Il sogno di Lady Florence Phillips. La Collezione della Johannesburg Art Gallery

Il sogno di Lady Florence Phillips
La Collezione della Johannesburg Art Gallery

Siena, Santa Maria della Scala
13 giugno – 13 settembre 2020

Andy Warhol – Joseph Beuys © Johannesburg Art Gallery

Il sogno di Lady Florence Phillips – La Collezione della Johannesburg Art Gallery, è la mostra di Opera – Civita, promossa dal Comune di Siena, che presenterà, dal prossimo 13 giugno al 13 settembre 2020 al Santa Maria della Scala, la collezione di capolavori conservata permanentemente alla Galleria d’Arte di Johannesburg.

Una selezione di circa sessanta opere, tra olii, acquerelli e grafiche, ripercorrerà oltre un secolo di storia dell’arte internazionale, dalla metà del XIX secolo fino al secondo Novecento, attraverso i suoi maggiori interpreti: Van Gogh, Degas, Monet, Cézanne, Matisse, Modigliani, Turner, Rodin, Moore, Lichtenstein, Derain, Pissarro, Corot, Sargent, Sisley, Bacon, Rossetti, Warhol, Signac, Picasso e molti altri.

Fino al 13 settembre sarà possibile, quindi, ammirare questa collezione di capolavori presso le sale espositive del Santa Maria della Scala a Siena, attraverso questa grande mostra, a cura di Simona Bartolena e con catalogo Skirà, che si preannuncia come uno degli eventi più significativi dell’intera stagione estiva.

Le informazioni, le prevendite e le prenotazioni saranno aperte da lunedì 3 febbraio 2020 al numero +39 0577 286300 o scrivendo una mail a sienasms@operalaboratori.com

IMMAGINE DI APERTURA – Claude Monet – La Primavera, 1875 © Johannesburg Art

Torino: Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero

20 Febbraio 2020 – 10 Maggio 2020
Torino, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero
Mostra a cura di Walter Guadagnini, con la collaborazione di Barbara Bergaglio e Monica Poggi

Mario De Biasi, Gli italiani si voltano, Moira Orfei, 1954 © eredi di Mario De Biasi

Con Memoria e passione. Da Capa a Ghirri. Capolavori dalla Collezione Bertero, dal 20 febbraio al 10 maggio 2020, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia si anima attraverso le storie e i racconti celati nelle immagini più significative della Collezione Bertero, raccolta unica in Italia per originalità dell’impostazione e qualità delle fotografie presenti.

Curata da Walter Guadagnini, direttore di CAMERA, con la collaborazione di Barbara Bergaglio e Monica Poggi, la mostra racconta il nostro passato, le radici del nostro presente insieme all’evoluzione del linguaggio fotografico lungo quattro decenni. Tra le oltre duemila immagini che compongono la collezione, i curatori ne hanno scelte più di trecento, realizzate da circa cinquanta autori tra i quali alcuni dei protagonisti della storia della fotografia italiana e mondiale della seconda metà del Novecento: Bruno Barbey, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Lisetta Carmi, Henri Cartier-Bresson, Mario Cattaneo, Carla Cerati, Mario Cresci, Mario De Biasi, Mario Dondero, Alfred Eisenstaedt, Luigi Ghirri, Mario Giacomelli, Jan Groover, Mimmo Jodice, William Klein, Herbert List, Duane Michals, Ugo Mulas, Ruth Orkin, Federico Patellani, Ferdinando Scianna, Franco Vimercati e Michele Zaza.

Siamo partiti dall’idea che questa ricchissima collezione, oltre al Neorealismo per il quale è giustamente famosa, potesse offrire altre chiavi di lettura di grande interesse. – spiega Walter Guadagnini – Abbiamo quindi individuato tre nuovi grandi temi: primo, la fotografia americana degli anni ’30, che Bertero ha considerato interessante in quanto anticipazione e contraltare del nostro Neorealismo; secondo, l’Italia vista attraverso l’obbiettivo di grandi fotografi stranieri come Capa, Cartier-Bresson, Orkin, Barbey, List; terzo, la stagione del grande rinnovamento della fotografia italiana degli anni ’70/’80, con tutti i suoi protagonisti, Mulas, lodice, Basilico, Ghirri, Scianna,Cresci, Zaza, Berengo Gardin, Giacomelli e molti altri. Più, inoltre, una piccola sezione dedicata a Torino, luogo centrale agli albori e non solo della fotografia italiana.

Nelle sale di CAMERA, la Storia diventa lo sfondo su cui si sviluppano innumerevoli storie, parlandoci di un Paese e di tanti paesi. I protagonisti sono contadini, preti, famiglie, nobildonne, militari, bambini e fotografi che, con gli accenti e le lingue più disparate, hanno scritto il ricordo di queste vicende. Il racconto nasce nell’Italia appena liberata dal fascismo, fra le macerie e la povertà di una società provata dalla guerra, legata – in particolare nel sud del paese – a tradizioni ancora ancestrali, soprattutto sul piano religioso, estremamente affascinanti per i fotografi del cosiddetto periodo “Neorealista”. Prosegue poi lungo gli anni del boom economico, tra nuovo benessere e nuovi modi di vita, esemplificati dalla stagione eroica di Via Veneto a Roma e dei “paparazzi” che la animavano. La storia si conclude negli anni Settanta e Ottanta, con i grandi maestri della fotografia di paesaggio e di quella concettuale, che hanno saputo evolvere le premesse degli anni precedenti in una nuova lingua, divenuta oggi a sua volta classica.

Questa mostra è però anche e soprattutto l’omaggio alla splendida storia di un collezionista che, a partire dalla fine degli anni Novanta ad oggi ha raccolto circa duemila stampe con una passione unica. Una collezione nata quasi per caso e proseguita negli anni con tale lucidità e determinazione da divenire un punto di riferimento mondiale per la conoscenza e lo studio del neorealismo fotografico italiano. Parti della collezione sono già state esposte in sedi prestigiose all’estero, da Photo Espana al Fotomuseum di Winterthur fino al Metropolitan Museum di New York, e in Italia, grazie alla volontà di Guido Bertero di condividere il suo patrimonio con il pubblico, in un’ottica di estrema apertura e volontà di diffondere la conoscenza di questo linguaggio.

La mostra è accompagnata da un volume pubblicato da Umberto Allemandi editore, introdotto da Walter Guadagnini. Oltre la riproduzione di più di 250 immagini, all’interno del volume sarà possibile ripercorrere queste vicende attraverso il dialogo fra collezionista e curatore.

L’attività di CAMERA è realizzata grazie a Intesa Sanpaolo, Lavazza, Eni, Reda, in particolare la programmazione espositiva e culturale è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.

IMMAGINE DI APERTURALuigi Ghirri, Alpe di Siusi, 1979 © eredi di Luigi Ghirri (Particolare)

Milano: Leonardo da Vinci e Guido da Vigevano. Anatomia in figure

Milano, Sala Sottofedericiana dell‘Ambrosiana (ingresso da Piazza San Sepolcro)
7 febbraio – 29 marzo 2020
Leonardo da Vinci e Guido da Vigevano. Anatomia in figure
a cura di Paola Salvi

Guido da Vigevano, Disegno del carro a vento da Texaurus regis Francie acquisitionis terre sancte de ultramare, nec non sanitas corporis eius et vita ipsius prolungationis ac etiam cum custodia propter venenum, c. 1375, Yale nel Center for British Arts.

L’esposizione pone a confronto i modi di raffigurazione anatomica di due geni del passato, attraverso le riproduzioni del capolavoro di Guido da Vigevano, Anothomia designata per figuras, e di alcuni fogli di Leonardo da Vinci che evidenziano l’evoluzione dei suoi studi sul corpo umano. Alcuni disegni anatomici leonardeschi sono stati tradotti in cinque sculture realizzate con la tecnica tradizionale della ceroplastica. Completa la mostra il modello ligneo del carro a vento di Guido, ideato come macchina da guerra ma che può essere ritenuto anche la prima auto-mobile della storia.
All’interno del percorso di visita della Cripta di San Sepolcro, dal 7 febbraio al 29 marzo 2020, la Sala Sottofedericiana della Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano ospita una mostra che pone a confronto le figure di due geni del passato quali Guido da Vigevano (1280-1349) e Leonardo da Vinci (1452-1519) e i loro metodi di raffigurazione anatomica. L’esposizione, curata da Paola Salvi, resa possibile dal Comune di Vigevano, col patrocinio della Regione Lombardia, dell’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dell’Università di Pavia, sostenuta dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci e organizzata con l’Associazione OverArt associazione culturale no profit, chiude il programma d’iniziative proposte dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano per valorizzare il suo patrimonio di opere di Leonardo, tra i più importanti al mondo, e degli artisti della sua cerchia. La rassegna presenta la riproduzione delle 18 figure (in 16 tavole) del trattato Anothomia designata per figuras (1345) di Guido da Vigevano, accanto a una serie di riproduzioni di disegni anatomici di Leonardo da Vinci, realizzati tra il 1480 e il 1517 circa. Da alcuni di questi disegni, che appartengono al vasto repertorio anatomico di Leonardo, conservati nelle collezioni della Regina Elisabetta II d’Inghilterra nel Castello di Windsor, sono state ricavate cinque sculture, ideate da Paola Salvi e realizzate da Moreno Vezzoli, con la tecnica tradizionale della ceroplastica, per fare apprezzare la loro precisione anatomica e la bellezza artistica. “Si è voluto porre l’attenzione sulla bellezza artistica – afferma Paola Salvi – poiché Leonardo per conoscere l’interno del corpo umano ha praticato la dissezione, presumibilmente con l’assistenza di un “cerusico”, come era d’uso al tempo, ma con l’intento di superarla riportando le conoscenze acquisite alla vita del corpo in azione”. “I suoi disegni – continua Paola Salvi – seguono la fedeltà anatomica del corpo vivente, superano nella ricercatezza grafica ogni aspetto “macabro” e testimoniano non solo la realtà della rappresentazione anatomica, ma anche le teorie della sua epoca, quelle stesse che Leonardo visualizza laddove l’esperienza non gli permette di verificarle ed eventualmente confutarle”. Il percorso espositivo si completa, grazie alla collaborazione di Carlo E. Rottenbacher, docente del Dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università di Pavia, con la ricostruzione in scala del carro “a vento” di Guido da Vigevano, modello ligneo derivante dal disegno progettuale contenuto VENERANDA BIBLIOTECA AMBROSIANA Piazza Pio XI, 2 20123 Milano, Italy t +3902806921 fax +390280692215 P.I. 04196990156 www.ambrosiana.it 3 nel Texaurus Regis Francie (1335), un manoscritto che, per la sua epoca, presenta notevoli soluzioni meccaniche e di visualizzazione. Le figure di Guido da Vigevano – medico e progettista del primo veicolo in grado di muoversi producendo autonomamente l’energia necessaria – e di Leonardo da Vinci sono accomunate dalla stessa intenzione raffigurativa. Se Guido da Vigevano ha provveduto a dare rappresentazione ‘realistica’ al metodo anatomico, confidando nel valore conoscitivo delle immagini, un secolo e mezzo dopo Leonardo da Vinci prosegue questo percorso ponendo al centro l’armonia delle forme e la vitalità del corpo umano in movimento. La mostra prosegue idealmente nella sala Federiciana della Pinacoteca Ambrosiana dov’è allestita, fino al 1° marzo, la mostra Leonardo da Vinci e il suo lascito: gli artisti e le tecniche, curata da Benedetta Spadaccini, che presenta alcuni disegni originali di Leonardo conservati alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana tra i quali studi anatomici di gambe e la celebre lettera di presentazione a Ludovico il Moro che si legano al tema anatomico e alla progettazione di macchine da guerra.

IMMAGINE DI APERTURAScultura in ceroplastica, busto con braccio alzato, ideazione Paola Salvi, realizzazione Moreno Vezzoli.

Torino: Helmut Newton. Works

30 Gennaio 2020
Helmut Newton. Works
Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea
30 gennaio 2020 – 3 maggio 2020

(Immagine guida – Exhibition main image)
Helmut Newton Rushmore, Italian Vogue 1982 ©Helmut Newton Estate

La GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino apre la stagione espositiva del 2020 inaugurando la grande retrospettiva Helmut Newton. Works, promossa da Fondazione Torino Musei e prodotta da Civita Mostre e Musei con la collaborazione della Helmut Newton Foundation di Berlino.

Il progetto espositivo è a cura di Matthias Harder, direttore della fondazione tedesca, che ha selezionato 68 fotografie con lo scopo di presentare una panoramica, la più ampia possibile, della lunga carriera del grande fotografo che sin dagli inizi non ha mai smesso di stupire e far scalpore per i suoi concetti visivi veramente unici. Il risultato è un insieme di opere non solo particolarmente personali e di successo, ma che hanno raggiunto un pubblico di milioni di persone anche grazie alle riviste e ai libri in cui sono apparse, e alle mostre delle sue foto.

Nel percorso di mostra si spazia dagli anni Settanta con le numerose copertine per Vogue, sino all’opera più tarda con il bellissimo ritratto di Leni Riefenstahl del 2000, offrendo la possibilità ai visitatori di comprendere fino in fondo il suo lavoro come mai prima d’ora.

Quattro sezioni che rendono visibile come in questo lungo arco di tempo, Newton abbia realizzato alcuni degli scatti più potenti e innovativi del suo tempo. Numerosi ritratti a personaggi famosi del Novecento, tra i quali Andy Warhol (1974), Gianni Agnelli (1997), Paloma Picasso (1983), Catherine Deneuve (1976), Anita Ekberg (1988), Claudia Schiffer (1992) e Gianfranco Ferré (1996). Delle importanti campagne fotografiche di moda, invece, sono esposti alcuni servizi realizzati per Mario Valentino e per Thierry Mugler nel 1998, oltre a una serie di importanti fotografie, ormai iconiche, per le più importanti riviste di moda internazionali.

Il chiaro senso estetico di Newton pervade tutti gli ambiti della sua opera, oltre alla moda, anche nella ritrattistica e nella fotografia di nudi. Al centro di tutto le donne, ma l’interazione tra uomini e donne è un altro motivo frequente della sua opera.

Helmut Newton morì improvvisamente il 23 gennaio 2004 a Los Angeles, prima di poter assistere alla completa realizzazione della Fondazione a lui dedicata.

Helmut Newton Works è il titolo del grande volume edito da Taschen che comprende anche le foto esposte in mostra e ne rappresenta idealmente il catalogo.

IMMAGINE DI APERTURA – Helmut Newton Claudia Schiffer, Vanity Fair Menton 1992 ©Helmut Newton Estate

Milano: La fotografia di ricerca in Lombardia e in Italia

Milano: Spazio eventi di palazzo Pirelli
Dal 26 febbraio al 22 marzo 2020
La fotografia di ricerca in Lombardia e in Italia

Luigi Erba, Brianza, 1973 – 2009. Stampa ai pigmenti di inchiostro su carta cotone realizzata dallo Studio De Stefanis di Milano da vintage su carta baritata, eseguito con solarizzazione del negativo, 30 x 40 cm (su foglio 34 x 43.5). Courtesy Collezione Fabio Castelli

La rassegna ripercorrerà quel periodo che, dalla metà degli anni sessanta a tutto il decennio successivo, ha visto la fotografia di tipo documentario o di reportage, spostarsi nell’ambito sperimentale delle avanguardie artistiche.

Il percorso espositivo presenterà opere di alcuni protagonisti di quella stagione, da Ugo Mulas a Gabriele Basilico, da Paola Mattioli a Luigi Erba, da Nino Migliori a Mario Giacomelli, da Gianfranco Chiavacci a Franco Vaccari, da Mimmo Jodice a Ketty La Rocca, da Mario Cresci a Luigi Ghirri.

Dal 26 febbraio al 22 marzo 2020, lo Spazio Eventi del Consiglio Regionale della Lombardia in Palazzo Pirelli di Milano ospita la mostra LA FOTOGRAFIA DI RICERCA IN LOMBARDIA E IN ITALIA.

La rassegna, curata da Elio Grazioli, ideata da MIA Photo Fair in collaborazione con il Consiglio Regionale della Lombardia, ripercorrerà quel periodo che, dalla metà degli anni sessanta a tutto il decennio successivo, ha visto la fotografia spostarsi dall’ambito tradizionale, ovvero quello di tipo documentario o di reportage, a quello parallelo o interno alle avanguardie artistiche, spesso definito ‘sperimentale’ o ‘estetico’, degli “artisti che usano la fotografia” come linguaggio d’arte contemporanea, sviluppando indagini sulla luce, la percezione, l’astrazione e affiancando le ricerche di movimenti come la Body Art e l’arte concettuale.

Il percorso espositivo presenterà 80 opere di alcuni dei protagonisti di quella stagione, da Ugo Mulas a Gabriele Basilico, da Paola Mattioli a Luigi Erba, da Nino Migliori a Mario Giacomelli, da Gianfranco Chiavacci a Franco Vaccari, da Mimmo Jodice a Ketty La Rocca, da Mario Cresci a Luigi Ghirri, ad altri ancora, che documenteranno come i cambiamenti di linguaggio siano andati di pari passo con quelli della rappresentazione dei temi più ampi e determinanti della realtà, come il paesaggio, sia naturale che urbano, il corpo e il genere, l’identità e la società.

La mostra avrà un approfondimento a The Mall a Milano, durante MIA Photo Fair (19 – 22 marzo 2020), la fiera italiana dedicata alla fotografia d’arte, dove otto gallerie proporranno degli stand monografici con alcuni dei maestri che parteciparono a quella stagione, quali Luigi Erba, Aldo Tagliaferro, Lamberto Pignotti, Gianfranco Chiavacci, Paolo Gioli, Luigi Maria Patella, Franco Fontana, Michele Zaza.

E proprio in occasione della fiera, domenica 22 marzo 2020, lo Spazio Eventi del Consiglio Regionale della Lombardia rimarrà eccezionalmente aperto, dalle ore 11.00 alle 18.00.

IMMAGINE DI APERTURALuigi Ghirri, Dalla serie “Paesaggi di Cartone, 1971-1974”, Senza titolo, 1971. Courtesy Collezione Fabio Castel. Particolare

Monza: Giappone. Terra di geisha e samurai

Monza, Villa Reale
30 Gennaio 2020 – 02 Giugno 2020
Giappone. Terra di geisha e samurai
Mostra a cura di Francesco Morena

Il meglio di due grandi collezioni private, unito per offrire a Monza, in Villa Reale (dal 30 gennaio al 2 giugno), una sorta di viaggio iniziatico in Giappone, paese la cui cultura e le cui arti affascinano da sempre, per grandissima varietà e raffinatezza.

Il percorso espositivo, messo a punto da Francesco Morena, propone uno spaccato delle arti tradizionali dell’arcipelago estremo-orientale attraverso una precisa selezione di opere databili tra il XIV e il XX secolo, tutte provenienti dalla raccolta di Valter Guarnieri, collezionista trevigiano con una grande passione per l’Asia orientale, alle quali si uniscono, in questa speciale occasione, alcuni kimono della raccolta di Lydia Manavello, collezionista trevigiana esperta conoscitrice di tessuti asiatici.
La mostra è prodotta da ARTIKA, con il Patrocinio del Comune di Monza.
Il percorso si sviluppa per isole tematiche, approfondendo numerosi aspetti relativi ai costumi e alle attività tradizionali del popolo giapponese.
La parte centrale dell’esposizione non poteva che essere dedicata al binomio Geisha e Samurai. Il Giappone tradizionale è infatti un paese popolato di bellissime donne, le geisha, e audaci guerrieri, i samurai. La classe militare ha dominato il paese del Sol Levante per lunghissimo tempo, dal XII alla metà del XIX secolo, imponendo il proprio volere politico ed elaborando una cultura molto raffinata la cui eco si avverte ancora oggi in molti ambiti. La geisha, o più in generale la beltà femminile così come la intendiamo noi (volto ovale cosparso di cipria bianca, abiti elegantissimi e modi cadenzati), ha rappresentato per il Giappone un topos culturale altrettanto radicato, dalle coltissime dame di corte del periodo Heian (794-1185) alle cortigiane vissute tra XVII e XIX secolo, così ben immortalate da Kitagawa Utamaro (1753-1806), il pittore che meglio di ogni altro ha restituito la vivacità dei quartieri dei piaceri di Edo (attuale Tokyo).
Dal mondo degli uomini a quello, affollatissimo, degli dei, sintesi di credenze autoctone e influenze provenienti dal continente asiatico. Il Buddhismo, in particolare, di origini indiane, è giunto nell’arcipelago per tramite di Cina e Corea. Esso ha permeato profondamente il pensiero giapponese, soprattutto nella sua variante dello Zen, che in questa sezione è testimoniata da un gruppo di dipinti nel formato del rotolo verticale raffiguranti Daruma, il mitico fondatore di questa setta.
Questo affascinante avvicinamento all’arte e alla cultura nipponica continua introducendo alla quotidianità del suo popolo: dalle attività di intrattenimento come il teatro Kabuki, dall’utilizzo del kimono alla predilezione degli artisti giapponesi per la micro-scultura. Di quest’ultima troviamo esempio nel nucleo di accessori legati al consumo del fumo di tabacco.

Beltà femminili, paravento a 6 ante dipinto a inchiostro e colori su carta, 173×372 cm, periodo Taisho (1912-1926). Particolare


Una sezione della mostra è riservata al rapporto tra i giapponesi e la natura, che nello Shintoismo, la dottrina filosofica e religiosa autoctona dell’arcipelago, è espressione della divinità. Questa relazione privilegiata con la Natura viene qui indagata attraverso una serie di dipinti su rotolo verticale, parte dei quali realizzati tra Otto e Novecento, agli albori del Giappone moderno.
A metà dell’Ottocento, dopo oltre due secoli di consapevole isolamento, il paese decise di aprirsi al mondo. Così, nel volgere di pochi decenni, il Giappone avanzò con convinzione verso la modernità. Intanto europei e statunitensi cominciarono ad apprezzare le arti sopraffini di quel popolo e molti giunsero a scoprire il mitico arcipelago. Il mutato scenario portò così molti artisti ad adottare tecniche e stili stranieri, e molti artigiani a produrre opere esplicitamente destinate agli acquirenti forestieri. Tra le forme d’arte inedite per il Giappone di quei tempi, la fotografia d’autore occupava senz’altro un posto d’elezione. Gli stranieri che visitavano l’arcipelago molto spesso acquistavano fotografie per serbare e condividere un ricordo di quel paese misterioso e bellissimo. È il caso dello sconosciuto che ha acquisito il nucleo esposto in mostra, il quale ha annotato in lingua spagnola, a margine delle fotografie, le descrizioni dei luoghi e delle attività raffigurate nei suoi scatti. L’ultima sala è riservata ad una delle forme d’arte più complesse e insieme più affascinanti del Giappone, la scrittura. Grandi paraventi ornati di potenti calligrafie concludono l’esaltante percorso espositivo.

IMMAGINE DI APERTURAUtagawa Kuniyoshi, Kumagaya, xilografia policroma in formato oban, 35,8×23,5 cm, della serie Le 69 stazioni sulla strada del Kisokaido, firmata Ichiryusai Kuniyoshi dipinse, 1852. Particolare

Brescia: Donne nell’arte. Da Tiziano a Boldini

Brescia – Palazzo Martinengo
Dal 18 gennaio al 7 giugno 2020
Donne nell’arte. Da Tiziano a Boldini
Esposizione a cura di Davide Dotti

L’esposizione presenta oltre 90 capolavori che testimoniano come la donna abbia rivestito un ruolo di primo piano, nella storia dell’arte italiana, dagli albori del Rinascimento alla Belle Époque.

Gaetano Bellei, Colpo di vento. Collezione privata

Per quattro mesi, le sale di Palazzo Martinengo a Brescia, si popolano di dame eleganti, madri affettuose, eroine mitologiche, seducenti modelle e instancabili popolane. Dal 18 gennaio al 7 giugno 2020, la storica residenza nel cuore della città, ospita la mostra DONNE NELL’ARTE. Da Tiziano a Boldini, che documenta quanto l’universo femminile abbia giocato un ruolo determinante nella storia dell’arte italiana, lungo un periodo di quattro secoli, dagli albori del Rinascimento al Barocco, fino alla Belle Époque.

L’esposizione, curata da Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia, Fondazione Provincia di Brescia Eventi e MOICA – Movimento Italiano Casalinghe, in partnership con Fondazione Marcegaglia onlus, presenta oltre 90 capolavori di artisti quali Tiziano, Guercino, Pitocchetto, Appiani, Hayez, Corcos, Zandomeneghi e Boldini che, con le loro opere, hanno saputo rappresentare la personalità, la raffinatezza, il carattere, la sensualità e le più sottili sfumature dell’emisfero femminile, ponendo particolare attenzione alla moda, alle acconciature e agli accessori tipici di ogni epoca e contesto geografico.

Grazie alla collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, è possibile approfondire tramite appositi pannelli di sala alcune tematiche di grande attualità sociale e mediatica quali le disparità tra uomini e donne, il lavoro femminile, le violenze domestiche, l’emarginazione sociale e le nuove povertà. Le opere d’arte diverranno quindi formidabili veicoli per sensibilizzare il pubblico – soprattutto quello più giovane – verso argomenti di grande importanza socio-culturale.

Il percorso espositivo, suddiviso in otto sezioni tematiche – Sante ed eroine bibliche; Mitologia in rosa e storia antica; Ritratti di donne; Natura morta al femminile; Maternità; Lavoro; Vita quotidiana; Nudo e sensualità – documenta il rapporto tra l’arte e il mondo femminile per evidenziare quanto la donna sia da sempre il centro dell’universo artistico.

“Dopo il successo registrato nel 2019 con Gli animali nell’Arte – afferma il curatore Davide Dotti – ho deciso di proseguire il percorso di indagine su argomenti di grande attualità sociale e mediatica scegliendo per il 2020 il tema così affascinante e coinvolgente della donna che gli artisti, soprattutto tra XVI e XIX secolo, hanno indagato da ogni prospettiva iconografica, eternando le “divine creature” in capolavori che tutt’oggi seducono fatalmente il nostro sguardo. Per il visitatore è l’occasione di compiere un emozionante viaggio ricco di sorprese, impreziosito da dipinti inediti scoperti di recente in prestigiose collezioni private, opere mai esposte prima d’ora, e incontri ravvicinati con celebri donne del passato, tra cui la bresciana Francesca (Fanny) Lechi, ritratta nel 1803 dal grande Andrea Appiani in una straordinaria tela che dopo oltre venticinque anni dall’ultima apparizione torna visibile al pubblico”.

Tra i capolavori della mostra, si segnala la Maddalena penitente, un olio su tela di Tiziano, firmato per esteso, proveniente da una collezione privata tedesca, esposto per la prima volta in Italia. A proposito di questo dipinto, Peter Humfrey, una delle massime autorità a livello internazionale di Tiziano e autore del catalogo ragionato delle opere del maestro cadorino, ha scritto che “si tratta di una variante di alta qualità di una delle composizioni più avidamente ricercate di Tiziano. Le altre redazioni autografe sono state dipinte non solo per i suoi più importanti committenti – come il re Filippo II di Spagna – ma anche per altri illustri personaggi del suo tempo, quali Antoine Perrenot de Granvelle – consigliere dell’imperatore Carlo V d’Asburgo nonché viceré del regno di Napoli – e il potente cardinale Alessandro Farnese. Le vigorose pennellate frante e il denso impasto cromatico, suggeriscono una datazione al 1558-1563 circa, in prossimità della realizzazione della versione della Maddalena penitente dipinta per Filippo II nel 1561.

A questa, si aggiunge Coppia di amanti in piedi, un disegno di Gustav Klimt (1862-1918), principale esponente dell’avanguardia viennese, che anticipa le soluzioni stilistiche de Il bacio e de L’Abbraccio del Fregio Stoclet, due tra i capolavori più conosciuti del maestro austriaco.

“Il nuovo appuntamento espositivo, organizzato dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo – afferma il Presidente Roberta Bellino – è dedicato all’universo femminile, da sempre soggetto tra i più amati e frequentati della storia dell’arte. Un tema di grande suggestione che ha una ricaduta sulla contemporaneità. In collaborazione con la Fondazione Marcegaglia Onlus, infatti, si approfondiscono alcuni argomenti di grande attualità sociale quali la differenza di genere, le donne e il lavoro, la maternità, i femminicidi e le nuove povertà”.

Donne nell’Arte – conclude Roberta Bellino – è il sesto evento che si tiene all’interno della storica residenza bresciana che, anche grazie alle mostre proposte dagli Amici di Palazzo Martinengo e al sostegno della Provincia di Brescia, è diventata uno dei cardini della proposta culturale della città, registrando con le sue mostre oltre 250.000 visitatori”.

“La partecipazione come partner alla mostra Donne nell’Arte – dichiara Carolina Toso Marcegaglia, Presidente di Fondazione Marcegaglia Onlus – ci è sembrata da subito un’occasione speciale per sensibilizzare, attraverso lo straordinario strumento dell’arte, su alcuni temi che come Fondazione ci stanno molto a cuore: le disparità sociali, il lavoro femminile, la violenza di genere. Grazie ad alcune testimonianze di donne di varie latitudini del mondo, abbiamo scelto di far riflettere, soprattutto le nuove generazioni, sulle difficoltà che le donne incontrano quotidianamente e su quanto sia fondamentale e urgente valorizzare il loro ruolo nella società di oggi”.

Traendo ispirazione da testi sacri e libri agiografici, gli artisti hanno licenziato tele oggetto di secolare devozione che raffigurano le più famose sante della cristianità insieme al proprio attributo iconografico: Maddalena col vasetto di unguenti; Caterina con la ruota dentata; Barbara con la torre; Margherita con il drago; Cecilia con gli strumenti musicali. Senza dimenticare le eroine bibliche quali Giuditta, Salomè, Dalila, Susanna e Betsabea, le cui tormentate vicende personali sono narrate nell’Antico Testamento.

Anche la letteratura classica e la mitologia hanno fornito agli artisti infiniti spunti di riflessione, come nel caso delle storie che riguardano divinità (Diana, Venere, Minerva, Giunone), celebri figure mitologiche (Leda, Europa, Onfale, Circe, Dafne) e illustri donne del mondo antico che, con coraggio e drammatica determinazione, hanno preferito la morte al disonore. Si pensi, a tal proposito, alla regina d’Egitto Cleopatra, che decise di togliersi la vita, dopo il suicidio dell’amato Antonio, per non consegnarsi viva nelle mani dell’acerrimo nemico Ottaviano e subire la pubblica umiliazione; a Lucrezia, che si trafisse il petto con il pugnale dopo essere stata avvilita e violentata da Sesto Tarquino; e a Sofonisba, che bevve il veleno inviatogli dal marito Messinissa per non vivere un’esistenza mortificata come schiava dei romani.

Soprattutto nell’ambito della pittura dell’Ottocento, vera protagonista della rassegna, la donna è stata colta nella sua dimensione quotidiana, alle prese con le faccende della vita domestica e del lavoro; nei panni di madre affettuosa che accudisce con amore i propri figli; ma anche in atteggiamenti maliziosi e in situazioni intime per esaltarne la carica sensuale, come testimoniano gli straordinari capolavori di Giovanni Boldini, il più grande artista italiano della Belle Époque.

Giovanni Boldini, Calze nere. Collezione privata

La Fondazione Marcegaglia Onlus, la cui missione è sostenere le donne, motore della crescita e dello sviluppo dell’intera comunità, attraverso progetti di solidarietà e cooperazione, offre alle scuole, 350 percorsi tematici di visita alla mostra, con l’obiettivo di avvicinare sempre più i giovani al fantastico mondo dell’arte e, al contempo, sensibilizzarli rispetto a tematiche di grandissima importanza sociale legate all’emisfero femminile.

L’Associazione Amici di Palazzo Martinengo devolverà l’1% del ricavato da biglietteria a Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro con l’obiettivo di sostenere la migliore ricerca per la prevenzione, la diagnosi e la cura dei tumori femminili.

L’esposizione è il sesto appuntamento espositivo dell’Associazione Amici di Palazzo Martinengo che fa seguito ai successi di pubblico e di critica ottenuti con le rassegne Il Cibo nell’Arte dal Seicento a Warhol (2015), Lo Splendore di Venezia. Canaletto, Bellotto, Guardi e i vedutisti dell’Ottocento (2016), Da Hayez a Boldini. Anime e volti della pittura italiana dell’Ottocento (2017) e Picasso, De Chirico, Morandi. Cento capolavori dalle collezioni private bresciane (2018), Gli animali nell’arte dal Rinascimento a Ceruti (2019), visitate da oltre 250.000 persone.

Catalogo Silvana Editoriale.

IMMAGINE DI APERTURAGino Piccioni, Nudo sulla spiaggia. Firenze, collezione Frascione

Milano: Novecento privato. Da de Chirico a Vedova

Milano, Galleria Bottegantica
Novecento privato. Da de Chirico a Vedova
Mostra a cura di Stefano Bosi, Valerio Mazzetti Rossi, Enzo Savoia
Con la consulenza scientifica di Fabio Benzi
17 Gennaio 2020 – 29 Febbraio 2020
Sito web https://www.bottegantica.com/

Felice Casorati: Ritratto della sorella Elvira

Alcuni dei Giganti del ‘900 italiano tornano nelle sale che, nel secondo dopoguerra, li avevano accolti quali giovani protagonisti dell’arte del loro tempo. E’, il loro, un ritorno emblematico, certo non nostalgico e nemmeno celebrativo. Tuttavia importante, perché il mezzo secolo e oltre, che è trascorso da quando questi stessi ambienti di via Manzoni 45 erano occupati dalla Galleria del Naviglio, ha portato a sedimentare valori, smorzare tensioni. Ha fatto di cronaca, Storia.
Confermando la piena validità di quelle che, all’epoca, potevano apparire come personali proposte, intuizioni, visioni di un pur quotato gallerista.
Bottegantica, che oggi vivifica gli spazi che furono del Naviglio, vi propone “Novecento privato. Da de Chirico a Vedova”, dal 17 gennaio al 29 febbraio 2020. La mostra, che è a cura di Stefano Bosi, Valerio Mazzetti Rossi e Enzo Savoia, si avvale della consulenza scientifica di Fabio Benzi.
Ad esservi proposto è un excursus attentissimo di opere. Che facendo fulcro sui decenni del Naviglio opportunamente si allarga alla prima metà del Secolo Breve, per ripercorrere i momenti più straordinari vissuti dall’arte e dalla cultura dal primo dopoguerra sino agli sviluppi del secondo: dal Futurismo alla Metafisica, dal Realismo Magico al Surrealismo, dal Ritorno all’Ordine all’Informale…
“Il Novecento italiano, per metafora, è stato un oceano battuto da grandi onde. Battuto soprattutto dal perenne contrasto tra l’apologia della forma e il suo annullamento, specie a partire dagli anni Trenta. Protagonisti delle pagine più significative della storia dell’arte nazionale e internazionale, sono una serie di Maestri d’avanguardia che hanno contribuito alle rivoluzioni artistiche del XX secolo, partecipando alla creazione di nuove forme e immagini, attraverso sperimentazioni e ricerche”, ricorda Stefano Bosi.
Novecento Privato. Da De Chirico a Vedova rievoca autori e momenti fondamentali di quel secolo, scegliendo di attingere le trenta opere esposte, esclusivamente da due importati collezioni private. “Trenta opere che si legano fra loro in un dialogo appassionato, a formare idealmente una raccolta filologica dei principali fenomeni artistici italiani del secolo scorso. Una raccolta dal forte carattere meditativo e intimo, in cui è privilegiato il rapporto tra le opere e gli artisti che le hanno create”, anticipa Enzo Savoia.
La sequenza è pensata come un viaggio cronologico e visivo, un racconto analitico e didattico che attraversa il nostro territorio culturale dal post-impressionismo alle avanguardie d’inizio secolo (il Futurismo di Marinetti, Boccioni, Balla, Severini), gli anni del primo conflitto mondiale, il dopoguerra e gli anni Venti (Savinio, De Chirico, De Pisis, Sironi, Casorati, Alberto Martini, Marini), l’affermazione del regime fascista e la seconda guerra mondiale (Carrà, Campigli, Arturo Martini, Prampolini, Pirandello, Guttuso, Manzù), il post-war tra le capitali europee e New York con l’affermazione dell’arte astratta (Fontana, Burri, Capogrossi, Vedova, Pomodoro).
Il percorso espositivo è pensato per essere fruito da un vasto pubblico, grazie anche a un apparato didattico sperimentale, capace di guidare il visitatore alla comprensione profonda di ogni singola opera.
Un omaggio dunque all’universalità dell’arte, ma anche un riconoscimento ai grandi artisti italiani del XX secolo. Questo – e non solo – è NOVECENTO PRIVATO. Da De Chirico a Vedova.

IMMAGINE DI APERTURAMassimo Campigli: Due figure

L’arte della calzatura tra antica Roma, cinema colossal e moda contemporanea

Ai piedi degli dei
Le calzature antiche e la loro fortuna nella cultura del Novecento
Firenze, Palazzo Pitti, Museo della Moda e del Costume
17 dicembre 2019 – 19 aprile 2020

Decine di modelli in mostra in Palazzo Pitti a Firenze, tra caligae romane, calzari delle star del grande schermo e modelli dei più celebri stilisti del Novecento

Piedi incrociati con krepídes
metà del II secolo a.C. – terracotta di colore grigio per l’esposizione al fuoco e con minime tracce di colore – Museo Archeologico Nazionale “Gaio Cilnio Mecenate”, Arezzo

Una passeggiata tra le robuste caligae dei soldati romani, i seducenti sandali delle cortigiane greche, i raffinati calzari indossati dagli dei oppure dall’aristocrazia romana; senza dimenticare la ricca varietà di calzature indossate dalle star dei colossal dedicati all’antichità, da Ben Hur al Gladiatore, e le più recenti creazioni di moda, ispirate dallo stile delle calzature del mondo classico e realizzate da protagonisti del fashion contemporaneo come Emilio Pucci, Salvatore Ferragamo, Yves Saint Laurent.

È “Ai piedi degli dei”, mostra a cura di Lorenza Camin, Caterina Chiarelli e Fabrizio Paolucci, accolta nel museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti dal 16 dicembre 2019 al 19 aprile 2020.

La mostra, incentrata su un tema tanto affascinante quanto inedito, vuole raccontare gli infiniti ruoli che la scarpa ha rivestito in Occidente dai tempi antichi ai giorni nostri. Veri e propri protagonisti del percorso espositivo, formato da circa 80 opere (alcune delle quali giunte in prestito da importanti musei internazionali come il Louvre), saranno gli esemplari delle principali tipologie di calzature usate nel periodo compreso fra il V secolo a.C. e il IV d.C. e testimoniateci sia su preziose opere d’arte, fra le quali rilievi e vasi dipinti, sia in originale, come gli eccezionali reperti provenienti dal forte romano di Vindolanda nell’Inghilterra del nord.

L’antico è messo a diretto confronto con il contemporaneo. Scarpe di alcuni tra i più grandi stilisti (come Genny, Céline, Richard Tyler, Renè Caovilla, Donna Karan) saranno esposte insieme ai modelli originali realizzati dalla più celebre manifattura italiana di calzature per il cinema, il calzaturificio Pompei, per alcuni dei film peplum divenuti veri e propri cult: si potranno ammirare i sandali di Liz Taylor-Cleopatra, i calzari di Charlton Heston-Ben Hur, quelle del Gladiatore Russell Crowe, le calighe dell’Alexander-Colin Farrell. ‘Ai piedi degli dei’ trova infine il suo naturale completamento nella multivisione, ideata e diretta da Gianmarco D’Agostino (Advaita Film) per immergere il visitatore in un universo di immagini in cui archeologia, fashion si fondono con i miti del grande schermo.

Il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt: “Da sempre l’Uomo ha voluto riversare nelle calzature, strumento umile e quotidiano, un riflesso di quei principi di armonia e simmetria che governavano il gusto classico. La scarpa divenne cosi essa stessa opera d’arte, un oggetto plasmato più per esigenze estetiche che pratiche. Proprio per illustrare compiutamente questo ‘destino’ della calzatura, i cui presupposti sono già nel mondo greco-romano, si è voluto allargare il tema di questa mostra a due espressioni della cultura contemporanea intimamente legate fra di loro: il cinema e la moda. Sotto il segno della classicità, i curatori hanno esplorato questo inedito aspetto della ‘Fortuna dell’Antico’, recuperando suggestioni, echi e consonanze che, attraverso le pellicole di film come Cleopatra e l’ispirazione di stilisti, creano un inaspettato legame fra passato e contemporaneità”.

Fabrizio Paolucci, curatore della mostra e direttore del Dipartimento Antichità degli Uffizi: “La scarpa non è soltanto un accessorio e questo concetto era ben chiaro già agli antichi, al pari dell’abilità che richiedeva il realizzarle. Platone, ad esempio, non esitava a definire l’arte del calzolaio una vera e propria scienza. Con la sua foggia o i suoi colori, questo indumento raccontava tutto della persona che le indossava: il sesso, la condizione economica, la posizione sociale e il lavoro. Quel che è stato sempre considerato un semplice dettaglio del vestiario, diviene ora il protagonista di un’esposizione, il cui fine è proprio quello di restituire alla scarpa il suo ruolo di prezioso documento del gusto e della tecnica del mondo greco-romano”.

UN PO’ DI STORIA DELL’ANTICA CALZATURA

Nel mondo classico la foggia delle calzature costituiva spesso connotazione tipica di ben precise categorie sociali. Le caligae chiodate, ad esempio, erano usate prevalentemente dai soldati perché ideali per le lunghe marce, mentre i calcei, simili a bassi stivaletti e spesso vivacemente colorati se indossati dalle donne, connotavano le classi più elevate (patrizi, senatori e imperatori). Le fonti tramandano che le cortigiane, invece, erano solite indossare sandali che recavano, sul lato inferiore della suola, dei chiodini disposti in maniera tale da lasciare sul terreno un’impronta con la scritta “seguimi”.

La seduzione, del resto, è da sempre un aspetto connaturato con questo capo dell’abbigliamento che, non a caso, svolgeva un ruolo simbolico di primo piano anche nel rito nuziale antico. E già nel mondo antico, la scarpa era protagonista di favole come quella di Rodopi, diretta antenata di Cenerentola, raccontata per la prima volta da Erodoto e poi da Strabone. Fin da allora, inoltre le calzature sono protagoniste di modi di dire. Cicerone, in una delle sue Filippiche, usa l’espressione “mutavit calceos” per dichiarare il mutamento del rango sociale di un personaggio, divenuto senatore, dal momento che i calcei dei senatori differivano da quelli dei patrizi.

IMMAGINE DI APERTURARilievo frammentario di Septimia Stratonice II sec. d.C. marmo – Parco Archeologico di Ostia antica, Ostia

Nel 2020, Piacenza e la sua provincia saranno belle come non mai!

Piacenza 2020
sito internet www.piacenza2020.it

La Madonna Sistina di Raffaello nella sua Piacenza (da maggio 2020). Particolare.

Si è alzato il velo sul programma di Piacenza 2020, il ricco calendario di eventi che coinvolgerà diversi ambiti che spaziano dall’arte al teatro, dalla danza allo sport, dalla musica lirica a quella classica al jazz, fino a coinvolgere il grande patrimonio enogastronomico, una delle eccellenze più riconosciute a livello internazionale.

Piacenza 2020 è promosso da un comitato composto dal Comune di Piacenza, dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, dalla Diocesi Piacenza-Bobbio, dalla Camera di Commercio di Piacenza, in linea con il tema “Crocevia di culture”, con cui si è candidata al titolo di capitale italiana della cultura.

Piacenza 2020 Crocevia di Culture – afferma Patrizia Barbieri, sindaco di Piacenza – è un progetto nato e sviluppatosi grazie alla sinergia tra le istituzioni e tra gli attori culturali piacentini che si inserisce nel più ampio quadro di Emilia 2020, il sistema di promozione territoriale che, con il volano di Parma Capitale della Cultura e con la sapiente regia di Destinazione Turistica Emilia, riunisce in un unico cartellone oltre 500 eventi che andranno in scena l’anno prossimo tra i territori di Parma, Reggio Emilia e Piacenza. Una capacità di fare squadra a livello interprovinciale che ha già garantito straordinari risultati in termini di attrattività territoriale e promozione turistica e che avrà nel 2020 il trampolino di lancio per diventare, dal 1° gennaio 2021, una sfida continua per rendere quest’angolo di Emilia una destinazione turistica primaria, capace di mettere in mostra e promuovere le eccellenze di cui è ricca e regalare emozioni tali da invitare il visitatore a tornare”.

“Il già ricco programma di Piacenza 2020 – prosegue Patrizia Barbieri – sarà in costante divenire e si costituirà giorno dopo giorno. Se l’originalità del capolavoro di Klimt ritrovato in questi giorni sarà confermata, ci metteremo subito al lavoro per organizzare una grande mostra che avrà il fulcro proprio nel Ritratto di signora dell’artista austriaco”.

“È nota la parabola dei talenti – sottolinea monsignor Gianni Ambrosio, vescovo della Diocesi di Piacenza-Bobbio -, con quel servo che, per paura, nasconde il suo talento sotto terra. Per tutti, non solo per quel servo, è facile pensare di salvare un bene nascondendolo. Ma non è la strada giusta: occorre seguire l’esempio virtuoso degli altri due servi che valorizzano ciò che hanno ricevuto”.

“L’insegnamento della parabola – continua monsignor Gianni Ambrosio – vale anche per tutta la gamma di beni culturali, architettonici, artistici che la storia ci ha consegnato. Per questo la comunità cristiana deve essere sempre più consapevole che il patrimonio ricco e prezioso deve essere valorizzato e messo a disposizione di tutti: lo splendore della bellezza, della bontà e della verità irradia e trasforma gli occhi, il cuore e la mente. Per questo ritengo doveroso favorire e promuovere ogni iniziativa per la salvaguardia e la valorizzazione di questo patrimonio: è una straordinaria risorsa per lo sviluppo economico del territorio, è uno stimolo per la crescita sociale, culturale e spirituale di tutti, dei turisti e di noi stessi, cittadini che spesso ignoriamo le molte cose belle che sono in casa nostra”.

“La Camera di Commercio di Piacenza – dichiara il suo presidente Alfredo Parietti – da sempre è presente e attenta alle iniziative del territorio. E anche in occasione di “Piacenza 2020” abbiamo voluto, con la consapevolezza del momento difficile che stiamo vivendo, contribuire al fine di rendere possibili una serie di iniziative che durante l’arco dell’anno valorizzeranno la città e la provincia di Piacenza. L’aspetto realmente qualificante che mi preme particolarmente porre in risalto, è la collaborazione tra le varie istituzioni e le associazioni locali. Questa collaborazione che fino ad ora è stata solo occasionale magari in concomitanza con alcuni eventi particolari, ora sta diventando continuativa, si è consolidata, strutturata e lo si percepisce a tutti i livelli. “Piacenza 2020” è importante ma ciò che realmente conta è che tutti gli sforzi e le attività produrranno frutti perché condivisi e portati avanti insieme”.

Massimo Toscani, presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, ricorda che “abbiamo partecipato ai progetti del programma per il 2020 – 2021 fin dalle prime formulazioni (direi fin dalla grande mostra sul Guercino a Piacenza) e lo abbiamo fatto sostanzialmente in due modi: il primo, a sostegno delle idee di altri soggetti pubblici e per lo svolgimento corrente delle attività culturali che caratterizzano la nostra città. E questo rientra tra gli scopi naturali, diciamo così, della Fondazione”.

“Il secondo modo – prosegue Massimo Toscani – è stato quello di passare all’impegno diretto su alcuni fronti di grande interesse per la valorizzazione del patrimonio (è il caso dei monumenti equestri) e di forte innovazione: penso soprattutto al Centro XNL per la documentazione delle arti contemporanee, la cui funzione non riguarderà solo la nostra città, come apparirà chiaro, bensì un sistema medio-regionale a scavalco di Emilia, Lombardia, Piemonte”.

Dal canto suo, Jonathan Papamarenghi, assessore alla Cultura del Comune di Piacenza – ha illustrato le potenzialità del sito internet www.piacenza2020.it che testimonia come “Piacenza 2020 sia un nucleo in continua evoluzione, con nuovi progetti e nuove iniziative che si stanno formando e che si svolgeranno anche al di là delle mura farnesiane. Il sito internet e i canali social a esso collegati racconteranno a un pubblico allargato il fascino di una terra così ricca di storia, di cultura e di tradizioni, e sapranno trasformare il visitatore occasionale in un turista abituale che avrà il desiderio di tornare a Piacenza e nella sua provincia”.

“Una delle cose che più mi rende orgoglioso – conclude Jonathan Papamarenghi – è vedere come tutte le istituzioni, tutte le associazioni e tutte le realtà che hanno contribuito a creare il dossier di Piacenza 2020-Crocevie di Culture, col quale ha partecipato alla candidatura di Capitale della cultura italiana, stiano lavorando come se quella sfida fosse stata vinta”.

“Il grande tema che ci siamo dati crocevia di culture – dichiara Manuel Ferrari, responsabile Culturale della Diocesi di Piacenza e Bobbio – può essere declinato sotto molteplici aspetti. Tra questi crocevia di storie, di narrazioni.  Storie di persone, storie di opere. Storie di persone straordinarie, come quelle che abbiamo cercato di raccontare nell’appena inaugurato MES (Museo Emigrazione Scalabrini), voluto dai padri Scalabriniani, un museo che entra nel circuito di Piacenza 2020 e che si candida a diventare un fiore all’occhiello per la nostra città per il modo in cui il fenomeno migratorio è raccontato, dalla fine dell’800 ai giorni nostri. L’abbiamo pensato perché fossero le storie il filo conduttore di tutto il percorso. Storie di ieri e di oggi. Storie di chi è partito e di chi è rimasto. Storie di chi ce l’ha fatta e di chi ha fallito. Ma sempre mettendo al centro l’uomo con i suoi sentimenti e le sue emozioni”.

Piacenza 2020 è parte di Emilia 2020, il sistema di promozione territoriale declinato nel segno dell’unicità e dell’esperienza, che a seguito della nomina di Parma quale Capitale italiana della Cultura 2020, riunisce in un unico cartellone le proposte di Piacenza, Reggio Emilia e della città Ducale.

Piacenza è sempre più convinta di non essere solo “terra di passo”, come scriveva Leonardo da Vinci, ma luogo capace di accogliere e “incuriosire” il visitatore con i suoi segreti da scoprire, con intrecci tra le storie da raccontare, con le sue eccellenze, dalla cupola della Cattedrale affrescata dal Guercino, ai tre salumi DOP, al Gutturnio, con il suo fiume e le sue strade, con le sue chiese e i suoi palazzi prestigiosi, alcuni dei quali torneranno agli antichi splendori, dopo importanti opere di rigenerazione urbana e di restauro.

Numerose saranno le iniziative pensate appositamente per Piacenza 2020. Tra queste l’apertura del MES – Museo dell’Emigrazione Scalabrini, allestito all’interno della Casa madre dei Missionari Scalabriniani a Piacenza.

Promosso dal Centro Missionari di San Carlo – Scalabriniani, con il contributo della Fondazione di Piacenza e Vigevano, il MESsi struttura come un percorso, interattivo e multisensoriale ideato dall’architetto Manuel Ferrari con contenuti multimediali di Twin Studio che, attraverso video, immagini e suoni, conduce il visitatore ad approfondire il tema delle migrazioni, facendone comprendere il divenire storico, le dinamiche socio-politiche dal 1870 fino a oggi, le soluzioni illuminate che un grande uomo di pensiero e azione come monsignor Giovanni Battista Scalabrini (1839-1905), vescovo di Piacenza tra il 1876 e il 1905, definito il Padre dei migranti, ha saputo mettere in campo, mostrando come la sua azione sia ancora viva nel mondo, grazie all’operato delle congregazioni religiose e laiche da lui fondate.

Tra le altre grandi iniziative si segnala l’apertura di un nuovo spazio espositivo nel cuore della città. Nell’edificio Ex-Enel della Fondazione di Piacenza e Vigevano, nasce infatti XNL Piacenza Contemporanea un centro culturale interamente dedicato all’arte contemporanea, risultato della ristrutturazione di uno stabile industriale dei primi decenni del Novecento – la ex sede dell’Enel, in via Santa Franca, 36 -, di particolare pregio architettonico, restituito alla città come luogo per raccontare il tempo presente.

XNL Piacenza Contemporanea sarà inaugurato dalla mostra LA RIVOLUZIONE SIAMO NOI. Collezionismo italiano contemporaneo, in programma dal 1° febbraio al 24 maggio 2020.

La rassegna, curata da Alberto Fiz, organizzata dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, col patrocinio del MiBACT – Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, della Regione Emilia-Romagna, con un progetto di allestimento di Michele De Lucchi e AMDL CIRCLE e la consulenza scientifica del Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano, presenta oltre 150 opere, tra dipinti, sculture, fotografie, video e installazioni di autori quali Piero Manzoni, Maurizio Cattelan, Marina Abramović, Tomás Saraceno, Andy Warhol, Bill Viola, Dan Flavin, provenienti da 18 collezioni d’arte, tra le più importanti in Italia, che indagano trasversalmente movimenti, stili e tendenze della contemporaneità. Il percorso si completa alla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi – i cui locali sono attigui a quelli di XNL – dove una serie di lavori di artisti tra cui Ettore Spalletti, Wolfgang Laib, Fabio Mauri, Gregor Schneider, Pietro Roccasalva, dialoga con i capolavori dell’Ottocento e del Novecento, raccolti dall’imprenditore e collezionista piacentino Giuseppe Ricci Oddi che costituisce un fondamentale modello di riferimento.

Anche i musei di Palazzo Farnese si presenteranno con un look rinnovato. Due sezioni particolarmente significative, dedicate alle ceramiche e alla collezione di reperti romani, proporranno nuovi allestimenti che miglioreranno la fruizione del ricco patrimonio cittadino.

La Sezione Ceramiche presenta 250 pezzi, alcuni già appartenenti alla collezione storica delle ceramiche dei musei civici, altri giunti dalla donazione Besner-Decca. All’interno delle stanze dell’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese s’incontra il consistente nucleo di maioliche lombarde settecentesche, le numerose porcellane europee e cinesi, oltre a splendidi esempi realizzati a Venezia, Nove di Bassano, Albisola, Faenza, Milano, Lodi, Pavia, Castelli d’Abruzzo, Urbania, Pesaro, e oggetti ritrovati negli scavi effettuati in città e nel territorio provinciale (di proprietà statale in deposito ai musei civici), che forniscono interessanti spunti per la ricostruzione di un profilo della produzione ceramica nel territorio piacentino tra il XVI e il XVIII secolo.

Le sale della Cittadella dei Visconti e di Palazzo Farnese, da fine marzo, accoglieranno la Sezione Romana, con oltre 500 reperti che illustreranno la storia di Piacenza dalla sua fondazione nel 218 a.C. e miglioreranno la comprensione della città romana, dall’impianto urbanistico e viario ai commerci, all’edilizia pubblica e privata, alla vita quotidiana, alle necropoli e ai culti. Nell’ultima sala si darà conto della crisi dell’impero romano e verranno esposte opere riferibili alla cultura longobarda. Arricchiranno il percorso, dispositivi multimediali, ricostruzioni di ambienti e “reperti parlanti”, ma saranno soprattutto gli oggetti e gli spazi meravigliosi in cui sono inseriti a raccontare oltre mille anni di storia della città di Piacenza.

Il complesso monastico di San Sisto, aprirà le proprie porte per condurre i visitatori alla scoperta della Madonna Sistina di Raffaello, uno dei capolavori assoluti dell’arte mondiale, che torna in modo virtuale a Piacenza, la città per la quale fu commissionata.

Da maggio 2020, all’interno di uno tra i più preziosi gioielli architettonici di Piacenza, verrà inaugurata una mostra che si snoderà in ambienti per la prima volta aperti al pubblico, e che, attraverso video-proiezioni, filmati, ricostruzioni virtuali racconterà la storia del complesso monastico e della Madonna Sistina di Raffaello, ora esposta alla Gemäldegalerie di Dresda, creata proprio per questo luogo.

Da settembre a novembre 2020, lo spazio XNL Piacenza Contemporanea celebrerà Gianfranco Ferré, raccontando il suo legame particolare con Piacenza, sviluppatosi in particolare negli anni ottanta, quando lo stilista aveva sponsorizzato il restauro degli affreschi del Guercino, all’interno della cupola della cattedrale. Affascinato dai dipinti del pittore secentesco, Ferré trasse ispirazione delle Sibille del Guercino per creare una sua collezione di abiti.

Il percorso espositivo prenderà avvio proprio dai disegni per questa collezione, e proseguirà alla Galleria Ricci Oddi, dove alcuni abiti di Ferré saranno affiancati a dipinti ottocenteschi in cui si vedono donne eleganti vestite in costume dell’epoca.

Per l’occasione, nell’ottica di una valorizzazione del patrimonio culturale cittadino, sarà creato un biglietto unico che comprenderà la visita a XNL, alla Ricci Oddi e alla Cattedrale dove salire in quota per ammirare la cupola affrescata.

Attorno a uno dei simboli di Piacenza, ovvero le statue equestri in bronzo di Alessandro e Ranuccio I Farnese, nell’attuale piazza dei Cavalli, commissionate a Francesco Mochi da Montevarchi (1580-1654), uno degli esponenti della scultura barocca, si svilupperà un’interessante operazione culturale, dedicata alla scultura. Tra settembre e ottobre 2020 una mostra abbraccerà tutto il centro storico e, dalla piazza dei Cavalli, si diffonderà in alcuni dei più bei palazzi istituzionali e privati di Piacenza, documentando la straordinaria fortuna tipologica del gruppo equestre nel tempo, attraverso una serie di opere di scultori contemporanei, da Botero a Marino Marini ed Henry Moore.

Il ricco programma espositivo di Piacenza 2020, si concluderà idealmente all’Appartamento stuccato di Palazzo Farnese dove, dal 3 ottobre al 16 gennaio 2021, si terrà la mostra La natura morta tra XVII e XVIII secolo: La tavola e i rituali del cibo. L’esposizione, allestita in uno dei luoghi di rappresentanza in cui i Farnese davano udienza, ricevevano gli ospiti e organizzavano feste e banchetti, si focalizzerà sul tema della natura morta, un genere che a Piacenza, già alla fine del Cinquecento ebbe grande successo.

Per i temi trattati, l’iniziativa si collegherà con quanto verrà presentato all’interno di Natura viva, il salone del gusto dei prodotti tipici piacentini, che si terrà nella chiesa di Santa Maria del Carmine, recentemente restaurata.

La proposta di Piacenza 2020 si allarga a comprendere i campi della musica e del teatro. La programmazione del Teatro Municipale offre produzioni particolarmente significative. È il caso della prima assoluta del Falstaff di Giuseppe Verdi, con l’orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, in programma venerdì 24 gennaio (con replica domenica 26 gennaio), cui seguiranno i nuovi allestimenti della Lucrezia Borgia di Gaetano Donizetti (28 febbraio), della Pelléas et Mélisande di Claude Debussy (17 aprile) e del Mefistofele di Arrigo Boito.

Il Teatro Municipale sarà anche il fulcro attorno a cui si svolgerà la stagione teatrale che porterà a Piacenza alcuni degli attori più importanti e celebrati a livello nazionale, da Ale e Franz (11 e 12 febbraio) a Silvio Orlando (10-11 marzo), da Marisa Laurito (21-22 aprile) a Pippo Delbono (24 marzo).

La colonna sonora di Piacenza 2020 spazierà dalla musica classica al jazz. Tra gli appuntamenti più attesi, il 7 marzo, il concerto della Filarmonica Arturo Toscanini diretta da Daniele Gatti, e il Requiem di Mozart (9 aprile) con la Young Musicians European Orchestra, il BBC Symphony Chorus e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza.

Dal 29 febbraio al 5 aprile, quindi, spazio al Piacenza Jazz Fest che, come ogni edizione, oltre a portare in città i nomi più famosi di questa particolare espressione musicale, si articola su diversi livelli: spettacolo, attività formativa, concorsi, coinvolgimento realtà culturali, scolastiche e commerciali piacentine), con una specifica attenzione al sociale (carcere, ospedale, case protette).

Non va inoltre dimenticato, a settembre, l’appuntamento con la Settimana Organistica Internazionale, rassegna di grande interesse e valore artistico, promossa dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, che propone una serie di eventi musicali e un concerto straordinario che vedrà esibirsi i solisti più prestigiosi al mondo che si cimenteranno di volta in volta con le particolari sonorità di 4 organi piacentini, posti nella basilica di S. M. di Campagna, nella basilica di S. Savino, nella basilica di S. Anna e nella basilica di S. Giovanni in Canale.

Un capitolo importante di Piacenza 2020 sarà dedicato all’enogastronomia, uno dei vanti di Piacenza e del suo territorio. Tra le numerose iniziative, dal 5 al 7 giugno, ecco la quarta edizione del Gola Gola! Food & People Festival, che proporrà una serie di iniziative legate al cibo, come cooking show, degustazioni, mercato delle specialità del territorio, dibattiti, ma capaci di esplorare storia, arte, scienza, letteratura, poesia, economia, musica e tanto altro, o la tredicesima edizione del Premio Coppa d’oro che ha come obiettivo principale di far apprezzare i salumi piacentini a denominazione di origine tutelata ad una platea nazionale e nel contempo valorizzare il territorio piacentino con le sue eccellenze.

Tra gli eventi organizzati nel territorio, si ricorda, tra luglio e agosto, il Bobbio Film Festival, ai Chiostri dell’Abbazia di San Colombano – Bobbio, la rassegna cinematografica e di incontri con gli autori diretta dal regista Marco Bellocchio.

Per Piacenza 2020, inoltre, è stato messo a punto una ricca proposta di pacchetti turistici per promuovere e far conoscere la città, con tutti i suoi tesori, e il territorio piacentino, ricco di tradizioni.
Tutto il programma di Piacenza 2020 è consultabile sul sito internet www.piacenza2020.it, progettato da Multiplo (www.multiplo.biz) e sviluppato da Remo Romano.

IMMAGINE DI APERTURA – Katja Novitskova – La rivoluzione siamo noi – Collezionismo italiano contemporaneo (01.02.2020 – 24.05.2020)