delle gallerie, usò porte e finestre come elementi integranti, e arrivò a usare la vernice di alcune sue opere per creare un gioco di riflessi che desse vita a considerazioni inaspettate. Per lo stesso motivo, l’artista installò più volte le sue opere all’interno di contesti storici, spesso attraverso interventi tanto delicati quanto minimalisti. Questa mostra porterà avanti tale tradizione, preservando l’atmosfera del Palazzo ma anche indagando lo spirito creativo e ludico di Förg. Nel contesto di Palazzo Contarini Polignac – una location classica, romantica e mozzafiato affacciata sul Canal Grande di Venezia – imbattersi nelle opere versatili e sapienti dell’artista inviterà il visitatore a interrogarsi sul rapporto di Förg con la storia dell’arte e dell’architettura, entrambe determinanti nella sua produzione polivalente.

Attraverso l’installazione delle opere d’arte di Förg – prevalentemente aderenti alle tradizioni moderniste- all’interno delle sale decorate e dell’architettura rinascimentale di Palazzo Contarini Polignac, l’esposizione indagherà l’eredità del modernismo estetico (uno degli ideali al centro dello studio di Förg) in uno spazio ricco di storia e maestria artigiana. La mostra non avrà uno sviluppo tradizionale bensì un allestimento di grande atmosfera dove le opere dell’artista abiteranno un contesto intimo e privato evocando una malinconia e un romanticismo raramente
associati all’opera di Förg. Grazie all’integrazione del ricco corpus di opere di Förg negli interni delle sale del Palazzo, la mostra illustrerà l’interesse dell’artista per il dialogo tra arte, architettura e fruizione. Lungo tutto il Palazzo, singoli quadri, arazzi ed elementi decorativi in determinate posizioni saranno sostituiti con le opere dell’artista. Al piano terra, un dipinto minimalista di grandi dimensioni raffigurante una finestra, “Untitled” (2004), affiancato da alcuni schizzi preparatori dell’opera, prenderà il posto di uno stemma dando l’impressione che ci sia una finestra dove in realtà non c’è. Nonostante la loro forte geometria, le finestre di Förg sono provocatorie poiché offrono una cornice dentro cui guardare ma senza fornire alcuna visuale: al contrario, dirigono e limitano lo sguardo, mettendo in discussione l’atto visivo e l’estetica in sé.

Nel Salone del Palazzo, quattro straordinari dipinti in stile Spot Painting realizzati tra il 2007 e il 2009 saranno presentati di fronte a quattro ampi arazzi. In queste opere astratte e gestuali, i segmenti orizzontali delle pennellate verticali richiamano i raffinati scarabocchi di Cy Twombly, ma con differenze sia a livello cromatico – con un diverso uso del bianco e del grigio chiaro che sembrano richiamare la base di una tavolozza – sia per quanto concerne l’impiego di pennelli puliti. Questi Spot Painting danno l’idea di essere stati prodotti velocemente, ma sono in realtà frutto tanto di una rapida intuizione quanto di un’attenta riflessione dell’artista. Insieme, i quattro dipinti daranno prova della ponderata e incessante sperimentazione di abbinamenti cromatici, applicazioni di pittura, composizioni e ritmi dell’artista, il tutto all’interno di una sola serie di quadri. Collocate di fronte agli arazzi figurativi del Palazzo, che si potranno ancora intravedere, queste opere di Spot Painting evocheranno – attraverso le pennellate fluttuanti sulle superfici piane – una sorta di potere autonomo dell’astrazione modernista, sottolineando il rapporto stesso dell’artista con questa forma artistica, tanto coinvolto quanto distaccato. Nella maestosa sala degli specchi del Palazzo, una serie di sculture di Förg, realizzate nel 1990, verranno installate vicino alle finestre. Queste sculture figurative, tra cui maschere di bronzo su piedistalli in compensato grezzo, esplorano le possibilità e i limiti della materia. Le superfici corpose, lavorate rapidamente, fanno pensare alla distruzione: deliberatamente imperfette, dimostrano che Förg preferiva esplorare un’idea anziché realizzare un ideale di piacere e perfezione estetica. Le superfici palpabili recano i segni delle impronte digitali di Förg, di agenti esterni casuali e danni fisici che spingono il bronzo e la sua lavorazione lontani dalle associazioni gerarchiche, classiche e monumentali di tale materiale. Lungo le sale laterali del Palazzo saranno infine in mostra diversi dipinti astratti di Förg datati dagli anni Ottanta agli anni Novanta, che sostituiranno le opere d’arte solitamente esposte. Nella sua interezza, l’offerta espositiva della mostra dà prova dell’ampia portata della carriera di Förg e della sua tendenza alla sperimentazione, raggruppando i vari filoni e le influenze concettuali che hanno interessato la sua produzione – dall’agile esecuzione, complessità tonale e composizione stratificata, alla libera gestione delle discipline formali e delle strutture geometriche.

IMMAGINE DI APERTURAGünther Förg at the opening of his exhibition at the Kunstverein Hannover 1995. © Estate Günther Förg, Suisse / VG Bild-Kunst, Bonn 2019. Courtesy Estate Günther Förg, Suisse and Hauser & Wirth